Poesie di Lucio Paolo Alfonso


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I
Oltre il molo ingombro di fasciami,

gemendo al peso del suo lungo giro.
si apre la ferita del sole,
e su rapprese memorie
di vento basso ,di fuoco,
di case spettrali lasciate
alla roccia dell'Etna
e all'azzurro
cade un dolce languore.

Sulle rive della sera
un coro concitato di gabbiani
strilla indecifrabili astrazioni
e nelle meste dimore dell'ombra
dipana il filo della logica
sino alla porta di un cuore
che non abbocca.

Di pena
si muore nel deserto della vita,
di sete
al triste gioco dell'amore;
e ad ogni svolta sempre ritornano
lo strazio delle ore
il nunzio ferale,
il dubbio da scacciare,
e l'amaro sorriso
che vaghe parvenze dell'ade
offrono con baci di sale.

II
La lunga notte dei cieli

è cominciata non appena hai parlato
di questo manto che avvolge la memoria nera,
delle sepolte melme che le brezze di mare
toccano appena.

Le tiepide acque si sono gonfiate,
gli astri hanno gravato i cardini dei fondali
e i rossi pesci sono emersi.

Sorriderò nel centro della stanza
dei miei piedi snudati sul tappeto persiano?
Comporrò il 7.9.1.60.41. e ascolterò
il mostruoso leviatano che stende nastri
di cicale?Ora che gli astri premono
sui trasparenti fondali e tutta la letteratura
è divenuta un lesso d’inchiostri
che sbava dai muri tappezzati in brossura
e a pizzi di Cantù…
del resto conosci pure tu questo tedio
senza lena a cui s’appiccano i brevi respiri
della notte dei cieli ch’è appena cominciata.
Tre sere fa ho pianto per molto meno:
pensavo al tuo volto scremato,
alla maschera senza salute
che sfiora a volte le mie labbra
con un bacio nocivo.

Tre sere fa non ero affranto,
pensavo ai giorni di traffico tremendo,
ai giorni di chiusura,
alla grande paura che mi tiene
ai figli perduti,e a tante altre storie.

Venivano come versi
dolcissimi e quieti alla memoria
i tempi della sete,
i segni della meridiana calura;
certamente,siamo stati nei porti
del Sol Levante,
nei luoghi del pepe e del tè,
con altri volti, con altro sangue,
briganti,mercanti, io e te;sovrani,
gesuiti,schiavi stivati, e dopo, in baleniere,
in cannoniere; nel corso dei secoli,
su di un nastro di letame,
nei frantumi della storia delirata,
figurata…al 7.9.1.60.41.
non mi rispondi più.

III
Era l’autunno

un fiore disseccato,
compresso entro i fogli della vita;
un fiore che chiedeva una carezza
di linfe vive e note musicali.

Ed io, stolto,
invocavo la ragione,
pensavo per dicotomie,
mentre nel mare della dissolvenza
altro non v’era
che suadente azzurro,
azzurro calmo sino all' alto cielo.

Così dicevo al fiore calpestato:
-Ti sarò amico,
ti porterò dal botanico.
E non capivo
che non sarebbe bastato
conoscere le note,
serbare gli spartiti,
se la somma delle mie stagioni
mi molceva il petto
con frammenti di a priori.

Quali sentori umidi e molesti
reca a me questo fiore ritrovato
non so dire,
perché nell’isola del presente
non v’è spazio,
non v’è tempo,
per questa mia vorticosa formazione
di immagini e pensieri.



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