Poesie di Bruno Guidotti


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Le voci della sera
Il giorno, con lenti passi,
s'avvia verso la sera.
In lontananza s'affievoliscono i rumori,
nel borgo scendon l'ombre,
e silenziose, s'accendono le luci.
L'anziane donne, agli usci fuori casa siedon,
per godere della seral frescura,
ed ivi, tanto intente, le une all'altre parla,
" che fatica la lingua frenar...per colei c'ascolta."
Alla finestra la giovin donna,
s'alliscia lunga chioma, e mentre a questo
con flemma mossa è intenta,
pigramente lo sguardo posa,
su color, che ritorno fanno, verso casa.
Per l'acciottolate , ed anguste vie
si salutan le amiche voci.
L'anziano, si tocca del cappello tesa,
quando educato, l'altrui saluta,
e questo a lui ricambia simil cosa.
Nell'aria, in cui il venticello allegro spira,
odore di fresche foglie e profumata primavera,
le cose intorno tutte, indossato hanno
l'oscuro panno della sera.
Veloce e scomposto, è nella piazzetta
timida e nascosta, dei pipistrelli
il cieco e muto volo, sfiorando sicuri l'alto muro
e rasentando certi, il basso suolo.
Isolati i giovani, si stringon le brucianti mani,
lo sguardo suo innamorato, si getta in quel di lei,
e con tremanti dita le carezza il viso, che:
Bello, dolce, candido e pulito,
di campi e di spighetta è profumato,
ed alfin l'atteso bacio.
Rintocca dalla chiesetta, discreta l'ora,
in casa rientran con le sediole l'anziane donne,
la mamma il figlio, per il cenare chiama,
si sussegue ritmato, lo sbatter di chiuder porte.
Fuori il buio, sereno resta.

Il senso della vita
Che senso ha la vita, se l'uomo non è più certo del domani,
che senso ha la vita, se non si crede più!... Se non ci son certezze,
se l'uomo vaga senza luce, se smarrita ha la sua fede,
se la mano del più forte piega tutte le altre mani,
quelle che protese chiedon pane, quelle a conca di chi ha sete.
Che senso ha la vita…
se non odi quei lamenti, se chiudi gli occhi sull'orrore,
e non vedi i morti... i feriti...causati dalle guerre.
Scaccia l'apatia che tu hai dentro,
apri la tua porta, esci nella via metti il tuo cuore nelle mani,
dona aiuto, dona amore, non schifare chi dorme sui cartoni,
chi per fame cerca cibo in cassonetti, essi… sono tuoi fratelli.
Che senso ha la vita, se tu uccidi la natura,
essa è tutto ciò che abbiamo, non far sì che l'uomo bruci l'erba sopra il prato,
non far sì che il mare sia inquinato, non estirpare piante
in modo scriteriato.
Lascia posare la farfalla sul suo fiore,
e che la rondine torni al proprio nido sotto il tetto,
che il bambino corra dietro a un' aquilone.
Facciamo sì che vi sian certezze,
stringiamo la mano a chi ci tende le sue mani,
che ripartita sia nel mondo in equa dose la ricchezza,
che non ci sia chi sfrutta e chi lavora, e che i diritti ed i doveri sian di tutti.
Mandiamo aria pura nei polmoni, distruggiamo tutto ciò che fa veleni,
sfruttiam del vento e pur del sole l'energia.
Lo so, tutto ciò che ho scritto è un utopia,
una speranza vecchia come il mondo,
una speranza che è ancora fuori per la via.
Scusatemi si è fatto tardi, debbo chiuder la mia porta,
alta in cielo c'è la luna.

L'ultimo treno
"- Il meschino per sfortunate ragioni perse una notte il suo treno-"

Una sottile lama di luce filtrava dalla porta socchiusa,
da cui si accedeva alla squallida sala di attesa di una ignota stazione.
Un uomo elegantemente vestito con abito scuro gessato,
con indifferenza osservava le pareti d'intorno,
stando seduto su una scura poltrona di consunto velluto,
nella mano piegato teneva un giornale.

