Poesie di Nicola Oronzo Accattato


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Nicola Oronzo Accattato è nato a Oriolo (Cs) l11.10.1950.
Diplomato in ragioneria A Trebisacce, grazie alla bontà di alcuni professori perspicaci, si è laureato in Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con una tesi su Albert Camus, mantenendosi come manovale, muratore, marmista, fattorino, data la quasi omogenea calabresità della sua situazione familiare.
Attualmente insegna Lettere in una scuola di Cinisello Balsamo, e non ha ancora perso il gusto di pensare che, a volte, può bastare un solo capello lungo, per sentirsi capelloni.
Edisud di Salerno gli ha pubblicato alcune poesie "Questa vita di uomini", che l'autore ha già provveduto, fin dai primi anni settanta, a far digerire in molteplici televisioni, radio, giornali, feste de "l'Unità" e osterie.
Indirizzo e-mail: nicola.ac@inwind.it

Bibliografia

Poeta itinerante, dal 1976 ha cominciato a leggere le sue poesie in diverse piazze italiane. Ospite in programmi radiofonici e televisivi, collabora a varie testate giornalistiche, tra cui Il Quotidiano della Calabria.
Fa parte della redazione  de  IL TIRACCIO  e di CONFRONTI,  dove è responsabile della pagina Di pane e di rose.
Ha ideato e cura sul sito www.beiposti.it la rubrica Alto Jonio nella poesia e nei racconti.
Ha fondato, assieme a Bonifacio Vincenzi, Alfredo Bruni, Angela Lo Passo, Francesco S. Mangone e Gianni Mazzei, la rivista trimestrale di Letteratura La colpa di scrivere.
Ha vinto numerosi Premi di poesia. Tra gli altri, gli sono stati assegnati il  Premio Alto Jonio per la poesia; il Premio Cerchiara alla Cultura per la narrativa (2003); il Premio Setea  alla Cultura (2004), il Premio alla Cultura “Città di Oriolo”  (2004) e il Premio Capo Spulico (2005), con presidente di giuria Dante Maffia.
Ha pubblicato:
“Questa vita di uomini” (Poesie) –Edisud-Salerno“Improbabili confessioni al veterinario”(Narrativa)  “Altre storie di uomini, di alcune donne e di molte bestie” (Narrativa)Di prossima pubblicazione una nuova raccolta di poesie e il romanzo breve “Il bassotuba”, anticipato a puntate nella rivista La colpa di scrivere.

Leggi i racconti di Nicola Oronzo

Gli  occhi  a  lutto
En tus ojos de luto comienza el paìs del suen?  
(Pablo Neruda)

E' cominciata così,
né più….
né meno.

Io neanche ci pensavo.

Ero nella dimensione del piatto vuoto per l'affamato,
dell' insipido per le acciughe
….e del sordo;
inattaccabile dai balli, a sprazzi coi suoni.

Giravo tra i capannelli di persone
senza desiderio di incontrare qualcuno
che potesse riconoscermi e chiedermi se era proprio vero che
ero quell'Oronzo che…………..  

e con la speranza che……
qualcuno
mi dicesse  che  ero
Nicola …Oronzo …. Accattato
……………
e mi facesse un po' tanta
…. ……….
compagnia.
…………….

La notte era limpida,
le stelle a portata di mano,
la luna come un pallone galleggiante  nel vuoto
……………
………il mare …..
…………………
…….. il mare ……
una molle presenza lontana

e le salsicce arrosto che spandevano odore di festa
e crampi allo stomaco.

Ed io che,
con una notte come questa ci avevo passato tante altre notti,
col cielo che mi arrivava fino al mento,
con ogni fessura del corpo
annegata dal nerofumo e dal gelo
che mi regalavano i pensieri del malato terminale,

in una notte come questa ero…….
né più
……..
né meno.
………
O, forse,
………
un poco meno
tanto più:
tra la mia gente paesana,
tra la mia lingua di vocali finali mangiate,
tra le labbra dei vicoli:

labbra narranti
di porte e finestre sigillate
nella valigia della nostalgia
in cui niente di nulla può più combaciare,

perché i ricordi sono rimasti bambini
e il corpo ha seguito il deperimento del tempo.

Labbra mute dei gerani……..
rossi come il sangue raggrumato,
senza rimandi di serenate,
su finestre affacciate sul silenzio
del silenzio di altre finestre in attesa
di ante e di gomiti.

E mano mano che un bicchiere di vino si aggiungeva agli altri
e il sangue navigava più fluido nelle arterie,
il funerale che mi albergava nel ventre
sembrava sciogliersi come le stalattiti accarezzate dal tepore dell'alcool
in goccioline di pianto.

Le vedevo scivolare cristalline:
goccioline solitarie
a luccicare stelline per l'eternità di un secondo
e poi………..
abbandonarsi una all'altra,
diventando rivoli silenziosi
in discesa ripida
……………..
lungo la roccia che era diventata la mia afflizione.
………….
………….
E come era morta mia madre
raddrizza ossa,
                           raddrizza brutte inclinazioni!

E come era occhi assenti quella che,
con la mano mi pettinava i ricci
                                 e la tenerezza!

E come non era mai esistita quella che,
con gli artigli dei suoi cinque sensi
e di un altro senso ancora,
più rapace,
sapeva farci navigare nella burrasca
dell'ebbrezza
                           e dell'ammorbamento!

E come quell'altra aveva allargato le maglie della sua ragnatela
in cui,
come una mosca,
ballerino di tip tap,
caracollavo da uno all'altro dei suoi fili
………. impalpabili…
………d'acciaio!

