Poesie di Acquaviva
(Francesco Abate)


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Leggi i racconti di Acquaviva

Rudere tra i ruderi
al tramonto mi avvolgo
nel mio mantello
d'erba secca
e di fango rappreso
in attesa delle ombre
ovattate e distese.
Fuggenti e discrete.
Mi sia lieve la terra.

Tanto umile e inutile

Appari
Prona e modesta
Anche nel nome
Dimenticata dal resto.
Prostrata, ti affanni
In minime, estenuate,
Ardue minzioni.
Dolorose, ardite,
lunghissime.
Mai del tutto libera
E vuota
Te ne stai laggiù
Quasi dimenticata
Senza importanza.
Ignorata, chissà.
Spazientita, però, cresci,
T'ingrossi e tracimi,
Ipertrofica presenza.
Dieci minuti appena
E già quattro le strizze
Che mi riservi.
Così vindice, fiera vai.
Ma io sono stanco di te,
Ora basta.
Prostata.

Tecnicamente è mattino
Tecnici arancioni
All’assalto di fili intrecciati,
nodi estenuati, quasi gordiani.
Titillano cavi improbabili
rossi neri gialli bianchi
di telefoni senza voce.
Lampeggiano, insinuanti,
ostinati led.
La rete è un vortice bizzarro
senza risucchio.
Misure e controlli
mai troppi
non risolvono.
Essa si nega e vagheggia.
Il danno permane
saldo e forte nel suo mistero.
Il mio tempo, per oggi,
è andato, perduto, avviluppato
pesce nell’intreccio.

Il silenzio della parola
Nel taciturnità della notte
si alza dall’abisso un grido
lacerante e acuto
forse umano, troppo umano.
Nella notte dell’abisso,
nera voragine,
il percorso di una vita, mille vite.
Non c’è spazio per i pensieri,
non tempo per le parole.
Parole e pensieri naufraghi
di una nave mai salpata
da quel porto
dove sovrana regna
la fitta nebbia di ricordi
mai vissuti.
La vita è un abisso?
La vita è un grido?
Non sarà la mia vita un pensiero abortito?
Una parola non detta,
spenta
prima ancora di giungere
sul labbro.
Ma perché mi sorprendo ancora
a cercar parole?
So bene, ormai,
che stanotte, anche adesso,
l’ultima parola possibile...
...è il silenzio.

Non so chi sia io per tentare di interpormi tra te e il tuo dolore...
E infatti temo di non avere nel mio bordone
di pellegrino né balsami né consolazioni ,
essendone privo io stesso e non troppo interessato
a faticose, forse vane prometeiche ricerche...
tantomeno possiedo il DNA di Sisifo.
La mia condanna è altra e la mia vita un altrove.
Se sono qui, però, a sproloquiare è perché, son certo, chi mi guida non è ancora la dea dell'indifferenza:
non glielo permetto.
Così come non consento,
forse "Superbia" mi suggerisce e parla per me,
ad alcun "custode" di proteggermi.
Ho cercato tutta la vita solo Uno...Il Pastore Grande delle pecore...ma è da tempo che non si fa vedere né sentire...o sono io che fuggo da Lui.
Egli gioca a nascondino...Ma io ho perso il gusto
di giocare...Ora il bambino che è in me è serio:
non ha voglia di giocare...E' senza protezione...
e non gliene importa nulla.
Mi sorprendo a vivere...vivere?
...vivere, si, ciò che ho sempre temuto...Nuovi amplessi, amori nuovi insieme agli antichi...io una volta così etico, avidamente preciso...ordinato...ossessivo...concentrato... Ora scevro da rimpianti, memorie troppo invasive, modelli, idee precise, chiare...Ancora impavidamente confuso, fiero della mia unica ricchezza, il cui vero nome è Povertà, ma che tutti chiamano Forza della Debolezza, avanzo verso mete oscure ed ignote come tutti.
Senza illusioni, senza troppa disperazione, amando come so e come posso, essendo "soltanto un uomo"
- monon eis aner...-
Mi chiedi se sono felice? Rispondo: no! Ultima ambizione: la Calma - Unici nemici: il dolore inutile , l'agitazione perversa, l'insensata morte (specchio di una vita insensata). Troppo lungo, troppo prolisso, troppo poco poetico...Pardon.

A Massimo
Amico caro, anche tu…
Vuoi forse provare ad amplificare
la mia, ancora troppo tenue, solitudine.
Tu, il più caro tra gli amici
Che non ho abitato.
Io troppo compagno di me stesso, appartato.

Tu così schivo, gentile, riservato.
Ci bastava un saluto,
Uno sguardo dritto e fugace,
E intuivo tutto di te…
E tu di me.

Dicono che il male,
Che per me non ha nome,
Poiché il suo nome nulla dice,
Ha preso dimora-
Non invitato-abusivo
Assurdamente invasivo,
Lì nella parte più profonda di te:
La migliore, irraggiungibile.
Quella che, in ogni caso, non potrà esserti tolta.