Guardava, per ingannare l'attesa, alcune locandine ingiallite
appese sui muri, la pubblicità di un famoso liquore,
e gli avvisi di orari chiusi in bacheca.
In fondo alla sala un grande orologio, stanco e annoiato
segnava il passare delle inutili ore.
Fissato al soffitto un lungo neon morente, che a stento schiariva le muffe d'intorno,

L'uomo seduto aspettava il suo treno. L'indomani lo attendeva
un importante colloquio, con cui sperava cambiare il destino.
Del treno fu annunciato, da un altoparlante gracchiante, un leggero ritardo.
Poi ... con il passare del tempo, il ritardo divenne allarmante.
Il giorno fece posto alla sera, e questa cedette il passo alla notte,
del treno nessuna notizia.
Trascorsero i giorni, i mesi, ed incredibile a dirsi, trascorsero gli anni.

Una notte, vinto dal sonno, l'uomo non udì l'annuncio che da molto agognava,
il treno era detto in arrivo su l'unico e solo binario. Lì si fermò.
Trascorsi i previsti minuti di sosta, la solita voce ne annunciò
l'imminente partenza... " Signori in carrozza…"
L'uomo casualmente aprì gli occhi un istante ed udì con terrore
dell'avviso l'ultima frase soltanto " si parte. "

S'alzò con furiosa veemenza, afferrò la valigia e corse alla porta,
fuori lo accolse un gelido vento.
Il treno intanto chiuso aveva la porte, le ruote lentamente presero
a girare sempre più forte. Lui corse... si sbracciò...gridò:
"aspettate...aspettate un momento, è una vita che attendo."
Il treno fu sordo, e fischiando e sbuffando nero vapore, si perse dentro la notte.

In una dimessa sala d'aspetto, di quella che fu un tempo una ignota stazione,
un uomo ripensa ad un treno un dì perso.

Alla fine di un giorno
Che cosa ci resta alla fine di un giorno che muore.
La visione di un ultimo raggio di sole
che amato dall'onda affonda nel mare.
Una goccia di pioggia veloce che corre sul vetro.
Una nuvola nera gelosa che copre la luna.
Un canto lontano.
Un amore sognato e mai nato.
Un bicchiere ormai vuoto, un filo di fumo
che sfugge da un languente camino.
Che cosa ci resta?...
Forse un ricordo, forse un sorriso.

Tiepido il primo raggio di sole,
si posa assonnato sui cigli del tetto.
Il brumoso mattino ancor dorme,
l'opre non osano ancora svegliarlo.
Una nera cornacchia volando gracchiando,
raggiunge del platano il ramo più alto,
ed ivi elegante si posa.

Il canto di un gallo baldante va verso il canneto,
ove si ode irritante il gracidare di rane nascoste.
Nell'aia un cane sdraiato scondinzola pigro,
un gatto fissando ostinato, il quale incurante
sù di un gradino scalfito, si rende con cura pulito.
Dal tepor di una stalla, che odora di sterco e di fieno,
esce straziante il muggir di una mucca.

L'aria d'intanto si tinge di rosei colori, che il sole riscalda.
Un bimbo piange affamato, la giovane mamma lesta
gli porge il suo florido seno, lui tosto s'azzitta,
succhiando con brama il turgido ciuccio.
Il rumore di un carro che lento cammina,
su una strada di buche e di sassi, offende impietoso l'udito.
Un uomo lo guida assonnato, due vacche bavose
trainando oscillano sincrone il capo.

Veloci gli amici si scambian saluti,
andando per i campi al lavoro.
Nel piccolo bar odore di latte e caffè,
dal forno in fondo alla via, fuoresce del pane l'antico profumo.
Dai veroni assolati pendono fiori.
Io su di una ombrata panchina seduto,
ove nessuno mi è attorno ed il silenzio s'è fatto assoluto,
osservo sereno, il giorno che è nato.

