Racconti di Anileda Xeka


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***
mi sprofondai nella poltrona
. c'era lo stesso silenzio sordo che ha il vuoto di una vita che non ti appartiene, quell'umidità che odora di indifferenza. totale assenza dei sensi. il mondo si affanna a correre e non si accorge che resta fermo, regredisce nel suo progredire e il più delle volte non fa che crollare irrimediabilmente su se stesso. talvolta, al rientro da un qualsiasi posto che sta chiuso fuori di me, lancio la borsa, le scarpe, la giacca per la stanza, così tanto per ingannare la mente con un finto disordine e tenerla occupata per un po’ con qualsiasi altro pensiero futile che non siano i soliti cupi pensieri che mi lacerano dentro.
invidio la superficialità, la spensieratezza. in fondo si ha bisogno quanto si ha della serietà. del giusto equilibro, ecco cosa intendo. saper scavare nel profondo, avere una sensibilità notevole e' un dono, lo preferisco sicuramente, ma ad ogni profondo non si arriva forse attraverso la superficie?!
togliendo le scarpe, soltanto allora mi accorsi di aver trascinato fino a casa da chissà quanto tempo una foglia di ippocastano. mi sentii mortificata. chissà quante volte avevo calpestato le foglie, specie quelle degli aceri rossi, specie gli aceri rossi del Giappone, che mi trovano distratta con la testa all'in su ad ammirare la bellezza rara, quasi commovente di questi capolavori della natura.
questa volta era diverso. il fatto di non aver sentito il grido di dolore di una foglia morente mi riempiva di dispiacere e tristezza; somigliava al pianto soffocato dell'anima mia, alla folle paura di non sentire più nulla. ne' dolore, ne' gioia, rabbia nemmeno o qualsiasi cosa che mi ricordi di essere viva, qualunque cosa purché non sia indifferenza.
il fatto e' che quando si prende coscienza di essere soli, ci si stanca persino a parlarne. l'amara consapevolezza che non c'e' solitudine peggiore di quando si e' incompresi. lusso raro in tempi come questi.
la sigaretta si consuma tra le dita. la penna tace e la notte e' calata appena. penserò a te, a quell'ipotetico te che mi conosce, tanto che talvolta mi pare che le nostre anime si sfiorano, e per un attimo il tuo abbraccio ipotetico anche lui, mi strappa dalla pelle la solitudine. sento meno freddo per un po’ ma solo per un po’. il tempo che resta acceso un fiammifero, il tempo di accendere un'altra sigaretta.


Usi e costumi
L’estate scorsa,ad agosto ,precisamente il 24 si è fidanzato ufficialmente mio fratello,il primo dei gemelli,cinque anni più piccoli di me. Erano già tre mesi che mio padre aveva sparso la voce che voleva trovar moglie per mio fratello,con il pieno consenso di quest’ultimo che stanco delle sue conquiste,finalmente decise di abbracciare la tradizione e accettare un matrimonio combinato.Si avete capito bene. Non ridete come ho fatto io,quando mio padre al telefono mi fa un elenco dettagliato di tutte le pretendenti ,che ad un certo punto divennero innumerevoli. Una specie di “uomini e donne”,programma di Maria De Filippi,per chi non ne fosse informato.
Dunque,tra le mille possibilità sempre pensando si trattasse di uno scherzo,quella che stava bene a me era una pretendente che viveva a Siena,per egoismo ovvio e già mi immaginavo di aver mio fratello cosi vicino da bastarmi di salire in macchina per vederlo,ma da brava figlia che sono ho lasciato la decisione a mio padre e a mio fratello,conscia che solo loro ,in particolar modo quest’ultimo avrebbe potuto scegliere quella giusta,ma essere interpellata mi dava molto soddisfazione.
Quella giusta arrivò un mese all’incirca prima della mia partenza per l’Albania,e lo conobbi tramite telefono. Nella nostra seconda conversazione ,per la serie “Patti chiari amicizia lunga” ho voluto mettere in risalto il fatto di quanto fossi gelosa e possessiva con i miei fratelli,mio padre e tutti coloro che amo,dopo averli domandato come mai avesse decise di accettare un matrimonio cosi.
Lei fu convincente,mi disse semplicemente che c’era stato un colpo di fulmine,cosa che confermò anche mio fratello.La cosa era fatta,d'altronde non mi sarei permessa neanche prima di giudicarli,visto che la gente s’innamora di continuo e nelle situazioni più insolite.
Il mio arrivo era atteso con ansia,non solo perché mancavo da casa da un anno e tre mesi,cosa molto rara,ma per tutto il resto,conoscere di persona mia cognata e fare tutti i preparativi. E già,essere la sorella e per di più la primogenita ,considerata figlio maschio, non per aspetto ovvio,ma per una serie di motivi,uno dei quali importantissimo,essere bracio destro di mio padre ,non è cosa facile in Albania. Ma devo dire che a me piace il ruolo che ho,papà dice che sono nata responsabile e non saprei farne a meno.
