L’Ape e la Rosa
Prologo
Questo, a prima vista, potrebbe sembrare il racconto banale della vita di un’ape
operaia, ma non è esattamente così! è un po’ parti-colare l’ape e la storia.
Raccomando il lettore di vedere fra le righe l’altra narrazione, che deve esser
vista con occhi diversi da quelli usati per camminare.
L’ape era nata nell’autunno precedente e aveva svernato nel favo adempiendo ai
lavori idonei alla sua età. Già dall’infanzia era stata speciale perché la sua
“tata” invece di nutrirla come un’operaia l’aveva alimentata come le regine cioè
a pappa reale e ciò aveva fatto di lei un’ape più grande del normale, più
robusta e più intelligente. Dunque sul finire dell’inverno, terminato il suo
periodo di lavoro nel favo diede inizio ai voli di ricognizio-ne allo scopo di
raccogliere nettare per la produzione di miele. L’ape aveva salutato, con giri
di gioia, la primavera in arrivo e per sgranchirsi le ali, rese torbide dal
freddo e umido inverno, aveva fatto, nell’aria ancora fresca ma con un bel sole
che pro-metteva tante scampagnate, alcuni voli di ricognizione. Ogni giorno più
distante dal favo. Un giorno, volando qua e là alla ricerca di fiori, per
suggere il nettare, aveva scoperto un roseto tutto pieno di boccioli e fiori di
un colore particolare: a prima vista i petali sembravano rosa ma… poi li vedevi
rossi, giravi in tondo e apparivano gialli, partivi, ti guardavi indietro e li
ve-devi… d’infiniti colori. Si gettò a capofitto nelle rose per rac-cogliere il
nettare, l’aspettavano al favo per trasformarlo in miele, non poteva perdere
tempo. Si incuneò fra i profumati peta-li, che, parevano accoglierla in un
morbido abbraccio, e giunta dove era il succo cominciò a suggere ma più ne
aspirava e più c’era. Piena sino al colmo, non ne avrebbe potuto aspirare
dell’altro, decise di ritornare al favo. Nel viaggio di ritorno nonostante fosse
appesantita dal carico del nettare e del polline che si era attaccato alle sue
zampette, si sentiva allegra e leg-gera come fosse uscita allora alla ricerca. E
pensava e ripensava al roseto, perché come ben sapete voi tutti che le api
quando ri-tornano da un posto particolarmente ricco debbono fare la danza per
indicare alle compagne la strada migliore. S’era detta che non era il caso, per
il momento, che indicasse quel roseto, magari gli altri boccioli non erano poi
così ricchi, doveva prima tornarci e sperimentare altri boccioli. Arrivata
scaricò prima ad un’ape e poi ad un’altra il suo bottino fra i complimenti della
tribù. Uscì per fare la danza ed indicare il roseto ma invece diede un’altra
indicazione: fiori molto più vicini all’alveare. Ripartì verso il suo roseto che
la chiamava a gran voce nel cuore. Giunse sul luo-go e fece un giro di
ricognizione; da qualsiasi parte, la nostra ape, lo guardasse il roseto era una
meraviglia, così ben punteg-giato di rose splendenti e profumate, le une appena
sbocciate, al-tre in piena fioritura, altre ancora serrate ma vibranti voglia di
sbocciare e mostrare al mondo la meraviglia di petali con cui era-no adornate.
Tutte erano di molteplici, cangianti colori meravi-gliosi . La nostra ape volava
d’intorno e non decideva quale fiore scegliere per quanto tutti fossero
decisamente belli ed attratti-vi, al fine si gettò a capofitto in una grande
rosa accogliente e sprofondò nei morbidi petali profumati e le venne un
mancamento. Riposò fra i petali che l’avvolgevano con morbide carezze. Alla fine
, dispiaciuta, ma un’operaia è sempre un’operaia, si diede da fare per suggere
più nettare possibile e se ne riempì, senza vola-re in altre corolle, fino agli
occhi poi caracollò fuori e a sten-to prese il volo verso il favo ove giunse
ronzando come un cala-brone e quasi spaventò le altre operaie. Scaricò il suo
fardello a due tre operaie, lì addette alla faccenda, e ripartì a razzo verso il
suo meraviglioso rosaio. Fece altri viaggi, nel frattempo nel favo iniziarono a
chiedersi dove andasse così di furia e tornasse ogni volta con un carico
considerevole di nettare. Una servente della regina udì e andò a relazionare
l’anomalia alla regina la quale sentenziò:”E’ giovane e forte lasciatela fare,
chiedetele la mappa del luogo.” Così fu riferito alla capo operaia, la quale,
con tutte le operaie in arrivo cariche di nettare che chiedevano di scaricare,
se ne dimenticò e la nostra ape continuò, senza nes-suno sapesse dove andava, i
suoi viaggi. Fra lei ed il roseto si era instaurata una simpatia, l’ape si
trovava bene fra i suoi pe-tali profumati e non frequentava altri fiori, il
roseto metteva bene in vista i suoi fiori, quando arrivava l’ape, e si
rinserrava quando altri insetti volevano frequentarlo. La faccenda andò a-vanti
tutta l’estate, qualche volta con il gran caldo c’era l’ordine di restare nel
favo per, battendo le ali, arieggiarlo e rinfrescarlo ma alla nostra ape non
piaceva ed appena trovava la possibilità si eclissava e tornava dal suo roseto
il quale l’accoglieva a boccioli aperti. Arrivò l’autunno con le sue piogge
fredde e l’ape doveva rimanere nel favo perché non poteva volare nella pioggia