Clausura
Avvolta dalla grigia e sottile nebbia,
solitaria alla mia vista, improvvisa forma appare.
Maestosa è la di lei struttura,
la quale posata sta in sommità di spoglia altura.
Quando fui al di lei sotto l'alte mura,
scorsi massiccia e serrata porta,
sulla quale scolpita v'era seguente dicitura:" ferma i tuoi passi,
varcare non puoi la sacra soglia, qui vige il silenzio,
qui regna clausura".
Ivi giungesti giovane un dì lontano,
porgendo a Cristo la tua fresca mano
e per suo amor tagliasti lunga chioma.
Comprenderti sorella è cosa dura,
ascoltasti del Dio la voce,
o ragion che ti condusse fu di terren natura?
Angusta ed oscura è la fredda cella,
solo da fioca luca rischiarata,
che d'alta posta finestrella, con fatica scende,
attraversando nera e possente grata.
Qui ponesti la tua vita giovane sposa,
qui non v'è del mondo nulla cosa,
uno sgabello, un logoro breviario ed un misero giaciglio,
ove a volte stanco il tuo corpo posa.
Al muro nella penombra appeso,
a condividere della tua vita il peso, Lui... il Cristo il tuo amato sposo.
Al salir del giorno, soave s'alza verso le alte volte il Gregoriano canto.
Leggero un fascio d'obliqua luce cade sulle prostrate ombre,
che al Signore elevano musical preghiera,
perquotendosi contrite il petto e questo ripetesi
nell'adivenir la sera.
Trascorre nell'orare cieco il tempo, andate son le dolci primavere,
andate le calde estati, andati gli autunni dagli alberi ingialliti,
accanto ti è ora il freddo inverno.
In cielo nessuna stella, nè chiaror d'assente luna,
solo s'ode il turbinar del vento, nere nuvole fan tra loro gara,
urla il tuono, bagliore d'accecante lampo
illumina un istante al te di fronte di Cristo il volto,
a cui sorridente tendi con gran fatica la scarna mano,
che poi... pesante cade.
Dita pietose i tuoi occhi chiudono in finale posa.
Ora nuda terra in sè t'accoglie, intorno volar di bagnate foglie,
con cui il vento dispettoso gioca,
dal cielo pioggia leggera scende che del tuo passar cancella l'orme.

Dona ei Domine et lux perpetua luceat ei requiescat in pace.

Morte di un amico
Svanisce nel cielo col sorgere della rosea aurora,
l'ultima stella.
Sfinito esangue posi e solo attendi l'arrivar dell'ora.
Vano per molto tempo è stato cercar colui al quale,
fedele hai dato di razza tua maggiore prova.
A te non fu dato, d'Argo il destino,
di rivedere Ulisse infin tornare, chi in lontano dì d'estate,
per piacere suo vil t'abbandonato e sordo è stato al tuo guaire.
Nera figura t'è ora accanto, pietà l'ha presa
e con bianco velo coprire vuole il tormentar del pianto.
Amica mano posa carezza sull'essudato manto
e dal cuor che cessato ha il suo doloroso andare,
sfila il vil stiletto, che Bruto amico ti penetrò nel petto.
Ora al chiaror di sorta luna ai piedi d'albero,
che lontan si scorge, sorella terra in sè t'accoglie
mentre il tuo sguardo è volto a mirar la luna.

Il viale
Lungo il viale di ingiallite foglie vestito,
una solitaria panchina vede un vecchio passare.
Lento il suo andare,frequente il sostare,
al cielo lontano confida sommesse parole.
Racconta il giocare di bimbi felici,
di mamme e di tate,
del perso olezzare dei fiori,
il nascer di giovani amori
e degli eterni amori il triste finire.
Ora solo busti di uomini illustri,
non più volti di amici.
Sulla panchina nessuno…
Solo il sostare fugace d'un raggio di sole
E nella notte, di luna freddo chiarore.
Giunto è ora il vecchio alla fine del viale,
stanco si ferma un istante…
si volta a guardare… un sorriso, un saluto
e poi nel buio scompare.

Lo stupro
Cerca il raggio di sole nel primo mattino
il suo timido fiore
Lo cerca nel folto del bosco,
lo cerca fra l'erba nascosto,
lo cerca ove pura sorgente inizia il suo andare,
splendida ninfa che va verso il mare.
( cercano la giovane donna...cercano la giovane donna)

Col fuggire dell'ore, l'ansia cresce nel cuore,
cerca dove restano d'antichi casali , ruderi soli,
cerca ai bordi d'un orrido fosso,
cerca sull'alto del colle, che dal punto in cui posto,
lontani vedere tu puoi...il mare il cielo baciare.
( cercano ancora la giovane donna...)

Da ovest ora giunge un richiamo: raggio di sole è ora d'andare.
Tornare non posso, ti prego natura fammi restare,
ferma del sole il calare,
io debbo ancora cercare.
( cento e più torce ora illuminano il bosco)

Fiamma di torcia dal vento agitata
illumina e scorge nel buio del fosso,
tra rovi, tra spini, tra arbusti contorti,
nel fango gettato il timido fiore cercato.
Il gambo è reciso, la corolla violata,
poveri resti di donna stuprata.
( l'hanno trovata...l'hanno ammazzata)

Ora se passi nel folto del bosco,
ove fresca sorgente inizia il suo corso,
ove vicini sono muri caduti e dove più avanti c'è un orrido fosso,
alti nel cielo, puoi talvolta vedere volare,
un raggio di sole ed un piccolo fiore,
che vanno a dormire nel fondo del mare.

