Poesie di Evidda


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Oltre il messaggio
Nel mezzo del tavolo
un groviglio inestricabile
di fogli,
in cui annoto pensieri e riflessioni.
Non sono altro che una rassegna
di eventi marginali, di foglietti volanti,
di appunti dettati mentalmente
da una nuova alba.
Le mani e le unghie,
perfino le mezzelune,
ingiallite di nicotina.
Contemplo le volute di fumo.
Non faccio altro
che picchettare la cicca
sull'orlo del posacenere.
Tengo gli occhi bassi,
lo sguardo perso
nella geometria delle piastrelle
della mia stanza.
La mente si perde
nelle diramazioni del torpore.
Può succedere di
avere in superficie
un tuttoniente da scandire
in un giorno che non ha più
niente da dire.

Pisa di notte è deserta.
Le ragazze israeliane
ci dicono che coi fatti
della terra in cui sono nate
aprono tutti i telegiornali del mondo.
Pisa di notte è deserta.
Le ragazze israeliane
in vacanza studio parlano sommesse
nel loro inglese stentato
di un amore mai nato.

Un'osteria come le altre.
L'insegna là fuori è spenta.
La ragazza che ci apparecchia
sciorina i soliti convenevoli
e poi
a capo chino e sguardo basso
scompare.
Un'osteria come le altre
e un ininterrotto colloquio
che cova nel proprio inconscio
campagne malinconiche e strade
non asfaltate né illuminate.

Deglutendo la saliva vigliacca,
che mi era andata di traverso,
faccio il bilancio del giorno,
mentre il cane rosicchia l'osso
e uno schianto d'azzurro mi rinnova
il mondo.
Mia pelle, mio mucchio d'ossa
altrove le contrazioni di un grembo
porteranno alla luce un futuro assassino!!!

So a memoria
come la forma
delle mie mani
di questa curva
smisurata di cielo
che culla dolcemente
le colline già in fiore.
Il trucco
che ognuno impara da solo
è fissare un punto qualsiasi
nell'indefinito.
E ricominciare così
di volta in volta..
ad libitum.

Gli aghi di pino
alla finestra
portano il segreto
di un vento nuovo.
I miei occhi combaciano
con le labbra esili
del mattino
e ammiro
con malcelato disincanto
l'anatomia di ogni nuvola.

Nei deliri
ero perseguitato e
le telecamere sembravano
spiare i miei gesti.
Non mi fidavo più,
nemmeno di me stesso.
Scrivevo messaggi allucinanti.
Il mondo là fuori
era una minaccia costante.
Almeno così sembrava.
Che tu sia maledetta noia
che rechi il desiderio
in improbabili approdi !!!
Il cervello alla fine
del giorno era stanco
di girare a vuoto e
nel sonno ricaricava la memoria.

Le tortore accovacciate
sui fili della luce,
di tanto in tanto
scendono in picchiata
sui girasoli.
Io me ne sto
a crogiolarmi al sole,
a cogliere l'interezza
di un io frammentato,
che travalica se stesso.

Cammino, cammino
sui lungarni,
rasentando le spallette
del fiume
e guardando
gli antibecchi
del ponte,
che ripartiscono
le acque dell'Arno.
Sarebbe magnifico
se il battito del mio polso
per un istante
si accordasse al ritmo del mondo.

Questo parco
è un intreccio di melodie
e di canti delle più svariate
specie di uccelli.
Questo parco
ha quel tanto
di pioggia che basta
a saziare le radici degli alberi;
quel tanto
di taglio di luce che basta
a rigenerare le foglie e i rami.
E' qui che sono cresciuto.

C'è una ragazza che passa.
Ha un tatuaggio sul braccio
e ogni volta che parla
con l'amica
escono fuori parole
come ponti di colori.