Arrivai il 21 e la stessa mattina dopo aver strapazzato mio padre con i baci e gli abbracci che non mi bastano mai e i fratelli ,mia madre ,colei che mi ha cresciuta,dopo aver visto casa,bella ed accogliente da farti mancare il fiato,aver respirato il profumo delle rose[qui è difficile trovare delle rose profumate] lungo il viale immenso di vigneto che le fa da veranda,Dio quant’è bello! Tutto grazie a mio padre,agronomo non solo per la laurea ma soprattutto per passione,fiori colorati,ovunque posavi gli occhi…quanto mi mancava tutto questo.
Finalmente incontrai la fidanzata di mio fratello,giovane 17 anni,bionda ,pelle candida,non tanto alta ma nemmeno bassa,giusta per mio fratello,molto,molto carina.
Dopo ciò con mia madre,mio fratello e la fidanzata,si sedemmo attorno ad un tavolo,per fare la lista dei preparativi,[io vado subito al sodo come sempre],che ovviamente avrei sostenuto io. Bicchieri da acqua 18 ,da aperitivo 36,da alcolici 36,da succo 36,piatti per dolci o torte 36,forchette da dolci 36,tovaglie quattro,li avevo già comprate qui,2 vassoi d’argento, due centrini per i vassoi,due porta-caramelle o porta-cioccolatini ,salatini,stuzzichini vari,succhi di frutta,coca-cola,fanta,birre rigorosamente in bottiglietta di vetro “Tirana” aperitivi vari,grappa di casa,limoncello che adoro fare,un frigo nuovo, il vestito di mio fratello,camicia,cravatta,scarpe,un'altra camicia e le scarpe e la cinta abbinata per l’altro amore della mia vita,l’altro mio fratello[ il suo vestito lo comprai qui e li stava da Dio],pure un cellulare che gli avevo promesso,più i profumi da uomo per tutt’e due,regali destra a manca per tutti i famigliari,il vestito da sera per mia cognata,un profumo,un solitario scelto da me,un orologio comprato qui,una valigia,trucchi vari,una stoffa (tradizione)una rosa finta,un geranio finto,due borse che avevo comprato qui. Quest’ultime, per tradizione andavano messe in una valigia ,insieme a una catenina un braccialetto, una fede,un altro vestito da sera,una gonna ed una maglietta ed altro ,li avremmo portati li ,nella casa di lei,il 24. La prima visita tocca alla famiglia di lui,in questo caso la mia famiglia.
Dopo aver finito la lista,presi il mio caffè,portandolo da cui insieme alla moca ,quello turco usato da noi,ho perso l’abitudine di berlo,poi i fondi che ti rimangono nei denti proprio non li sopporto. Fumai la mia sigaretta in santa pace,parlando del più e del meno. Poi come al solito mio,passai la giornata a smontare casa,spostando i mobili qua e la,a pulire,mettere apposto i quadri e tutto il resto,volevo persino restaurare le porte,volevo farle bianche ma il tempo è stato alquanto avaro,ci avrei messo come minimo 10 giorni. Ormai mi conoscono e mi hanno lasciato fare e ognuno devo dire ha fatto la propria parte,finche mio padre torno a casa e incerto mi domanda:
”Ledush,(lui è cosi che mi chiama amorevolmente)sei sicura che c’è la farai domani con tutto il resto?
“Papà ti ho mai deluso,insomma per le cose importanti intendo?”
Lui scuote la testa e mi dice:”Va be lo sai tu io non dico niente”
“Non preoccuparti,andrà tutto bene,sono tre mesi che mi organizzo”
Ero stanca morta e non vedevo l’ora che arrivasse il domani. Infatti dormii poco e niente,mi sveglio il canto del gallo,poi sentii i miagolii sparsi per casa,la miccina era cresciuta e aveva partorito 4 miccini,che belli una assomiglia incredibilmente alla Virgola della pubblicità.
La seconda giornata passo a comprare tutte le cose della lista, mio padre compro i salatini ,le bibite e andò a prendere dagli zii le sedie e i tavoli che mancavano,io,mio fratello e la sua fidanzata tutto il resto,aggiungendo cozze e vongole per la cena,freschissime.
La sera avevo già apparecchiato nella sala ,ciò che si poteva ovviamente,non mancava nulla.

