Racconti di Arcangela Cammalleri


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Il paradosso umano
Pensieri sparsi…

Rimanere incompiuto! Mi chiedevo se aveva un senso iniziare un’intuizione della mente e non riuscire a portarla a termine. Un artista che afferma di avere tutto nella testa e poi non tradurre questo tutto secondo la propria personale espressione artistica è come non aver creato nulla. L’ispirazione del momento è una frenesia che ti accende all’improvviso, come una vampa che arde e non ti dà tregua! E’ terribile non poter materializzare le proprie emozioni, avere dentro un ricco mondo interiore, esperienze ineffabili, sensazioni inesauribili e…non saper tradurre tutto in parole, versi, immagini o note musicali. L’immaginazione allo stato puro, la fantasia fervida, i pensieri più galoppanti sono inconsistenti, eterei e vuoti senza una forma tangibile e visibile; è lo stesso quando accadono i fatti e nessuno li registra e li rende noti: è come se non fossero mai avvenuti! E’ angosciante tutto questo, noi esseri umani viviamo, agiamo, ma solo ad alcuni è dato l’onore e l’onere di essere conosciuti; qualsiasi cosa facciano lo sanno tutti, vivono attraverso gli altri e sopravvivono agli altri. Non c’è giustizia in natura, come non c’è democrazia; allora perché l’uomo si ostina a crederci? Si vive in un continuo paradosso, niente è lineare e congruente, solo la matematica inventata dagli uomini è coerente e logica. C’è un abisso tra la natura che ti offre determinate opportunità e le costruzioni artificiose degli uomini che vogliono piegare tutto alle loro esigenze! E’ voler a tutti i costi stravolgere e modificare l’esistente per adeguarlo alle nostre urgenze. L’uomo si ostina a cambiare ciò che è naturale e peggio a voler imporre a ciascuno il proprio punto di vista, il proprio particolare spacciandolo per il solo esatto e incontrovertibile. Il paradosso umano ovvero l’incompiutezza del nostro vivere, l’indefinitezza del nostro esistere si rivelano in ogni istante della vita! La natura umana è talmente imprevedibile che non segue mai quello che sembra più ovvio e ragionevole, si trincera dietro false motivazioni che danno adito agli altri a malintesi ed equivoci. E dire che basterebbe essere se stessi e non mascherare il nostro io con sovrastrutture sovrapponibili; diventa una perenne lotta contro noi stessi : l’io che urge e preme per emergere e l’apparenza che inganna e però ci nobilita. Se si potesse essere liberi da orpelli mentali, non complicare il nostro modo di essere, tutto risulterebbe facile e scorrevole. Prendiamo i rapporti famigliari così intrisi di sentimenti contrastanti e, a volte, così inconfessabili che ci torturano intimamente e ci condizionano tutta una vita. Ecco! Fare uscire la nostra vera natura e non mostrare quella che ci hanno impresso i nostri genitori a furia di dire e raccomandare; sarebbe la liberazione della nostra vera ed autentica personalità; come una farfalla che si libra in volo libera. Ma, spesso non ne siamo consapevoli e passiamo tutta una vita ad inseguire il nulla, quello a cui veramente aneliamo ci sfugge e diventa uno spreco, un gettare via come spazzatura le nostre esistenze. Andiamo al rapporto di coppia: è vero l’uomo è nato per non essere un individuo, ma un essere sociale, ma è anche vero che vivere in coppia è una forzatura della natura, l’unione di due persone che al meglio si sopportano. Quanti compromessi, piccoli, grandi, quante sofferenze per voler far combaciare due personalità differenti in nome di un millantato amore! Ah!Ci risiamo dirà qualcuno, sempre a ad appuntare l’attenzione sul rapporto a due, ma è inevitabile, la vita e l’amore sono indivisibili. Quello che nego è la sacralità che si vuole dare al rapporto che, invece, dovrebbe esser in totale libertà; stare insieme senza certificazioni o timbri che ne attestino la validità. Ma, è quasi impossibile non allinearsi agli altri, conformarsi alla maggioranza, pena la squalifica dalla società, dal consorzio umano. Uscire fuori dalla fila, mettersi per proprio conto, quanti non l’hanno aspirato, quanti hanno desiderato muoversi come pedine della scacchiera della vita senza mosse programmate, ma in assoluta