Vuoto immenso
nel cielo
prendimi
e con me i miei aneliti;
annullami
in quelle striature di grigio,
in quel vagheggiare senza tempo;
cancella
per un amen
il mio respiro
e poi ripristinalo,
perché la sua cadenza
diventi per un attimo solo
un canto silenzioso
da porgere alle cose morte.

Ci sarà speranza
fino a quando attenderai
la solita gazza ladra
sul solito ramo di pino
a Primavera.

Prendo un treno
Per una città lontana;
una città
che non significa niente
per me.
Una città anonima,
connubio
di civiltà,
illusioni momentanee,
slogan pubblicitari
e barbarie.
E gli occhi
che mi sono attorno
non sono nulla per me
ed io non sono nulla per loro
e l'estraneità mi rende libero.

"Finché spari alla luna
c'è ancora un po' di amore"
e dopo aver detto questa frase
se ne va via ridendo,
occhi tristi d'Inverno,
perde l'eco dei suoi passi
sulle scale.
Domani sarà giorno di mercato
e di bisce al sole.

La siepe, l'orto, la calce,
e tutto il mio essere
e tu piuma
volteggia e cadi
sulla tela
di un ragno morto.

In questo dissesto mi assesto,
mentre c'è chi prolunga sbadigli
e chi balbetta bisbigli.
Ci salveranno le intenzioni,
le coincidenze
o le nostre viscere.

Reticoli di sinapsi
chimiche ed elettriche...
l'autocoscienza
corre nei labirinti
dei neuroni. Come
atomi di sabbia al vento
le nostre velleità
e digressioni.

Esili ciuffi d'erba
hanno pernottato
nell'esilio della tempesta.
Dategli mille fermagli
al sole per riassettare
tutto il creato,
mentre trame di trecce
sorridono ai passanti
e la luce dell'arcobaleno
mira l'incavo della mia mano.

Quell'uomo nel vicolo
vive solo
di croce e di pane.
"Non si può non essere
cristiani" sosteneva Croce.
Quell'uomo
si nutre ogni giorno
del fosforo dei libri
e piange
sul cadavere
di quel che è stato un tempo.

In definitiva la civiltà è questo continuo
trattenere gli impulsi,
ma a noi
non resta altro che farci graffiare
dall'autodistruzione,
lenta ed inesorabile.
E' lei che ci affascina e ci ammalia,
sirena dalle mille voci incantevoli;
è lei che ci pervade e ci annichilisce,
tarlo che rode l'animo,
giovinezza che incancrenisce.

La gola getta suoni nell'aria.
Parliamo sempre,
con la nostra voce interiore
anche quando leggiamo,
anche quando dormiamo.
Parliamo sempre.
E se la parola è il fiore della bocca
la fitta rete di rimandi di una frase
talvolta è una corona di rose,
che si apre e si chiude sull'inesplicato.
Sarà un momento come un altro,
il pensiero cadrà
in letargo e si aprirà un varco
tra parola e parola,
e lì al confine di una pausa del discorso
o nel mezzo di un deittico
troveremo
il senso segreto di una sera.

Non resta che guardare
le persiane chiuse
o la crepa sul soffitto.
E' questa insonnia
dove ogni abbaglio di idea
accelera e invano si intensifica
fino
all'ultima quintessenza spicciola
di metafisica.

"Deus sive natura (naturans)"
mi ripeto mentalmente e non
potrebbe essere altrimenti.
Ma la cifra trascendente
in un dettaglio di natura
non giunge a destinazione
nel pianeta sconosciuto
della mia peregrinazione.
Sarà uno stormire di fronde
o uno sguardo che abbraccia
un panorama? Oppure la visione
della campagna dall'abitacolo
della macchina?

Sono qui,
luce fioca che filtra dalla mia stanza,
che scrivo inutilmente impoesia
contro la poesia senza alcun senso;
sono qui, sagoma che non riconosce
il suo profilo né la consistenza delle cose,
a chiedermi incessantemente:
se - come sostiene Lacan -
l'inconscio è strutturato
come un linguaggio riusciremo
ad imparare malamente e lentamente,
l'alfabeto di simboli
che ci trasciniamo dentro?

