Racconti di Davide Vaccino


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Davide Vaccino

Cavaliere della Poesia, è nato a Vercelli nel 1970 e attualmente risiede ad Albano Vercellese. Ha iniziato a scrivere i primi versi intorno agli anni ’80, ma la sua carriera artistica si è concretizzata professionalmente soltanto a metà degli anni ’90. Nel 1996 Davide Vaccino ha pubblicato il romanzo gotico “Frammenti di Pazzia” (2 ristampe), vincitore del Premio Internazionale “A. Manzoni” e del “Trofeo delle Nazioni”. Tornato al suo primo amore, la poesia, Davide Vaccino si è classificato nel 1997 al primo posto al Premio Artistico “Città di Cava” e ha vinto nel 1998 il Premio “Cultura Europea”. Nel 1999, il suo secondo libro: “Benvenuti nel Crepuscolo” (poesie, 3 ristampe) si è aggiudicato il Premio “Regioni Duemila”; mentre il suo terzo lavoro, “Passaggi” (versi e racconti, edizione limitata) è stato insignito del Premio Internazionale “Alba del Terzo Millennio”. Vaccino ha ricevuto finora oltre 60 premi e riconoscimenti in Italia e all’estero e appare inoltre su una quarantina di Antologie regolarmente presentate al Salone del Libro di Torino. Un sondaggio condotto dal quotidiano “La Stampa” lo ha indicato fra i quattro personaggi Vercellesi più conosciuti.

 

Carlotta: una storia d’amore
Che cosa poteva desiderare di più Carlotta, quella sera, mentre si stava recando a far visita al suo ragazzo dopo quasi due mesi di lontananza? Forse un tempo più clemente: altro non di più. La ragazza, pur bruciando dall’impazienza di rivedere Edoardo, guidava la sua auto con prudenza e procedeva lentamente nel freddo di novembre, quando nei prati e nei campi, nelle vie e nelle piazze, nei sentieri,nelle strade, e in ogni angolo appartenente al Vercellese, la nebbia si può tagliare col coltello talmente è bassa e fitta, mentre il paesaggio è così lugubre che, qualcuno che non fosse originario di questa terra e vi si trovasse a visitarla per la prima volta, forse, avrebbe timore di sentire in lontananza addirittura l'ululato dei lupi. Per Carlotta, però, era diverso: lei era ben sicura di conoscere quei luoghi e di ricordare a memoria ogni palmo di quella strada che aveva percorso, negli ultimi quattro anni, per almeno tre o forse quattro volte al mese, fino ad otto settimane prima, quando era stata costretta, per motivi di lavoro, ad intrattenersi dai suoi genitori a Firenze, la sua città natale, poiché da quando il nonno paterno era morto, non se ne poteva più di sgobbare nella piccola azienda di famiglia.

Carlotta ed Edoardo si erano conosciuti al mare, come succede a tanti altri ragazzi, ma fin dall'inizio entrambi avevano capito che non si sarebbe trattata di una semplice avventura: Edoardo era così dolce, premuroso, intelligente, non banale… diverso da qualunque altro ragazzo lei avesse mai incontrato, ed era inutile nascondere che ormai i due s'amassero di un amore vero; ma ahimè, quant’era faticoso raggiungere quel benedetto ragazzo! Lui, agricoltore, rimasto orfano in giovane età ed indaffarato ogni mese dell'anno, come avrebbe potuto trovare il tempo per andare da lei? Ecco il motivo per cui Carlotta non gli aveva mai chiesto di farle visita in Toscana, preferendo compiere ella stessa il sacrificio di venire ad abbracciarlo in questo Piemonte grigio: tanto, i sacrifici fatti per amore, non si possono neppure definire tali…

L'auto si muoveva lenta nel fosco paesaggio autunnale in modo surreale e quasi magico, al punto che, agli occhi di Carlotta, quel viaggio pareva un sogno che stravolgeva tutti i luoghi comuni delle più belle fiabe d'amore, giacché era la dama, questa volta, a correre incontro al suo principe azzurro, sfidando un drago invisibile che sbuffava denso fumo nella campagna deserta di un regno formato da sterminati appezzamenti di terra nuda e ghiacciata: erano questi i pensieri di Carlotta mentre scrutava la strada tentando, di tanto in tanto, di scorgere un lume, anche distante, di un villaggio per rendersi conto di quale fosse la sua reale posizione lungo la via che la conduceva verso l'agognata meta: ma c'era grigia nebbia innanzi a lei, e nebbia alle sue spalle; soltanto nebbia alla sua destra e nient'altro che nebbia alla sua sinistra… tutta la sua vita era avvolta da quel niente, ed in quel niente ella cercava l'uomo che per lei valeva un'esistenza intera.

