Racconti di Rosa Giusti De Ruggiero


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Leggi le poesie di Rosa

19.10.2020 ore 24:10
Snervante
Snervante per te, i cui nervi a pezzi ti fanno vedere forse le cose più gravi di come lo sono
realmente.
Ma se solo qualcuno capisse il tuo animo, lo stato dell'animo tuo, ferito, ammalato, spossato,
potresti sentire il dolore alleviato, la gran sofferenza ridotta a metà.
"Il sazio non crede a chi ha lo stomaco vuoto". Il ricco non sa cosa sia esser povero.
"Eppure sei ricco, perché son povero io".
Si nasce davvero con la bianca camicia? Fortuna e vantaggi per tutta la vita
che impregnano addosso certi uomini e donne mai ostacolati e mai fermati.
Io non credo affatto che dipenda da noi tutta la successione della nostra esistenza.
Il tempo e il caso, le circostanze, l'estate e l'inverno ci spruzzano addosso
calore o gran gelo che influenzano il cuore, la mente ed il colon.
É così che cambiamo, che ci trasformiamo in bestie feroci o in vittime deboli,
innocenti indifesi che non devono invece mai lasciarsi andare.
Arriva la fine, noi non siamo abbienti e ci manca persino un orecchio
che ascolti parole che nessuno, però, che ha tutto e di più e che fa spallucce
navigando nell'oro, é pronto a un aiuto per farci virare e continuare anche noi a navigare.
Che vuoi o che puoi aggiungere ancora a questo lamento inutile e vacuo per chi tiene tutto,
senza eccezione?
Rassegnati, calmati, fallo da solo e spera soltanto di riuscire a dormire!


Non sono un tulipano
Non sono un tulipano, io sono un girasole.
Ogni fiore é un incanto, ma il fiore dell'estate dice tutto per me.
E, come me, si volta e, di poi si rivolta per dire al sole suo
tu sei l'amore mio, la mia mamma, il papà, i miei fratelli, tutta l'intera mia famiglia che con il suo calore, mi tiene in vita a lungo, bello radioso giallo, alto sfarzoso allegro, regala ilarità, e gioia di voler vivere.
Ma poi come ogni fiore appena la stagione del buon riposo annuale, del solleone va, te ne vai pure tu lasciando dentro il cuore di ciascuno di noi un gran magone oscuro, quella malinconia dei giorni senza luce, senza tempo. Così vado a dormire, me ne scendo in letargo, vado nei bassi inferi a offrire conforto. Ma non ti preoccupare che presto tornerò. Il tempo con lo spazio son relativi anch'essi; il seme del mio fiore, simbolo del mio amore, in breve rivivrà ed io insieme a lui fino al giorno del no, quando non potrò più ché la forza maggiore mi toglierà il respiro e a mo' di ricompensa, riceverò la gioia di diventar davvero il mio bel girasole.


Coronamorte                                 21.03.2020 ore 00:30
Mia madre ci portava nelle case in cui ci stava un morto ancora a letto, con leggerezza, eppur con serietà, per darci già l'idea che, oltre alla vita, c'era la parte opposta alla medaglia. Per me che ero piccola sembrava tutto normale, giusto, naturale. Grazie a mamma e anche al mio papà, non ho mai avuto, come tanti altri, la paura, il terrore della morte. Siamo di Napoli, tra Chiaia e San Ferdinando e, si sa che lì da noi, tutto finisce dopo una lite o una vera guerra, a tarallucci e vino per poi cantare, chi ha dato, ha dato e chi ha avuto, ha avuto. La positività e l'allegria, l'ironia insieme a del sarcasmo, mi hanno sempre donato assai coraggio nei momenti più duri della vita. Ma adesso col Coronavirus qua, provo timore, non per me da vecchia, ma per i figli, per le nipotine. Soffro anche per chi mi é estraneo, sconosciuto. I colpevoli di reati disumani, i mostri, i veri rei, quelli, quando scompaiono, non toccano. Ma gli innocenti, uguale a quale età, lasciano il vuoto, il dolore e la pietà. Mia madre ogni giorno ricordava la sua, che solamente a cinquant'anni mise le ossa al fresco per nefrite così che mamma mia temeva sempre di morire sí giovane, sì bella. Eppure lei purtroppo in anni '80 mi morì a soltanto 70 anni... Che ingiustizia per me, perchè era buona, generosa e amava tutti quanti! Conosco chi non era e non sarà mai come lei, eppure vive ancora. Forse chi é più attaccato saldamente alla terra e alla vita, riesce a sopravvivere a ogni costo. Mia mamma quando ebbe quell'attacco, quel secondo suo ictus, era in sè. Non volle esser portata via in barella e disse chiaro e tondo con fierezza: "A morire ci vò sui piedi miei"! Dov'erano i dottori, gli infermieri che si prendesser cura di un paziente in quel momento tanto bisognoso? A festeggiare ancora il Buon Natale e non si presero cura di mia mamma. Se volevano, l'avrebbero salvata, ma vedendola sobbalzare dentro al letto, senza farle nè esami, né prelievi o visite dovute, come dissero poi al mio papà, "Credevamo soffrisse solamente di epilessia." e non aggiunsero altro. Ma pensarono ben di continuare a brindar tra di loro da sfrenati, a quei giorni di festa in cui volevano soltanto trastullarsi, rimpizzarsi e giocare al bingo o tombolella. Che differenza con gli eroi di oggi che danno vita e anima ai malati, lavoran senza tregua giorni interi per salvare le vittime del Covid! Meritano rispetto e comprensione. Sono gli eroi di tutta la nazione!
 