                                                                                                                                                 *
Parte seconda
Mia madre non dormi affatto la sera prima del grande giorno,doveva preparare il pranzo per tutti i nostri parenti che si fermavano da noi,una ventina ,tra zii e le loro mogli,sia paterni che materni. C’erano ancora un sacco di cose da fare ,cosi come avevamo deciso ,la sera prima ,venne a svegliarmi verso le tre del mattino. Non mi reggevo in piedi,preparai il mio caffè e lo presi nella tazzina del cappuccino,un abitudine ormai di tutte le mattine,dura a morire,ovvio la sigaretta e mi misi a finire le ultime cose,tra le camice da stirare ,i vestiti da ripassare leggermente il ferro,con la mania di chi ancora non ha capito che la perfezione non esiste,tra le patate da pelare e infornare. Dio credo non ci sia una cosa più nauseante,[oltre la puzza della sigaretta per un non fumatore]del odore di cucinato,al mattino presto,nonostante fossero tutti piatti che adoro mangiare.
Per la prima volta dopo tanti anni,14 per esattezza,vedevo sorgere il sole dalla finestra della mia camera che è rimasta uguale negli anni. Uno spettacolo incredibile,a dir poco incantevole.
Ah dovete sapere che nonostante la pigrizia non m’appartiene ,io mi perdo in un bicchier d’acqua,
sono sempre lontana dal mio corpo con il pensiero,malapena ci incontriamo per salutarci mi basta un niente per cominciare a volare con la fantasia,dimenticandomi di ciò che la realtà s’aspetta che io faccia. Tra una cosa l’altra,non ho mai fatto cosi tanti caffè ,come in quella mattina,da quando ho venduto il bar,insomma erano già le otto e nella mia testa regnava il caos,alle nove dovevamo uscire di casa, tutti stavano già li,i parenti,tutti pronti per uscire ed io era ancora alle prese con:
innanzitutto assicurarmi che i miei due fratelli si svegliassero e facessero doccia più in fretta possibile,dopo averli portato la colazione in camera.
Quando il festeggiato usci,lo vestii io. Si è una tradizione che la sorella veste il fratello,insomma tipo abbottonare la camicia, fare il nodo alla cravatta ,togliere quel capello invisibile alla spalla che chi sa perché lo vediamo solo noi donne. Lui era pronto ma avere due fratelli gemelli è un vero spasso perché nonostante l’altro non era il festeggiato ,lo stesso rituale toccava anche a lui,per l’amore che è,dopodiché quel bacio alla fronte che non manca mai. Li ho cresciuti io si può dire.
Erano cosi belli tutt’e due. Scherzavo con quest’ultimo,”Ti scambieranno per il fidanzato,per quanto sei bello” e lui sorrideva. Si somigliano tanto in realtà,sono due gocce d’acqua.
Mi chiamavano da tutte le parti,ad un certo punto verso le 9 meno cinque,supero il mio record della doccia Ero l’unica che non aveva un filo di trucco,meno male che i capelli almeno quelli li avevo stirati la sera prima.
Uscimmo verso le 9 e 5 ,papà decise che essendo vicini non era il caso di prendere le macchine,ma non solo per questo. Lui è fatto cosi,visto che i nuovi parenti sarebbero venuti a piedi voleva far si che loro non si sentissero a disaggio.
Mi prese un colpo,cavolo avevo i tacchi di dieci centimetri e camminare per quelle viuzze fatte di ghiaia era un vero incubo,ma chi se la sentiva di dirgli di no.
Devo dire che la casa di lei era molto vicina e me la sono cavata bene. I primi del corteo era lo zio materno il filosofo e poeta e il più grande dei miei zii paterni,un omone grande e grosso un po burbero,ma con un grande cuore.
Gli ultimi mio fratello che si trascinava il trolley senza voglia,io e il festeggiato,comunque noi tre camminavamo insieme come da piccoli .Benet alla mia sinistra e Bledar il festeggiato alla mia destra. Arrivati li c’era una fila di gente disposta come noi,insomma la fidanzata per l’ultima. A tutti dando la mano e augurare felicità alla neocoppia.
A capotavola si sedettero la coppia,mia madre,mio papa e lo zio materno alla destra di mio fratello,cosi via tutti gli uomini della nostra famiglia,tranne mio fratello che per necessità,doveva stare accanto a me,e alla sinistra della fidanzata,tutte le zie e io in fondo.
C’è un rito particolare,tutti i presenti che ci ospitavano si alzavano dai loro posti uno alla volta e si presentavano dando la mano ad ognuno di noi. Cominciarono a offrirci delle caramelle non avendo una sorella li offriva la fidanzata del fratello di lei con una cugina nubile,cosi via con le altre cose. Poi all’ultimo la fidanzata s’alza e offre dei llokum,una specie di caramelle gommose con dentro delle noci,tipiche dei turchi ,diventati tali anche da noi. Gli uomini di casa nostra,i zii,mentre la fidanzata offriva i llokum,mettono sul vassoio ognuno una banconota da 100 lek,10 euro. Dopodiché la fidanzata si siede alla sinistra di mio fratello.
Ad un certo punto papà mi fa segno che è ora. Noi ci capiamo sempre al volo.