In un luogo imprecisato dell'animo,
quando ridisegno me stesso
nella tela della mente,
fa e si disfa,
disfa e si fa
e di nuovo ed ancora
punto e a capo,
in un continuo e caotico alternarsi,
l'incedere del tempo.

"Trovare il buco alla conca"
mi dici. Come se fosse facile,
qui ed ora, non sapendo nemmeno
dove inizi e finisca questa
benedetta conca.
Poi le strade, gli alberi,
l'orbita del cielo,
e noi che sfioreremo sempre
il centro ignoto
delle nostre divagazioni.
Sorridi allora per un istante
solo e scalcia con un urlo
la polvere della quotidianità.

E' un paesaggio di pianura
che riannoda gli interrogativi
con i dubbi.
Le cime ricurve degli alberi,
perfino i fusti sotto il giogo
del vento,
fanno perdere le coordinate
dell'abitudine.
C'è di più e di meno
della logica
in tutta questa amalgama
di espedienti della natura.
Qualcosa di inspiegabile,
una voce che ha una sua
musica interna, una vocazione
inconfessabile
che inizia dove finisce la ragione.

La strada è colma
di saliscendi e tornanti.
E' fiancheggiata da dei pini,
le cui radici
creano crepe e rigonfiamenti
nell'asfalto del ciglio della strada.
Salendo l'aria diviene rovente
e non si ode più il canto degli uccelli.
Solo un silenzio irreale,
che fa dimenticare l'amore
ed invoca la morte.

Finito il rettilineo
la strada si snoda
tra le colline.
Ormai è un sentiero accidentato,
fatto di dossi e cunette.
Arrivati spegniamo la macchina
e ci fermiamo a guardare
il viaggio di andata e ritorno
del tergicristallo,
che smista le gocce di pioggia
di questo temporale primaverile.

Porto in giro
il mio odore di animale,
dove i fendenti del vento
possano spargerlo nel mondo,
perché c'è sempre qualcosa
di noi che va oltre il messaggio
ed il contenuto.

"Ti dissi che ci saremmo rivisti.
Ti ricordi quella stanza ?
E quella stampa delle ninfee ?
Dove vai ora ?
Dove ti portano le tue idee ?
Pensi ancora o vivi soltanto ?"
E dovrei ancora rispondere
accuratamente
ed elencare le mie vicissitudini
per poi rimestare in silenzio
quel che c'è stato dato
quel che c'è stato tolto
di volta in volta,
di fiato in fiato.
Un cane randagio
scodinzola al primo passante
e la luna tra i tetti
modula la sua luce d'avorio.

Strisce di sole
albergano
in un mattino d'Inverno.
La brina e il gelo
avvolgono
fiori, rami e campi.
"D'accordo siamo a metà strada
tra il nulla e Dio,
ma non pensare a me
che sono un pensiero
già pensato, un sogno
già passato."

Chi è più solo
di un bambino,
che ascolta
il coito
dei genitori
nella stanza accanto?

Sangue che si aggruma,
capello che schiarisce,
tramonto che scolora ?
Sei sempre lì
nell'afasia del risveglio,
nell'amnesia di un tic.

per la mia barba di due settimane,
per la mia pelle e le mie palpebre,
per le mie gambe che solfeggiano il suolo,
per questa mia fibra di capello
che ho perso
la misantropia
controlla ogni mia mossa
e la disarmonia
della strada intona l'alba.

In un vibrio di fronde assolate,
in un gioco d'ombre dentellate,
pietra senza monte né greto,
spina senza roveto.

Perché io distrugga e crei,
getti scompiglio tra le rose,
e scomponga e mi ricomponga
in uno scompartimento di un treno
e fortifichi la mia scorza
melodia fischiettata
firma queste gocce di pioggia.