I maccheroni del cane               29.10.2014 ore 8:30
Tanto saranno pure morti ormai...
Erano già vecchi allora.
É martedì. É pomeriggio inoltrato. Ogni giorno lui si ritira da lavoro almeno due ore dopo. Oggi é venuto in anticipo e vuole essere subito servito a dovere, come sempre.
Senza dire una parola, lei vede solo lo sguardo del terrorista e comincia a tremare.
Per fortuna, trova la soluzione per non sentirlo sbraitare e non venir picchiata.
Prende i maccheroni al forno rimasti da domenica, quelli che aveva messi nella ciotola del loro canone (cane grande), li riscalda e li presenta nel piatto d'argento, (si fa per dire) davanti al suo (si fa per dire) amato maritino.
Lui li mangia affamato senza nè olfatto nè gusto, con grande avidità, il tutto accompagnato da abbondanti innaffiate di vino rosso, si sdraia sul divano e... dopo alcuni minuti, ecco la reazione.
Mal di stomaco, mal di pancia. Dolori laceranti per tutto l'apparato digestivo, nausea, vomito, diarrea. Per sotto e per sopra fuoriescono maleodoranti sostanze che lo fanno andare quasi in coma.
Telefonata al dottore - ambulanza - ospedale - lavanda gastrica.
"Che cosa è successo?"
Si domandano i dottori.
"Che cosa ha ingerito, ha mangiato di tanto nocivo da portarlo quasi alla morte?" La povera moglie si chiede perchè non sia successo che lui veramente morisse. Quel poco di buono, violento, insolente e dittatore non avrebbe tolto nulla a nessuno mettendo le spalle al fresco, togliendosi dalla scena. E invece l'orco sopravvive e si riprende bene dall'avvelenamento involontario, mai rivelato a nessuno.
Solamente alcuni anni dopo la povera donna comincia a raccontare alla sua famiglia il malefatto ben fatto. Ed ecco che lo apprendiamo anche noi e, ci sbellichiamo dalle risate tutti, perchè conosciamo il malcapitato ben capitato. Sappiamo che bello insopportabile carattere abbia, che "ben gli sta" a uno come lui venir giustiziato da chi ha fatto soffrire più di qualsiasi altro nella lunga vita insieme. Potrebbe essere un'idea da far venire a certe mogli, a quelle povere donne che non hanno altra via d'uscita oltre alla vendetta con le proprie mani per liberarsi dalle quotidiane torture, fisiche e mentali, del carcere a vita.
Tanto la giustizia resta un'utopia e, finchè muoiono questi sporchi porci di mariti assassini, ce ne vuole di tempo e puoi sognartelo che accada, solo di notte, neanche ad occhi aperti, come un daydream.
Infatti quella poveretta morì di crepacuore, in una notte stellata, a soli 58 anni.
Lui raggiunse la veneranda età di 95 anni rendendo impossibile la vita della povera nuora, torturandola notte e giorno come aveva fatto con la sfortunata consorte.
Quando si dice, i malvagi vivono a lungo, si dice la verità.


03.09.2018 ore 23:11
Berta mi raccontò

Berta mi raccontò che a lei avevano insegnato che i negri erano cannibali, che erano pigri, che volevano solo vivere alle spalle degli altri e puzzavano. Ma se ne era ricreduta quando ebbe a che fare con loro.
Berta mi raccontò che le avevano insegnato che anche gli ebrei fossero cannibali e che mangiassero i bambini. Ma non ci potè credere mai, perché lei era cresciuta con due famiglie ebree suoi vicini e visto come queste famiglie fossero bravi amici, tutti normali come lei e la sua famiglia.
Berta mi raccontò che un giorno le proibirono di conversare con gli ebrei suoi vicini e, in seguito, che doveva rivelare dove si trovassero adesso, dato che erano scomparsi da casa..
Berta mi raccontò che lei sapeva dove fossero le due famiglie, le quali nel frattempo si erano nascoste per non essere arrestate dalle SS, ma non ebbe il coraggio di svelarlo.
Berta mi raccontò che, pur sapendo a cosa andasse incontro nel tacere, nel mentire per salvare esseri umani come sé stessa, lo fece con tutto il suo cervello e tutto il suo cuore.
Berta mi raccontò questo ed altro, perché ero una sua vicina e non ero tedesca. Ero una "Ausländerin"(vocabolo dispregiativo), straniera per lei, ma ci teneva per me. Io a volte le facevo volentieri compagnia, perché era vedova e viveva da sola. Provavo simpatia e empatia per lei, pur non avendo molto tempo libero. A casa avevo due figli e un marito e un lavoro extra.
Berta mi raccontò che non aveva mai parlato con nessuno prima d'allora del suo segreto di ragazza.
Berta aveva 65 anni.