Stamane ti ho sfiorato una guancia.
Mi hai risposto muto: una lacrima.
Ha raggiunto subito la mia,
Ed entrambe si sono fuse, dandosi la mano
Per correre concordi, complici
In un abbraccio più forte della morte.
Sento, oscuramente, che ciò che la vita
Non ci ha concesso oggi, domani ce lo darà,
Quando ci incontreremo ancora,
Là dove gioca l’agnello
insieme al leoncello.

E dove il mio nome sarà scritto
Accanto al tuo, per l’eternità.

Autunno precoce
Il mio pensiero è sospeso,
povera foglia
che attende immobile
un vento nuovo
che la faccia vibrare
e ne provi la giovinezza
costringendola a rimanere,
salda,
al suo ramo.

Grazie a te Lucia
Lusingato ed onorato,
confuso
ma ancor più, stupito,
nel profondo mi inchino
per il tuo inatteso verbo,
immensa lieve parola
che rende la mia meno sola.

Grazie a te dolce spirito amico
per aver dato forse immeritata luce,
come il tuo nome pur porta e dice
al mio così povero dire ognor pudico.

Più che il verso mio, talvolta atroce,
non ti offro melassa, giuro e dico senza ipocrisia
che la tua voce, la tua sola voce
io riconosco come poesia
e non la mia.

Poeta non sono, ma se fossi toccato
dal dito di Calliope
saprei cosa fare e cosa dire!

Direi con parole mai udite:

La tua bellezza splendida di rose e di camelie
si espande al tuo passaggio
tutt'intorno, e cose e persone se ne inebriano,
divenendo d'un tratto nuove creature,
pervase di nuovi colori e diversi profumi.

Per poter descrivere la passione che tu susciti
dovrei poter intingere, nel sangue
appena sgorgato dal mio cuore aperto,
la penna che uso come antico aratro
a tracciare i solchi da te lasciati nella mia anima,
un attimo prima di te aridi, poi ricchi di seme appena sparso.

Ma, ahimé, proprio il dono della parola poetica mi è precluso e io inadeguato a cotanta impresa. Comprendi?

Anima: la mia non è più mia, è fuggita per raccogliersi presso di te. Dunque seppur sono stato qualcosa, ora non son più nulla.

Non sono come mi volevi,
vivo e vestito solo di luce.
Forse credi che io
percorra i sensi orizzontali
del desiderio...
mentre
ti guardo come preda,
ti afferro con fame immonda...

No! Mai così...
Non credo che toccare
sia come accendere
mille luci...

Ancora dovrai imparare
per navigare nella mia oscurità,
la notte è breve e la rosa
conficcata nel seno
beve il mio sangue,
le spine...ne assaporano
il nettare
come mani mai sazie di esplorare,
come spirito di stagioni,
vago nella camera ardente
della mente.

Mentre mi accendi si spegne
il sogno di un'altra illusa irrealtà,
appoggia la tua anima sulle luci
che tanto ami
e di luce sola ti bagnerai.

Lasciami la mia ombra,
non la temo e non mi angoscia.

Ho solo freddo adesso...
e non gettare il vuoto a rendere,
potresti farmi male.

A l'école...ça me degoute...
Mi dispiace ...
di bel nuovo
sordo aspro dolore
abbarbica allo stomaco
Parole dolci rinnega
solo si raggomitola
su stesso e scalcia
forte.

Disturbato battito d'ali
nel torrido fuoco
di estiva calura.

E deserto sconfinato
da contemplare
da riempire
frolli zolle
d'arido seme
dove espiare pene.

Nulla speme espunge
il mio cuore
ed il passo pesante
vorrebbe soltanto
mutato sembiante
sprofondar solingo.

Stanco di meschine lotte
Lontani cieli non più mi fingo,
e a che giova poi puntar di prora?

Inanime lo spirito
che un giorno
esser guerriero seppe
immemore giace
sconfitto ancor.

Non forze, non vita,
non conclusa meta ambita.
Vuoto un altro poco
triste vado via
mesta l'anima basita
come nel tempo primo
non vede al duol
dignitosa uscita...

Asaleutos patetikos (3 aprile 2001)
Odo salir da laggiù,
da un lembo d’anima
a me oscuro,
l’impertinente refolo
di uno "spirto gentil"
che sembra dire nel vento:
trascina il mio flebile gemito
fino alla soglia del suo affetto,
a lei sussurra gli aneliti indicibili
e gli illacrimati oblii...

Calmo, stupito
contemplo agitarsi
gli insondabili,
oscuri recessi dell’esser mio,
immemore del tempo e dell’età.
Sprofondo piano senza dolore,
malinconicamente,
nell’abisso luminescente
ed inesorabile degli occhi tuoi:
gemme brune
e, nondimeno, così trasparenti,
oceano tranquillo ed accogliente,
ma non violabile,
dove naufragio e salvezza si fondono.