Il pensiero di Carlotta, talvolta, volgeva anche verso sua madre: chissà com'era in pena, quella povera donna... ma dannazione! Perché non si vedeva neppure un paese in cui fermarsi un istante per poterle telefonare e rassicurarla? Certo, era ben diverso, appena mezz'ora prima, sull'autostrada, con le luci arancioni dei lampioni e le insegne coloratissime degli autogrill o dei distributori di benzina, poter fare una pausa di un secondo, un secondo appena… ma chi si aspettava, all'uscita dal casello, d'incontrare quell'impenetrabile banco di nebbia? Era stata proprio una stupida, Carlotta, a non pensare a tutto ciò pur sapendo quali erano i rischi che avrebbe potuto incontrare, ed ora era un poco preoccupata e si tormentava l'animo. Oh, se quella grigia signora avesse sollevato leggermente il velo della tetra veste che offuscava la vista della ragazza quel tanto che bastava, solamente, per farle intravedere il più minuscolo dei lumini di un caseggiato o di un cascinale!

E intanto l'auto continuava, adagio, il suo cammino col suo carico di speranze, d'amore e di pensieri.

Chissà che ora era? Carlotta mosse appena gli occhi sul cruscotto, verso l'orologio: le sette e mezzo! Accidenti, era già in ritardo! Ma ecco, all'improvviso, risplendere un lieve chiarore: “Forse ci siamo,” disse in cuor suo la giovane donna, emettendo un sospiro di sollievo: “Forza, forza, premi questo maledetto acceleratore,” le venne da dirsi, ad alta voce questa volta, desistendo però subito da questo proposito e pentendosi delle sue imprudenti parole. Ad una distanza che le sembrava infinita, brillava una luce soffusa e giallastra: “È fatta,” pensò contentissima e sorridente la ragazza, prima di vedere di fronte a sé due, poi quattro, poi sei fari che l'abbagliavano incrociandosi fra di loro, fino a diventare un unico, immenso, globo dal bagliore accecante che la confondeva e le metteva paura... “Oh Dio mio, cosa sta succedendo?” gridò forte.

Si udì un botto. Carlotta si sentì sollevare rapita da una forza strana e violentissima, provando sensazioni mai sentite prima, mentre il grosso autocarro che aveva urtato la fiancata della sua utilitaria facendola sbandare ed uscire di strada procedeva, incurante di ciò che era accaduto, la sua corsa veloce verso chissà quale destinazione lontana.

Il volo di Carlotta terminò bruscamente ai bordi della carreggiata, sull'erba secca umida e fredda, che le diede un effimero sprazzo di lucidità per pensare al suo Edoardo e a sua madre, ma anche a se stessa: “No... non posso morire... sono ancora così giovane; non posso morire,” mormorò; poi, per lei, la nebbia svanì tutta d'un colpo e scese la notte.