A un oppressore             16.01.2018          23:40
Quanto vorrei vedere la faccia che farai quando tu scoprirai
d'essere tutto finto, dalla testa fin giù ai piedi, dalla destra alla manca,
per me!
Questa é la conclusione.
All'inizio giammai ti avrei creduto falso, con cento facce,
menzognero e viperesco.
Credevo fossi sincero, spontaneo, onesto.
Perché sai fingere una religiosità che chi non ti conosce crede reale, autentica, senza
sapere che essa é solo apparente.
Poi pian piano, quasi incredula, vidi la grande falsità nei tuoi occhi,
nelle tue espressioni, nei momenti di intimità, giorno e
notte, con gli amici e non.
Tante chiacchiere inutili, tante contraddizioni, perchè avessi ogni volta tu le buone
ragioni per alzare le mani addosso a chi volevi tu, a chi a genio proprio no, non ti andava.
Anche senza reazioni alle provocazioni, sia a tavola che in poltrona, davanti alla tv, per
strada (dove, per evitare le tue improperie, camminavo dietro di te),
o, addirittura in chiesa!
Non guardavi in faccia a nessuno e non rispettavi nessuno, perdevi padronanza e cacciavi
fuori tutto intero il diavolo in agguato in te, ventiquattr'ore su ventiquattro, la personalità
che però nascondevi bene se ti faceva comodo per ottenere favori o, per paura di essere
sopraffatto da chi é più forte di te.
Fosti capace addirittura in un'occasione di alzare le mani su un vecchio di ottant'anni solo
perché ti aveva, con rispetto e gentilezza, un po' contraddetto.
Mi chiedo ancora adesso, dopo quasi cinquanta da che noi ci sposammo, di cui insieme
venticinque, come abbia fatto io sempre a trattenermi, a non reagir d'istinto.
Non é nella mia natura il reagire con la stessa moneta a conflitto. Voglio solo la mia pace.
Questa é l'unica spiegazione che ho del mio comportamento.
Ti ho sempre perdonato fin a circa due anni fa.
Mi hai fatto un male immenso che son sicura e certa, neanche l'Iddio tuo,
potrà mai perdonarti.

Gallo e gallina    12.11.2012
Una volta una gallina andò a trovare un gallo solitario
che non aveva più voglia di razzolare con tutte le gallinelle del pollaio.
La gallina di nome Nalliga, era meravigliata dalla strana condotta del gallo,
fino ad allora molto carino e attivo con tutte le sue amichette.
Loga, il gallo, si mostrò infastidito di questa visita.
Non aveva alcuna voglia di parlare e restò muto per le due ore
di presenza di Nalliga.
Non le offrì nemmeno due chicchi di grano, come di solito si fa con gli ospiti.
Alla fine, Nalliga, non sopportando più il silenzio del gallo,
gli gridò nelle orecchie proprio come solo una gallina sa fare:
"Cocò, cocococò, cococò, cocococococodè!"
che tradotto vuol dire:
"Adesso ci cerchiamo un altro gallo e ti mandiamo in pensione."
Il gallo fece un salto doppio, la fissò per qualche minuto,
accigliò gli occhi e ribattè con quanto fiato aveva in gola:
"Chicchirì,chicchì, chicchì, chìcchicchicchicchì!"
Che reazione inaspettata per Nalliga!
"Voglio soltanto un po' di relax. Non capite che mi stancate
ogni giorno con i vostri strepitosi chicchirichì?
Ma mai e poi mai permetto il tradimento!"
Loga non aveva nessuna intenzione di lasciare il suo terreno e le sue galline a un estraneo.
Così, tornò subito, su due piedi nel pollaio, impettito come non era stato mai e...
si trasformò in un leone infuriato che sottomette tutte le sue prede, Loga tutte le sue
pollastrelle, facendole fare di nuovo l'uovo giornaliero, come ci si aspetta da ogni bravo
gallo che si rispetti.