La finalità
dei cinque sensi
è integrare
incessantemente
ininterrottamente
stimoli disomogenei
(accartocciarsi su se stessi
per divorare tutti i nessi).
La terapia
è questo rinnovarsi
nei miasmi degli orgasmi
per poi sterminare
sensi di colpa
e rimuginare tutti interi gli alibi
al confessore d'occasione.
Tutto tace. Dì al nemico
che abbiamo scelto
la non appartenenza
ma resta la genesi
dei nostri pensieri in fuga.

Nel fondo del mio astratto
ti contemplo stagione
di ripari dalla pioggia
e di richiami del freddo,
per scuotere senza posa
l'orizzonte nel mio orizzonte.


Ciclotimia
Di questa trafila di giorni non rimarrà niente:
luci ed ombre dell'animo, pieni e vuoti della mente.

Un tempo ai turisti stranieri, al primo colpo
d'occhio dalle stazioni, l'Italia appariva come
il paese degli aranci e dei limoni. Un tempo,
poi cambiarono i colori.

Miracolo di parole come ponte sospeso sul vuoto,
miracolo di parole che prolungano la vita
di chi è sommerso dalle macerie del terremoto.

Firenze, né madre, né amante, né sposa,
piuttosto una signora altera e sdegnosa;
non più la Firenze di anemoni e gigli,
ma quella sempre più lasciata a se stessa
dai suoi figli.

"E' inutile - lo sai o non lo sai- cercare
la felicità senza trovarla, perché sarà
lei a trovarci senza cercarci e si poserà
su di noi brevemente". Poi l'amico sbronzo
si accasciò al suolo e guai a chi cercava
di rialzarlo dalla polvere e dall'odore di asfalto
bagnato.

Nel dormiveglia della corriera
un susseguirsi di immagini,
un andirivieni di fotogrammi:
un riassunto di questo viaggio
di andata e ritorno tra l'io ed il mondo.

Un cimitero in riva al mare,
sovrastato da un arcobaleno dopo un temporale.

Chi vede l'alba
malata
è morto dentro.

Dopo essere stato in casa
per migliaia e migliaia di attimi
tremò come una foglia al vento,
mentre prendeva un caffè, di fronte
a sguardi estranei. Così estraniato
che si sentì uno straniero.

Pensieri, un tempo ritenuti immortali,
ora seppelliti in un viale alberato di pini.

Speranza ed attesa,
nostre uniche consolazioni,
mentre cerchi concentrici
si dissolvono nell'acqua.

Tu porgi il tuo sorriso sull'ombra
di quel piatto e sull'orlo della tazza
e di quel che eri, io scaccio dalla mente
le parole facili.

Io sì che sputerò sangue
e mangerò fiele ma tu stai attento
che sono una brutta bestia, che non
puoi ingabbiare in una cella del tuo alveare.
Tu sì che sei bravo e sicuro, ma ricordati
che è facile essere tali quando la discussione
non è democratica... quando la gerarchia
e le regole stanno dalla tua parte, mentre invece
la logica dalla mia. E ricordati: puoi anche dire
che non sono equilibrato, ma se sai che me ne faccio
di un equilibrio di superficie ? Sono un poveretto con

delle smanie di grandezza forse perché non credo
all'arroganza della tua pseudoscienza?

Un giorno smetterò di scrivere
queste cretinate e forse sarò una persona seria.
Adesso non mi occupo di niente, mentre sento
sferrare calci da mulo- quale sei- nella parete della
stanza accanto. Ricordati: quando si fa una guerra
vince uno solo, ma ci rimettono entrambe le
controparti.

Catturare la vita?
No.
Fermare ogni tanto
un pensiero
e fare in modo che
non diventi un'idea fissa.

Quanto e quale rumore di fogli
appallottolati nel cestino
perché se ne venga fuori
all'improvviso l'onda d'urto
di un maledetto simbolo.