Mi alzo,dopo le mille istruzioni della sera prima,mi portano la valigia che avevamo portato ,lo metto in una sedia di fronte ai parenti di lei,dando le spalle ai miei ,la apro e comincio a tirar fuori,un chilo di riso uno di zucchero,un pacco di cioccolatini,poi la rosa e il garofano,che simboleggiano lei e lui o viceversa,non ricordo,[tutto disposto con cura da me ,la sera prima tra lacrime di gioia e sorrisi,non so spiegarlo,è emozionante,veder crescere i tuoi fratelli e accorgersi di quanto in fretta sia passato il tempo].Comincio a far uscire per prima la catenina d’oro e glielo mostro ai parenti di lei prima poi girandomi a tutti i miei parenti uno ad uno,non ho mai vissuto una cosa cosi imbarazzante in vita mia,sembravo che stessi facendo un asta o una vendita ,mostrando e dicendo ogni volta”questa è la catenina”.Glielo do a mio padre ,per tradizione e lui che lo mette al collo della fidanzata,poi con lo stesso rito gli orecchini che do a mia madre perché aiuta la fidanzata a metterli,poi il braccialetto a mio fratello quell’altro,e cosi glielo mette lui al polso,poi io metto il solitario al anulare della mano destra di lei,mio fratello il fidanzato le mette la fede ed infine l’orologio tocca sempre a mio padre.
Poi mostro tutto il resto come prima,i vestiti da sera,i trucchi,le borse,scarpe ecct a tutti,dicendo questo è il vestito ad ognuno,e cosi via,sino a svuotare la valigia e poi rimettere tutto apposto. Dopodiché mi siedo e il mio incubo finisce. In frattempo c’era lo stereo acceso,la gente ballava senza spostarci,muovevano solo le mani,brindavano per la salute della copia,dei ognuno dei famigliari di lei,non facevi in tempo di posare il bicchiere che c’era un altro ed un altro ancora che faceva il brindisi,tutto questo ripreso da una telecamera,foto a destra e sinistra,finché alle 11 e mezzo eravamo già fuori,rimanendo in fila come prima a dare la mano e ripetere gli stessi auguri e le stesse frasi : “vi aspettiamo”.
Il mio ultimo zio penultimo tra i figli,l’ultimo è mio padre,mentre uscivamo ebbe un crampo alla gamba che già soffriva ed io tolsi i miei trampoli e corsi a casa per prendere la macchina,raggiunsi mio fratello che correva anche lui per lo stesso motivo,nonostante fumo me la cavo alla grande correndo,avendo solo un piccolo incidente di percorso,persi un orecchino. Visto che eravamo arrivati entrambi alla macchina io rimasi a casa e mi cambiai vestito mio fratello andò a prendere nostro zio. Poi arrivarono tutti gli altri. A mezzogiorno casa era invasa da persone,sdraiati ovunque,sui divani ,in camera mia,quella di papà ,quelle dei miei fratelli,la cucina invasa da piatti bicchieri,roba da mangiare. Dio un incubo. Andai fuori nel giardino vicino al pozzo ,[è un pozzo bellissimo,con la bocca larga sopra ci sta scritta la data quando lo costruimmo,firmato da mio nonno paterno,non lo scorderò mai quel giorno]e un po’ nascosto all’entrata sia del giardino che della casa ed è li che ci vado ogni volta che sento il bisogno di incontrare i momenti felici della mia vita,quando i miei nonni erano ancora vivi. Mi accomodai sopra e mangiucchiavo i chicchi d’uva che mi cascavano sopra ai capelli ,è tutto biologico a casa,l’orto la frutta,sono una vera delizia. Viviamo in città ,in periferia ci siamo tagliati un posto tutto per noi,come in campagna. Tra le galline,una volta avevamo pure i conigli che nessuno osava mangiare e persino i piccioni,che mio padre in seguito vendette tutti. Abbiamo un cane,si chiama Ela ,viene dalla Grecia, ed è bianca,piccoletta ,una vera coccolona e anche la gattina tutta rossastra con macchie bianche e i suoi piccoli di tre mesi.
Quando eravamo piccoli avevamo tre cani,tre gatti,tre alberi per ognuno di noi tre figli,di vari frutti che ognuno di noi aveva piantato e se ne prendeva cura,in più io avevo un melograno,bellissimo.
Comunque ci sono tutt’ora,solo che io ho delegato Benet a prendere cura anche dei miei alberi.
Mangiavamo per primi i primi frutti,imbrogliando talvolta,mangiando i frutti dell’ albero che non era nostro anche se acerbi,dipingevamo i tronchi sino ad un altezza di 40-50 centimetri,non ho mai capito il perché ora che ci penso,forse per le formiche,io so che lo facevo perché mi piaceva guardali dipinti di bianco.