Lontanissima sei,
e non a me destinata.

Per te
Beato colui al quale sono diretti i tuoi strali fatati, intrisi nel miele e resi piu' sapidi dall'argentina risata, balsamo profumato di eterea vitalita'.

Fortunato quel figlio d'uomo per il quale il tuo sangue stilla copioso, misterico sacrificio d'amore .

Eletto il piccolo cuore al quale unisci il tuo, ben piu’vasto oceano di pura bellezza, nei tuoi sogni piu' radiosi.

Bello e benedetto chi ha il privilegio, pure solo per un attimo, di bagnarsi nelle tue acque immacolate senza sponde...

Indegni quegli occhi che si posano nei tuoi senza avvertire un sussulto d'anima e una fitta al centro del petto.

Sacro quel viso solcato da argentee umide perle, gioielli che incastonano il labbro purpureo languido dove morte e vita si fondono in un abbraccio ultimo...leggiadra eutanasia...

E vane sc(i)enza
Terribilmente ammaliante
La tua Parola
Assordante Silenzio
che nasconde e rivela.

Apprensione leggera,
Vago timore.

Non sono un aedo
E come da lontano
Solo talvolta io vedo.

Estuose, estenuate nebbie.

Chi sei Tu
che dai remoti
lembi d'anima
vieni a cercarmi?

O forse m’inganno?
E s’è così…
Amore non esiste
E nessuno ha mai amato.

Ma come può il vuoto mio
Inebriarsi
Dell’Essenza Tua,
Anima Mundi?
Dimmelo

Io il finito
Tu l’Infinito e l’Eterno.
Io perduto quaggiù
Tu lassù
Infinita distanza senza tempo
né spazio

Opposizioni di contrari
Dove i contrari sono amici
Dove la notte e il giorno
Terminano in un abbraccio senza fine
Oro e Argento…insieme

Amore riempimi
Perché senza Te
La fame resta insaziabile
L’arsura inestinguibile.

Oi erpmes
Infatti,
la tua trasparenza,
il tuo puro essere cristallo di rocca,
penetrare il tuo dolore,
condividerlo per antica ferita
sempre viva e rinnovantesi...
non basta, no, non basta.
TU, CHI sei?
Tu, che conti anche i miei passi.
Tu, che affacciata alla finestra
sembri potermi vedere
anche quando rincaso
e mi muovo tra le mie cose.
Non è forse giunto il tempo
di non rivolgersi più al vento?
Non scomodare più le albe
e i sontuosi tramonti?
Non più le nebbie?
Di non estenuare più il cuore
e la mente con muto dolore?
Bensì aprire il libro e leggere
finalmente e senza pudore
il nome lieve il cui tenue amore
si nasconde dentro auliche parole.

Yo Deslumbrado
Bello Bello Bello-
Grazie tre volte e più
anche.
Ci sono persone- io le conosco-
ad esse appartengo-
che tenui creano legami
dai colori pastello
ma indistruttibili come tela di ragno.

Amo per il loro amore
così solido e sicuro da bastare
anche per chi povero
non ha. Nada mas.

Stupende amicizie
nascono lungo i dorsali
di virtuali -dicono -fredde doline-


Eppure nulla di più reale di questo etereo-
nulla di più tangibile di questo abbraccio
che solca i mari, che sfida tempeste
che appena scarmigliano
giovani chiome -
cuori impavidi
pronti già per la traversata.

Avete voi-infaticabili giovani api-
la forza della vita che nasce-
la stessa impertinente ansia
di trovare e portare più miele-
più miele anche per le compagne
logore - curve per la fatica e gli anni.


Il giovane vecchio professore
dietro i vetri della finestra antica-
lacrimosa per troppa pioggia caduta-
osserva il fervore- se ne imbimbe
avido gli occhi e la mente-
e ne gode -

Improvvisa un peana

e così va...recando in sè
due stelle-
memore e grato-

Fuori il vento soffia
alitando da Ovest
lieto
gioiosi e freschi baci spagnoli-

Ho cercato una volta ancora di vedere la mia anima penetrando
dentro i tuoi occhi...Infatti tu abiti proprio di fronte, sull'altro lato del
fiume del mio spirito.
A me così prossima.
Dalla tua riva non ti sfugge nulla, mi proteggi e mi vieni
subito incontro al bisogno.

La vita ci divide...le acque del fiume ci uniscono.
Tu ninfa, regina del bosco degli Elfi in riva sinistra ...
Io penultimo dei cavalieri di una schiatta antica, custode della
riva destra.

