Poesie di Gaetano Gulisano


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Leggi i racconti di Gaetano

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Bla,bla, bla...
Vociare il senso dell’insensato,
idee offese da ideologie
in falsità violente.

I buoni o i cattivi
confusi in un unico grido,
turpiloquio denso
di(s)senso forsennato.

L’offeso e l’offensore
due facce, la stessa idea.
“Parlamento”
Bla, bla, bla…

Aspetto il silenzio
Inerte aspetto il silenzio
dopo aver lottato contro la vita stessa,
sfidando onde verde smeraldo
che mi squassavano l’anima
come cruente carezze.

Non temo più il peggio
sapendo che il peggio non
potrà mai arrivare,
resto solo sulla mia nave
aspettando che i flutti
dei miei pensieri la ingoino
e cancellino l’ultima sofferenza.

Scricchiola il legno
sotto le sferzate dei sensi,
le urla della ciurma ormai lontana
giungono ovattate
e si confondono al frastuono
che dolcemente diventa musica,
mentre aspetto il silenzio.

Pensieri di vento
Ondeggianti pensieri
in balia d’emozioni,
avulsi dallo stelo dell’anima.

Frutti ancora acerbi penzolando
lacrimano umore amaro.

Non sperano maturare
in succulenti sogni
ma pensieri di vento
che rovineranno al suolo.

Vita
Ti ho visto sorridente
mentre spavalda
spiccavi il volo,
finché il vento di maestrale
percuoteva i marosi.

Ti ho visto eccitata,
le forti ali dischiuse
all’impetuosa brezza
mentre la salsedine
ti accarezzava il viso.

Ti rivedo ancora
seduto sui miei ricordi
mentre mi preparo
una volta ancora
ad abbracciarti
vita .

Danza d’autunno
Colori d’ocra echeggiano nel bosco
ora che il verde ha ceduto il passo
stanco d’un sole impertinente.

A breve la brina accarezzerà
foglie stanche al suolo,
coccolerà aghi di pini al vento,
segnando il tempo al sottobosco.

L’attesa è finita,
comincia la danza d’autunno:
funghi riposeranno
sotto un tappeto di foglie morte,
mentre aspetteranno
il gelido calore della bianca coltre.

Forte(mente)
Mi specchio
nelle acque immacolate
di pensieri non ancora concepiti
odo il vocio di locuzioni incomprensibili,
corro inseguito da parole,
incespico in concetti pleonastici.

Aguzzine
le frasi mi raggiungono,
mi bloccano i polsi,
mi percuotono
con idee artefatte
appannandomi i sensi
e tutto diventa torbido.

Da lontano
un bagliore appare
la presa ai polsi si allenta,
cessano le percosse,
non odo più nulla
ritorni viva
Forte(mente).

Settembre
Cieli marmorei
colmi di lacrime settembrine
ansando fuggono i venti,
voli d’uccelli in stridere d’ali
sfiorano nubi che cingono pensieri.

Vitigni carichi d’ansie succose
bramano liete metamorfosi;
paurose attese, inquiete nubi,
temuta grandine.

Selene stanca nel suo pallore sorride
mentre novizie perle di bianca rugiada
indugiano alla calma notte.

D’oro il caldo disco colora la terra,
ceste di vimini s’adornano
d’inebriante settembre.

Volo
Ali di carta agitate al vento
in spasmo d’esistenza,
lotta imperitura
contro aliti di calma apparente.

Cielo azzurro
di pace insidiosa,
mare cobalto
di tempestosa calma.

Minuto è il corpo
che volteggia nell’aria
sfidando il suo stesso esistere,
come l’anima
imprigionata in un corpo
che si ostina a non vivere.

I tuoi occhi
Guardo i tuoi occhi
con gli occhi dei miei anni
e rivedo i miei occhi
non ancora colmi di lacrime
della conoscenza.

Guardo il tuo viso
liscio di speranza
impaziente d’esser solcato
dalla vita
e rivedo le mie rughe
solcate dalle esperienze
che ti accingerai a vivere.

Tutto tace
Mi guardo attorno e tutto tace:
le onde non fanno rumore mentre
s’infrangono sullo scoglio
irrorandomi le pupille di bianca spuma.

Mi guardo attorno e tutto tace:
il cielo s’ingrigisce,
i lampi s’intrecciano tra le nubi,
ma non sento la loro foga.

Mi guardo attorno e tutto tace:
scuri doppiopetti, attillati abiti da sera
scompaiono con assordante silenzio
come fantasmi nella nebbia.

Mi guardo attorno e tutto tace:
vorrei sentire il rumore della vita
ansimare lungo le strade del centro,
urla rimbombare dai muri
dei vecchi palazzi in disuso.

Ma sento solo la mia anima
che urla,si ribella,picchia forte
contro le pareti della sua prigione,
mentre attorno tutto tace.

Un giorno ancora
Ancora un altro giorno oggi
aspettando domani,
sperando che il sole risorga
dietro vette di speranza.

Ancora un altro giorno oggi
polvere e detriti ad offuscare
sguardi persi nel buio,
occhi rossi senza più lacrime
da dove sgorga rabbia di sangue.

Ancora un altro giorno oggi
un giorno di sole che non scalda,
un giorno di acqua che non disseta
un giorno di terra che sprofonda.
Un giorno che non aspetta più domani.

Virtuo-sismi
Strumenti si accordano
in un tremore di suoni,
note corrono all’impazzata
cercando una “direzione”.

Senza una guida
tentano di sfuggire
al tiranno
che le vuole schiave
dentro teatri friabili.

Inizia il concerto,
il sipario si alza:
“virtuo-sismi”.

L’ombra
Cammina al mio fianco ombra,
tienimi il passo,
non superarmi
perché non ti inseguirò,
non esitare
perché non ti aspetterò.

Cammina al mio fianco ombra,
non curarti delle luci che ti allungano
dandoti parvenze mostruose e lente
o di quelle che ti accorciano
rendendoti goffa ed affannosa.

Cammina al mio fianco ombra,
resta soltanto la mia parte scura,
guarda la mia spalla ma non appoggiarti,
non cercare di darmi consigli
indugiando dentro i miei occhi.

Dopo la nevicata
Parole tramutate in vapore
danno tepore alla gelida neve,
scoppiettante legna
imporpora il camino
alitando fumo dai candidi tetti.

Niveo è il manto
che copre il non più verde
crine dell’alte cime,
gioielli di ghiaccio
sopra attempate signore.

Giochi di luce, accecanti bagliori,
nuvole giocose in soffice spasmo.
Gelida neve riscaldami ancora.

Rosa Rossa
Rosso fiore
stretto da mani
fragili di dolore,
forti d’emozioni.

Petali vellutati
di vermiglio
accarezzano
dolcemente l’anima.

Aguzze spine
piantate in palmi grondanti
di spasmo scarlatto
che indugiano la presa.

Esangue il viso
in una smorfia d’amore
abbandona le palpebre,
l’iride si nasconde,
resta una rosa
grondante di poesia.
Gaetano Gulisano.

“Quando si cessa d’essere
quell’essere che noi crediamo assoluto
allora si diventa
l’essenza dell’assolutezza.”

L’armadio
Pensieri nascosti
nel solaio dell’anima
dentro un armadio
con le ante rivolte al muro.

Guardo il soffitto
nel buio dei miei segreti
e non riesco ad ignorare
quell’armadio.
Vorrei dimenticare,
mi specchio nei miei ricordi,
non vedo alcuna immagine.

La mia mente non vorrebbe
ma i mie passi volgono al solaio,
i miei occhi ignari
indugiano sull’armadio,
guardo le mie mani
e le vedo intrise di vita.

Le ante aperte
non più rivolte al muro,
il solaio non ha più soffitto,
i miei ricordi
sono il mio presente
la mia immagine nitida
svela i miei pensieri.

Giardino d’ottobre.
Armonie di fiori
ancora sbocciano
sotto un sole d’ottobre,
pergolati vivono
in foglie madide
di fresca rugiada.

Ancora l’ ocra
indugia nel palesarsi,
le fronde aggrappate
alla vana speranza
d’un altro istante di vita
agognano la non morte,
mentre al suolo
la sorte le attende.

Luna di chiaro pallore,
melanconico sguardo
indugiato allo spasmo,
giardino d’ottobre
continua a fiorire.

Colombe sporcate
Colombe non più volano
nei cieli della memoria,
piume prive di candore,
sudice di menzogne
rovinano al suolo
con il peso del piombo.

Rami d’ulivo
rinsecchiti e spogli,
utopie di tempi antichi,
tanto vicini
ma troppo lontani
dall’umano sentire.

Arcobaleni privi dell’indaco,
defraudati del giallo,
spogliati dei loro colori
ormai cancellati da
un velenoso “fungo”
di chiaro bagliore.

Pen-Ombra
Celato dietro un soffice lino
bramo d’esser visto;
con discreta timidezza
mostro i miei pensieri in mezza luce
per non invadere il tuoi sensi.

Fioco barlume
per non offendere i tuoi occhi
semichiusi dagli affanni del tempo;
anime si rispecchiano
in pozze di chiaroscuri.

Sento affannoso il tuo respiro
avvicinarsi al mio,
la tua mano scoprire il velo,
vedo la luce sconfiggere
la pen-ombra.

Speranza
Aspetterò
che il cielo della tua anima
si colori ancora d’azzurro
mentre grigie nubi
solcano ancora
la volta dei tuoi pensieri.

Soffierò
più forte di zefiro
contrapponendo
il suo alito al mio
annullando
la sua imponenza
per allontanare
cupi presagi
che agitano sensi.

Vedrò
il burrascoso mare
placarsi
alla mia risolutezza,
flutti tramutare
veemenza in carezze,
nubi cedere il posto
all’indaco e al rosso
dell’arcobaleno.
Ora la mia speranza
sarà la tua forza.

I ricordi che non posso
Cosa ricorderanno di voi i miei occhi:
Il vostro volto marmoreo
avvolto nel pallore della morte?
l’immagine di pace,
il mio tormento?
Ricorderò forse lacrime,
visi di dolore?
Rammenterò la lenta litania
dell’ultimo viaggio?

Vorrei ricordare
ciò che non posso rammentare:
la tua gioia per il tuo dolore o madre,
la felicità per i tuoi spasmi;
vorrei ricordare il tuo viso padre
l’ansia per l’attesa,
le tue lacrime di felicità.

Mi tormento la mente:
avido attaccato al tuo capezzolo genitrice
mentre guardavo il tuo viso candido,
le tue sanguigne gote, il tuo sorriso,
i tuoi capelli non ancora offesi dagli anni.

Vorrei sentire i tuoi versi genitore
confondersi con i miei da infante,
le tue smorfie unirsi in un’unica faccia,
ilare delle mie stesse risa,
angosciato per i miei pianti.

Perché tormentarmi ora
dei vostri cessati affanni?
Perché se chiudo gli occhi
la prima immagine è una fredda lapide?
Perché non ricordare solo riso e carezze?

L’istante
Interminabile momento
l’infrangersi dell’onda sulla rena.
Tempo procede a rilento e snerva
la rocciosa pazienza dello scoglio
che aspetta il salso abbraccio,
prorompente impeto
mette fine all’attesa.

Eterno è l’istante
di una frazione di secondo,
quanti pensieri s’aggrovigliano
per le vie della mente
in una Babele d’emozioni.

Un senso urta l’altro,
un’emozione s’affanna e l’orologio
segna ancora quell’istante.
Eppure, è solo un batter di ciglia.

Fugace è l’attimo nei meandri dell’anima
che non potrà mai fluire.
Ore, giorni, mesi, anni
l’eternità sfuma nel lasso d’un attimo.

Combattere
Eserciti armati di metastasi infette
ardiscono l’annientarti,
letti colmi di dolore
non provano più spasmo
assuefatti alla speranza
si tormentano.

Vene lacerate,
un buco e ancora un altro,
l’ematoma si diffonde lungo il braccio
prima il destro poi il sinistro,
accogli l’essenza di “dolce” morte.

Ti dicono:
dopo starai meglio
non lottare,
non pregare,
non sperare,
abbandonati
e il coraggio
defluisce sconfitto.