ma come vedeva che non pioveva prendeva il volo e correva nel suo roseto il
quale per la felicità di vederla apriva tutti i boccioli possibili. Arrivò anche
l’inverno con il gelo che falcidiò i fiori e le erbe dei campi ed anche il
roseto ebbe molti boccioli avvizziti dal freddo e l’ape poteva volare solo
quando c’era il sole. Per l’ape stavano compiendosi i giorni e le Parche erano
pronte a recidere il filo della vita, lei lo sentiva, anche le ali non reggevano
bene, pertanto decise d’andare nel roseto a trascorrere l’ultime ore. E così
fece. Quando il rosaio fu infor-mato che alla sua ape restava poco da vivere
sgorgarono lacrime dalle rose e decise che, in futuro, non avrebbe più aperto
boccio-li. Accolse fra i suoi petali carezzevoli l’ape che non aveva più energia
le fornì un nettare più dolce possibile ma in capo a qual-che giorno arrivò
anche l’ultimo. L’ape voleva allontanarsi, sono abituate morire fuori del favo,
ma la rosa, delicatamente, la trattenne e così la nostra ape esalò l’ultimo
respiro con l’ultimo sole della primavera di S. Martino, poi scoppiò l’inverno.
I boc-cioli furono rovinati dal freddo e il roseto perse quasi tutte le foglie
ma era ancora vitale. Un giardiniere sforbiciò quello che non era più utile ma
non riuscì ad eliminare il bocciolo dov’era il corpicino della nostra ape.
Ritornò la primavera e il roseto si ricoprì di foglie e boccioli e rifulse che
era una gioia veder-lo, l’ape lo guardava dal Paradiso ed era felice di tanto
splendo-re. Allora fece una danza per comunicare la sua gioia, intanto i
boccioli vibrarono tutti sotto i soffi dello zeffiro.
Una Rosa delle meraviglie
Da qualche anno vivo in un piccolo villaggio, le poche case sembrano sementi
sparse dalla mano di un contadino parco, nella Terra dove ebbero i natali i miei
Avi. Le casette sono circondate da umili, ma graziosi, colorati orti fioriti, da
frutteti e campi coltivati con tenacia, boschetti di lecci e cipressi, qua e là
una quercia secolare, un grande cipresso, ove trovò rifugio anche qualche
partigiano, ed in primavera un mare di giallo; le ginestre. Ci raggiunge il
profumo del mare reso ancor più soave dagli effluvi delle erbe mediterranee che
rivestono i declivi costieri. La strada, quella che ci collega alla provinciale,
il Comune, in nome della modernità, ha pensato bene di asfaltarla e solo grazie
alla mancanza di fondi si sono salvate le altre stradine. Allora ho deciso di
passare sulle poderali. Sono stradine di terra battuta, battuta dal secolare
passaggio degli animali da lavoro, e delimitate da muretti a secco innalzati
negli anni con le pietre cavate dalla terra caparbiamente coltivata. In una
casetta, poco distante dalla mia, è venuta ad abitare un'artista, una pittrice
quotata, secondo radio chiacchiera-paese, ma ella dipinge alla maniera
dell'Impressionisti la qual cosa non sempre è ben compresa. I pittori
Impressionisti, con la scelta di rappresentare la realtà e nella consapevole
mutevolezza della luce, esaltano su tutto la sensazione dell'attimo fuggente,
sensazione che si perde con una stesura troppo meditata dell'opera. La Pittrice
è giovane ed ha un figlio, con un nome estroso come lo è la madre, il quale
scorazza con la bici per le strade circostanti. In nome dell'Arte un giorno
andrò a farle visita per gustare le sue opere pittoriche. Ebbene, tornando
all'argomento, questa mattina per recarmi al mare ho preso la stradina polverosa
dietro casa, il Sole indorava la vallata mentre la Luna era nel punto più alto
dunque nell'eterno inseguirsi il Sole aveva raggiunto la sua Luna. Dopo una
curva la strada costeggia la casetta della Pittrice. La stradina corre stretta
fra gli alti muri di pietre e dal muro del giardino di quella casetta sporge una
Rosa, non è una rosa selvatica ma è una pianta forte, vigorosa. Sta davanti a me
occludendo il percorso, per passare dovrei cambiare strada. E' una Rosa
inopinatamente bella, unica, mai vista e mai ne vedrò una uguale. Possiede un
profumo delicato ma inebriante e colori puri, magici. Lei è speciale, magnetica,
non riesco a distogliere lo sguardo dai suoi petali cangianti e vellutati, dai
suoi boccioli simili a labbra dischiuse al bacio. Ondeggiando al vento sembra
chiedere di raccoglierLa, dire che donerà il suo arcobaleno e il profumo con
tutta la magia di cui sarà capace, essi saranno solo per me. Come tutte le rose
anche Lei ha le sue spine e non fa nulla per nasconderle, anzi, le mette bene in
mostra come voler mettere in guardia. Le spine lasciano dolorose ferite. Intanto
ondeggiando al vento sparge il suo inebriante profumo che m'avvolge e quasi
stordisce. Potrei raccoglierLa rischiando di pungermi, ma, è solo un rischio non
una certezza. L'unica certezza è che se non La coglierò non saprò mai cosa si
prova ad accarezzare i suoi petali vellutati e lasciarsi inebriare dal suo
profumo. Oppure potrei lasciarLa lì e vivere con il rimpianto di non avere
saputo cogliere l'attimo. Intanto non faccio nulla, resto a guardarLa, stupito
ed ammaliato nello stesso tempo, e la Rosa continua ad ondeggiare petulante al
vento.