Ci osserviamo tutto il giorno.
Ma è solo alla sera,
quando le sponde del grande fiume
si fondono nell'indistinto,
che le nostre amiche ombre,
finalmente nude,
s'incontrano generando fenomeni di luce.
Aurore boreali
si accendono
mentre timide, le creature del bosco
che tu governi,
si stringono intorno
e in cerchio danzano.

Leggo e non riesco a convincermi che è per me che scrivi:
No, non mi riconosco nel tuo verbo
così tenero, così forte, così terribilmente avvolgente
penetrante i luoghi più cupi della mia anima.
Sublime e luminoso.

Vorrei dirti "ti sbagli". Non puoi aver frainteso
scambiato la mia miseria per ricchezza
la mia personalità contorta e immatura
sospesa come testa mozzata
precoce appesa su una picca
uno sguardo d'orrore rappreso
la bocca spalancata per antica sorpresa.

Non intelligo,
questo il mio tormento
con gli occhi color del mare in tempesta
fissi e vuoti come a fermare la scena.
Bellissima ma inerte come la morte.

Mi piacerebbe essere l'uomo
che nasce già adulto
dentro di te
e salta fuori dal tuo romanzo
deciso e virile
ti porta via dove il tuo vigile sogno
trovi finalmente lo spazio d'eterno
in cui il reale lo consumi.
Non sono io quell'uomo
guardami bene
amami ugualmente, mi piace
ma amami per quel che sono
non eternarmi nell'inganno
di un fotogramma ritoccato.

Angoscia,
soffio che sempre m'affliggi...
Cosa non conosco ormai di te?
E mi trattieni l'anima
che tu sfiori soltanto.
Non occorrerà nasconderla
in un angolo perduto
nelle tenebre troppo a lungo.
Ch'essa ti supera di molto...
Si leverà un giorno,
Libera.
E tu orrida catena senza materia,
troppo tardi t'accorgerai
d'averla perduta per sempre.

Il mio Zahir
Purissimo, raro Fiore
Del mediterraneo
Dai petali purpurei
Ti mostri ai miei occhi,
Un attimo fa, spenti
Come veloce brezza d’amore
Nella notte oscura.

Un sole troppo infocato
Ha ferito, insensibile,
Le tue delicate corolle,
E tu ti sei richiuso a difesa
Della tua intima vitalità.
Il mio passo moltiplicato
E, forse, troppo pesante per te
Ti ha spaventato, turbato.

Gli dei, per una volta ancora
Sono intervenuti, attratti
Dal tuo grido muto.
Densa nebbia si è alzata
E d’un tratto al mio sguardo
Sei stato sottratto.

Desideravo solo contemplare
I tuoi vermigli colori e godere
Non di altro che del tuo profumo.
E’ giusto così, questa è la sorte
Di chi insegue vie di morte.

Scompaia il mal bianco,
dolce fiore vermiglio,
tratterrò il mio passo stanco.
Non chiedo nulla, nulla voglio
Se non il tuo sorriso franco.
Né acerba indifferenza
Né freddezza troppo dura.

Accogli nelle tue leggiadre sinuosità
la prece mia accorata:
Sarò nemico mortale del tuo nemico.

Ma quando ti sorrido
Rispondimi con una luce amica.

Sono felice per te...
ed esulto di un canto nuovo.
Dolce sentirti di nuovo e sempre innamorata.
Eterno Amore pulsa nelle tue vene

Scompiglia i tuoi capelli

E’ l’amore tuo, così umano e come il nome, etereo
che io non so distinguere dall'Altro.

Tutti per me non son che Uno, gli Amori
ed eterni...

Il tuo profumo si spande e l'oceanomare
s'inebria e inargenta.

Sei bella amica mia, sei bella...
Di latte e di miele è ripiena la tua coppa
ne stillano le tue labbra
la tua pelle trasuda di ambrosia.

Sei bella, amica mia, sei bella.
E per te è bello quel cucciolo d'uomo
il cui nome è TU.

Nel tuo deserto rinascono fiori
e nuova acqua scorre.

Io torno nel mio giardino
di asfodeli...unica requie
dove discrete compagne
son le ombre antiche.