Perché non hai più lottato,
perché non hai più pregato,
perché non hai più sperato,
lotta ancora, strappa aghi
e la tua vittoria sarà vivere.

Dal mare
Spruzzi di acque lontane
affliggono lo scoglio,
insultano le spiagge arse dal dolore;
l’acqua non lenisce la canicola
come acido brucia,
scioglie le speranze.

Il sale si ravviva e offende le ferite
che più non pulsano di dolore,
uno schizzo scioglie i nodi nei capelli
per poi rattrappirli ancora
nell’aspra illusione.

Non fa più paura la sera,
anime più non temono l’attesa
galleggiano per sereni lidi,
i marosi più non li oltraggiano
insperato ritorno, partenza incerta
arrivare mai.

Giovane stelo
Ho strappato la gramigna
che ti cresceva attorno
ancora giovane stelo,
avvolgendoti con le mie mani
madide di vesciche.

Ho innaffiato la tua terra
con acqua di fonte
nata nei pascoli alpestri.

Ho vegliato insonne perché
i corvi non pungessero i tuoi frutti
lasciando che beccassero
i miei occhi.

Ora giovane quercia
il vento del nord
non può più smuovere le tue radici,
la pioggia del sud
non può offendere le tue foglie,
i corvi rispettano i tuoi rami
e non pungono i tuoi frutti.

Estate
Fioriere colme di boccioli
lungo i viali.
Profumi convulsi,
polline ormai traghettato dal vento,
vita, cinguettio d’anime,
api ronzanti.

Nubi colme di sorrisi
placate da zefiro ormai desto
dall’oro del mattino
amante e amato
nell’imperituro amplesso.

Volteggio di sensi ad ali di rondine,
planate in assetto di riposo al volgere
la quiete.
Vermiglio il manto della sera,
sinfonie di luna.

Mani aperte
Palmi aperti ondeggiano
in un mare d’incertezza,
squassato da false verità.
Il nocchiero ride e saluta.

Pugni chiusi resistono all’onda
di acque in tempesta.
Divelte le dita,
mani in cerca d’appigli
scogli aguzzi li feriscono
stille di vermiglio, urla.

No, non è un passato
dimenticato
No, non è un presente
cieco di memoria,
ma un futuro
che non vorrà ricordi.

Anima sospesa
Appeso ad asciugare
ai fili d’esistenze tese a spasmo,
fissato con mollette di plumbei pensieri
l’anima grondante fa pantano intorno.

No, non pulire le stille che restino a memoria;
aspetto l’alito di vento di lontani mondi
che asciughi la lordura che mi sento addosso.

Puzzo attaccatomi da troppa indifferenza,
olezzo che non offende più le nari della folla
ardisco lavare ancora e ancora lavo,
l’anima ormai asciutta resta appesa.

Dis-armonia
Violini non ancora accordati,
afoni gorgheggi,
vocalizzi senza accenti ,
stecche.
Tutto il pubblico s’alza in piedi
applausi.

Il coro perso nel leggio annaspa,
inciampa e si rialza per inciampare ancora
cerca appiglio nel pentagramma
una minima una semicroma,
l’intonazione è persa.

Il direttore agita la bacchetta
l’orchestra stona
il pubblico applaude ancora.

Cassetti chiusi
Ho aperto cassetti grippati dal tempo,
non li avevo lubrificati e l’odore
del legno bruciato, sfregando
mi ha punto l’anima
senza offendermi le nari.

Memorie arrugginite
si scrostano dalla salsedine che opprime
la mia mente, lasciando respirare i miei
sensi, abbandonandomi alla visione della mia vita.

Non chiuderò più quei cassetti,
non serberò più ricordi per dimenticarli,
non amerò il disprezzo di antichi rancori e non
disprezzerò l’amore delle nuove gioie
nascoste nell’ombra di cassetti chiusi.

Nostalgia
Aggiogato
alla tua bellezza
mia Trinacria,
catene irreali
mi stringono i polsi
fino a farmi scoppiare le vene,
facendomi pulsare di
dolce e bramato dolore.

Lontano
dal tuo sembiante
ho scolpita a fuoco
la tua effige dentro l’anima,
quale beatitudine
fu di Prometeo al confronto.

Desio
che la famelica malvagità dell’aquila
mi squarci ancora il petto
nel suo imperituro banchetto
col mio ormai cianotico fegato,
se la rupe del lontano Caucaso
fosse tramutata nell’aguzza pietra
del faraglione di Acitrezza.

Ri-Torno
Mi agito
fra lo smeraldo
che fluttua nei miei pensieri,
come i marosi mossi
dall’ira di Posidone.

Mi perdo,
annaspando nel ventre
ceruleo dei ricordi
cercando uno scoglio
dove collidere
infrangendo il mio legno,
per trovare fine e salvezza.

Non ti darò ascolto
saggio Tiresia,
sfiderò i tuoi vaticini,
mi perderò nell’oblio;
cieco a miei pensieri,
sordo alle mie brame
più non mi imporrai
l’ignoto errare.

Il senso della vita
Quando
il profumo della zagara
non si confondeva con l’acre odore
dell’ ammorbata modernità,
che oggi: appesta l’aria
con la sua indifferente
noncuranza.

Quando
i pergolati carichi di gelsomini
spargevano il loro dolce profumo
percepibile con la sola vista,
inebriando i sensi,
donando una percezione di serenità,
colmando di sole l’anima,
avvicendati oggi: da rabbia
e parabole satellitari.

Quando
la parola amore non era solo
il completamento di una frase
da scrivere in una poesia,
in una canzone, il contorno
di un chiaro di luna
o ancora la rifinitura di una scena
da recitare in un teatro
fingendo ardente trasporto,
oggi sostituita:
dai video in rete del “branco”
o nella sporcizia di vicoli nascosti
per l’immane vergogna.

Quando
regalare un fiore non era fuori moda
e il donarlo dava più emozione
che riceverlo:
ogni emozione, ogni sentimento,
ogni passione ogni senso
aveva un senso.

Quando
ritorneremo a sentire
il profumo della zagara,
quando riusciremo a vedere
il candido colore dei gelsomini,
quando saremo capaci di pronunciare
con la voce dell’anima la parola amore,
quando arriveremo a gioire
per aver donato un fiore:
allora ritroveremo
il vero senso della vita.

Mostri
Mostri immani umanizzati
dalla sporcizia nelle recondite
baracche di lamiera e tumori
celate nelle cupe foreste
dell’umana malvagità.

Vicoli maleodoranti
carichi di rifiuti
del moderno benessere,
dell’oscura malvagità,
parte vincolante
e inseparabile metà
sua gemella:fittizia bontà.

Anime che hanno abbandonato
speranza di purgatori,
corpi che hanno abbandonato
speranze di trovare un’anima
appestati delle loro stesse
incolpevoli e consce violenze.

I cosi
Arrivano schivi, correndo follemente
con la rabbiosa bava che gli riga la bocca,
digrignando i denti marci
del putridume della loro anima.

Da li a poco azzanneranno e si azzanneranno
dove la morte non può più provocare dolore,
dove la morte prova pietà per l’immane sofferenza,
dove la morte terrorizzata dalla loro presenza
abbandonerà il passo all’atroce saccheggio,
dove la morte con tutto il suo grande dolore
non potrà mai uguagliare l’orrore de: “i cosi”.

(Non esiste essere peggiore degli sciacalli a due zampe)

Vittima
Vittima,
chi si prenderà cura di te
se non la tua solitudine,
se non il tuo dolore,
se non la tua rabbia?

Vittima,
chi difenderà le tue ragioni
se non il tuo orgoglio
calpestato e affogato
nella più putrida
e nera fanghiglia?

Vittima,
ti chiameranno
bugiarda provocatrice,
metteranno in dubbio persino
il tuo esser vittima
e tu stessa dubiterai
d’esser vittima, perché
i tuoi difensori ti guarderanno
con lo stesso sguardo
dei tuoi vili aguzzini
e ti tacceranno come rea
e tu, allora crederai d’esserlo.

Vittima,
cessa il sentirti rea,
riprenditi il tuo orgoglio
e nettalo nella vera ragione,
esci dalla prigione della solitudine,
tramuta il dolore in forza
e riprendi la tua vita
a chi voleva togliertela.

Mandorli in fiore
Aliti di nuova vita,
rinascita nei mandorli in fiore
che inebriano l’aria
di rinnovato profumo,
che estasiano i sensi
con i loro candidi colori.

Sciolta la neve
tramuta in limpida essenza
metamorfosi dell’essere,
come d’Ovidio il poema
specchiata nella chiara rinascita,
non come Narciso perito
al suo delirio,
ma gaia al mutamento.

Cinguettio delizioso
ed assordante del risveglio,
ronzio fragoroso e armonico
del dolce tuo nettare,
nitidi fiori carichi di polline
frutti gustosi dei mandorli in fiore.

La zattera del mio tempo
Scorrono lenti i miei pensieri
passeggeri clandestini
sopra la zattera della mia età,
trasportati dal nocchiero
senza tempo, pagato
con oboli d’esistenza.

rollo sui flutti
dell’impetuoso fiume dei ricordi,
che senza pietà
percuote il misero natante,
fa sussultare il flebile gondoliere
e mi trovo solo, timoniere
nella zattera del mio tempo.

In balia delle mie inseparabili
ed inevitabili Moire,
arcane tessitrici che filano
lo spago della mia essenza.

Scruto l’orizzonte,
sperando di non vedere
la temuta e inevitabile Atropo,
che corrucciata nella sua scura veste
apre le lame delle sue affilate cesoie
che attende il mio fato.

Pensieri
Pensieri confusi
tra i spinosi rovi della mente,
che invadono il sentiero
intricato della vita
che feriscono l’anima
nell’arrampicata
alla vetta dei sensi.

Sempre alla ricerca d’una
ristoratrice oasi nel deserto
infuocato delle nostre idee,
martellati dalla cocente canicola
delle nostre ossessioni,
accecati dalle tempeste della
fine sabbia dei nostri stolti dubbi.

Questuanti di pace,
mentre belligeranti
ai nostri stessi pensieri,
ai nostri stessi sensi,
alla nostra stessa anima:
abbandoniamo l’agevole sentiero
dal mite clima che
dolcemente ci conduce
alla nostra coscienza.

L’Alpino del 900
Tu oh prode Alpino del novecento,
milite ignaro di tanto sgomento,
che per quei monti orgoglioso salivi
e i tuoi fratelli montani aiutavi.

Ignaro allora di tanta sventura
che su quei monti la sorte attendeva,
per l’ingordigia di umani potenti
morto ti vollero sopra quei monti.

Quei tuoi fratelli che prima aiutavi
ora nemici tu li nomavi,
perché i potenti tavean così detto
che non ve un uomo dentro l’elmetto.

Senza paura del combattimento
eri tu folgore nel vento,
che contro il nemico tuo destinato
della tua furia veniva investito.

Ma nel guardare quel elmo morente
in tutto a te rassomigliante,
scrutando sotto quel grigio mantello
lì scorgevi il tuo caro fratello,
che per tua mano come caino
fosti tu fato del suo destino.

Ti domandavi con sommo stupore
perché son attore di sì tanto orrore,
in questo teatro sì insanguinato
che il Dio sì bello ci aveva donato,
quale cagione si possa invocare
perché questa guerra continuare.

Chi ha mai voluto l’inizio figliare
di sì immane assurdo furore,
che vedean i figli di quei monti belli
uccidersi ignari d’esser fratelli.

Tu invocavi il Dio degli umani
per far cessare quelle guerre immani,
e pei monti orgoglioso ancora salire
e tuoi fratelli oltre aiutare.

Ridargli il senno Dio degli umani,
a quei potenti si tanto stolti ,
perché ancor vivere sopra quei monti
possano in pace le umane genti.

Caro il mio alpino del novecento
al pari tuo è il mio sgomento,
dopo cent’anni di guerre immani
ancora stanchi non siamo gli umani,
che di caino portiamo il fardello
e ancora uccidiamo il nostro fratello.