Il mondo - mi dicevo- deve
essere un panottico, il cui grande
carceriere deve essere Dio o il caos.
Il sole già alto era solo un gioco di sponda
tra l'alba ed il tramonto.

Un lapsus
uccise
il potere subdolo
degli oroscopi e dei sondaggi.
Un raptus
e l'ultimo pazzo in un mondo di sani
fece una strage di televisioni.
Bambino di silicio,
uccidi anche tu la tua televisione!!!!

Bastarda sera inghirlandata a grande festa
e tu smettila di giocare con quei ninnoli
e non riprendere quel discorso interrotto
che è un vicolo cieco, perché la mente umana
per me frantuma le cose. Ritorniamo alle cose
semplici.

Vuoi forse andare oltre le formalità e le
ipocrisie
ed i sorrisini falsi o di circostanza e delle mani
sudaticce che stringono altre mani per convenienza ?
Vuoi forse
fregartene della tracotanza e dell'apparenza ?
Vuoi forse andare alla sostanza? Sei un pazzo!!!
Fai come la maggioranza: non ricercare l'autenticità!!!
Quante persone che conosci pensi che siano disposte
ad intraprendere un viaggio che così difficile,
ma che porta così lontano?

Me ne sto da solo
e non ho voglia nemmeno
di alzare la cornetta del telefono
per sentire una voce amica.
Me ne sto da solo
e non cerco un senso alle luci smorzate
di case lontane,
e non conto i pensieri sul cuscino
e non cerco inutilmente i confini dell'anima.
Me ne sto da solo
e non voglio nemmeno che
lame di luce filtrino dalle imposte delle persiane.

Vai da loro che hanno macchina e lavoro
e non cercano di descrivere con formule vuote
il mondo.
Io non ho ancora la luna nel pozzo e penso
di avere le mie carte da giocare; ma se non ho niente,
imparerò a bluffare in questo gioco dalle regole
assurde.

Dobbiamo muoverci, dobbiamo viaggiare,
non ci si può fermare, possiamo stare nel vortice
e non stare mai male, possiamo andare in alto e
no non avere vertigini, possiamo andare nel fondo
più fondo di questa bolgia infernale e non avere
nessuna paura
della voragine dell'anima. Dobbiamo
muoverci, dobbiamo viaggiare, dobbiamo parlare
senza stare a guardare da quale bocca esca una
scheggia impazzita di verità.

Membrana impermeabile,
frattura insanabile,
corpuscolo del cosmo,
filamento sparpagliato nel tempo,
energia incatenata in materia,
energia sprigionata in materia,
di passaggio sul pianeta Terra.

Libertà senza giustizia,
giustizia senza libertà,
religione senza scienza,
scienza sena religione:
queste le conclusioni
della mia ragione.

A volte si ha bisogno
di starsene soli, ma starsene soli
troppo a lungo, è un peso opprimente,
un'ombra sul cuore. E le spire diafane
della mia sigarette si alzano lente
ad incontrare l'ultima luce.

Rimanere inespressi o esprimersi in
clandestinità...
Cacciare un urlo da pazzi o lasciarlo dentro fino al
punto di rottura, che è diverso da individuo ad
individuo. Aprire
la porta dell'abisso, ma fermarsi sull'orlo
del precipizio... ed esprimersi... e se tutto è già stato
detto
noi no non ci stancheremo di ripeterlo.

Che cosa cerchi in quel che chiamano amore?
Un'esperienza totalizzante? Un porto sicuro,
che ti ripari dalle mareggiate? Un talismano,
che scacci la paura della solitudine? O sei solo
legata alla catena indissolubile dell'abitudine?

Dalla culla alla tomba questa luce,
questo cielo, che ti rimane dentro ovunque vai.
Questo cielo, così vicino agli occhi, a colline e
pianure, a questa terra di poggio.
Questi tramonti, queste sfumature accese dei tramonti,
che sulle rive dell'Adriatico non vedi e non vedrai
mai.
Questa luce che spiove da chissà quale pertugio.
Questa luce che spiove... non si sa da dove.