El Miedo
"Io non ho paura"...non ho "quasi" più paura.
Ma questo non mi gonfia di coraggio,
perché la paura, terrestre prezioso sentimento umano,
sa proteggere ed infierire...madre e matrigna come l'angoscia
di cui siamo tutti forse figli,
e le nostre azioni parenti stretti.
Comunque sia, la mia quasi paura non mi ha impedito di scalare montagne,
attraversare valli, rischiare di annegare in oceani burrascosi,
di molti e sparsi pensieri - concetti - idee - teorie - esperienze.
Mai trovato il luogo del mio riposo.
Nauseato e deluso da me stesso...sono caduto in ginocchio molte e molte volte,
e ad ogni caduta non credevo possibile rialzarmi...
Sudore e lacrime si portavano via sempre, ogni volta, un po' di forza e pezzi di me...
Riposo, riposo, dov'è il luogo del mio riposo? Dove?
Che io possa fermarmi, almeno per il tempo di un battito !...
Nulla...nessun giaciglio per giorni e giorni.
Quando mi sembrava, desiderando illudermi, di essere vicino all'approdo, u
na voce senza suono mi intimava di andare più avanti,
riprendere il cammino aspro e senza entusiasmo,
calpestare con i sandali logori, sentieri che sentivo non essere miei...
Ormai stordito e piagato dalla fatica...
ho continuato a camminare senza conoscere la meta...
Impossibile fermarmi, insensato cercare di volgere il passo.
Infine sono giunto ai margini del deserto...Non era come me lo aspettavo...
Non il deserto dei padri...pieno e ricco di sofferenza e conforto...
dove le mille voci del silenzio somigliano a quella di Dio. No!
Qui è proprio la kenosis, la spoliazione, l'annullamento,
...l'abominio della desolazione senza il balsamo della fede.
Ho avuto paura quando si è spalancato davanti ai miei piedi
l'abisso profondo e terribile del mio cuore, del mio Essere.
Ho visto con questi stessi occhi, spegnersi la luce, e l'orrore del NULLA...
Quale poeta potrà mai trovare parole adeguate?
La possibilità (non immaginifica) ma reale e sanguigna della reificazione,
la riduzione a semplice cosa di ciò che diciamo Essere.
E' stato forse allora che i fantasmi della mia mente
son saltati fuori ed hanno cominciato a danzare
il loro immondo sabba al suono di ebbre note.
Ho mosso solo un passo,
quando mi sono voltato non ho visto altro che sabbia
e cespugli avvoltolati e condotti dal vento a suo capriccio.
Nulla più è stato come prima.
Nemmeno l'umanissimo sentimento della paura.
Nel vuoto, nel nulla, si può rintracciare ancora qualche flocculo di colore grigio-scuro,
ma la paura vera appartiene all'Essere.
Chi è caduto in un limbo dalle blande pareti,
non fa altro che ascoltare e ripetere, ripetere, ripetere una nenia sconosciuta
che oblivisce mente, cuore, anima...e tutto ciò che è stato chissà dov'è?...

Terra arida
"Pian piano il silenzio irrompe.
Il vento non trova ostacoli
e più non canta tra le verdi fronde...
Inevitabile la fine..."

E quando, l'albero solitario,
avrà succhiato l'ultima molecola d'acqua
dalla sabbia di questo deserto
abominio di desolazione,
secco anzitempo, se non per senilità,
certo per orrenda siccità,
senza più linfa,
i radi uccellini volati via per sempre,
attenderà, quasi tranquillo,
solo un po' tremulo ancora,
la mano
del suo padrone
per ultima - nuova - definitiva
oscura stagione,
infimo scoppiettio
di vanità...

Nuovo giorno
Tenero neonato.
Ho ancora la forza di salutare il Sole -
per devozione - con rispetto -
ma non per amore.
Lui paziente e apparentemente buono

pare rispondermi inondando ogni cosa.

Rumore, frastuono, agitazione -
Nulla di nuovo sotto il sole.

Lo sa che non lo amo - ma lo rispetto

lo temo - Così vicino, così caldo.

Il mio astro è la luna - così discreta
la sua lampada - così educata
talvolta non si accende
per non farmi vedere i miei
sentieri interrotti - troppi.

Il Sole no, lo fa a bella posta -
è nella sua natura mostrare tutto -
certo il bello, ma pure il brutto -
e ciò che non ti va di vedere.

Verso la collina: quante strade
tutte diverse, alcune dritte -
le più - contorte e...interrotte -
ineffabilmente - indecentemente -
pavidamente - colpevolmente -
fors'anche inconsapevolmente.

Anche Luna sa, e non mostra -
sta lì leggera in alto - pietosa -
non evidenzia, se non placida e dolce -
mai severa - quasi dicesse: che importa?

L'altro - no -
invade - penetra - mostra spietato -
e si compiace del mio disagio.

La petit mort
Ed eccola ancora una volta
la piccola morte.

Viene con il suo amaro fiotto
e mi sfotte-
" sei sconfitto pure stavolta ".

Antri e pendii scoscesi
dentro me l'accolgono
senza amore né odio.

Estasi e tormento: consunto
conflitto troppo elevato
per un animo tanto smunto.

Il vuoto vince nell'assalimento
di eterne, eteree,
sempre medesime ore.

Poi le stesse fiacche dita
si congiungono in preghiere mute.

No. Il cuore non è ancora in porto
mentre il vento inutile del nord
soffia gelido e chiede nuovi moti.

Naufragio io vedo o stanca fonda
tra le infide acque dell'argenteo
nero mare.

Va benissimo.
Già alle tre del mattino
il mio cuore è come fermo
il respiro sospeso
la mente bloccata ed in attesa
del... niente.