La Gondola
Lo sciabordio dell’acqua
nei canali di Venezia,
antiche mura cinte
da un fluido abbraccio,
due cuori lenti passano
come una musica romantica,
la scia dei sogni di due innamorati
che si tengono per l’anima
galleggia sulle calme acque
della laguna.

Antico legno scricchiolante
che confondi i tuoi cigolii
con le soavi ed eteree
note della laguna,
accompagnata dalla voga
fai fremere la forcola
ad ogni tuo sussulto
e un dolce canto
si sprigiona nell’aria.

Sogno d’incanto
interrotto dall’afono e stonato
canto della sgraziata modernità,
una vogata e poi un’altra
e mi cullo ancora nell’oblio
di un’antica e leggera gondola.

Bucaneve
Indomabile vigore
d’inevitabile fato,
delicato urlo
d’irresistibile gioia,
tenue essenza
d’un inerme seme.

Sotto una coltre
di gelida e candida neve,
inflessibile con inaspettata
veemenza, spingi il tuo esile
stelo come un’orda
d’inferociti guerrieri.

Vincendo la gelida morsa
a favore d’un flebile tepore,
diventando ardente fuoco
per generare rinascita,
spandendo profumo
per inebriare la vita.

Venezia
Fluido senso salmastro
che in un perpetuo abbraccio
cingi secoli d’arte
nell’arcano andirivieni
di lente maree.

Muri bruni di invecchiati palazzi
che nel loro sgretolarsi
hanno fermato lo scorrere
di remote epoche.

Fondamenta inverdite
dalle avvinghiate alghe
che resistendo ai flutti
del tempo,
rammentano le nozze
con l’amata laguna.

Laguna,
fida sposa che non demordi
dall’imperituro amplesso,
mai sazia dei baci
dell’amato tuo sposo
che in quelle brune
mura trova il riparo.

Donata dal mare
nel tuo dolce incanto
in un galleggiante talamo
di calmi flutti,
bianca strenna
è l’argentea luna
che stende un calmo vello
ammantandoti
in un casto sembiante,
mentre come un’orchestra
di dotti musici:
lo sciabordio delle onde suona
la dolce la nenia dell’amore.

Parole
Parole,
viaggiano trasportate
dall’aereo dei sensi, nel cielo
della mia mente
andando a collidere
sulla catena montuosa
della mia anima.

Parole,
superstiti al disastro aereo:
cannibali per sopravvivenza
affamati di sapere,
assetati di conoscenza,
bramanti di sognata vita.

Parole,
sopravvissute all’indifferenza
dell’essere solo parole,
dell’essere solo fiato,
partorite da sterili pensieri
senza pensieri.

Parole,
generate dalla feconda anima
accoppiatasi col prolifero cuore,
partite per un lungo viaggio
finito in un bianco foglio
dove inizia:
“POESIA”.

L’attesa
Domani,
quanto sei lontano domani?
Se ancora nei miei pensieri
ammiro le tue dolci e soavi
fattezze toccandoti nel sogno
come se fossi ancora adesso,
accarezzandoti nel mio senno
come se fossi già futuro,
baciandoti le labbra
agognando il nostro primo
incontro, mentre attendo
l’irraggiungibile domani.

Generale domani,
cavalca con il tuo crudele esercito,
con la tua orda di spietati guerrieri.
Generale domani, non aver pietà
delle armate del generale oggi
che con coraggioso ardore
oppongono ferrea resistenza,
perché il loro nome
non è più domani?
Ma adesso è già: ieri.

Perché
ancora non sento
il trombettiere suonare
la ritirata dello sconfitto
generale ieri?

Perché
non odo le grida dei vinti
che implorano pietà
alle armate di domani,
che imperterriti avanzano
per farmi incontrare
le sue dolci labbra
alle mie frementi?

Domani,
quanto lontano sei
ancora domani.
Tu, dolce creatura
dimmi che gemi
alla stessa mia maniera,
nella sì tanto crudele attesa
per gli innamorati.

Svegliati,
pagano e divino Febo,
cocchiere dell’arcano carro
che porta il sole,
frusta gli ultraterreni destrieri
che galoppino veloci nella notte,
e che il generale domani trionfi
per fami trionfare domani
sulle sue dolci labbra.

Mare
Ascolto
il lento sciabordio delle onde
che dolcemente
accarezza lo scoglio,
cingendolo in un
amoroso abbraccio
offrendogli la chiara spuma.

Sento
il salso tepore
arrivarmi alle nari
pungendomi i sensi
in un groviglio
di turbinose emozioni,
che agitano i miei pensieri
fra i flutti impetuosi
dell’anima.

Marinaio
sulla zattera dei desideri
squassata dai marosi
della tua inquietudine,
naufrago nel ventre
del tuo orgoglio,
approdo nelle tue
dorate spiagge
madide ancora
del tuo calmo fragore.

Amarti
Amarti:
mentre il sole
con il suo caldo abbraccio
cinge il cielo in un
vermiglio manto,
colorando di nuovo il mondo,
togliendomi il respiro,
respirandomi di te
intanto che lento
mi abbandono al suo volere.

Amarti:
quando “Febo” ormai lontano
si inabissa con i suoi destrieri
nella purpurea calma del
cocente mare,
finché lasciato il posto
alla sua pallida sorella “Selene”,
ti rischiara in una scura notte
illuminando la tua essenza
dove dolcemente mi perdo.

Amarti:
dove la notte finisce
finendomi nei tuoi fluidi sguardi,
conducendoti all’oblio
per non obliarti con oboli d’amore,
dove il soave abbraccio dell’aurora
ci troverà abbracciati
ad aspettare,
il fragoroso scalpitare
dei nervosi destrieri
del divino “Febo”.

(A mia moglie Annabella)

Amico
Amico,
che dentro un sorriso
spegni ogni mia pena,
lenendomi dai miei pensieri,
dandomi l’oblio nell’ilarità
della tua amicizia.

Amico,
che hai pianto sulla mia spalla
versando le mie stesse lacrime,
ridendo al mio essere istrione
appropriandoti dei miei sorrisi,
sperando le mie stesse speranze
realizzandole in reali sogni.

Amico,
moltitudine d’emozioni
che come gli impetuosi flutti
nella tempestosa notte
cingono le scogliere,
così la tua amicizia
nell’anima mia s’avvinghia
in un affettuoso abbraccio.

Lacrima
Lacrima,
che ascendi dall’anima
e ti palesi nei miei occhi
quando i miei sensi
non reggono alle emozioni:
baciami le guance.

Lacrima,
liquido senso di gioia,
svelami le mie passioni
che si celano nelle recondite
regioni del mio cuore,
velandomi lo sguardo
facendomi vedere la verità.

Lacrima,
non arrestare il tuo viaggio
anche quando è il dolore
a richiedere la tua essenza,
fa che sgorghi tutto lo spasmo
come limpide cascate alpestri
e che dentro una lacrima
dimori gaiezza.

Fingere di vivere
Fingere d’amare la vita
vivendo obliandosi di vivere,
negandosi il sorriso
della vita stessa per
paura della vita.

Immaginarsi l’amore
senza riuscire ad amare,
per paura d’amarsi amando
oboli d’esistenza.

Credere d’aver vissuto
una terrena realtà,
per poi scoprirsi
a guardare l’accogliente
ventre di una mamma,
sicuro che si ama realmente
solo donando la vita.

Nocchiero
Sola
con i tuoi pensieri
navighi sulle onde
del tempo,
obliata da un sole
di ricordi.

Timoniera inesperta
su una nave
di cartapesta,
con la prua ai marosi
eventi,
segui la rotta
della vita.

Tempestoso
e scuro mare
di flutti impetuosi
e avversi:
è il tuo senno
pervaso dal pensiero
di antiche memorie.

Nocchiero,
soccorrila nella sua
traversata,
guida la sua prora
al tuo molo,
ormeggia la sua nave
alle tue calme rive:
e che non senta più
l’affannoso rollio
dei travolgenti flutti.

Nuovo giorno
Lento passeggio
per i sentieri dell’anima
mentre claudicante
il giorno passa lieve
affannandosi.

Ancora non sento la sua agonia
che nel meriggio ha il preludio,
ma come nugoli di frecce che
scagliate a parabola
in un purpureo cielo
dopo l’inaspettato sibilo
trafiggono il guerriero,
così il giorno s’avvia
imperterrito verso il suo
inevitabile fato.

La sera,
sarà il mio tormento
dove sciami di pensieri
mi avvolgeranno il senno
torturandomi in un turbinio
di emozioni.

La notte,
con il suo possente scudo
mi proteggerà da quel nugolo
di aguzze frecce,
con il suo oblio mi avvolgerà
in un calmo abbraccio
e sarò allora pronto
ad ascoltare il vagito di
un nuovo giorno.

Paludi
Annaspando
fra i paludosi acquitrini
dei miei pensieri,
dove s’intrecciano
alle terse memorie,
nauseabonde porcilaie:
dove sono i miei ricordi?

Barcollando
muovo lenti i passi
provando ad uscire
un piede e poi l’altro,
un viscido appiglio
e scivolo nell’abisso:
dové la mia anima?

Vacillando
ancora nel buio
bramando la luce,
smaniando un sorriso,
anelando la vita;
trovo la tua forza:
amore mio!

Chi è buono? Chi è cattivo?
Io sono buono
perché oggi
ho spedito un euro
con un sms.

Io sono buono
perché ho implorato
che in medio oriente
cessasse la guerra.

Io sono buono
perché ho pianto
e pregato per
te che non hai
di che sfamarti.

Io non sarò mai buono
sino a quando
crederò che tu sei
CATTIVO!

(Non voglio dire che non esistono i cattivi,
ma che a volte i buoni sono cattivi senza sapere di esserlo
e i cattivi potrebbero essere buoni con un piccolo sforzo)

Il tormento
Mi abbandono
ai mostri della mia anima
che come orribili draghi
mi tormentano con lingue di fuoco,
disarmandomi della mia spada,
disarcionandomi dalla mia cavalcatura.

Io cavaliere errante
senza spada e senza onore,
senza un cavallo e senza
un regno da conquistare,
senza un castello dalle alte torri e
senza una principessa da salvare.

Il drago,
soffia solfurei aliti di terrore
ma non mi ucciderebbe
perché è conscio che non potrebbe
mai esistere senza il mio tormento,
come io non potrei mai vivere
senza i miei mostri.

Memoria
Lunghi sentieri di filo spinato
che come viali alberati
ombreggiano la luce
dei ricordi,
folti tappeti di anime
arrugginite dal tempo
calpestati dagli affanni
delle memorie.

Vicoli bui dove scorgere
una marmorea luce,
inseguendola in una smania
di reclusa libertà,
per poi scorgervi una
bruna verità.

Uomini che non vogliono
più percorrere i sentieri
del senno
camminando per le vie
dell’oblio.

Uomini che rifiutano l’umanità
ripudiando la memoria
nascondendosi alle memorie.

Battaglie
Esultanti grida di vittoria
dei trionfatori,
agonizzanti urla di terrore
dei vinti,
sguardi assenti
di chi più non implora
umanità.

Occhi tremendi di chi sa
che non ve nessuna vittoria
nel sopprimere,
occhi di paura di chi sa
che non ve nessuna sconfitta
nel perire,
occhi pietosi di chi ancora
vorrebbe chiedere
pietà.

Si può mai vincere in guerra
uccidendo, assassinando
la propria umanità?
Si puoi mai perdere in guerra
lasciandosi uccidere
per non assassinare
la propria umanità?
Ci saranno mai vinti
in guerra?
Ci saranno mai vincitori
in guerra?
Ci saranno mai risposte
in guerra?

Quante domande
e nessuna risposta,
solo il fumo acre
della morte
e il pestilenziale
morbo della violenza
che come un
potente tosco
ammorba le anime
delle genti.

Un istante d’amore
Labbra convulse mai paghe di emozioni,
sensi ansiosi, trepidanti di inerpicarsi
per i sentieri sconosciuti dell’amore.

Mani mai stanche, plasmano le dolci
ed eteree forme dell’anima,
incuranti delle vesciche
che ad esse questa procura,
con sapiente caparbietà
ignorando il dolore,
asciugandosi dal sangue,
continuano il loro impegno.