Il bivio
Là... sul silente clivo,
ove sol natura boscosa voce spande.
Là... ove assente è di gente sguardo.
Là... ove lo scorrer lento
d'un arido torrente,
l'acqua dal cielo con sete attende.
Là... il bifronte Giano il bivio stende.
Non ti fidar dell'una faccia,
perche' tosto l'altra ti sorprende.
Il bivio... ivi l'incontro,
ivi l'attimo fuggente,
due vite del passato che per incanto
Giano ha lor donato.
Qui nel dolce ricordare
trascorre il tempo,
che impietoso giunge al terminare,
di grazia un ultimo minuto...
di grazia un ultimo saluto.
Lento ora, verso il bivio è il loro andare,
un alito d'improvviso vento,
due foglie in aria fa volare,
una verso il monte...l'altra verso il mare.
Or che s'affresca l'aria e la sera scende,
solitario il bivio appare,
in terra due piccole gocce, vicino un fiore
...eppur non piove.

Mattinata
Per la terrosa strada dalla bagnata erba cinta,
al levar del giorno vado,
nell'aria un odor di campi e fiori,
che il cor di gioia pregna
e ben t'appresta al dei di' lavori.

Un abbaiar di can distante l'udito sfiora
e poi ancora un muggir di mucca
e su per le nari odor di sterco.

Nei campi intorno, colori e fiori,
rossi papaveri,timide margherite a predir l'amore,
questo a me d'accanto io vedo e questo m'accompagna.

Il sentiero
Cosa disperatamente cerchi,oh forestiero?
su per questo buoi,ripido e solitar sentiero,
ove la solare luce piu' non posa
e ogni passo costar fatica è cosa.
Non oltre andar ti son sincero,
non inoltrarti ancora,
nel ceco tuo viar non v'è ne tempo, ne cosa ed ora.

Ch'io son?Io son colui che dice
ed il mio dire è puro,
tutto mutato s'è al mio passare
e vano è pel tuo sguardo ancor cercare.
Indietreggia allora,
lascia questo solitar sentiero che a nulla porta,
vivi l'ora che t'è data ancora,
ascolta il tu, che tu sei stato
e qui lascia il tuo passato.

Il temporale
Disordinato è il volo delle garrenti rondini,
ora a sfiorar il suolo, poi veloci a guadagnare il cielo.
Si nasconde timoroso il gatto, abbaiar non osa il cane,
silente si fa d 'un tratto la natura,
solo frusciar di foglie, s'ammanta il cielo d 'oscuro velo,
lontano il tuono s'ode.
Nell'aria dall'Eolo spinta odor di pioggia,
improvviso un baglior il cielo fora,
poi l 'urlo dalla gigante gola, or l 'acqua violenta cola.
Paziente attesa, tutto sospeso è ora.
S''acquieta lentamente il piecchettar del getto sul bagnato suolo,
schiarisce il cielo, l 'azzur compare,
vien fuori il gatto, d 'intorno un abbaiare,
ecco il sole e verso di esso le rondini volare,
torna la vita al suo normale...... cessato è il temporale.

Il canto della sirena
Languida la sirena sull'acqua le membra posa,
il corpo suo distende al salir dell'onda,
che poi schiumosa scende.

Descriverne bellezza è vana cosa,
languido ad Ulisse lo sguardo tende,
che in lui l'amor d'incanto accende.

Lottar t'è vano itaco Re vagante,
inutile è l'arma della furbizia che la tua mano fende,
il canto sale, tutto ei avvolge e prende,
l'itaco Re alfin vinto, il battagliar sospende.

Or nell'amoroso abbraccio, nel tetro abisso
con lei discende, ove luce è sconosciuta cosa,
dolce è l'ora con la sirenea sposa,
cessa il respiro, il cor s'arrende,
or sul fondo Ulisse posa.

Risal melodioso dal mar un canto,
che ad ascoltar è fatal cosa,
dalla bianca spuma sirena emerge,
languida sull'acqua le membra posa,
il corpo suo distende al salir dell'onda,
che poi schiumosa scende.


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