Apparecchiamo il pranzo per tutti, e dopo mangiato i zii si misero a riposare nelle postazioni di prima. Non mi sedei a tavolo,non avevo per niente fame,finii di fare i molteplici piatti,asciugarli mettere i salatini nei vari piattini,preparare una decina di cestini di frutta,dividere le porzioni del dolce nei piatti,il resto era pronto ,perché il pranzo si svolse in veranda ovviamente aiutata da due cugine .La sala ove si sarebbe svolto il ricevimento era tutta bella ordinata,con tanto di tappeto rosso all’entrata. Il dj era arrivato e la musica si sentiva sino in piazza,nel centro,mi scoppiava la testa. Io ero pronta,stavolta con le benedette infradito ai piedi .Ci siamo messi a ballare io e mia cugina in veranda,i nostri balli sono un mix tra quelli greci e la danza del ventre . La musica dei Balcani si somiglia un po tutta,noi rubiamo ai greci,loro ai turchi,alla nostra volta ci rubano i serbi. Spesso mi è capitato di sentire la stessa canzone cantata in tre o più lingue diverse.
Verso le cinque all’incirca venero loro,noi disposti in fila ad attendere il loro arrivo,facendo tutti i convenevoli. Mio fratello sempre l’ultimo della fila. I posti erano disposti come da loro,all’incirca,con la differenza che nessuno mostra i regali portati al maschio,questo si fa solo nella casa di lei. A fare da cameriera toccava a me,non mi dispiaceva affatto,aiutata dalla mia cugina nubile,[questo si fa ,cioè farsi aiutare dalle nubili,per come dire una specie di debutto in società ].La musica s’era abbassata ad un certo punto ed assistei ad un vero e proprio teatro .
Mio zio ,quello burbero dal cuore tenero,alzando il calice a capo della sala volse lo sguardo dall’altro mio zio in fondo alla sala e comincio a parlare degli ospiti seduti,l’altro replicava con enfasi. I loro discorsi erano come se raccontassero ciò che stava accadendo ,dopo che fosse accaduto. Mille lodi ,auguri infiniti,brindisi per la salute degli ospiti,cominciando dalla coppia e tutto questo accadeva agli occhi di tutti loro e noi,come se fossimo solo dei spettatori. Non avevo mai assistito ad una cosa del genere e se avessi assistito di certo ero troppo bambina per ricordarmelo. C’era un nonsochè di magico in tutto questo,sembravano attori senza copione che improvvisavano li per li e tenevano maestosamente in sospance gli spettatori .È difficile spiegare.
Finito tutto questo si alzarono alla loro volta lo zio ,il papà di lei e l’altro zio a replicare i brindisi,poi tutti fuori a ballare prima noi poi loro sino alle otto quasi. Io ebbi l’onore di ballare con uno dei miei zii ex ballerino,un valzer che adoro ballare,nonostante arrugginita,portata da lui è stato come volare. Prima di chiudere il discorso i miei zii chiesero il permesso al padre di lei che lasciasse dormire sua figlia a casa nostra,una formalità ovviamente ,permesso concesso.
Si avviarono quasi tutti alle loro case dopo aver ballato tutti insieme e come ogni fine che si rispetti:
Vissero tutti felici e contenti,almeno è questo che ci si augura.
Quanto a me,il giorno dopo,dopo aver messo tutto apposto mi spettavano le vacanze meritate,che di certo non mi lasciai scappare,tra le bellezze mondane di Tirana e il Relax di Durazzo,situato al quindicesimo piano ove si vede tutta la costa,uno dei locali più In sino a finire nelle coste di Valona tra i suoi scogli ,l’acqua purissima ,il branzini cosi amati da noi fatti alla griglia,e tutti quei frutti di mare che solo pensandoci mi viene fame.
Nei loro occhi ho visto
la luce danzare in un alba di maggio
Nelle loro mani unite la fede dell’amore per amore
Nei loro piedi un cammino per la vita
fianco a fianco.
Con amore a mio fratello Bledar,augurandoli con cuore di essere Felice!

Attimi in sospensione
“ Sopravvivremo” le sussurro. Furono le sue ultime parole e poi il silenzio.”Sopravvivremo anche sta volta!”
Non fu certa d’averlo detto ,forse fu soltanto un pensiero,uno dei tanti rimasti in gola e poi rimandato alla mente nei suoi luoghi più oscuri .
” Certo che lo faremmo,tutti sopravviviamo a troppi temporali,troppi inverni del cuore…ma è il come che ci distingue. Una firma del tutto personale a piè di pagina delle proprie azioni ,delle proprie scelte messe bianco sul nero. Il come , una terra che ognuno dovrà esplorare da sé. Non s’insegna. Non ha istruzioni per l’uso.
Aveva premuto tanto con i denti che il labbro inferiore sanguinava. Il mare anche.
“I tramonti sono fatti per gli innamorati,sorpresi a baciarsi sulla riva che ferma le lancette e paralizza il tempo. Persino il domani ,il ieri svaniscono insieme ai castelli costruiti sulla sabbia,alle orme dei turisti casuali dell’estate scorsa.”