E che ne era dei miei padri di modesta statura
arrabattanti nel giorno dopo giorno,
arrabattati nei secoli dei secoli
 (" amen ")
nell'abitudine alla vita
…… e alle fregature
 che altri uomini gli consegnavano?

E di quelli guerriglieri
a gara con i propri nervi,
incazzati col tempo
               troppo lento,
               troppo veloce,
incazzati di se stessi,
incazzati con la miseria,
incazzati con la morte,
…………………………
incazzati della vita con la morte,
incazzati per le proprie
……. incazzature?

Era il mingherlino,
con lo sguardo del naufrago capitato in una terra tutta insidie
che si era seduto,
senza quasi neanche essere poggiato,
sullo sgabello
                         del mio stomaco.

Era la madre indiana
col fazzoletto a pallini bianchi su sfondo nero
girato sulle tempie per racchiuderci la sua cefalea
e lasciare a me l'idea del mondo
                          con la malattia.

Madre indiana
in una perenne danza propiziatoria dello
                         "speriamoche",
pure per andare a pisciare,
fibrillando,
spasimando
tra speranze e timori, che mi  dava ora il formicolio
       alla gamba destra,
ora alla gamba sinistra
e mi guidava,
naufrago
in una terra tutta insidie,
verso dove,
seduta,
                           tu mi stavi aspettando.

E prima che muovessi le tue dita da bambola
per salutare
                    ("come si conviene"),
 i tuoi occhi erano già ritornati
 sorridenti
 dalla loro perlustrazione nel buio del mio sottoscala
                               e nella muffa del mio soggiorno,
………………..
come se
     quell'andare a tentoni e
     quell'aria stantia
fossero per te il mondo terso del dopo una nevicata.

Io non potevo fare altro che seguire il tuo fascio di luce
scoprendo in quante tane  ero incantucciato
                                    fetale,
incapace di trovare la spinta
per fare il balzo fuori dalle mie paure
                         di avere paura.

E se tu eri come un turista
che vuole risarcirsela tutta la spesa sostenuta
e volevi fermare in migliaia di fotogrammi
gli avvallamenti e gli strapiombi
e pure i tuoi occhi che li guardavano,
…………..
io avevo l'ansia di andare oltre,
senza neanche sapere
                           se c'era l'oltre
o se il mio mondo finisse ad ogni tua fermata.
Tra la mia inquietudine e le tue soste,
in quelle che a te sembravano oasi
ombreggiate da alberi di datteri
e da dune come cuscini,
c'era l'abisso della mia abitudine
                  (" vecchia")
di volere che tu mi guardassi dal mio punto di vista
più presentabile
e il tuo candore di volermi prendere
                           tutto intero.
……………………………………………………
……………………………………………………

Lamento di un bassotubista
Pisciarella mia, piccola e bella
che da giorni mi fai diventare pazzo
perche' testarda non ingrossi la cappella?!

Se tu in questo momento mi diventi cazzo
come un cavaliere fiero sulla sua sella
so io a chi andrei a fare il mazzo.

Or che muta tra le gambe te ne stai
e tosta non ti decidi ad esser mai,
non ti preme il dolore che mi dai?

Oh, amica di un'intera vita
non essere solo fonte di guai,
ritorna rigogliosa tra le dita.

E' di carezze e di sguardi vellutati che hai bisogno?
O è mano ferma e decisa che tu agogni?
Non mi far penar, veni a dirmelo almeno in sogno.
-Da "Il Bassotuba" pubblicato sulla rivista "La colpa di scrivere n 1-2-3" trimestrale de "Il Musagete" 2005-

Me ne vado nell'alito del vento
Me ne vado nell'alito del vento
ad abbracciare le foglie
mentre la sera scende tra poco
                     a piccoli passi
con la dolcezza che è tua e mia
aperto al mondo. 

La tua mancanza sottile
La tua mancanza sottile
Una tenerezza senza eco.
Note di nostalgia
   in questo angolo di mondo.

Inseguo figure di te
Inseguo figure di te
con ingenuità di bambino
sotto un cielo inghirlandato
                               di stelle ferme.
Amo la dolcezza dei gatti
                                 a sera
e il loro ritorno a tane freddissime.

Aprirò nel fondo il tuo sorriso
e andrò a letto.

Noli me tangere
Infinità di cieli di stanze misere
affacciate su un ruscello in corsa.
Infinità irraggiungibile,
indefinita infinità
posata su fogli bianchi.

Addio misericordia
Addio misericordia
adagiata sugli ulivi
come il rosa del tramonto.
Ci aspetta quel che abbiamo voluto
e forse non vogliamo più.

La morte ha raccolto
con prontezza
vent'anni proprio oggi.

Vent'anni mai figlia,
vent'anni mai madre.

Le gote hanno smesso il rosso.

E le parole non fermano
questa morte
che non è solo mia.    

La vita trascesa
Dietro l'angolo il tempo
si consuma nella borsetta
sempre vuota
                          della prostituta.

Coppie sempre uguali
si rincorrono nelle stagioni
avvolgendo in cellophan
                           sogni primaverili.

Giovani vecchi gatti inseguono
secchi di spazzatura
dentro cui divorare
topi azzannati all'alba.   

Maria
Maria,
la conoscevo bene:
apprendista sarta,
poi moglie
poi morta.

Maria, ragazzina bionda,
in una vita cucita stretta.
La tua ultima nevicata:
stalattiti sulle tegole
a penzoloni

La goccia d'acqua scintillante.

Il tuo parto improvviso.
Ospedale a 100 chilometri.

Oh, Maria che brutto scherzo,
non ti vedranno i miei figli
che si battono
per un mondo nuovo.


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