Occhi lacrimosi non per il dolore,
ma commossi e appagati
per avere vissuto la dolce visione
di un interminabile istante d’amore.

Vorrei
Vorrei farti vedere il mondo
affacciato dalle finestre
dei miei occhi
per darti i miei ricordi,
per donarti i miei pensieri,
per offrirti la mia anima.

Vorrei portarti
sulle spalle del mio tempo,
farti viaggiare in prima classe
sul treno della vita
nascondendoti dalle grinfie
del temibile e inevitabile kronos.

Vorrei darti il mio sapere,
farti conoscere ciò ancora non sai,
regalandoti quel ch’io so,
scoprendomi ad avere
ancora tanto da imparare.

Ma mi odieresti
per averti troppo amato,
mi rifiuteresti
per averti troppo desiderato,
e mi abbandoneresti
abbandonandoti alla vita.

Allora aspetterò appoggiato
ai davanzali dei miei occhi,
per poter guardare il mondo
attraverso le finestre
della tua anima.

Inverno
Alberi carichi di candida coltre
piegano i rami al loro destino,
cullati dall’insinuante nenia
del gelido vento, stanchi riposano
nella loro immobile inquietudine.

Come un anziano sovrano appesantito
dagli affanni del tempo, il canuto signore
con lento passo avanza: dispensando sentenze,
infliggendo condanne, propinando assoluzioni.

Temuto dalla vita che si rifugia
nei caldi giacigli dei ricordi,
nascondendosi all’essenza dell’esistere
ignara di nascere a nuove esistenze.

Solitario si lecca le proprie ferite
provocate dall’orda delle fameliche belve
serve di Kronos che a nugoli impietose
lo azzannano, nascosto nella fitta boscaglia
dell’età, braccato dallo spietato ed inevitabile
cacciatore dell’incalzante fiorente stagione.

Sognare la realtà
Sognare di vivere un reale sogno
per vivere sognando la vita,
quale vera vita può essere
più fantasiosa della realtà?
Mentre l’assurdità della
concretezza è vivere sognando.

Svegliarsi nell’angoscia
di aver sognato la vita
e smaniare di addormentarsi
per continuare a vivere nel sogno,
addormentarsi alla vita
bramando un verace sogno,
vivendo il sogno sperando
che questo sia la vera vita.

L’agonia di Gea
Rantolanti giganti,
candidi signori dell’eterno freddo,
stretti in un soffocante abbraccio
per un fugace tepore di liquida agonia,
fuso tormento per l’umana stoltezza.

Aria cupa,
appestata dal fittizio progresso,
dal convulso esistere della non esistenza,
dalla terribile smania di distruzione.

Acque
ammorbate dall’immane dolore,
dove imputridisce ogni aspettativa di vita,
dove si decompongono i sogni,
perdendosi in evanescenti
miraggi d’esistenza.

Deserti
si estendono sin dentro l’anima,
minuscoli granelli di sabbia rovente
opprimono l’affannoso respiro,
la canicola snervante
toglie ogni lume di ragione.

Uomini stolti,
indifferenti ascoltano i rantoli di chi li nutre,
respirano il morbo della loro stessa stoltezza,
si dissetano della loro stessa peste,
ignari vivono della loro stesa fine.

Libero
Libero
dagli affanni della realtà
sento librarsi nei cieli dei sogni
la non più oppressa anima mia.

Esistenza
schiava della tangibile
ponderatezza dell’essere,
mentre potrebbe levasi felice
volteggiando per i sentieri
della saggia insania.

Sogno
recluso nelle crude galere
della concretezza,
fredde celle chiuse con le grate
della ragione dove le fittizie verità
sono i catenacci che negano la vita.

Angeli sporcati
Angeli sporcati dalla terrena fanghiglia,
visi tumefatti dalla ponderata malvagità,
ali appesantite da piogge acide,
sana follia il voler ancora librarsi
in un tetro cielo bruno, carceriere
e incarcerato nella mortale prigione.

Vorrei poter lavare quegli atterriti visi
per regalarmi ancora un lindo sorriso,
vorrei alleggerire quelle insudiciate ali,
restituendogli il loro primitivo candore,
vorrei vedere ancora librare Angeli
nell’azzurro cielo ed aprire le grate
delle brune galere.

Volano adesso Angeli non più sporchi
incontro a candide nuvole,
sorridenti e con le chiome
ondeggianti al vento,
baciati dai dorati raggi del sole,
non più prigionieri del bruno cielo
della mortale galera.

Sculture
Chiaro scuri di vita in basso rilievi
sulla pietra dell’esistenza
scolpiti da scalpelli della realtà,
sapientemente sagomati
in eteree forme con i volti
contorti nei ricordi.

Altalenate scultore
su un’impalcatura di sogni
vacillante percuote il suo marmo,
lacrimando ad ogni frammento
che rovina nell’abisso del senno.

Quando infine scende dalla
sua impalcatura
ammirando la sua opera,
si contorce nello spasimo
raccogliendo schegge di vita.

Ancora Natale
Sentieri indomiti,
brulicanti di festose malinconie
nel cupo luccicare d’oscuri
e d’appariscenti ornamenti.

Dolente allegrezza d’anime perse
in una fitta boscaglia bruma,
nella vorace ricerca
di un po’ d’avido
e fittizio affetto.

Barricati dietro alibi di false bontà,
inseguendo scusanti per veri misfatti,
incolpando altri della noncuranza.

Armati di un telecomando per
cambiare canale:
per non vedere gli occhi inquisitori
della misera povertà,
scegliendo l’ agiatezza di
facoltosi miserabili,
guardando ancora Natale.

Notte
Notte luccicante
d’arcani eventi,
fugace tessitrice
di folli pensieri.

Correa luna,
impietrita spettatrice
di dolci visioni,
cullata dal cielo,
galleggiando
su un fiume stelle.

Nemica dell’alba
che ne richiede l’essenza,
combattuta dal sole
che ne reclama il luogo,
temuta dal tramonto
che ne prevede l’avvento,
amata dal poeta
che ne riscuote l’essenza.

Vite rubate
Guerresca vita
di immane violenza,
condita con il pane
dell’atroce morte
è il nutrimento
della ponderata follia.

Bambini mai stati bimbi,
abbracciati ad un feroce
“ giocattolo”
dove piangere accoccolati
le lacrime dell’altrui sangue,
aggrappati al fertile seno
dell’oblio
poppando il veleno
del tenebroso silenzio.

Uomini non più uomini,
persone nate e mai vissute,
appestati dall’orrendo morbo
della violenza,
pestilenziale alito di morte,
carnefici e vittime
della loro stessa insania.

Umanità reclusa
nella spietata prigione
dell’indifferenza,
società soggiogata
alle catene della noncuranza,
popoli ignari,
correi dei ladri di vite.

Passeggero
Inconsapevole passeggero
sul treno senza porte,
dai finestrini sempre chiusi,
attraverso i quali la vita
inesorabile scorre.

Vedo sfilare paesaggi di vita
oltre le lastre appannate
dall’alito dei ricordi,
così vicini da poterli afferrare,
ma così lontani nei miei pensieri.

Più mi allontano da quei ricordi
più follemente li inseguo,
più li vedo allontanarsi
e più limpidi si delineano
nella mia mente.

Non ho chiesto io
di salire su questo treno,
non ho chiesto io
di incontrare i miei ricordi,
ma ti chiedo solo
di viaggiarmi a fianco.

Volare nel sogno
Seduto a cavalcioni dell’anima
percorro i sentieri dell’amore,
sfiorando flebili pensieri
animandoli con l’alito di un sogno.

Navigando nei mari dell’odio
sul veliero della sofferenza,
vedo gementi naufraghi
dell’umana disumanità.

Volando fuori dal mio essere,
attraverso i mondi devastati
da un tremendo e pestilenziale
morbo: “la paura di saper amare.”

Mi fermo sul ciglio del sogno
per l’orrore di avere paura,
cercando nell’intimo baratro
la forza d’aver coraggio,
scorgendo nel profondo abisso
mondi di vera pace.

Il Fiume
Il lento e perpetuo scorrere del fiume,
con paziente sapienza
modella acuminati i sassi
offrendo dolci lisce e soavi forme.

Lenta e troppo fugace eternità
dai senso alla vita, al suo inizio,
al suo scorrere, alla sua fine.

Vigorosa e flebile speranza logora
il dolore che corrode l’attesa
rendendola atroce disperazione.

fiume trasporta le speranze,
fiume affoga i dolori,
fiume fammi navigare
fino al mare.

Sorrido
Sorrido
all’amore di chi giocosamente ride
perché non sa ancora sorridere.

Sorrido
all’innocenza di chi intensamente ama
perché non sa ancora amare.

Sorrido
delle buffe e goffe movenze
di chi con leggiadra eleganza
fluttua nelle regioni più recondite
del mio cuore.

Sorrido
per chi ancora non sorride,
per chi ancora non ama,
per chi ancora non è … ancora,
ma mi fa palpitare solo al pensiero
che un giorno possa essere
che un giorno mi possa sorridere.

Vivo
Vivo per:
il vigoroso e flebile
vagito di un bambino
appena affacciato
alla terrena vita,
inconsapevole
di aver iniziato
l’inevitabile viaggio
lungo la morte.

Vivo per:
l’affannoso percorso
di chi l’oltrepassa
per cominciare
la fine di un incerto
inizio.

Vivo per:
imparare a morire
gioendo di vivere
una nuova vita.

Il nuovo mondo
Umano inferno
ostentato luogo di consapevole
indifferenza,
terreno paradiso
velato spazio di ignara e folle realtà.

Attuali profeti di malvagia giustezza,
nuovi adepti di giusta stoltezza,
vittime dell’umana saggezza.

Vite
che invano attendono di vivere,
uomini
che inutilmente
attendono d’esser uomini,
inferni
che ancora aspettano
d’esser mutati in paradisi.

Dannati
che non hanno mai peccato,
peccatori
che non si sono mai redenti,
beati
che continuano a dannarsi.

Vento
Vigoroso vento
come un incontenibile
uragano tropicale
è la vita che irrompe
contro l’inesorabile fato.

Tremenda e benefica forza
infusa con l’inarrestabile
vigore della passione è il
temerario amore invasore
dell’essere.

Resistergli è vano
com’è vano desistere
dall’esistere,
insano è il celarsi
nel voler celare
la consapevole insania
dell’amore,
sano è affondare
nella sana follia d’amare
emergendo
nella folle consapevolezza
di non potere amare.

Autunno
Grovigli di pensieri
nelle mia mente
si susseguono
come la pioggia
di foglie ingiallite
del crepuscolare autunno.

Tappeto ocra
di un antico affanno,
abbandonato al ricordo
del passato ciclo
è l’anima che sussulta
alla memoria della
remota essenza.

Viti mature,
inebriante mosto,
trepidanti attese,
arcane metamorfosi,
sono le nuove vite
di antiche esistenze.

Il tormento del poeta
Muse,
tacete al mio senno,
non fatemi narrare
ciò ch’io vo’ narrare,
offritemi l’oblio,
rendetemi folle o stolto,
fatemi sguazzare
nelle calme acque
dell’inconsapevolezza.

Anima,
non ascoltare
le livide menzogne,
quelle falsità
che la realtà t’adduce,
la fallace vita
che l’insania
della reale esistenza
ora si palesa.

Mente, non pensare,
cuore non amare,
vita non vivere,
verità diventa bugia,
Uomo cessa d’esser uomo.

Terapia intensiva
Fiacco pulsare
di un cuore stanco,
flebile alito
di fioca vita,
immane affanno
di vita vitale.

Interminabili istanti
di scorsa vita,
lampi eterni
di futuri sogni,
folle consapevolezza
di cruenta lotta.

Furbeschi artifizi
per una fittizia vita,
sincere menzogne
per un reale riposo,
interminabili attese
per l’agognata speranza.

Vagabondi
Vagando nell’assordante
silenzio delle tue entità ,
accompagnato delle
mie solitudini,
bevo dagli otri
della tua essenza.