Maledetto come!Ecco il punto!La chiave delle chiavi che ti permette di fare del sopravvivere la dignità del vivere o del non vivere affatto! Uno sguardo intimo che ti riconosce e riconosci a tua volta,in via del Corso nei primi giorni dei saldi o alla scalinata di piazza di Spagna ,affollata di mille altri sguardi.
“Perché proprio quello?” si domandò “Perché proprio io ?” Non c’è un perché.”Le aveva risposto lui
“Non è possibile,c’è sempre un perché a tutto. Siamo forse troppo stanchi per accorgersene?! Troppo presi dal leccare le vecchie ferite ,tanto da non poter fuggire alle loro voci agghiacciate le loro urla,tanto da non sentire che qualcuno sta bussando alla porta ed è li per te?”
“Allora che aspetti?! Corri ad aprire o prendi quel treno ,vienimi incontro a metà strada.”
La valigia pronta e poi disfatta . I vestiti buttati sul letto,sul pavimento,sul vecchio tappeto.
“Oh il tappeto ,potrei salirci e volare,potrei persino precedere il pensiero.”
“ Parole!Se lo volessi veramente,non saresti la,ma qui,tra le mie braccia”
“ Ah,se veramente mi volessi …ora non sarei con le spalle al muro,pronta ad essere fucilata dalla scelta più ovvia”
“Ma non c’è la faccio,ho bisogno delle tue mani,guardarti una volta sola. Dammi un solo tuo respiro e potrei fare dell’attesa la mia casa”
“Lo devo a me stessa,l’attesa,non mi vorresti se rinunciassi. Voglio un domani da costruire,pietra per pietra insieme e per farlo dovrò seppellire gli scheletri del mio oggi. Lascia ch’io prepari per loro un degno funerale e poi…. ”
“È da una vita che t’attendo,lo sai questo?Come puoi chiedermi di attenderti ancora? Come puoi dire ad un prigioniero,nel giorno del suo rilascio: ti abbiamo aggiunto altri mesi?!Oh mia stella,non senti che il cielo ti chiama,ci chiama?! ”
“Ho fatto l’amore con te,sulle verdi nuvole di un cielo bagnato di rugiada. Ho ascoltato il tuo respiro caldo,penetrarmi l’anima con un bacio…”tra un sospiro e l’altro,in quei silenzi che t’assordano e ti spaccano i timpani.
“Ho baciato la tua bocca ,tra le lacrime e gemiti,ed eri mia. Ho visto me dentro te. Eravamo tutt’uno come fummo in quel altro dove,prima che il fato ci dividesse e ci lanciasse in terre straniere…”
Il sospiro di lui sommesso,passo tra i fili del telefono e giunse i suoi polmoni,divampava il cuore,il ventre,il sangue del labbro era caldo al contatto della lingua,i denti… un brivido le traffisse la schiena come un pugnale dalla lama aghiacciata,come un bacio di Giuda.
Come avrebbe sopravvisuto a questo? Come?
“Prendi quel volo,straniera,non è all’amore che devi sopravvivere ma per Amore”
*
All’orizzonte di fronte,un grembo sanguinate di smeraldo e rubino abbracciava il Sud .
Il vento legava i polsi degli amanti con fili d’infinito…Amore.

Da “Lettere a mia madre”[lavoro in corso]
La stazione di Perugia,pian – piano s’allontanava finché svanì completamente. Le rotaie serpeggiavano,allungandosi,spandendosi da quel punto fisso che aveva ingoiato le banchine,i sottopassaggi,i mozziconi spenti sotto i sandali, i fischi d’arrivo o di partenza,la gente che aspettava nelle panchine, si baciavano ,parlavano sotto voce,qualche ” sbrigati” gridato al marito o al figlio, correndo impazienti in tutte le direzioni con una fretta incomprensibile.
Per una volta tanto nella mia vita non avevo fretta,cercavo di tenermi composta,nella mia camicia bianca a colletto alto ,nei pantaloni di lino marroni con dei ricami floreali fatti a mano,tono su tono,comprati per l’occasione e le scarpe estive basse ,i capelli raccolti alla nuca,con quell’aria da menefreghista o forse un po’ snob,come talvolta scherzando mi dicevano i miei amici,sapendo che sotto quella maschera c’era un'altra Anileda,della quale mi servivo in certe occasioni.
Guardavo dal finestrino e mi sforzavo di non pensare. Provai a paragonare Belgio con l’ Italia,
ma quest’ultima lo conoscevo talmente poco che proprio non ci riuscivo,anche per il fatto che la mente era come svuotata all’improvviso. Mi sembravano cosi lontani i tempi vissuti a Bruxelles, quel grigio che avvolgeva il suo soffitto sempre basso e cupo, le palazzine,gli alberi ,l’asfalto, persino le facce cosi diverse tra loro,che tanto mi deprimevano… o il contrasto con quelle lunghe giornate passate sdraiata sopra l’erba di un verde sempre vivo,quasi come fosse finta,guardando le papere nuotare, leggendo “Orgoglio e pregiudizio” o un altro libro nel quale mi immedesimavo tanto da credere di esser la “Lizzy” di turno.