Di te                           15.02.2017 ore 2:50
Di te nessuno ebbe mai pietà. Il loro stomaco era sempre pieno.
Tu spesso a letto andavi senza cena. A pranzo c'era stato poco o niente,
giusto appena a riempir lo stomacino di una femminuccia esile e pallida
che la zia chiamava volentieri e assai spesso, scignetella (piccola scimmia)
per le occhiaie e il viso già scavato.
Non perchè il tuo papà fosse un pigrone. Anzi! Lui lavorava giorni intieri
di sabato e domenica persino, dormendo poco, dando tutto di sè.
Purtroppo lo sfruttavano a dovere. Così portava quei pochi pidocchi
la sera tardi e, mamma che scendeva a far la spesa per preparare lesta
un pasto caldo, si accorgeva che tu, stanca e sfinita, dormivi già all'inpiedi.
La fame era sparita, e tu volevi soltanto andare a letto e niente più.
Quante volte, sol dopo due bocconi, il palato e la gola infastiditi,
solleticavano e tu rimettevi ciò che avevi ingerito troppo in fretta.
Gli zii, i cugini stavan tanto bene, erano obesi e incrapuliti a morte,
come potevan mai capire te?
Anzi, non ci pensavano nemmeno! Avevan tanti soldi, erano avari.
E sono quelli che vivono a lungo pensando solo ai propri, egointeressi!
Se fossi deceduta per inedia non eran fatti loro, vita loro.
Quelli che son capaci di allungare i loro giorni fino ai 90 anni,
che dico, ai cento anni, son davvero i più egoisti che ci siano al mondo.
Fortuna o non fortuna, l'ingiustizia la odio e la detesto a inferno colmo,
dove certo un bel giorno finiranno bruciati dal gran fuoco, per l'eterno.

Bruno, del,Panorama a Bad Waldsee - 5 maggio 2016
Stasera sono andata a ballare nel locale gestito per ben 30 anni da Bruno.
Anche se adesso c'è un nuovo gestore, Bruno viene spesso come spettatore a deliziarsi ancora nel suo ambiente.
Durante una pausa dell'orchestrina che canta dal vivo, lo vado a salutare.
Ci conosciamo di vista da un bel po' di anni.
Finora tra noi solo "Buona sera" e "Ciao".
Stavolta, durante la nostra conversazione, gli dico che scrivo poesie e racconti e lui mi
prega spontaneamente di stilare ciò che ha da narrarmi.
La sua storia ha davvero dell'incredibile!
Nato il primo ottobre 1942 in Sicilia, il 23 dicembre del '43 bombardano la casa dei suoi genitori.
Mamma, solo diciannovenne, nonna, zia e marito, perdono tutti la vita.
Lui, Bruno, sotto lo stesso tetto, sopravvive.
Trovato da un soldato tedesco nella sua culla colpito da una scheggia alla gamba destra, all'altezza del ginocchio, gli vengono dati i primi soccorsi dal soldato stesso.
Poi il bimbo viene portato dal nonno sopravvissuto, all'ospedale più vicino.
Mi mostra dov'é la ferita, gli fa ancora male, adesso che ha 73 anni.
È ancora bellissimo a quest'età, Bruno.
Continua a raccontarsi e mi dice che, dopo tante disavventure e lotte, é diventato
maitre d'hotel.
Passando da un posto all'altro della Germania, un giorno si ferma a Bad Waldsee, nel Baden Württemberg.
E proprio in questo suo locale, gli accade qualcosa di inverosimile e di fantastico.
Una sera incontra un cantante che aveva assunto sì lui stesso, ma di cui conosceva solo le generalità e le doti canore.
Subito dopo l'esibizione, il cantante gli si avvicina e gli rivolge la parola.
Parlando, parlando, Bruno scopre che Theo, il cantante con cui sta conversando in quel momento, non è altri che?
Ebbene sì, il suo soccorritore di allora, quando non era che un fanciullo di appena un anno di vita... (ore 3:24)