anarchia.Viva la libertà! Viva la diversità! E….Viva la vita in perenne bilico petrarchesco. Essere dilaniati dalla vanità delle cose, essere ossessionati da vacuità e fatuità, ecco l’umanità! Occupare la mente, spesso, con pensieri inutili è uno sciupio delle nostre esistenze. Avere il coraggio di inventarci una nostra vita, scevra da ogni ambascia esterna, nutrirla solamente di nostri desideri e solo nostri. Quanti condizionamenti ci condizionano senza far nulla per uscirne fuori. Mi chiedo come sia possibile questo: affannarsi per…per che cosa?? E’ terribile tutto ciò; se veramente fossimo consapevoli della preziosità della nostra vita, se avessimo un po’ più di rispetto e amore verso noi stessi, non faremmo sprechi di tempo. Il Tempo! Caro, carissimo tempo ci costa più di un costoso sfizio, più di qualsiasi altra spesa: amato ed odiato contemporaneamente; “Odi et amo”. Avere la consapevolezza che scorre inesorabile verso la fine, forse, lo vivremmo in modo più costruttivo e vero, senza perderci in nulla. Mi ricorda una frase letta dove si evidenzia l’equivoco o forse meglio l’incomprensione che esiste tra l’uomo e il tempo. L’uomo dice che il tempo passa il tempo dice che l’uomo passa. E, il peggio è che non l’avvertiamo la nostra finitezza, la morte esterna, altrui, ci sfiora, ma non ci tocca se non solo la durata di un pensiero fugace, poi, siamo riacciuffati dalla vanità delle nostre occupazioni. Quanto siamo sciocchi ad inseguire l’inseguibile, ad aspirare e respirare l’inutile; quanto siamo inconsistenti! Due specchi che si specchiano: due vuoti che si incrociano: noi e la vita. Siamo solo uomini, materia deperibile e in continuo deperimento fino all’esauribile. Siamo materia, ma anche spirito? Il pensiero governa il nostro agire, i nostri sentimenti; i pensieri, cosa sono, come si dipartono nel nostro cervello, quale ruolo hanno nella nostra mente? Quello che è più sorprendente è la velocità e la quantità di essi, si aggirano nella nostra testa come miriadi di stelle incandescenti: volatili e inafferrabili come saette. Come vorrei acchiapparli alla stregua di farfalle in volo, imprimerli e fissarli in un computer mentale, che all’occorrenza riemergano in tutta la loro vivezza. Perdermi nel mare dei pensieri, ascoltarne l’eco come dolce melodia, farsi trasportare dalle onde fluttuanti di essi, come sarebbe indicibile ed avvincente. Farsi cullare dalle vibrazioni mentali, come ripercussioni sonore che inebriano la mente. Come poter essere in sintonia con gli altri quando rimandano note discordanti dalle mie? Come poterne cogliere le assonanze verbali, quando tutto dissente dal comune sentire? Un esempio pedestre vale per tutti, in qualsiasi circostanza che ci si trovi in comune, colgo una stortura di fondo che mi allontana dagli altri e niente me li fa accomunare; nemmeno essere tutti umani, avere gli stessi umori epidermici e le medesime forme, ma non sono gli stessi contenuti. Ritorna un’altra dicotomia: Forma e contenuto; il Tempo che scorre e l’uomo che si illude di viverlo, ma è come l’acqua di un fiume inarrestabile, la realtà quella che percepiamo o l’apparenza di essa? Ma si può continuare a vivere, quando si è dilaniati da tutte queste contraddizioni, da perenni dubbi che assillano la nostra mente e ci fanno oscillare come tanti ubriachi? Siamo e non siamo; mentre scrivevo questo concetto di per sé retorico, non ho subito pensato che fosse derivato da una reminiscenza shakesperiana: essere o non essere questo è il problema. Sì, proprio questo è il problema ! Penso di scrivere delle impressioni mie, personali e intime ( Come mi sento orgogliosa di questo) e subito, l’attimo dopo che le ho scritte riaffiora nella mia memoria che qualche altro molto più sagace di me le ha già pensate. Ogni volta scopro l’acqua calda! Ogni cosa è stata già detta e scritta, è pura illusione illudersi di dire originalità, men che meno io. Basta con queste elucubrazioni mentali, questo vuol dire due cose: o farsi del male o giocare e non prendersi sul serio, buttare tutto sull’ironia. Con ciò, per adesso, chiudo questo colloquio con me stessa, l’unico che mi rende interessante la vita e narcotizzo per un po’ il mio malessere d’esistere.