Il dolce nettare
mutato in malsano sale,
la vera essenza
in venefico tosco,
l’inebriante vita in
triste morte.

Fiore di vita ,
non perdere i tuoi dolci
e vellutati petali,
seme di gioia,
attecchisci nel
nel mio sopito animo,
frutto d’amore nutrimi
col tuo succoso senso.

Voglia di vita
Guerrieri
che la guerra aborre,
senz’arme combattono
sovrumane forze.

Alleati,
solo all’umano senno
lottano senza muover
membra.

In un letto,
inermi e mai stanchi
di adorare la vita,
lottano contro
la letale crudeltà
dell’indifferenza.

Al capezzale,
mogli, mariti, padri,
madri e figli,
ricaricano le munizioni
della flebile speranza.

La “sla” l’implacabile nemico,
la ricerca l’unica arma,
l’amore per la vita
il campo di battaglia,
l’indifferenza
l’immane sconfitta.

Anime
Anime vacue,
intrappolate
in un terreno limbo
di angosce.

Alito di vita,
in un terreno inferno,
li tiene legate
a freddi e flebili canne.

Fittizie gioie,
false allegrezze,
veraci sensi
di sommo dolore.

Illuminati
dalla vivida luce
dell’insania,
lievi anime fluttuano
nella mia confusa mente

Il Viaggio
Ti condurrò
la, dove il tuo senno
non osa guidarti.

Esploreremo le vie
che conducono
alla vivida luce,
lasciandoci alle spalle,
i sentieri di
brune tenebre.

Navigheremo
sulla nave
dei nostri sensi,
fluttuando sul mare
dell’anima.

Infine, approderemo
nel sicuro porto
del nostro amore,
aspettando la limpida
e lucente sera.

Il volo della rondine
Come una rondine
volo verso l’estremo sud,
guardo con i miei pensieri
e vedo immense distese,
di folgorante vita.

Come una rondine
nell’immenso sud,
rivedo il remoto
ed accogliente nido.

Come una rondine
volo verso l’assolato sud,
e vedo povere
anime dannate,
colpevoli solo d’amare la vita,
agitarsi nei furiosi flutti,
dell’impetuoso mare
della vana speranza.

Come una rondine
volerò a sud,
e con i miei pensieri,
vedrò malvagi tiranni
ed immense distese
di immani rovine.

Occhi.
Occhi inerti di povere vittime
del guerresco terrore,
svuotati dall’innocenza
della linda anima.

Occhi spenti di vili carnefici
colmi del maligno
germe dell’ira,
che come gramigna
ha imputridito
l’essenza dell’anima.

Occhi roventi di baldi difensori
infuocati dalla fiamma
della vendetta,
che al pari
di un’ardente fuoco,
illuminandoli
li brucia nel folle vortice
della violenza.

Guardo negli occhi
il folle germe della violenza
e, lo vedo in tutti i dittatori.
Folli occhi spenti senz’anima.

Fluttuanti pensieri
Fluttuanti pensieri
vagano nelle
paludi dell’anima,
avvolti dal sinistro
stridio del vento.

Tentando invano di sfuggire
ai propri infausti ricordi,
tra quelle nebbie
di arcani sensi
disperati cercano
l’anelato oblio.

Fumanti draghi,
orribili mostri,
arcane fiere,
fra quei fumanti e
nauseabondi pantani,
prendono malvagiamente
forma.

Ed ancora ti aspetterò
dolce pensiero
che amabilmente mi sorriderai,
che con veemenza
scaccerai quelle orride chimere,
che sapientemente
trasformerai
quell’orrendo Tartaro
nei campi elisi,
dove sereni i miei pensieri,
dolcemente fluttueranno.

Madre
Vedo ancora
terribili mostri
che nel buio
prendono forma,
e tu, temibile
condottiera
sempre pronta
a sconfiggerli.

Vedo ancora
avanzare livide armate,
pronte a rapirmi
dal tuo caldo abbraccio,
pronte a straziare
la mia innocente anima,
pronte a strapparmi
il mio palpitante cuore,
e tu, come i temibili uomini
del re Leonida,
eri il mio forte
e robusto scudo.

Ora che sconfitte
quelle livide armate,
ed altre maligne flotte
cercheranno di rapire
quel che resta della
mia innocente anima,
il ricordo del tuo sorriso
sarà il mio forte
e possente scudo.

Nuova Vita
Ulivi carichi
dei loro verdi frutti,
pazienti aspettano
aggrappate al
vecchio albero,
la terra oppressa
da sterili erbacce,
trepidante attende
il forte aratro,
il seme sepolto
nella fertile terra,
ansioso attende
la fresca acqua.

Io come quei vecchi ulivi
trepidante ti attendo,
io come quella nuda terra
impaziente ti aspetto,
io come quell’ansioso seme,
irrequieto indugio.

Per dissetami felice
alla fonte del tuo amore,
e poter germogliare
a nuova vita.

Trebbiatura
Dorate spighe
fluttuano al vento,
come il ballo
di soavi fanciulle.

Pregne dei loro
farinacei frutti
nella loro trepidante
danza,
d’esser raccolte
con impazienza attendono.

Come se queste
con arcana
consapevolezza,
attendessero
quel’infausto mostro,
che con veemenza
le strapperà alla terra.

Continueranno felici
nella loro danza,
perché dalla loro fine
continuerà la vita.

L’anima del poeta
Brulli paesaggi nella mia mente
prendono impetuosamente forma,
si delineano come astuti predoni
dietro le dune del deserto.

Soggiogato dai miei pensieri,
mi lascio trasportare sulle
veementi onde delle mie angosce,
depredato dei miei sogni
da brutali e selvaggi pirati,
incarcerato nel mio essere
da astuti e maligni aguzzini.

Guardo dentro la tua anima
e vedo quei deserti diventare
folte e rigogliose foreste,
quelle onde impetuose diventare
calmi e rassicuranti dondoli,
quei brutali carcerieri
saggi e fidi consiglieri.

Penso all’influsso della tua vita
e non ho più paura
dell’irruenza della morte,
penso alla violenza della morte
e vedo l’anima immortale
del poeta che calma la sbeffeggia.

Sogno?
Sporto dal varco
della mia anima
guardo immagini
senza contorni,
forme offuscate
da una nebbia di pensieri.

Sogno di sognare
questa reale realtà,
stando sveglio
in un sonno cosciente.

Sogno di svegliarmi
dal mio torpore,
dando il contorno
alle nostre
appannate vite,
dissolvendo
quella fitta nebbia.

Mi sveglio e non riesco
a dissolvere quella
fitta nebbia,
non riesco a ridare
il contorno alle forme,
non riesco a distinguere
il reale sogno
dalla sognata realtà.

Mio Padre
Ho ammirato un uomo
per la sua forza,
ho amato quell’uomo
per la sua dolcezza,
l’ho stimato per la sua
intelligenza.

Ho combattuto quell’uomo
per la mia stoltezza,
per non aver compreso
quanto l’amavo,
per non aver
capito quanto mi amava.

L’ho ancora venerato,
per come sbeffeggiava
il suo morbo,
per come lo combatteva,
per il suo modo di amare la vita.

Ho amato quell’uomo
in tutte le sue versioni
e sempre continuerò ad amare
mio padre.

L’ultimo re del Metropolitan
Il sordo trambusto
delle poltrone nella sala,
il muto crepitio dei
fogli sui leggii,
l’assordante accordarsi
degli strumenti,
i curiosi binocoli
dai lussuosi palchi .

Il rumoroso silenzio
della platea,
lo sguardo attento
dei sfarzosi palchi
il triplice picchiettio
della bacchetta,
l’orchestra che
s’anima come d’incanto.

Il sipario che s’alza
come portato dal vento,
la scena si materializza
come per magia,
e appare il re
Big Luciano.

Altre poltrone
saranno in tumulto in platea,
altri fogli rumoreggeranno
su quei leggii,
altri binocoli scruteranno
dai lussuosi palchi,
ma Big Luciano
resterà in loggione.

Gelsi bianchi
Gelsi bianchi giacciono
sparsi su un letto di foglie,
calpestati dal tempo,
ripudiati dal proprio albero,
punti da uccelli,
che non osano più volare.

Guardo inerte quell’albero
e triste osservo quei
frutti inariditi,
spogliati del loro succoso nettare,
macchiati nel loro candido manto,
offesi da chi,
non ha saputo cogliere
la loro invitante fragranza.

Quell’albero che era mio,
quell’albero ormai spoglio
dei suoi succosi frutti,
ma sempre verde dei
miei gai ricordi.

Quell’albero che nessuna
ascia potrà mai abbattere,
che nessuna sega potrai mai tagliare,
che nessun uragano potrà mai sradicare.

Quell’albero che rigoglioso
dentro la mia anima,
continuerà a fiorire
dolci e succosi gelsi bianchi.

Terra
Alberi piegati
dalla veemenza di Eolo,
rocce scavate
dalla mano di Chrono,
genti forgiate
dallo scaltro Prometeo.

Profumi dei frutti
dell’impetuoso Posidone,
eterei colori dell’immenso Urano,
eternamente sorretto
da Atlante titano,
fertile imponenza
della madre Gea.

Questo è il mondo
che salendo sul monte Olimpo,
chiedendo clemenza
al possente Zeus
vorrei poter vedere.

E infine dall’Ade,
dopo aver onorato
la regina Persefone
o sui campi Elisi
o dal buio Tartaro
continuerei a bearmi.

Vero Amore
Scruto assopito
l’immensità del cielo
e penso al miracolo della vita,
al germoglio che dentro
il grembo materno
pazientemente sboccia.

Osservo incantato
l’imponenza delle montagne
e penso al vigore,
alla veemenza, al fervore
di quei genitori
che cureranno
quel tenero germoglio,
difendendolo
da ogni orribile drago.

Guardo rapito
l’incessante scorrere
del fiume e penso a
quel dono divino,
che con un semplice vagito,
un singolo sguardo,
un flebile suono,
è capace di ridestare
immani e sopite emozioni.

Fisso meravigliato
l’intensità del fuoco, e vedo
quell’amore tanto grande,
quell’amore tanto puro,
quell’amore vero Amore.

Prigionieri
Ignari prigionieri
di evanescenti gabbie,
trasciniamo inconsapevoli
la nostra quotidianità,
il peso dei nostri affanni.

Involontari detenuti del fato,
durante l’interminabile ora d’aria
che ci è concessa,
sperperiamo le nostre vite
in inutili angosce.

Ingannati
dalle nostre stesse esistenze,
imbrogliati
dai nostri stessi vezzi,
illusi
dalla nostra fallace volontà.

Mentre potremo vivere
una vita libera
dalle nostre prigioni,
se solo riuscissimo
ad Amarla.

Vivere
Vivere,
in questo folle mondo
senza mai esser vissuti.

Esistere,
nei nostri arcani sogni
senza mai essere esistiti.

Essere,
le persone che crediamo
senza mai esserlo stati.

Morire,
sperando in una nuova vita
che non sia più morta
dell’a prima vita.

Perire,
temendo l’ignoto di
un mondo oscuro,
restando attaccati
alla nostra esistenza.

Spegnersi,
come la fiammella
di una candela,
cercando l’ultimo
residuo di cera,
per brillare ancora
un istante di fioca luce.

Morire senza mai esser vissuti
è come vivere senza mai essere nati

Rogo
Come se il fantasma di “Nerone”
imperversasse sulla città,
roghi nella notte ardono,
incolpando di stoltezza
i nuovi cosiddetti
“Cristiani”
per poi poterli dare in pasto
alle belve nell’arena.

Costruire sulle ceneri
una nuova città,
una città pulita,
che non emani il fetore
della finta pulizia ostentata,
che non produca il puzzo
che emana chi si tappa le nari,
chi si chiude gli occhi,
chi si serra le orecchie.

Ma oggi, non è Nerone
a dare alle fiamme la città,
ma i nuovi cristiani,
stanchi dell’indifferenza,
sapendo che quello che a Napoli
veramente puzza non è la
MONNEZZA.

Il treno
Giorni trascorrono frettolosi,
mentre io fermo,
in questo mio stato
d’inconsapevole torpore,
li scruto come la corsa
folle di un treno.