Dolore, il suo nome, mi avvolge
nelle sue spire amare
e non mi lascia, non mi lascia.

Vuole me, mi violenta
ed io non riesco a cedere.
Il male è forte
mugghia e soffia come oceano
che pretenda riversarsi in povero
chiuso mare.

Dov'è salvezza? La intravedo...
tra le nebbie.
Ma sempre si allontana,
mentre tento l'approdo.

Sto consumando molte candele,
le mie candele.
Mi volto
e già molte sono spente...
Mi rivolto..., non molte...
Ne avrò ancora al sorgere del giorno?

Cosa tremenda accade
Penetrato il cuore
ti sei insediata in esso
in posizione centrale-
Tremenda sei-
Bellissima nel tuo greco peplo
che tutto lascia trasparire
tutto immaginare-
ora rivelazione, ora nascondimento.
Nel dolore gioia e pena ancora...
Difficile a dirsi-
Ho ancora paura, solo un po',
ma basta-
Il tuo splendido
ammaliante
canto dice tutto di te
e l'animo se ne inebria
desiderando abbandono al vortice.
L'incendio divampa
ed il vento della passione
compie il resto...........

Ancora,...accade ancora!...
Fino a quando dovrò sopportare?
La mia triste stanchezza non mi lascia,
non vuole andarsene.
...E' grave, grave, tragicomico, che essa,
questa estranea
così nota, più intima a me di me stesso,
"fatica di vivere",
venga a visitarmi nel riposo, mentre dormo,
quando tutto tace
e il signore della notte avvolge tutte le cose
di elegante seta nera dai riflessi bluetti...
No! Il buio non è quello,
oltre la finestra, oltre la collina...
Il buio vero è questo,
voce muta di dentro...
è lì che deve nascere nuovo giorno...
nuova vita
...anima vera...profonda...
Sole che non conosce tramonto...
Forte è la vertigine...,
e mi attrae...
Sempre più...
Se almeno l'oscurità mi coprisse tutt'intero, nero manto...
e mi nascondesse alla vista...!?!

Così è pertanto?
Così a lungo fui immerso nel mortale morbo?
Che stanotte entro nel tuo cielo immenso
E v'incontro nuvole, nuvole, ancora nuvole...
E quella stessa bellezza di se stessa a tal punto ignara
Da contristare ogni cuore.
Poiché parliamo di temuti distacchi
E talvolta io, del morire, mi sta bene ciò che dici.
Cos'ha la tua dolcezza languida d'amore
Da sperare, prendere da chi trascina con sé
Egoico nulla?
Tu sorgi Stella Oriens, ogni giorno, e vedi e vegli tutte le notti senza
segreti
Tua la luce candida traspare sotto la veste di seta e raso di Damasco.
Io non dirò che sono "il buio oltre la siepe"
Contento di lasciarmi trafiggere da un tuo solo raggio
Uno solo e non altro.

Tavorando sul Carducci
o Carducciando sul Tavor???


T'amo, o pio Tavor:
E mite un sentimento
D'impotenza e di pace al cor m'infondi,
O che dormiente come dopo uno sfinimento
Tu guardi i nervosi gangli liberi e tremebondi,
O che tra neuroni insinuandoti contento
L'ansia de l'uom grave ascondi:
Ei t'asporta e ti sugge, e tu co 'l lento
Giro de' diazepinici occhi rispondi.
Da la larga matrice secca e sferica
Partono oppiacei lontani ricordi,
e come un inno lieto
Il furor primo nel rasserenato aer si perde;
Timoroso ti vedo di calar in eccesso la palpebra
del già glauco occhio da notti insonne.
Dolcezza mi offri lorazepam mio
e quieto e ampio
mi conduci teco all'antico pian silenzio verde.
Vedo già da lungi il cipresso austero...
del paese mio il cimitero.

Senza titolo, senza sforzo, senza senso
Non vorrebbe esprimersi, oggi, così.
Si vede bene, si capisce.
Vorrebbe elevare salmi gioiosi.
Invece pare un bimbo già forte
che spreme i labbrini e il viso
corrucciato da una smorfia
per non divenire liquido
negli occhi.
Vorrebbe scrivere come si piange
Intingere in un calamo di pure perle
di fiume.
Invece niente acqua nel deserto,
inchiostri setosi
in luoghi aridi e cupi di lampi di sole.
Solo polvere, intorno,
e l'assurda pretesa di questo sole nero
d'illuminare le sue pagine grinze.

Va via l'autunno
con sommessi languidi rossi
barbagli di un tempo nuovo.
Cammino distratto
calpestando gelide foglie.
Vado incontro a nuove nascite
oltre già antiche stagioni.

Dolcissima infelicità.
Solo me ne sto, né amo compagnie chiassose;
mi accompagno invece, e volentieri,
e con inediti voluttuosi piaceri
forse folli o soltanto lussuriosi e mordaci,
alla cara solitudine, dove l'esser mio è più vero.
Non ho da ricever nulla, nulla dare per buon costume.
Mi appartengo... e tanto basta!