Basta!      Riveduto il 19 nov. 2017 ore 23:30
Le donne appartengono a se stesse e a nessun altro.
Quando lasciai mio marito all'età di 46 anni dopo 25 di anni da infelice moglie, i miei figli mi rimproverarono di aver ricominciato a vivere e, in seguito, di aver un altro uomo accanto a me. "Dovevi restare da sola, in casa tua e uscire solamente per fare la spesa o incontrare qualche amica. Pensare a noi figli. Essere sempre a nostra disposizione". Da chiarire che, il maggiore dei miei figli aveva già 23 anni e abitava da solo, il minore quasi 18 anni e aveva la fidanzata con la quale passava la maggior parte del suo tempo libero. Quando in seguito cominciai a frequentare le sale da ballo, dove spesso ballavo da sola o con il mio compagno, mi fecero cadere il cielo addosso. "Che fai alla tua età sulla pista da ballo? Vuoi fare la ragazzina, ma sei una vecchia". Avevo 50 anni. Ne dimostravo almeno 15 in meno e, secondo loro, dovevo aspettare già la morte dietro la porta. Dovevo immolarmi al destino di essere una semplice donna. Per fortuna, adesso che ne ho quasi 70, non dicono più niente. Hanno capito o, cercano di capire che ballare fa bene alla salute fisica e mentale. Nel frattempo mi sono dedicata alla mia passione preferita da sempre: la musica e, di conseguenza al ballo, al canto e a fare la DJ. Eppure, se si fosse trattato solo di una decina di anni addietro, avrei creduto o, perlomeno sarei sottostata, a ciò che mi dicevano. "La mamma appartiene ai fornelli, ai panni, ai servizi in casa". Scialba, delusa, inetta, senza vitalità nè vita. Questa deve essere una donna per, ancora oggi, tanti, tanti uomini. D'altra parte é solo una donna, che abbia studiato, che abbia talento, che sia intelligente. Resta una donna. Sottomessa, gentile, schiavetta, obbediente; malmenata, maltrattata, disprezzata. Questo merita la donna, no? Chissà quanti uomini nel profondo del loro cuore ancora sono convinti di quello che ho appena scritto. Ora comunque, son contenta che pian piano i miei figli abbiano accettato il mio modo di vivere e di vedere le cose dal punto di vista femminile. In realtà, sono loro che ho messo e metto al primo posto. Sempre. Per qualunque problema, evenienza, disagio, sono lì a sostenerli, aiutarli, confortarli. Ma li lascio vivere la loro vita e desidero vivere la mia per non morire prematuramente. Ho saputo e potuto dire basta a un potenziale criminale che mi voleva solo portare alla tomba. Nessuno sa quanto io abbia sofferto in 25 anni di matrimonio con lui! Altro che sciovinista! Un dittatore, un terrorista era! Verso di me e verso i figli anche. Eppure si sa, la mela non cade troppo lontana dall'albero. Circondati da tanti altri simili al padre, ecco che i figli, che hanno assistito al tutto e mi hanno persino incoraggiata a lasciarlo, in realtà erano anche loro alquanto uomo-padrone. Per fortuna mia, sono cambiati. E non desidero aggiungere altro...


Storielle vere

Un romanzo?
Mamma mia!
E quante pagine dovrò riempire per farlo?
Un romanzetto andrebbe meglio.
Diciamo di 150 pagine...
Devo fare soldi!
Ho bisogno di denaro e, come disse Charlot (Charlie Chaplin), tutto quello che creerò lo farò
pour l'argent.
Mmm, e sarà veramente ispirazione o avidità?
Ma di certo, non sarei la seconda, intendo dopo Charlot.
Anche Mark Twain e altri ammisero che lo scopo principale del loro duro lavoro per sfondare, fosse economico.
Bene, quante chiacchiere, quasi inutili.
Sapevate che all'etá di sette anni o, giù di lì, un giorno il socio in affari di mio padre, Gianni, di circa vent'anni e, il mio papà stesso, lavorando al bancone da sarti un po' più disperati del solito, mi chiesero cinque numeri da giocare al lotto?
"Dai, Rosetta forse grazie a te finalmente ci aggiustiamo, ci arricchiamo. Dacci dei numeri benedetti."
Ricordo che alla peripatetica che sono sempre stata, andando cioè avanti e indietro per la stanza, calai la testa in giù e dettai cinque numeri che mio padre scrisse sulla parete a destra del suo bancone di legno massiccio, quel bancone che per me era tanto lungo e grosso da non finire mai.
Il giorno dopo mio padre e il suo socio, puntarono insieme su tutti e cinque i numeri, giocarono la cinquina.
Mio padre: "O tutto o, niente!" disse.
Mandarono mamma al bancolotto e attesero il sabato successivo, più con curiosità che con speranza.
E lì ci fu l'errore.
Il non crederci del tutto.
I miei numeri uscirono tutte e cinque!
Sì, proprio come li avevo dettati io, come papà li aveva scritti sulla parete, ma non come li aveva trascritti sul pezzo di carta che giocò mammà.
Uno lo aveva scambiato per un altro e... non vincemmo un bel niente di niente.
Dovete sapere che mio padre, durante la seconda guerra mondiale, era stato prigioniero degli inglesi. Appena iniziato a fare il militare a soli 19 anni, fu catturato appunto dagli inglesi, fece con loro il giro dell'intera Africa e alla fine, fece rotta a Londra. 7 lunghi anni di gioventù. Così aveva imparato bene la lingua e anche quel benedetto -sette- senza la coda. Il giorno fatidico della cinquina, lui trascrisse un -uno- al posto del -sette- e... perdemmo tutto!
La nostra filosofia napoletana, oh mamma mia, quanto mi ha perseguitata, rovinata, distrutta e aiutata nella vita!
Quel: "Meglio così" del mio rassegnato, deluso, arrabbiato papà.
"Meglio così, che se avessimo vinto. Chissà che sarebbe successo con tanto denaro? Saremmo impazziti, si poteva sfasciare la nostra famiglia, sorgeva l'egoismo infame, tutti i parenti avrebbero preteso chissà che, tua madre ed io ci saremmo lasciati sopraffare dall'opulenza e dai vizi. Non ci pensiamo più. Meglio così."
Meglio così, pensai anch'io.
Ogni tanto i miei raccontavano, tra risate e sospiri, la storiella vera dei numeri al lotto datigli da Rosetta.
Ma negli anni dimenticai tutto. Solo da vecchietta mi è riaffiorato questo episodio.