Me ne vado anonimo e solo
sotto la luminaria delle stelle..
e se meteora o cometa, tutto ad un tratto,
trafigge il cielo, anche i vecchi agli ospizi
si sorprendono, anche le ragazze superbe
affacciate al balcone alzano gli occhi al cielo
e scompigliano le loro chiome. Ma io me ne vado
anonimo e solo e indifferente e no non mi curo
di niente.

Andiamo, andiamo a ballare
che fasci di luce ci insegnano il locale.
Andiamo, andiamo a ballare
che ci saranno orli di gonne da sfiorare.
Andiamo, andiamo a ballare
che qualcuna si farà approcciare...
e se ci andrà male i baci altrui staremo a battezzare.
Andiamo, andiamo a ballare
che lo scirocco porterà via le nuvole
e stanotte la luna si sposerà col mare.

Se qualcuno si mette a sedere sul capitello
del terrapieno dell'argine per pensare... se poi
si incammina e si sporge troppo sulla sponda del
fiume tu non lo puoi condannare. Chi non ha mai
chiesto al fiume l'oblio ? Chi non ha mai chiesto
un'evocazione ? Se qualcuno se ne sta in disparte
a pensare tu non lo puoi condannare e non gli puoi
augurare galera, manicomio od ospedale. Con te
non si deve assolutamente giustificare... tu no che
non lo puoi condannare.

I cani latrano nel canile e ringhiano
con la bava alla bocca ed abbaiano
alla luna e alle ombre dei rami mosse
da quel matto del vento, ma non si strozzano
mai alle catene come i loro padroni.

E se l'uomo è un manichino?
Se è un automa?
Se è un ingranaggio di un meccanismo senza senso?
E se la natura è morta?
In fondo a te Signorina Giovinezza, baciata
dalla bellezza, se la natura è morta...
che te ne importa?

Comari sbirciano indiscrete tra le tapparelle
abbassate. Se sia per ignoranza, noia o curiosità
morbosa questo non lo so. Ma un giorno taglierò
radici e me ne andrò.

E oltre questi filari, questi tralci di viti,
danza macabra di foglie riarse e calpestate
e cadaveri di fiori di campo e di colombe.
E oltre mille volte morte
di rose non colte e di steli senza rose.

Il canto del motore e il sillabario indecifrabile
di insegne al neon e le sigarette sul cruscotto e il
finestrino aperto e la brezza in faccia che è una
ruvida carezza che ti fa sentire vivo.

Se vado fuori
vedo solo scheletri
che camminano e ridono
invece che uomini in carne ed ossa
invece che esseri viventi di nervi e viscere.

Le tue parole nella mia mente
risuonano distanti, trasportate da
un'eco smorzata. E non c'è un alibi
e nemmeno colpa. La tua fortezza
è inespugnabile. Non sono né vittima,
né carnefice. Tutto è accaduto
involontariamente,
inconsapevolmente.

Tra l'etica e l'estetica
scelgo di ascoltare la radio di notte.

Non sono io che scelgo queste parole,
sono queste parole che scelgono me.
Vorrei che questa terra e questo cielo
e questo mare e questo sole fossero
per un attimo la mia terra ed il mio cielo
ed il mio mare ed il mio sole. Non voglio
saper scrivere. Ma vorrei che questo mio
scrivere fosse tutto intriso di me.
Non sono io che scelgo queste parole,
sono queste parole che scelgono me.

Le scie traslucide di lumaca
non sono che tracce labili
tra i prati e le radici aggrovigliolate.

Notti bianche all'ora del lupo,
notti insonni, notti dell'anima.
Ascolta la notte con i tuoi soliti
abituali rumori... resisti a tutto
se riesci a covare le tue notti insonni..
ascolta la tua notte.