Giorni di immane ansia,
giorni di trepida attesa,
giorni di inquieta speranza.

Speranza sempre più flebile
speranza sempre più fioca,
speranza sempre più sommessa,
di riuscire a fermare
e prendere quel folle treno.

Giorni in cui le passate gioie,
le trascorse ilarità,
le vissute spensieratezze,
nella mia mente si annebbiano.

Come un lontano sogno mai sognato,
come un passato mai passato,
come una vita mai vissuta.

Ma poi, con il mio bagaglio di ricordi,
di speranza e di fede,
mi ridesto da quel folle torpore.

Mi ritrovo passeggero
senza biglietto su quel folle treno,
allora, ringraziando quell’arcano
controllore, pago in silenzio
la mia ammenda.

Ombre
Ombre prendono forma
nella mia vessata mente,
mentre calmo vago
fra la muta gente.

Il tempestoso mare
or guardo ansimare,
finché il gelido vento
lo fa forte sbuffare,
portando fra le onde
della mia mente stanca,
una nave arcana fra
la schiuma bianca

Vedo apprestarsi lesti
nelle loro antiche vesti
quei sommi condottieri
che combatteron fieri.

Serio uno di questi
senza tanto indugiare,
come un amato padre
incomincio a parlare.

Quanto sangue versato
su questo suolo amato,
lottando guerre immani
per rendervi Italiani.

Quell’ eroico senso
or non oltraggiate,
con le piccole lotte
che stolti combattete.

Destandomi lesto
da quell’arcano incanto,
mi trovai il viso in un
fulmineo pianto.

Turbato dal rimprovero
che quell’eroe mi mosse,
pensai quale il senso
di quel sogno fosse.

Non ebbi dubbio alcuno
che quello strano sogno,
altro non era,
che un mio grande bisogno,
di credere ancora
a dei valori saldi per onorare
i Mille e il prode Garibaldi.

Io credo?
Io credo in Dio,
eppure ho giaciuto sull’asfalto
dolorane in una pozza
di sangue.

Io credo in Dio,
eppure sono stato mesi
sdraiato in un letto
di ospedale.

Io credo in Dio,
eppure non riesco
ancora a camminare.

Io vorrei non credere più in Dio,
per non incolparlo
di ciò che mi è accaduto,
vorrei destituirlo
dalla sua onnipotenza,
vorrei non affidare a lui
lo svolgersi degli eventi.

Io vorrei continuare
a credere in Dio,
ma non per chiedergli
il perche di queste
sofferenze,
non per incolparlo di ciò
che mi è accaduto,
non per chiedergli
il motivo della mia
mancata guarigione.

Io vorrei continuare
a credere in Dio,
per chiedergli
di restituirmi la fede.

(Dedicata a me, che fino ad oggi mi sono sforzato di credere che il mio incidente è stato sola colpa del fato e non di un disegno divino.
“La sofferenza fa parte del disegno divino , e di coloro puri di spirito. Antonia S.”
)

Perché?
Gran Dio, Perché
dobbiamo vivere
affannandoci
a costruire,
a creare,
se dopo siamo consapevoli
che arriverà la morte
a distruggere tutto?

Gran Dio, perché
esiste il bello
che tanti sensi di
grazia e di armonia ci desta,
se dopo il brutto
ci infonde orripilanti percezioni
offendendo ciò che bello era?

Gran Dio, perché
il giovane che tanto rigoglio manda,
deve dalla vecchiaia essere vilipeso,
privato del suo vigore,
della sua vitalità?

Gran Dio, perché
la pace che tanta vita rimanda,
deve essere sempre offuscata
dall’inutile ed ignobile guerra,
che strazia e dilania
quell’armonia di vita?

Oh umano,
proprio perché,
l’uomo non smetta mai
di domandarsi il perché!

Ricordi
Camminando in punta di piedi
dentro i miei ricordi,
il profumo dei passati giorni,
si spande al pari di una dolce nube,
mossa dall’inesorabile vento
di antiche memorie.

Come un’inebriante aroma,
quella dolce brezza
mi inonda l’anima,
di soavi pensieri,
di gaie emozioni,
di giocosi sensi.

Quasi volessi strappare
dalle fauci del temibile
"Kronos" il passato,
lo esorto a vomitare
i miei lieti trascorsi.

Questi, eseguendo
il mio irreale ordine,
mi circonda del mio
lieto vissuto.

Ma destandomi
dal mio arcano sonno,
in punta di piedi esco
dal mio lieto passato,
felice di avventurarmi
nel mio incerto futuro.

Tramonto
Mentre il sole lento
nel mare s’immerge,
come se dolcemente
v’affondasse,
l’aspra brezza salmastra
mi inonda il palato,
mi pettina i capelli,
mi punge le nari.

Fintanto che il mare è
reso purpureo
da quel vermiglio sole,
la mente mi s’inebria
in un cocente abbraccio.

Il cielo ancora ramato
dal ricordo di quella
calda sfera,
come un attento ospite
accoglie l’infreddolita luna,
alleviando per pochi
interminabili istanti
il suo candido pallore.

Io felice
per esser parte
di questo sommo incanto,
paziente guardo
la lucente e pallida
Selene.

Consapevole
che il fiero Apollo
domani imbriglierà
i suoi destrieri,
prenderà in mano le
lunghe redini,
soggiogandoli ancora
al suo volere.

Al pari
di quell’infuocata sfera,
anch’io domani risorgerò
a levante.

Occhi rubati
Occhi,
avvinti scrutavano
le candide cime delle montagne,
colmi di gioia e di commozione
per l’immane e dolce incanto.

Fra i pali stretti dello slalom,
occhi attenti e gioiosi
si lasciavano
scivolare sulla candida neve,
linda come la tua
netta l’anima.

Occhi,
curiosi e persi
in quell’infame mondo,
quel mondo così lontano
dalle tue bianche vette,
quel nero mondo che
contrastava
col candore di quella
soffice neve.

Occhi,
rubati da un
terribile demone,
accecati da una
tetra pastiglia,
deturpati di quel
profondo chiarore
che erano
i tuoi vispi occhi.

Occhi,
che in un altro corpo,
in un'altra vita,
in un altro sogno,
per tuo volere
ancora vedranno
quelle bianche vette.

(A Kristel Marcarini giovane promessa dello sci Italiano, morta a 19 anni dopo una serata in discoteca
a causa di una pastiglia di ecstasy. E, che aveva espresso la volontà di donare i propri occhi.)

Bimbi
Interrogativi e
ingenui occhi
mi scrutano,
lasciando trasparire
tutta la purezza
della loro
netta anima.

Gioiosi sguardi
mi invitano
ad infantili giochi,
svaghi che credevo
persi nei meandri
più reconditi
della mia
sopita anima.

Come un paziente allievo,
ascolto la vostra anima
che attraverso
i vostri gai occhi,
al pari d’un vecchio
e saggio maestro,
mi infondono
la conoscenza
della vera innocenza.

Gioiosamente
turbato da tanta
schietta semplicità,
per la prima volta
mi trovo a scoprire
la vera essenza della vita.

(Ai miei due nipotini Matteo e Noemi)

Bruciante amore
Al pari della falena che
imperterrita
vola verso la luce
incurante di bruciarsi,
con ardente gioia
senza paura
della cocente fiamma,
ostinato procedo
verso il tuo
caldo amore.

Al pari del fiume che
inarrestabile volge
verso il mare,
travolgendo ogni ostacolo
corro dentro i tuoi
fluidi e lucenti occhi.

Al pari del prode cavaliere che
in sella del suo
fiero destriero
squarcia il cuore
dell’orrendo drago,
con la stessa impetuosità,
amore mio
faccio breccia
nel tuo cuore,
per poter tranquillo
riposare nella tua
ospitale anima.

Al pari dell’araba fenice che
dalle sue ceneri
sempre risorgerà,
adesso amore mio
io brucio nella fiamma
del tuo amore
per eternamente
risorgere in te.

(Alla mia dolce moglie.)

Metamorfosi
Guardo,
la neve che senza
opporre resistenza,
lenta sotto un possente sole
cede il posto
alla sua metamorfosi,
trasformandosi in fluida acqua,
abbandonando quel suo
solido candore,

Osservo,
il bruco strisciante
mentre voracemente si nutre,
per mutarsi in una
leggiadra e variopinta
farfalla.

Scruto,
il cielo che brulica di rondini
mentre si inseguono
in una frenetica
e gioiosa danza,
e immagino le loro uova
che si tramuteranno
in pigolanti
ed affamati pulcini.

Mi specchio
in una limpida pozza
e notando le mie prime rughe,
come crisalide,
mi ritrovo a gioire
per la mia metamorfosi.

Vetro soffiato
Infuocato,
al pari delle viscere dell’Ade,
vetro fuso,
come rossa pastura ardente,
dentro a dei crogioli bolle.

Lanciando in aria
chiare scintille,
irrorandolo di una
sinistra luce,
apparir lo fa
un minuscolo e
fiammeggiante lago.

Il maestro vetraio
al pari d’un arcano dio,
immergendo una lunga canna,
estrae da quell’orrido lago la
scarlatta melma.

Come se dovesse portare
in salvo la bella Euridice,
stando attento a non
peccar d'impellenza
come l’impaziente Orfeo.

Appena fuori da
quel ristretto Ade,
quasi beffeggiando
la scura Persefone
come se vi alitasse la vita,
soffiando attraverso
quella lunga canna,
plasma luccicanti
ed eteree forme.

Infine con la fronte imperlata
dal sudore,
contempla felice la sua
creazione,
sapendo che
da quell’immaginario
inferno non è uscito
un terribile demone
ma candido angelo.

(Dedicata alla memoria del maestro vetraio Paolo ROSSI.)

Martiri dell'estate
Gli alberi, si sono già spogliati
del bruno colore dell’inverno,
vestendosi del verde manto
della primavera.

Il polline, inonda l’aria,
trasportando starnuti e nuovi sogni
lungo le vie,
imbiancandole come una calda
nevicata estiva.

Le menti, viaggeranno
per caldi ed esotici luoghi
dalle bianche spiagge,
per freschi ed imponenti
paesaggi montuosi,
per calmi ed assolati laghi,
per la nuova e tanto
attesa estate.

E ancora una volta,
sentirò il disperato guaire
di quegli animali,
vittime delle vacanze
e di quei bastardi senza scrupoli,
che indifferenti li abbandoneranno.

Fotografie
Con allegra tristezza miro
Giovani e gai visi,
immortalati in vecchie
fotografie ingiallite,
speranze di prospere vite
che nonostante
il passar degli anni
impazienti aspettano.

Fermi in quelle pose,
immobili con quei sorrisi,
immagini irrequiete
aspettano il realizzarsi
di gloriosi sogni.

Visi che fanno a pugni
con l’inesorabile
passar del tempo,
visi che con veemenza
combattono la rassegnazione
di chi quei sogni non ha
saputo sognare.

Visi che mi esortano
a guardare chi ero
visi che ancora
mi spingono a sognare.

La nera signora
Nera signora dalle scure vesti,
che negli animi più arditi
paurosi tormenti desti.

Tetra sovrana di tenebrosi mondi,
che con la tua lucente falce
tanto tormento infondi.

Perché or non m’appari
che da pari a pari,
con te cupa signora
parlare io vogli’ora .

Ella come in un sogno
nella sua nera veste
che svolazzava come
le vele alle tempeste,
m’apparve dunque lesta
e senz'esitare,
in un eterno attimo
incominciò a parlare.

Perché or tu mi invochi
con sì veemente ardore,
se ancor di questo di luogo
son tante le tue ore?

Morte io qui ti invoco
perché vo in conoscenza,
qual è la tua cagione per
tanta sofferenza.

Oh quale ardir tu osi umano
al mio cospetto,
che ha me ti volgi
senza mostrar alcun rispetto.

Senza la morte oh stolto
alla vita voi umani,
altro non dareste che
sofferenze immani.

Pensa a quei tanti anziani
che mi tendon le mani,
e che con supplice voce
invocano la pace.

Pensai in quell’istante quale fu
la cagione per fare
inconsapevole di me un istrione.