Sofia            01.01.2015 ore 22.05
Se ne tornava fiera e contenta dalla sua lezione di pianoforte.
Aveva solo diciannove anni ma era vestita con raffinata eleganza e da bella signorina, col suo passo leggero ma lesto, quasi da indossatrice.
E tale si sentiva.
Di questo andava fiera, forse più dello studio del pianoforte che aveva seguito con immenso interesse.
Andava matta per la musica!
Ma in quel momento di passeggiatina tra la scuola di musica e la sua abitazione, non faceva altro che pensare alla sua bella pelliccetta marrone, imitazione castoro, bordata in vilpelle sulla vita e sui fianchi, proprio all'ultimo grido.
I guanti rossi, gli stivaletti rossi e la borsetta rossa, davano un tocco un po' allegro e fresco in quel giorno invernale freddo e cupo.
E poi erano già le sei di sera.
Solo le luci dei lampioni illuminavano la via.
Ad un tratto le passa accanto una spilungona, in confronto a lei che era piccolina, e lei riconosce nella donna, anch'ella giovane e ben agghindata, una specie di rivale a cui mostrare la sua propria scelta di eleganza.
La donna indossava una giacca leopardata scura e seducente.
Borsetta e stivali lucidi, sciarpa nera attorno al collo a mò di coquette.
Ad Anna non piaceva molto quel guardaroba della sconosciuta, perciò voleva mostrarle il suo buon gusto, la sua raffinatezza senza paragoni.
Così si avvicendavano sorpassandosi, una volta l'una e una volta l'altra, per mostrarsi quasi spudoratamente a vicenda.
Nei pressi di casa, Anna si meravigliava di come la volgarona la seguisse ancora dopo il lungo tratto di strada fatto insieme.
Dove va costei attraversando la mia strada?
Poteva prendere una scorciatoia, girare a destra o a sinistra, lasciarmi un paio di vicoli prima.
No, continua imperterrita a starmi dietro.
Che voglia aggredirmi perchè l'ho io per prima provocata?
Non credo. La mia ragionevolezza, sempre positiva e niente affatto da intimorire, mi dice che si tratta di un caso fortuito.
Altro che caso fortuito!
Quella mi sorpassa e... entra nel mio palazzo, quello del famoso conte.
"Sofia" inizia a gridare la vasciaiola, non cè un termine più adatto a lei.
"Sofia" grida con tutto il fiato che ha in gola, ancora una volta.
La terza volta mi accingo a guardarla perchè tanto ha la testa rivolta in alto e vedo come la sua gola si squarcia per davvero nel chiamare nientepodimeno, chi?
La sua amica "Sofia" per l'appunto, che altri non è che un inquilino del palazzo diventato da un po' di tempo, un trasvestito.
Mamma mia!
Strilla dentro di sè la bella Anna!.
Cosa?
Mi son paragonata a un trasvestito?
Non puo' essere, non ci posso credere.
Per un look diverso, per il mio nuovo cappottino comprato con i risparmi delle lezioni di francese date durante tutto il mese di settembre ad un'altra ragazza della mia età, per gli stivaletti, la borsa e i guanti rossi regalatimi da mammà, mi son buttata tanto in basso?
Non che io voglia giudicare chi sceglie il suo modo di vivere diverso dal mio, ma perchè ero sicurissima si trattasse di una donna come me e perdippiù, mia coetanea.
A questo punto vorrei chiarire una cosa che mi sta a cuore, a voi lettori sbalorditi.
Spero abbiate letto anche il mio racconto su Renato, l'amico di papà e, che abbiate capito come la penso.
Io amo tutta l'umanità, bianchi, neri, gialli e paonazzi.
Di qualunque religione o ceto sociale e vi assicuro, specialmente parenti, amici e conoscenti.
E "Sofia", nome datogli in onore alla nostra bella Loren, era un vicino di casa da quando ero nata, proprio in quel palazzo lì.
Gli volevo anche bene o, meglio, provavo pietà per lui perchè non era nato come avrebbe voluto, da vera donna e si era dovuto operare in nord Africa per diventarlo.
Quanto aveva sofferto, il poverino!
Perchè la sorte a volte è così crudele verso di noi?
Come nel caso di Renato citato sopra, che addirittura si vide costretto a togliersi la vita per il suo dolore di non essere accettato com'era, anche lui da omosessuale.
Ebbene, "Sofia" aveva da sempre mostrato la sua tendenza femminea, già da piccolo.
Noi ridevamo insieme a lui quando si metteva sul balcone indossando i vestiti della mamma per sembrare una ragazzina, e in seguito, una signorina.
Suo fratello era un maschietto come tutti gli altri, ma lui, il futuro bella "Sofia", si sentiva una donna vera e propria che per fortuna, al contrario di Renato, era nato (gioco di parole che posso evitare), in un'altra generazione/ apparteneva ad un'altra generazione e aveva potuto affrontare tanti ostacoli perchè senza passato di moglie e figli alle spalle.
Così, da donna adulta, aveva alcuni anni più di me, adesso nel suo giro, con amici e amiche, tra cui l'affascinante spilungona, viveva la sua vita accettata o no dagli altri, come voleva lei.
Si puo' reagire in modi differenti dinanzi a queste evidenze dei fatti: riderci su, accettarle o criticarle.
Tanto, solo una cosa è certa.
Un giorno tutti noi non ci saremo più e avrai voglia di ridere, accettare o criticare!
Nessuno si salverà mai dalla morte.
Perciò concludo dicendo a tutti di tollerare il nostro prossimo e prendere tutto con leggerezza, come feci io quel giorno dei miei diciannove anni (a cui son tornata volentieri), perchè solo la morte non conosce la leggerezza.