Eppure ricordavo benissimo quel giorno di tanti anni fa,una bambina ancora in fasce ,sporca ed affamata ,attendeva in una panchina della stazione di Elbasan ,aveva soltanto 18 mesi. Non so quanto tempo rimase li ad aspettare,un ora o forse tre o sette,il tempo che quel uomo gentile dagli occhi buoni che riconobbe subito,sconvolto e pallido nel viso,tremante,con un sorriso dolcissimo negli occhi appena lo vide, venne da lei…lo prese tra le sue braccia forti e lo strinse forte a se. Ricordo di averlo visto piangere quel uomo.
Fu forse soltanto ieri?Le immagini erano chiare ,come se vedessi tutto da una parete di vetro,nella stanza accanto e ancora sentivo le sue lacrime calde nel mio viso o erano le mie?!
Una fitta mi afferrò lo stomaco,misi la mano dove doleva,era solo la cicatrice dell’intervento chirurgico fatto pochi giorni prima,nulla di grave. Dopo qualche mese nemmeno mi sarei più accorta della sua esistenza,sarebbe svanita come tutte le ferite che non penetrano l’anima. Già, non era certo la prima. Le dita sfiorarono la fronte,inconsapevolmente,sopra a destra,poi la radice delle sopracciglia dell’occhio sinistro.
Un sospiro,lungo come quel viaggio. Come avrei fatto,in quel giorno ,presentarmi a lei conciata cosi? Si sarebbe accorta di sicuro e si sarebbe arrabbiata,forse con mio padre,per averlo permesso e avrei dovuto spiegare tutto,proprio tutto,anche il fatto che lo avevo tenuto nascosto a lui,in tutti quei anni, la verità.14 anni si potevano forse spiegare?E se cosi fosse ,avrebbe potuto lei capire,capirmi?
No,nessuno poteva. Da dove avrei cominciato? Dalla stazione di Elbasan o ancor prima della mia nascita?
Le domande affollavano la mente,si spingevano l’un l’altra ,come fossero in un mercato,
ognuna gridava più dell’altra per vendere i propri dubbi,la propria sete di verità e altre delle nuove
cominciavano a tirar fuori gli artigli ,conquistando il primato dell’urgenza di essere ascoltate con toni più chiari,più aspri .E se poi la bocca fosse riuscita davvero a strapparle alla mente quelle domande,dandoli una voce con una sicurezza tale da disarmare il mio buon senso,sbattendoli in faccia senza tanti giri di parole,ciò che dentro mi premeva,e se poi, lei per puro caso tirasse fuori dalla sua manica,un portafogli pregiato con tanto di brillanti , ricami d’oro,cuciture perfette ,risposte e spiegazioni,mi sarebbero forse bastato?Avrebbero potuto forse cancellare quei 14 anni con un semplice colpo di spugna?Avrebbe potuto rimediato? Perché è di questo che si trattava e di null’altro. Non c’era da stupirsi,il nome,il suo nome che era il mio,il suo volto ,come sarebbe stato, non aveva più alcuna importanza.
Io cercavo risposte,m’illudevo. Io cercavo un colpevole che una volta tanto non fossi io. A dire poi che lo avevo giustificata,mi si colmava il cuore di gioia e profondo orgoglio,quando qualcuno,si degnava di nominarla dicendomi che ero uguale a lei e che se un giorno l’avessi trovata,lo avrei riconosciuta. Cantavo sempre quella stupida canzone che lei cantava quand’era incinta di me, facevo le pulizie con la sua stessa cura maniacale ,avevo la sua stessa altezzosa camminata ,la sua passione per la scrittura.
Tutto questo a detta degli altri,però,come quella stazione di Elbasan,la versione della quale mi fu confermata nei dettagli da mio padre che non parlò mai male di lei,in quelle rare occasioni in cui premevo tale tasto. Odiavo mia madre ora,pensando al male che feci a lui,quando decisi di cercarla e conoscerla,il quale ,anche se non lo diede a vedere,mi diede a malincuore la sua benedizione. Come avevo potuto? Come aveva potuto lei? Carne della sua carne?Di quale coraggio o menefreghismo s’era armata,per abbandonare la sua primogenita?
Tremai al pensiero della sua crudeltà. Una sensazione di ribrezzo m’invase. Ribrezzo per me se stessa. Ero la sua copia. Una persona sadica. Dio mio ! Mai come in quel momento desiderai cosi intensamente che fosse morta. Avrei rinunciato all’istante, alle briciole di verità che il destino avrebbe potuto mettere nel mio piatto,pur di non sentirmi come mi sentivo,pur di non odiarla come lo odiavo. Avrei potuto andare nella sua tomba,le avrei parlato davanti alla sua lapide fredda,le avrei raccontato della borsa di studio, dei miei progetti ,della Russia, o magari del primo bacio, …le avrei piantato tutt’intorno delle rose bianche e un limone,mi sarei presa cura ogni domenica,lo avrei pianto e avrei pregato per lei ogni notte,inginocchiata al mio letto. Ma era viva,mia madre era viva e non c’era ,non c’era mai stata.