Riflettei allora svelto al
mio tormento,
quel saggio favellare mi
fu d’insegnamento.

Se nella fredda terra
ora tu madre giaci,
e provo gran dolenza
per la tua mancanza,
ora ne son sicuro
che la tua cruda sorte
adesso è alleviata nelle
braccia della morte.

(A mia madre e a tutti quei malati terminali di incurabili morbi, che nella morte trovano la giusta pace)

Amore mio
Camminavo nell’oscurità
scambiandola per vivida luce,
annaspavo in fangose paludi
confondendole per netti lidi.

Ora innanzi a questa
corvina chioma
l’oscurità mi appare tenebra,
il puzzo di quelle fangose paludi
mi offende le nari.

Ora innanzi a questi grandi occhi
cessa la mia cecità,
vedo il livore della mia passata,
vuota e inutile vita.

Ora innanzi a te amore mio
risorgo alla vera vita,
non più una solitaria
e vuota esistenza
ma una vita piena di noi.

(A mia moglie)

Bullismo
Figli,
Persi nelle loro stesse anime,
bambini non più bambini,
adolescenti non ancora adolescenti,
devastati da silenziosi rumori
chiedono aiuto
con assordanti silenzi.

Genitori,
adulti mai stati adulti,
ciechi
che non vedono
quell’immane tormento,
sordi
che non odono quei rumorosi
silenzi,
quell’accorato
bisogno di guida, di regole
che a questi
con rumorosi silenzi
reclamano.

Imprigionati
dentro un telefonino,
inconsapevoli schiavi di una feroce
tecnologia,
vittime e carnefici
delle loro stesse vite.

La società,
colpevole
di aver creato i bulli con la sua
indifferenza,
colpevole
di non saper proteggere di questi
le vittime,
colpevole
di non aver fatto diventare adulti
gli adulti.

Venditori di morte
Lungo le strade
venditori di morte
decidono della
umana sorte,
alienando sogni
di chiara polvere
dicendo che questa
poi faccia risorgere.

Nelle discoteche
persone bieche
inondan le menti
delle giovani genti,
spacciando l’oblio
per divertimento
infondendogli
un immane
e perpetuo tormento.

Dentro a lussuosi
palazzi dorati
venditori di morte
sempre ben vestiti,
con venti spinelli
ed alcuni grammi
si lavan le mani
di immensi drammi,
decidendo quanto
di quella morte
a quei ragazzi
posa bastare
per poter vivere
oppure morire.

Destati ora
dolce speranza,
fa che il senno
in questi s’avanza,
che mai più siano
dei compratori
e scaccino quei
lividi venditori,
perche tramutino
lo sballo in bello,
e torni alla vita
il dolce ballo.

Carabiniere
Tu,
che in pochi istanti
prendi risolutive decisioni,
le stesse che un magistrato
prende in giorni e giorni
di consultazioni.

Tu,
che insonne vegli
le nostre notti,
sotto la pioggia battente
o al gelido alito
del giorno nascente.

Tu,
che con il tuo sangue
hai lavato il lerciume,
che ha insozzato
le strade della nostra
bella Italia
e che ancora l’insozza

Tu,
ingiuriato negli stadi,
deriso nei teatri,
vilmente dilaniato a “Nassiyria”,
oltraggiato nei cortei,
da quell’infamante
dieci, cento, mille
e cosi sia.

Tu,
che usi tacendo
obbedire
e tacendo
morire.

Ti dico grazie
CARABINIERE.

(A tutti i Carabinieri D’Italia)

Speranza di vita
Nonostante i potenti
cercheranno di avere ragione
sui deboli,
Sole domani splendi.

Nonostante i malvagi
Brameranno la ragione sui giusti,
Febo impugna le redini dei tuoi destrieri.

Nonostante domani
in Tibet i diritti umani
saranno vilmente calpestati,
giorno sostituisciti alla notte.

Nonostante in Africa domani
la parola futuro
continuerà ad essere
un’inutile parola senza senso,
vita scambiati alla morte.

Fino a quando daremo
speranza alla vita,
ci sarà sempre
una vita di speranza.

La speranza non potrà mai essere
oscurata dalla notte,
fino a quando il divino Febo
non permetterà
all’incauto Fetonte
di bruciare la terra.

Olimpiadi Cinesi
Oh Zeus, che al giovane Pelope
ridasti vite nuove,
le mortali genti
ogni quattro anni ti celebrano
“OLIMPICO GIOVE”.

Con quanta tenacia
giovani fanciulli
e tenere fanciulle,
si allenano con coscienza
donando allo sport
la loro adolescenza.

Sudando per potere gareggiare
sotto quei cinque cerchi,
che simboleggiano le umane genti
che popolano
i cinque continenti,
nel nome
di quell’amichevole rivalità
che unisce i popoli e che con
con corrette competizioni
regalano intense emozioni.

Indottrinati all’onore
nel’antica arte della scherma,
al rispetto dell’avversario
nella nobile arte della lotta,
all’eleganza
nei graziati movimenti
dell’equitazione,
alla pace
nel nome della competizione.

Oggi, questo onore,
questo rispetto,
questa eleganza,
questi simboli di
pace e fratellanza,
offuscate saranno
da chi in Tibet
ha vilmente calpestato
e continua a calpestare,
ciò che queste parole
stanno a significare.

Aci Trezza
sotto i faraglioni
di Aci Trezza,
nella solitaria notte
muta e mesta
luccicano le lampare
a festa.

Occhi curiosi
che scrutano nel mare
sono le barche
che calme si lasciano
cullare.

Sul mare la luna
l’argenteo manto stende,
rendendolo come
un fermo incanto,
muta ascoltando
il loro dolce canto.

Quel tratto
che solcato fu d’Ulisse
e l’ira del Ciclope
Omero disse,
che accecato
dal furbo Nessuno
in suo soccorso
chiamo il padre
Nettuno.

In questo luogo
di sì dolce incanto
che il gran poeta
narrò in suo canto,
in questa notte
di così calma brezza
cantano i pescatori
di Aci Trezza.

Legge 194
Insultata,
per secoli da deboli uomini,
temuta e bruciata nelle piazze
da potenti senza scrupoli
nel nome di un falso Dio.

Oltraggiata,
per quel tuo essere superiore,
per avere quel dono
che solo il vero Dio infonde,
nell’essere capace
di generare vita.

Offesa,
nel buio d’una sala d’ospedale,
con infamanti incriminazioni,
mentre insensibile al dolore
di quelle ferite;
perche il cuore,
l’anima, veniva straziata
per una vita mai nata,
per il latte mai poppato.

Ingiuriata,
Mentre con la morte nel cuore
ti chiedevi
quale vita avresti dato
a chi della vita non poteva gioire?

Ancora oggi
uomini stolti ti chiamano
omicida, infanticida,
mettendoti alla pari
di vili criminali.

Lucida mente
Lucida mente,
dentro un corpo inerme,
un fisico che non è più un fisico,
muscoli inermi nervi inerti.

Lucida mente,
reclama il senso della non vita,
esigi che ti sia accordata
la non morte,
mentre sei obbligata a patire
quella morte atroce
che è l’obbligo di vivere
in un inutile contenitore.

Lucida mente,
che con vigore combatti
con le sole armi
della tua volontà di vivere,
di vivere una dignitosa vita,
di morire una decorosa morte.

Lucida mente,
cessa quelle atroci sofferenze,
concedi quella dignità di uomo,
oscurati, stacca quella spina,
che i miei pari nel nome
di una falsa umanità
si ostinano a non strappare


Buon Dio,
infondi lucidità in quelle menti
che in nome della
tua misericordia,
ora negano la vera
carità.

Lucida mente,
dona tu quella dignità di uomo
che gli uomini negano.

(In memoria di Piergiorgio Welbi
e di tutti quegli ammalati
che attendono dignità)

3 Maggio 2005
Insolita nebbiosa
giornata di maggio,
il solito lavoro
e lo stesso viaggio.

Insolito pullman
sulla carreggiata
una dura e brusca
folle sterzata.

La mente si annebbia
dopo quel grande salto,
i nostri corpi distesi
su quel rosso asfalto.

Le nostre certezze,
i nostri progetti ,
su quel rosso asfalto
ora si sono rotti.

Oh mio compagno
di mille avventure,
se adesso
siam vittime di
queste torture,
vorrei che il tuo senno
potesse capire
che altre vite
possiamo ghermire.

La nostra esistenza
è stata rapita
per essere resa
a una nuova vita.

Una vita terrena
Di sogni novelli,
ora non più amici
ma veri fratelli.

(A Riccio Massimiliano,
fraterno amico di mille avventure
e di una sventura)

Ai miei papà
Quanta sicurezza mi davano
le tue forti braccia,
quanta fiducia mi davano
i tuoi calmi discorsi,
quanta gioia mi davano
i tuoi favolosi racconti.

Quanti inutili regali ogni
19 marzo:
dopobarba
che non avresti mai usato,
sigarette
che non avresti mai fumato.

Quanta rabbia ho provavo
quando mi hai lasciato
per quel mondo ultraterreno
che ti avrebbe reso la pace,
ti avrebbe tolto gli affanni
di quel terribile morbo
che oltraggiava il tuo
essere uomo.

Quanta gioia ho provato
nel ritrovarti nel mio amato
suocero,
quanto rimpianto ancora provo
per non averlo mai chiamato
papà.

Simile a te per l'ingegno,
per l’arte,
per l’inventiva
e per il suo amore.

Quanto dolore ho provato
quando anche questi
mi ha lasciato,
per cessare gli affanni
di altro atroce morbo.

Quale triste gioia
nel sapervi entrambi
a dibattere dei vostri ingegni.
in gioiosi ed arcani mondi.

Papà Francesco
e papà Paolo
buon 19 marzo.

Spumeggiante onda
Spumeggiante onda,
fluida fonte di lieti pensieri
e di dolci ricordi,
perpetuo atto
di arcane storie ,
andirivieni
di intensi sentimenti.

Spumeggiante onda,
trasportami nei tuoi ricordi,
annegami nei tuoi pensieri,
inabissami nei tuoi segreti,
fammi naufragare
in lontani lidi.

Spumeggiante onda,
destami lo spirito che
di Odisseo fu ,
il gusto della libertà,
il senso della scoperta.

Spumeggiante onda,
infondimi il sale
del tuo travolgente mare,
l’impetuosa forza
delle tue tempeste,
la calma dei
tuoi sereni tramonti.

Spumeggiante onda,
infrangiti
con tutto il tuo
veemente vigore
sulla chiglia
della mia fantasia.

Spumeggiante onda,
tu, oh sorella
del possente Eolo,
chiamalo a spirare
sulle vele
dei miei sogni
e reclamalo
per gonfiarle
con l’impeto
di erranti miti.

Spumeggiante onda,
fammi ancora
viaggiare
nei segreti mondi
del tuo immenso mare.

La dignità
Oggi ho perso la dignità
perché ho abbandonato
un mio fratello
alle sue angosce.

Oggi ho perso la dignità
perche l’ho lasciato solo
con le sue incertezze.

Oggi ho perso la dignità
Perché gli ho detto
che la precarietà sul lavoro
sarebbe stata flessibilità.

Oggi ho perso la dignità
perché gli ho fatto credere
che avrebbe potuto vivere
da uomo libero,
libero dall’angoscia
di perdere il lavoro.

Oggi ho perso la dignità
perche un mio fratello ha temuto
di non poter più dare ai suoi cari
la dignità.

Oggi ho perso la dignità
Perché un mio fratello si è ucciso
credendo di aver perso
la dignità.
( A Luigi Roca che si è tolto la vita dopo aver perso il lavoro e che con queste parole
ha salutato per sempre sua moglie:
"Ho perso il lavoro e con quello la dignità. Scusami"
)

Via Fani
Giovani protestano invocando
un mondo migliore,
giovani protestano
contro la guerra
inneggiando alla pace.

Giovani protestano
imbracciando mitra e pistole
per darci un mondo di pace
per darci un mondo migliore.

Giovani protestano
uccidendo altri giovani,
per darci un mondo di pace
per darci un mondo migliore.