Renato
Renato si chiamava l'amico di papà che mi è tornato in mente passeggiando stamani mentre mettevo a posto dei pensieri confusi. Era padre a Melina, una bella ragazzina con la quale io giocavo davvero volentieri. C'era un feeling tra di noi che ancor oggi sento in cuore nel pensare un poco a lei. Il suo nome tanto bello suona qui nel mio cervello. Non l'ho mai dimenticato. Una volta lo volevo quasi scegliere per me come nome di battaglia, pseudonimo grazioso con cui diventar famosa. Abitavano in un luogo che mi piace ancora adesso. Forse a me ancor più simpatico perchè porta indietro, a loro. Quel Renao era carino, proprio tipico italiano. Era un napoletano di dolcezza femminile, che ricordo assai umano, signorile, pur gentile ed elegante. Mi trattava come fossi di famiglia, anche io una sua figlia. Eran due le sue bambine, più un figliolo piccolino. Il vocio che scroscia ancora delle voci che pietose lo scusavan, perdonavan, dopo il folle gesto amaro che lo tolse dai suoi cari. La mia mamma era anche lei come un angelo, una santa, così che per molto tempo ne dicea con commozion. Ecco il dramma è raffiorato, or che ho più di sessant'anni mentre provo mestamente quegli stessi sentimenti. Giorni calmi, spensierati, fuor di casa con papà quando mi portava là da Renato e da Melina. Bene, o forse proprio male per quei tempi sì arretarti, circa cinquant'anni fa, quel Renato fu costretto a sparire dalla scena, a levarsi quel che abbiamo, come pensan quasi tutti, il gran dono della vita... La ragione? Era un gay. E per questo lui viveva già diviso dalla moglie, come detto, con tre figli e tra loro la Melina. Questo nome stamattina rimbombato nelle orecchie, sceso al cuore, è riuscito a riaffiorare quella triste verità, che ritornerò a ripeter come vivida realtà. A quei tempi di altro peso, altro calibro e misura. Il dolore, lo stupore, non capivo fin in fondo cosa ci volesse dire quella morte disumana. Fu trovato appeso a un cappio nella camera affittata. "Oh, perchè Saturno infame per il mio Renato caro, questo dì non hai aspettato in cui è lecito il bel tutto e compreso avrebber tutti?"

Casi fortuiti?
Mia nonna Rosa, di cui porto il nome, era nata il 21 febbraio, così come mia mamma il 21 febbraio.
Io sono nata il 22 febbraio.
Mia nonna Nunzia, di cui ho il secondo nome, era nata il 23 marzo, mio padre il 29 marzo, mio fratello il 22 marzo.
Il mio ex marito è nato il 3 aprile, la nostra prima nipotina, il 16 aprile, la sorella più giovane di mio padre, l'8 aprile e portano lo stesso nome, sebbene in due lingue diverse.
Il mio ex compagno si chiama Charli, il mio ultimo amore, Carli di cognome. Charli è nato il 21 maggio, l'ex amica di Carli, è nata anche il 21 maggio.
Mia suocera, a cui sono molto affezionata perchè ci siamo sempre ben capite e rispettate, è nata il 9 gennaio. Un mio carissimo amico innamorato di me, ma 12 anni più giovane, è nato anche il 9 gennaio. L'uomo dei miei sogni che ho dovuto anche rifiutare perchè 12 anni più giovane di me, che porta il nome del mio ex marito pur essendo di due nazionalità diverse, è nato il 12 gennaio, come la mia amica del cuore, Idina.
Mia mamma era nata nel 1912.
I miei due meravigliosi figlioli sono nati, l'uno, il 26 settembre, come zia Ersilia, sorella di mia mamma con la quale andavo assai d'accorso e ho passato la mia fanciullezza. Il mio secondo figliolo è nato il 15 ottobre.
E questo solo per citare alcune coencidenze riguardanti la mia vita...