“Meno male che c’è l’aria condizionata” m’interrompe una voce che sembrava arrivare da lontano. Un brivido mi scosse,come in un brusco risveglio.”fuori c’è un’afa terribile” continuò la voce avvicinandosi. Tolsi lo sguardo dal finestrino e m’accorsi che quella voce era dell’uomo che mi sedeva di fronte. Doveva essere salito da poco,conclusi in fretta. Era un uomo dal volto gentile,di statura media ,pelle abbronzata dal sole,occhi grandi di un azzurro intenso. A primo acchito ,pensai che non poteva avere più di 60 anni.
- Parla italiano?- chiese con un sorriso incerto
- Un po’,sono qui da poco,- le risposi come fossi irritata
- Di dov’è ,se non sono indiscreto,- continuo,con un tono contenuto,come se volesse scusarsi
- Albania e sto andando a Rossano – risposi ,sta volta con gentilezza
- Io a Diamante,ove vivo,- replico lui dopo l’imbarazzo iniziale,-è il posto più bello d’Italia,- continuo con orgoglio.
- non conosco Diamante,ma ha senza dubbio ha un nome prezioso.- dissi con un accenno di sorriso
- Conosce Praia,sul tirreno,- insisto
- No mi dispiace,conosco poco l’Italia
- Comunque Diamante si trova nei paraggi di Praia ed è sempre invasa da turisti ,nei mesi estivi.
L’uomo comincio a parlarmi della sua terra,della gente che la abitavano,della sua visita in Albania,in tempo di guerra,della fame del freddo patiti in quel inverno,della solidarietà che avevano trovato con l’arrivo dei tedeschi …Io annuivo pronunciando qualche si qua e la per pura gentilezza e non perché in quel momento fossi interessata a tutte quelle storielle che in certi passaggi mi diedero la sensazioni che fossero davvero frutto della pura immaginazione.
Quando l’uomo scese ,feci un sospiro di sollievo. Se da una parte le ero grata per avermi distratta da miei incubi,dall’altra sentivo già la mancanza della mia solitudine. Lo segui con lo sguardo finché scese dal treno poi mi volsi al finestrino. Lunghe distese spoglie mi correvano davanti come cavalli indomabili,dandosi il cambio con i flash di piccoli paesi,piccole case con le tegole rosse,recinti di pascoli ,dall’altra parte il mare. Mi sembrare di tornare a casa,il paesaggio non era poi cosi diverso. La Calabria era la sorella dell’Albania,in tutto e per tutto,come compresi più in là.
Scesi nella stazione di Sibari,ove non attesi molto l’arrivo della coincidenza per Rossano,il tempo di fumarmi una sigaretta. Furono gli attimi più lunghi della mia vita. Rimasi pronta all’uscita,seduta sulla valigia. Guardai l’orologio,erano le 19 e 15 e solo allora m’accorsi di aver viaggiato quasi tutta la giornata.
Arrivai alla stazione di Rossano mezz’ora dopo e rimasi impietrita,cercando con lo sguardo,
lo sguardo di lei. Lo riconobbi,era come l’avevo descritta nella mia mente. Di altezza media,capelli foltissimi castani,lunghi,raccolti anche i suoi alla nuca,gli occhi,era come guardarmi in uno specchio,ero io nei suoi occhi,nel suo corpo,come se una forza impercettibile si fosse impossessata
del mio futuro,lontano appena 18 anni ed io avessi la sensazione di vedere come sarei stata. L’avevo immaginata cosi tante volte quel incontro in tutte le forme più impensabili,ma mai, in quella forma. Mi si avvicinò,timorosa,io ero come paralizzata e non riuscivo a muovermi,una voce dentro mi diceva di tornare indietro,scappare,correre via da li…ma lei era davanti a me,non disse nulla,tese le braccia e mi strinse. Fu un lungo abbraccio,l’unico.
Non sentii nulla,proprio nulla. Quella donna era una sconosciuta .Non era mia madre.
Non l’odiavo. Non l’amavo. Non la conoscevo.

Questa è la mia verità incompiuta,misurata col metro del mio giudizio,ma posso forse essere tanto obbiettiva da pretendere che la mia è una verità assoluta?! Certo che no!
La verità è un viaggio faticoso dentro è fuori di sé stessi,fatta di piccole fermate,ove poter ripartire
nella vana ricerca d’una stazione che non giungerà mai e mai saprà scrivere la tanto ambita parola
- Fine -


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