Giovani protestano
rapendo Aldo Moro,
barbaramente uccidendo
la sua scorta in via Fani,
per darci un mondo di pace
per darci un mondo migliore.

Giovani protestano
uccidendo Aldo Moro
e lasciandolo in via Caetani,
per darci un mondo di pace
per darci un mondo migliore.

La violenza mascherata da ideale
è la fertile madre di ogni male.
(per non dimenticare quel triste 16 marzo del1978)

I vecchi
Sorgenti di ricordi senza meta errano
ad esili bastoni appoggiati vanno.

Incurvati dal peso di antiche memorie
fra la nostra indifferenza
inosservati passano.

La nostra storia in essi vi è riposta,
chi siamo stati e quello saremo,
ad ogni domanda
hanno sempre una risposta.

Perché, allora tanto stolti siamo
e a lor cospetto sì ingrati ci mostriamo,
dopo che liberati da quel tiranno infame
or delle pace noi non gli diamo speme.

Povere anime che ci scrutan tristi
e quasi infastiditi siamo noi da questi
per i loro consigli e i loro buffi gesti.

Poveri vecchi ancora oltraggiati
Pur della dignità li abbiamo noi privati,
dopo una vita di duro lavoro
arriva la più grande delusione,
neghiamo a loro la giusta pensione.

Di offenderli ancor paghi noi non siamo
come degli appestati li trattiamo
dandogli ancor tanti supplizi
chiudendoli in dorati ospizi.

Nonostante questi immani insulti
che a i nostri vecchi
profferiamo oh stolti,
nell’abbracciar quei corpi sì vermigli
con amore questi ancor
ci noman “Figli”.

Cento stanze
Cento stanze di paura,
cento stanze di coraggio,
cento stanze di vergogna.

Cento grida di soccorso
cento fiati di speranza
cento dubbi di innocenza.

Cento scuse per quei bimbi
morti dentro un buio pozzo
per l’umana negligenza
o per la folle violenza.

Cento accuse,
cento condanne e
cento assoluzioni.
Due ragazzi, due speranze
Persi nelle cento stanze.
(A Ciccio e Tore)

Sud
Gente rinvigorita dal cocente sole
nelle valli
del mio amato sud.

Gente offesa da quello stesso sole
nelle valli
del mio odiato sud.

Le rigogliose coste
che di Odisseo furono il conforto,
malamente oltraggiate
da quei figli
del mio amaro sud.

Contadini cacciati dalle loro terre
nel falso nome
del moderno sud.

Giovani uccisi nelle fabbriche
per sfuggire allo spettro
dell’antico sud.

Giudici e onesti suoi figli,
ignobilmente uccisi
dal mio feroce sud.

La paura è l’unico male
del mio infamato sud,
l’indignazione è l’unica cura
per il mio ammalato sud.

(A tutti quegli uomini
e quelle donne che con grandi gesta
o con piccoli gesti quotidiani,
giornalmente combattono
la più spietata e sanguinaria delle mafie
L’INDIFFERENZA)

Trinacria
Sotto l’abbraccio attento del vulcano
che con il suo pennacchio fumoso
come un carabiniere vigila,

dorate e spumeggianti onde
sono i campi di grano
che sulla piana di Catania
rigogliosi fluttuano.

Tormentati dal dolce alito
sembrar li fa
danzanti fanciulle bionde
alla paesana festa.

Perle rigogliose
sono i variopinti agrumeti,
delizioso il profumo
che il gelsomino
e la zagara spande.

Oltre, il mare avvolge
con il suo perpetuo abbraccio
questa linda terra,
che tanto gioir la fa per la sua quiete
e tanto pene nelle notti di tempeste desta.

Tu terra di conquiste,
patria dei miti Greci.
Tu che a filosofi
e immani eroi desti i natali,
perché da gente sì codarda
martoriar ti fai?

Che infama le tue memorie,
che oltraggia le tue genti.

Oh vulcano,
colma con la tua impetuosa lava
le vene delle rette genti

Oh mare,
infondi la tua perenne forza
nelle menti dei giusti.

Oh Trinacria torna ad essere
la patria degli onesti.

Musica
Leggera come
una calma carezza
soave al pari di una
dolce brezza
è la sonante nota
che l’aere accarezza.

Sia il nobile violino
che l’abbia concepita
o dal febbrile liuto
sia questa rapita
o figliata ancora
dall’umano strumento
nell’anima infonde
un dolce turbamento.

Così le note lente
fluttuano danzando
formando un gioviale
e allegro girotondo.

Quanta beltà rimanda
quell’armonia di suoni
che come amanti ondeggiano
stringendosi vicini.

Da questi eterei toni
l’alma cinger si lascia
come l’infante avvolgersi
vuol nella linda fascia.

Quale possente nume
possa aver tanto lume
Per poter dar l’essenza
a questa dolce danza.

Ne creatura arcana
ne nume ne è il creatore
di questi dolci suoni
che arrivan fino cuore.

Le intense emozioni
che destan questi suoni
altro esse non sono
che umane creazioni.

Questa soave danza
di dolci i vibrazioni
gli umani la noman
musica, ossia
l’arte dei suoni.

Il bosco
Bosco che vesti i nudi monti
col verde manto di piante abbondanti,
rapito io sono dalla tua danza
che il vento induce con dolce potenza.

Quanta armonia in quelle movenze
quanta beltà in quelle danze,
or che t’ammiro così da vicino
anch’io mi sento un tuo ballerino.

Mentre ti miro il profumo si sente
della tua vita che intorno si spande,
dei funghi asprigni di bacche mature
di gai scoiattoli su queste alture.

finché in te mi perdo assopito
da un duro pensiero io vengo aggredito:

se destandomi un giorno e guardandomi intorno
tutto questo non fosse che un dolce sonno
e questa grazia che l’anima ispira
altro non fosse che falsa mira?

Se l’umane genti per stolta follia
Mettessero fine a questa armonia?
di duolo sarebbe Allora il mio pianto
Per aver distrutto questo dolce incanto

Ma poi mi desto dal folle sognare
e per la gioia mi sto a lacrimare,
per esser parte di questo creato
che il nostro buon dio
ci ha così donato.

Il lupo o l’uomo?
Quanta ferocia in un lupo
mentre sbrana, dilania
e divora la sua misera preda.

Quanta ferocia in un uomo
mentre combatte, oltraggia
e uccide il suo fratello
chiamandolo nemico.

Quanto terrore nella preda
mentre invano si dibatte
cercando di sfuggire ai morsi del lupo.

Quanto orrore nell’uomo
che per mano di un altro uomo
viene oltraggiato, combattuto
e ucciso.

Se il lupo non uccide e
non si nutre a sua volta
morrà.

Ma l’uomo che uccide
non si nutre del suo nemico.

Allora chi è la bestia
il lupo o l’uomo?

Angeli senz’ali
Senz’ali muti angeli vagano
per le corsie degli ospedali

portan speranza la dove è vano
sognar guarir da atroci mali

senza curarsi della fatica
conforto danno a chi più non spera

come la nave che il porto trova
in voi si scorge la calma sera

non siete arcani ma siete reali
angeli dolci senza le ali

siete i dottori e gli infermieri
che calmi vagan per gli ospedali

Forno di Canale
Un dì dalle venete acque mi mossi
e fino ai quei monti svelto mi volsi,
per il voler di una donna sì bella
che mi convinse con dolce favella.

Alla visione di tanto splendore
colto io fui da immenso fervore,
nel contemplare quei monti sì belli
che al il cielo guardano tranquilli.

Quella si dolce e bella fanciulla
col suo bel fare e
con voce tranquilla ,
ancor mi narrava di quei luoghi ameni
e dei natali di papa Luciani,
di quel paese sì tanto gioviale
che fu il Forno di Canale .

Oltre io udivo quei dolci racconti,
dei dì trascorsi e di allegre genti,
più rapito io mi sapevo
e in quei bei monti con l’alma vagavo

Guardando assopito quei muti giganti,
dalle bianche vette padroneggianti,
pensai al paradiso narrato dai santi
e del mio pensiero fu allor convinzione,
che assomigliasse a quella visione.

Io pensai lesto a i miei cari estinti
che in pace ora erano sopra quei monti,
di triste gioia il mio core si stette
nel saperli gai fra quelle vette.

Per valli e sentieri io presi il cammino,
scrutando quei boschi sì da vicino,
sentendomi parte di quella natura
che l’uomo maltratta con somma sciagura.

Fui dunque convinto che dal quel momento,
mai più avrei lasciato quel luogo incantato,
con quella fanciulla sì amata e sì bella
che fu l’a cagione del mio dolce fato,
l’avrei difeso dall’umano male
lucente Forno di Canale….

Marmolada
Eterna ti nomano femmineo monte,
supremo ghiacciaio sì dominante,
dalla tua vetta sì immacolata
in te mi perdo oh mia Marmolada.

Rapito da roccia così marmorina,
estasiato t’ammiro possente regina,
dall’alto tu domini questi verdi prati
signora tu sei delle dolomiti.

Le valli sì eteree e incontaminate
da genti sì forti sono popolate.

Perché t’han violata quegli uomini stolti,
che pe’ lor furore adesso son morti?
Cessando il candore del tuo bianco manto
bagnandoti con il loro immane pianto.

E gli uomini in pace che t’han profanata
e del bianco tuo manto or t’hanno spogliata,
come un cancro lento ghiacciaio imponente
le genti ti vedono agonizzante.

Allora insorgi mia somma regina,
ritorna e ghiacciarti sì bella e suprema,
richiama a gran voce e senza timore
il generale che porta il candore.

Nient’altro ti chiedo mia bella reggina,
ritorna sul trono più forte di prima,
perchè ti si possa ancora mirare
in tutto il tuo candido splendore.

In te io confido oh sovrana mite,
che le mie preci siano esaudite,
ma ancora t’ammiro signora fatata
possente reggina oh mia Marmolada.

Monte La Civetta
Ti vedo roccia nuda e possente,
ma muto mi parli monte imponente,
t’appellan come il rapace uccello
e usi le nubi come cappello.

Della civetta hai la parvenza
e della roccia la sua potenza,
quando il sole ti viene a baciare
dai luce al Forno di Canale.

Ti dicon spoglio di spirto vitale,
e che, agli umani non puoi parlare,
ma più ti rimango a contemplare
e oltre sento il tuo narrare.

Di gente dura senza sgomento,
che per la valle senza paura
dall’alba al tramonto
duro lavora.

Narrami oh monte di quella gente
che ignara d’esser di razza uguale
folle si volle sterminare.

Sento il tuo pianto maestoso monte,
li nomi figli quei prodi alpini
sia Austriaci che Italiani,
che la follia di un attentato
uomini in belve a presto cangiato.

Ancor tu gemi nel tuo narrare
e ti domandi con gran stupore,
perché quei figli dell’alpi belle
udir non seppero le favelle,
che con muta voce quei monti urlavano
e alla pace le genti invocavano.

Oh caro monte dall’ali abbondanti,
ancor mi narri di guerre furenti,
del cimitero dei figli tuoi
che fu ilfratello tuo Lagazzuoi.

Ancor io odo il tuo singhiozzare,
mentre ascolto il tuo serio narrare,
di quei figli sepolti in altra vallata
sulla sorella tua Marmolada.

Che gravi accenti io colgo col core,
mentre mi narri di sì tanto orrore,
che ancor non stanchi di guerre immani,
or sei tu tomba di quei partigiani,
che per liberarci dall’oppressore,
caddero fieri con onore.

Dunque comprendo perché mi parli
con così grave supremo accento,
perchè io narri al mare e al vento
e alle genti di tutto il mondo
che non ve roccia possente e muta
se l’alma in sorda non si tramuta.

Neve
soffice neve che dal ciel diffondi e imbianchi le valli e i sommi monti,
rendendole come signori canuti che sulle valli regnano muti.
Quanta beltà nel core mi mandi osservando questi muti giganti.
Imbiancati dal tuo delicato manto e tanta la gioia che si muta in pianto.
Non pianto di duolo ma commozione nel mirar questa bella creazione.
Oh uomini in pace se il senno vi luce, cessare non fate queste nevicate.


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