Quella volta
Quella volta ci stava rimettendo la pelle la mia mamma e,
"Vi assicuro - raccontava - è una sensazione estremamente terrificante!".
C'era ancora la guerra anche se ormai agli sgoccioli.
I tedeschi a Via Roma e a piazza Municipio stavano arraffando quanti più uomini possibile per deportarli come prigionieri senza che potessero difendersi.
Quelli che cercavano di fuggire, li giustiziavano al momento come traditori del loro diavolo in corpo.
Elena passava per una delle stradine dei quartieri spagnoli parallela al luogo della strage.
All'improvviso un giovanotto tutto affannato e stralunato le sussurra con voce ansimante:
"Signurì, salvatemi! Fatemi da scudo. Se mi vedono, mi ammazzano".
Elena, senza pensarci due volte, lo protegge nel percorrere l'intero vicolo.
Lei pensa:
"Tanto un bel giorno dobbiamo tutti morire, almeno io cerco di salvare un'altra vittima come me di questo maledetto massacro".
Gli spari sembravano non finissero mai, anche se adesso i due si erano allontanati abbastanza dalla zona del grande pericolo.
Ed ecco che con sua meraviglia Elena s'accorge che il giovane non c'è più.
"Dio ve lo renda", una voce smorzata dall'emozione, le dice all'orecchio.
Ma lei non vede nessuno.
"Ce l'ha fatta!", gioisce Elena emanando un sospiro di sollievo quasi simile a quello del rantolo della morte.
Ma vive lei, e vive anche il ragazzo salvato quasi per miracolo e per la fortuna di aver incontrato sul suo cammino, al momento giusto, una donna coraggiosa e buona come la mia mamma.
"Non mi sono mai pentita di quel gesto.
Se dovessi di nuovo mettere a repentaglio la mia vita per salvare qualcuno nel bisogno, lo rifarei proprio come feci quel giorno".
9/10/2011

Bollenti spiriti
Aveva preparato tutto con meticolosità e predeterminazione. Aveva convinto
anche sua sorella più piccola a seguirla nel trapasso. Poi le si era poggiata
accanto nel letto, apettando...
Ad un tratto: "No, non puo' essere questa la fine!
Non è giusto andar contro natura e non dobbiamo dimenticarci di Dio"
Proprio lui ci aiuterà, dobbiamo crederci".
Così si alza, corre alla finestra, al balcone , spalanca tutto, dà un sospiro di
sollievo, "Alzati Rita mia, non possiamo morire da giovani, siamo ancora
fresche e belle e anche se la vita ci ha regalato questa schifosa e orripilante
guerra, dobbiamo reagire, sperare, sopportare i crampi allo
stomaco, la fame che ci affligge da mesi e guardare avanti".
Mia mamma: una donna eccezionale coraggiosa e normale come noi altre.
Voleva finirla del tutto con il dolore e le delusioni patite fin allora dal 1941.
Era il 1944.
Sua sorella a spasso, lei a spasso , il fratello di due anni più giovane, sotto le
armi, la sorella maggiore che soffriva con la famiglia, 3 bambini e il marito in
marina.
Quanti problemi, ma ancora tutti vivi. E quelli del palazzo accanto?
Ne erano periti tanti alla caduta di una bomba e l'edificio non esisteva più.
Loro invece avevano avuto fortuna, non gli era successo niente,
avevano vissuto solamente momenti atroci là sotto nel ricovero.
Terrore indefinibile, passato ma mai digerito.
Ne parlava spesso. Era stata una delle ragioni per cui quella volta di cui sopra,
aveva preso la decisione di farla finita una per tutte.
Eppure non era giusto e vi aveva con coraggio rinunciato.
Indossare il vestito più nuovo, lasciare tutto pulito e in ordine,
chiudersi dentro, tappare finestre e balconi, la porta, accendere il gas e
mettersi a letto...
Azioni che aveva calcolato quasi con freddezza, senza pensarci troppo. Nel suo
capo e nel suo cuore c'erano ben altri pensieri che l'affliggevano. Vedeva tante
donne come lei che si prostituivano per un piatto di pasta, o di lenticchie,
quelle di Esaù.
Quando raccontava questa macabra esperienza, reagiva con una risata
parlando dei bollenti spiriti della gioventù ma lo faceva solo per distrarci
e non farci soffrire.
Noi l'ascoltavamo incantati.
Era proprio una donna squisita.


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