Nella penombra ti ho stretto le mani,
forte.
Ho desiderato unire le mie labbra
alle tue.
Ho pensato un attimo
di troppo.
Sarei sopravvissuto
o sarei morto?
Lo ignoro!
Ho ritratto la mano.
Per convenienza o forse per viltà
ho taciuto.
Ho invocato il silenzio
a proteggere la mia vita,
la tua vita.
Per un attimo le tue lacrime
hanno irrigato la mia desolazione.
Solo per un attimo...
non è accaduto.

Ritorno
TU...di nuovo qui...? Tra sogno e realtà, la mente m'inganna?
I chips giocano con i neuroni e le sinapsi ne sono ebbre per lunga estenuata assenza?
Quasi anossia...

Dubito, ergo sum,
tuttavia ho ravvolto con ordine ogni cosa
entro una seta verde, preziosa.

Essa fa di rubini rose, e d'ametiste viole,
di perle orchidee. Queste cose, così le desidero
e le giudico belle, né già sono come in natura
le rimirai...
Ben Tornata..FEMME si, certo,...ma per me sempre ARGENToCEANO
così come ti conobbi un giorno già lontano.

Basta! Basta! Basta!
Sono stanco
solo riposo e silenzio
rifugio dell'anima
rocca della sapienza
sede della grazia
nome scritto nel libro della vita
verità e giustizia
che si baciano
qui ed ora.
Tutt'insieme
meno di nulla.
Esistiamo?
Vegeto in attesa
forse
tra il già e il non ancora.
Intanto viene da oriente
il vento carico di gemito
soffio greve
di fine del tempo
specchio opaco
di un tempo della fine.

Ancora ho davanti agli occhi della mente
quel mare che mugghiando intensamente
ha accolto, scontroso, ma bonario e paziente,
le nostre nude presenze....
poi...non ho udito né più visto nulla
se non la tua bella figura,
luminosa nell'ombra della sera
ancor giovane,
e mi son perduto,
felice di esserlo,
in altro mare, ben più vivo
e dolce e tenero e accogliente
del primo.
La mia vita, eccola, sì è inebriata di un attimo di eterno
che non le sarà tolto…

Talvolta mi sorprendo
vestito per gioco antico
a far sorridere gli altri,
solo i più prossimi.

Non mi andrebbe, ma cedo, passivo
all'insistenza incolpevolmente
irridente, impertinente.

Forse è la voglia di scrollarsi
di dosso con un solo colpo d'ala
o un celeste battito di ciglia
tutto il peso degli anni
e l'oscuro male che tarla lento
il midollo ligneo non più tanto giovane
e resistente, dove il baco gioca lieve
ed inesorabile.

Il mio sorriso, ora biondo, non ha altro senso
se non quello di suscitare il riso di qualcuno
mentre mi dico, non udito,
che proprio tale son io,
non altro che un guitto.

Quando non avrò più fiato.
Quando non avrò più la forza
per trattenere il fiore dell'amicizia
che un giorno mi donasti...
Tu tornerai forse,
ma sarà troppo tardi,
temo.
Nel caso troverai di me
le uniche parole che il cuore così povero,
d'amore sempre vuoto,
sussurrare lievi ha potuto ,
affidandole al libeccio
invisibilmente maestoso e caldo.

"O vaghe stelle dell'Orsa..."
a me tanto invisibili stanotte
che pur di vostra presenza
dolce bisogno avea...
Dove fuggite
non recandomi con voi?
o forse son io così assente
diafano, separato, evanescente?

Estraneo in casa mia
mi aggiro tra le mie vuote stanze
in quest'affollata solitudine...
Incompreso, chiuso, nulla comprendo.

Dentro, qualcosa scalpita,
e ancor s'illude il piccolino
di terre nuove e nuovi cieli ...
che non sono, non vengono e non vanno ...

Si, parlami d'amore (non dir Mariù però)
e dimmi bene cosa sia...
Passione esclusiva ed egoica
che tutto brama, tutto vuole
ma nulla stringe...?
Così l'angoscia: gelosa nemica
mia nemesi...afferra.
Mi vuole tutto per sé
e non permette tradimenti...
Quando c'è lei
nessuno, nient'altro, può
accostarsi a me.
Buongiorno
Buio giorno...

Fiore del Mediterraneo
Tardo già era il tempo
Nel riverbero dell’alba breve!

Fiacca greve indolente.

Al mio sguardo frodo
Ignara, forse no,
Sei riemersa
Nel tuo sontuoso
Candido incanto

Radiosa tu
Bardata di rosso e blu
Insana ossessione
Del mio estenuato
Estuoso spirito.

Pallida evanescenza
Vago già nel giardino degli asfodeli.
Non sarò che ombra.