Lei
Lei stava ferma davanti al davanzale della finestra, guardava il panorama di fronte, una fascia di cielo, quel giorno, azzurra e trasparente come cristallo, senza una nuvola, il caseggiato della fabbrica, i prati in lontananza, la sagoma delle montagne più lontano. Lei si chiedeva il perché di essere in quel posto, in quello appartamento, doveva avere un senso, altrimenti perché? Se tutto fosse affidato al caos, noi saremmo tanti pulviscoli trascinati dal vento, microscopiche pedine che a caso sono parte lì…parte là…perché? Sarebbe più terribile se non esistesse un perché. Ma quando ci chiediamo il perché del nostro agire, per il fatto stesso che esiste nella nostra mente, esiste anche al di fuori di essa. All’improvviso si scrollò di dosso questi pensieri vacui che le facevano venire il mal di capo e si mosse, aveva ancora tanto da fare quel giorno. Era pomeriggio inoltrato, c’era la cena da preparare, qualche attività domestica da definire. Lei, una donna matura, ma ancora piacente, un po’ tracagnotta a dire il vero e con un’asimmetria evidente del corpo che nel camminare le dava un’andatura sbilenca. E poi il viso spigoloso, a tratti anche duro, ora che l’età avanzava e i contorni incominciavano a perdere la morbidezza e la levità della giovinezza ormai un po’ sfiorita. La luce che accendeva quel viso singolare era data dagli occhi verde brillante e dallo sguardo tenero e sognante. Il suo fascino era nella sua presenza che illuminava il luogo dove accedeva. Si ricordava, allora giovinetta, di una signora che aveva esclamato, ammirata, vedendola: ”Quando entra questa ragazza, illumina la stanza”. Tuttavia, si rendeva conto che il tempo passava e non vanamente, anzi l’offesa del tempo era uno dei suoi tarli mentali. Perché? Oh Dio! Basta per quel giorno perdersi in fantasticherie che non portavano a nulla, lasciamo ai filosofi le teorie esistenziali. Aldebranda si chiamava, un nome inusuale, chissà i suoi genitori su quale intuizione si erano fissati, non le hanno saputo dare una spiegazione convincente. Il mattino successivo, alle otto si svegliò, era sabato il suo giorno libero, il giorno che i suoi ricordi scolastici le suggerivano della festa, dell’attesa, di qualcosa di nuovo, di frizzante che desse una sferzata alla sua monotona e solitaria vita. Era quella che si dice oggi una single, ad una domanda di quelle che si pongono durante le indagini statistiche avrebbe dovuto rispondere: per scelta o per necessità? Anche questa volta avrebbe dovuto riflettere per caso o per un disegno preciso?A pensarci bene un po’per scelta e un po’ per eventi che hanno sempre ostacolato il realizzarsi di una vita di coppia. Uscì, andò incontro con passo baldanzoso alla luce abbagliante di quella giornata primaverile. Era diretta verso il centro della città, decise di prendere il tram, parcheggiare l’auto sarebbe stata un’impresa da spedizione dei Mille, e lei non ne aveva proprio voglia. Voleva una giornata sgombra da qualsiasi affanno. Il centro come sempre era affollato, pieno di vita; le piaceva tanto osservare la gente, soffermarsi sui volti delle persone, cogliere dall’espressione dei loro sguardi qualche pensiero o sentimento. In particolare, la colpivano le donne soprattutto le giovani, la loro fresca e spontanea bellezza, gli occhi non ancora provati dall’esperienza della vita. Il gesticolare delle mani esercitava una calamita irresistibile, a volte doveva volgere lo sguardo altrove, per tema che qualcuna si accorgesse del suo interesse e lo interpretasse in senso sbagliato. Quel giorno doveva essere il suo giorno, senza impegni fissi, senza alcuna compagnia programmata. Ecco, voleva stare con se stessa, ma in mezzo alla folla estranea che doveva essere solo un contorno sbiadito al quale non dare alcunchè di importanza. La colse un’euforia strana, una gioia di vivere, una felicità inattesa da toglierle il fiato, l’amore per tutto l’avvolse come un abbraccio caldo e percepì in quel preciso momento che un perché esiste; ha senso la vita quando le emozioni c’invadono in quel modo travolgente e ci ripagano d’ogni dubbio, d’ogni perplessità.


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