Passò del tempo: sicuramente molto, poiché nel riaprire gli occhi Carlotta vide risplendere il sole nel cielo sereno. L'auto era semi distrutta contro un guardrail, e la povera ragazza sentiva un grande dolore alle gambe, al torace e alla testa: ciò che udiva era soltanto un insistente ronzio che le impediva di concentrarsi, ma nonostante ciò si fece forza: allungò un braccio, strinse forte un robusto bastone che si trovava appoggiato a terra accanto a lei, e con esso aiutò se stessa a rialzarsi. Cadde due o tre volte prima di riuscire a rimettersi in piedi, ma poi, anche se a stento, riuscì muoversi in cerca d’aiuto. Sorreggendosi al bastone cominciò a camminare, attraversando i campi ghiacciati: dopo ciò che le era accaduto temeva troppo la strada per sfidarla di nuovo, ma soprattutto, ora, era finalmente certa dell'esatta posizione in cui si trovava: mancavano solamente un paio di chilometri, o forse meno, dalla casa di Edoardo, e con un po' di sforzo e di fatica l'avrebbe raggiunta, dopodiché avrebbe potuto addirittura telefonare ai suoi genitori e sentire le loro amorevoli voci. “Coraggio!” disse, seria, Carlotta tra sé e sé nell'intraprendere questa nuova avventura, e stringendo i denti cominciò la sua Via Crucis. In quegli spazi enormi e desolati la sua mente era finalmente di nuovo libera di vagare nell'intimo più profondo del suo cuore e di scavare dentro di esso per riportarne alla luce i tesori: il suo Edoardo... sua madre... suo padre... ah, quanto intensamente, Carlotta, sentiva in quegli istanti di amarli più di tutto; più della sua stessa vita; più di quanto non avrebbe mai creduto di poter amare qualcuno. Quelle persone erano per lei come Iddio è per l'intera umanità: una meta da raggiungere attraverso l'angusto cammino del vivere; erano un miracoloso unguento che le alleviava i dolori lancinanti; erano un faro che la guidava, come attratta da un potere magnetico verso la salvezza, verso il Paradiso: per poter godere, alla fine di quel travaglio, della meritata ricompensa. E Carlotta camminava; Carlotta cadeva a terra sfinita e si rialzava; Carlotta soffriva, ma sopportava quel tormento atroce, sicura che almeno uno dei suoi punti di riferimento, almeno uno dei pezzi che componevano il mosaico della sua vita, il suo Edoardo, era sempre più vicino. Oh! Avesse saputo, Edoardo, in quale situazione lei si trovava, sarebbe corso immediatamente in suo soccorso: avrebbe abbandonato la sua casa, il suo lavoro, qualunque cosa per andare a sorreggerla e portarle sollievo… e i suoi genitori, se avessero conosciuto la disavventura accaduta alla figlia, si sarebbero spezzati in quattro per cercarla nelle ostili e per loro sconosciute terre vercellesi, senza pensarci due volte: chiudendo l'attività; rinunciando al denaro - e Dio solo sa di quanto ne avessero bisogno per risollevare le sorti dell'azienda – pur di non vederla in quelle condizioni; soltanto per darle una mano e riaccendere il sorriso sul suo volto. Al pensare a queste cose, Carlotta, si sentiva viva come non lo era stata mai, perché capiva che era la sua vita, il traguardo verso il quale stava andando incontro. Passo dopo passo la stanchezza si faceva sempre più pesante; metro dopo metro il suo amore verso Edoardo cresceva; istante dopo istante il cuore della giovane batteva sempre più forte di sfinimento e di passione... e passo dopo passo, metro dopo metro, istante dopo istante, i minuti divennero ore, i metri divennero chilometri, e le ore ed i chilometri, insieme, divennero una cosa sola: una casa. La casa di Edoardo. Carlotta, nel vederla, abbandonò il bastone e cadde rovinosamente a terra: sanguinavano i suoi piedi e le sue ginocchia; dolente era la sua testa; insopportabile il dolore al petto, ma lei era arrivata: lei ce l'aveva fatta ed era a pochi metri dal suo amore adorato.

La ragazza appoggiò le mani a terra dando una forte spinta per rialzarsi, e nel fare questo movimento sollevò lo sguardo e vide davanti a sé un ragazzo. Pur con la vista appannata dal pianto la giovane lo riconobbe: era proprio Edoardo, il suo Edoardo; e non era solo: accanto a lui, sorridenti, c'erano suo padre e sua madre; tutti... erano tutti lì, di fronte a lei, che le tendevano le braccia, ansiosi di stringerla forte. Lei li fissò negli occhi, e senza distogliere la vista da essi, come stesse volando, si precipitò leggera verso quei visi amati ed ambiti: non sentiva più né dolore né stanchezza, in quel momento: solo un'immensa gioia, mentre vedeva quegli occhi risplendere fino a confondersi tra loro, come fari abbaglianti che le andavano incontro nella nebbia, e udiva un colpo sordo che la opprimeva nel corpo facendole perdere i sensi.

Il corpo privo di vita di Carlotta era sul ciglio della strada, disteso sull'erba secca umida e ghiacciata, accanto alla sua auto semi distrutta contro un guardrail. Il suo viso pallido risplendeva, con le prime luci dell'alba, di un insolito sorriso.
(Tratto da “Tristitia”)

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