Tu invece eco sempre nuova
Di mediterranea aurora.

L’attesa
Chissà, se Tu, stasera...
“hai un braccio anche per me”.
Sono stanco di cercarTi,
ma non so se ho mai davvero cercato.
Accettami così, Ti prego,
innamorato povero d’amore.

La terra greve chiede ancora fosse,
e sangue e nuove orme,
senza fine.
Il mio passo è fiacco, lo so,
ed il mio volto,
è troppo tempo ormai,
non assomiglia più al Tuo.

Novello Narciso,
mi specchio nel lago,
si accendono riflessi
infimi ed illumi.

Ho chiesto troppo,
ho domandato male

nell’attesa senza tempo.

Spleen
All’inizio un dolore
forte ed immediato dell'anima,
una vertigine improvvisa,
giovanile ridondante eccesso,
senza riflessione
né scavo di parole,

Poi
Estatici riflessi di splendide
Sontuose forme.
L’occhio abbacinato
Tremulo nel batter di ciglia
Si vela all’infuocato raggio.
Non è linguaggio
E non sono parole

Diurna notte
Più luminosa del giorno
Più chiaro.
Cieco eppur vedente
Mi abbandono al sonno languido
Mentre attorno ondeggiano fanciulle
Fanciullo anch’io.

Io poeta?
Oh! Dolce amaro calice del Parnaso,
quanto ho desiderato abbeverarmi ai tuoi orli.
Mi è toccata in sorte, invece, la cuccuma dell’ovvio
e la ciotola dell’indigenza.

Oh! Calliope e Muse tutte del sacro monte,
avrei voluto sfiorare gli orli fluttuanti dei pepli vostri
ed invece mio destino è battere
grevi coltri polverose

Fosse oro a cadere!
Ancora il sapore acre
della sabbia dell’insipienza
ed il talco della meschinità.

Presenza e Assenza
Sono laggiù,
cioè qui accanto
dove la strada termina
ed inizia il silenzio
carico di polisemiche parole...
Nuvole brune
mi nascondono,
ma solo per rivelarmi
in uno spazio altro,
in mondi lontanissimi
dove il tempo non conta....

ma nell'evanescenza del tempo
niente sfugge all'infinito
quando i sentimenti vi approdano
coi loro aquiloni...
ecco nascere
la conoscenza…

Eri una povera foglia
abbarbicata a quel tuo ramo
sbattuta dai venti,
violata da mille tempeste
ma poi arrivavano
i baci consolatori del Sole
che tu amavi.

Sapevi ciò che eri
e che un giorno saresti caduta.
Ciò che ignori,
ora avvizzita e stanca
è dove finirai ancora,
quanto durerà il viaggio,
e il tempo della completa dissoluzione.

Vorrei un giorno
Vorrei un giorno,
ma che dico?
Un minuto...
Un attimo d'infinito....
senza nodi nel petto
grovigli nel cervello...
buio in piena luce...
bachi nel cuore e nella mente...

Non chiedo niente alla vita...
Ho tutto
e anche di più...

Un giorno, un'ora, un minuto
un fruscio d'ali, un battito di ciglia
di pace...gioia vera...
umanamente possibile...

Non mi resta molto tempo...
ma non ho più grandi cose da fare,
non ho rimpianti, né desideri sconfinati...

Mi basta una pagina sospesa
una lacrima lieve tocco di fiato
come brezza di sera
respiro libero e profondo
lieto, senza sforzi...

Questo, il mio infinito...
troppo grande, forse...
e non mi sarà dato?

Asaleutos patetikos (3 aprile 2001)
Odo salir da laggiù,
da un lembo d’anima
a me oscuro,
l’impertinente refolo
di uno "spirto gentil"
che sembra dire nel vento:
trascina il mio flebile gemito
fino alla soglia del suo affetto,
a lei sussurra gli aneliti indicibili
e gli illacrimati oblii...

Calmo, stupito
contemplo agitarsi
gli insondabili,
oscuri recessi dell’esser mio,
immemore del tempo e dell’età.
Sprofondo piano senza dolore,
malinconicamente,
nell’abisso luminescente
ed inesorabile degli occhi tuoi:
gemme brune
e, nondimeno, così trasparenti,
oceano tranquillo ed accogliente,
ma non violabile,
dove naufragio e salvezza si fondono.

Lontanissima sei,
e non a me destinata.

Presenza e Assenza
Sono laggiù,
cioè qui accanto
dove la strada termina
ed inizia il silenzio
carico di polisemiche parole...
Nuvole brune
mi nascondono,
ma solo per rivelarmi
in uno spazio altro,
in mondi lontanissimi
dove il tempo non conta....

ma nell'evanescenza del tempo
niente sfugge all'infinito
quando i sentimenti vi approdano
coi loro aquiloni...
ecco nascere
la conoscenza…      


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