E' l'apice della civiltà e dell'inciviltà
dell'immagine.
E' l'apice dell'evoluzione e dell'involuzione dei
costumi.
E' l'epoca dei chirurghi estetici, dei personal
trainer,
dei dietologi che sconfiggono le maniglie dell'amore.
E' l'epoca dei d.j e dei p.r, l'epoca dei calciatori
miliardari
e di oche rifatte. Che sia la lente deformante
della mia ciclotimia? Che sia un mio disturbo
dell'umore
o la stupidità regna sovrana ed incontrastata?

Come una capocchia di cerino ormai consumata.
Come una capocchia di cerino ormai bagnata.

Nelle notti d'Inverno
i pescatori vanno a pescare le cee
nell'Arno. Le anguille dal mare ritornano
al fiume per depositare le loro uova .
Le cee devono essere protette,
però mangiamo tutti le cee.
Le cee devono essere mangiate,
però tutti vogliono proteggere le cee.
Povero mare, povero fiume, povere cee.

Io non so se rivoluzione o rivolta,
se labirinto o deserto, se artefici
del proprio destino o gocce nel mare.
E forse quel che manca attorno a tutti
è il mistero e il mito e l'ozio. Perché dimmi
se ci sono più i poeti a braccio, i cantastorie
e le veglie ? Non ti meravigliare se ti crescono
le macchie sulla pelle.

Se esco e vado da solo al cinema
da scongiurare è l'intervallo tra
il primo ed il secondo tempo, se esco
e vado da solo in vacanza da scongiurare
sono quegli alberghi e quelle pensioni
che fanno sconti alle famigliole ed alle comitive.
e maledetti loro non hanno mai una stanza singola... E
allora... che fai ...
dormi sotto i ponti o accetti una stanza
singola adibita a doppia ? Se esco e vado da solo,
mi sento libero e non soffro mai la solitudine.

Tutto questo saliscendi di tornanti,
questa sinusoide di umori altalenanti,
questi picchi repentini ed improvvisi di alti e bassi,
queste vaghe reminiscenze di serenità.
Ma tutto sommato preferisco il labirinto
del mio mondo al deserto del nulla.

Io non conosco che un solo guado: quello
del ponte alla ferrovia... in questa conca.
in questo entroterra... che trasuda di umidità
e noi a ridosso dell'Era che si getta in Arno,
e noi a ridosso di questa torbida acqua di affluente,
che vuole sposare e sporcare il mare.

La mia purtroppo è una ninfa senza
nicchia che dorme nei cassonetti della spazzatura,
è una musa ostile senza museruola e di tanto
in tanto, si perde ubriaca e fumata nell'alcova.
E inutilmente al tabernacolo del rimorso
si pulisce le suola e poi strafottente chissà
dove si invola. Ah !! La mia musa senza museruola!!!

Ma chi l'ha detto che la carnalità sporca l'anima?
C'è scritto forse nei Vangeli? Ma l'Italia è il paese
dei falsi preti e di conseguenza anche dei figli dei
preti.
Che la chiesa ci lasci almeno il sonno e l'orgasmo,
a noi che assaporiamo la morte solo nel sonno e
nell'orgasmo.
Nel sonno assaporiamo brevemente lo stato,
l'immobilità. Nell'orgasmo assaporiamo la piccola
morte,
l'atto del morire.

Un vecchio barbone non faceva che
sussurrare agli orecchi dei passanti:
" l'università della vita è la strada".
Io non sapevo se piangere o ridere
come un matto di fronte a tanta saggezza.
E i passanti noncuranti andavano, andavano,
andavano... ma verso dove (mi chiedo io)?

Ma il vento e l'acqua
scavano
ancora
tra le rocce
con sibili
taglienti
e radenti
gocce.
E rose
selvatiche
fioriscono
ancora
tra aride
pietre.


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