Camomilla per due, Geltrude e Vasjlii, giovani ed
innamorati.
La giornata era molto fredda ma Geltrude e Vasjlii sarebbero entrati egualmente
in un bar perché avevano molto da parlare; dovevano approfondire la reciproca
conoscenza.
Geltrude e Vasjlii s'erano incontrati su internet in una delle tante chat dove
tutti "chiacchierano" con l'uno e con l'altro ed anche con più di uno. Tutti
rigorosamente si chiamavano per nick e se proprio non sparavano balle
infiorettavano bugie con la verità.
Loro si erano raccontati di abitare in quella cittadina: PC… tranquilla nella
pianura e facilmente raggiungibile da altre città grandi e piccole.. Lei perché,
da bambina, andava spesso a trovare una zia; lui vi aveva abitato alcuni anni.
Ad un certo punto fra gli webnauti era scattata la molla che dovevano
assolutamente conoscersi di persona e fra un tira e molla s'erano decisi darsi
un appuntamento in via Garibaldi, la quale non manca mai in nessuna cittadina
che si rispetti, al centro della "loro" cittadina.
Lui le aveva portato tre rose rosse, simbolo della passione che ardeva in lui,
anche se la conosceva appena, lei aveva portato un involtino in cui c'era un
dolce fatto dalla mamma, appena comprato al bar della ferrovia. S'erano
incontrati, come da consegna che s'erano dati, sotto il numero 33, pensate se la
strada fosse terminata con il 31 non si sarebbero mai incontrati, ma i ragazzi
conoscevano bene la loro cittadina. Avevano vagabondato lungo le strade
fermandosi a guardare le vetrine ma non riuscivano a scambiare molte parole
disturbati dallo spazio aperto.
Stavano diventando nervosi come all'appropinquarsi di un temporale perciò dopo
rapida consultazione decisero di riparare in un bar e bere qualcosa di caldo per
rinfrancarsi. Detto fatto. Sbucati in piazza ove vi erano tre bar : il primo,
"Bar dello Sport" era affollato da avvinazzati avventori che ascoltavano le
telecronache delle partite allora tirarono innanzi, il secondo "L'Arte del Tè"
era frequentato da grasse babbione in pelliccia che cicalavano come oche in un
cortile, finalmente raggiunsero il loro nido, c'era solo una coppietta che si
baciava come fosse in un'alcova. Visto che il bar, sull'angolo della piazza
Milano, aveva una saletta oscura in fondo, entrarono e si diressero verso
l'angolo più riservato. Lui, ossequioso e bravo cavaliere, le porse la sedia,
poi le sedette accanto con le spalle al locale. S'avvicinò il barman e chiese
cosa ordinavano:" caffè no perché gia erano troppo nervosi", al fin decisero per
la camomilla; l'avrebbe riscaldati nel corpo e raffreddati nello spirito, o così
speravano.
Dopo cinque, sei minuti l'uomo tornò con le tazze e il bricco con l'acqua
bollente, depose il tutto sul tavolino ma non dava cenno di allontanarsi, allora
Vasjl spazientito: "Può andare non ci serve altro che un po' di tranquillità, la
signorina ed io dobbiamo parlare". L'uomo fece dietro-front e borbottando "Ecco
altri due che vengono qui a fare i comodaci loro, metterò un cartello che qui è
vietato ai cani e alle coppiette".
Vasjl versò l'acqua bollente sul filtro nelle tazze poi s'avvicino alla
Geltrude. Vide che la corta gonna aveva lasciato scoperta buona parte della
gamba inguainata in una pesante calza scura a ghirigori. Attirato ,ingenuamente,
volle poggiare la propria mano su tale attrattiva. Rapida carezza, forse troppo
pesante, lo raggiunse alla guancia e Trudy: "Eiiii!!!! Maleducato che fai mi
tocchi? tocchi le gambe? Che fai ci provi? Vasj divenuto di tutti i colori e con
sulla guancia quattro righe fiammeggianti, rosse come gli stop delle auto,
sbirciava per vedere la reazione delle altre persone presenti. I due innamorati
continuavano a bagnarsi le labbra a vicenda dando segno che non avevano tempo da
perdere. Il barman sornione fingeva di non essere interessato ma in effetti "E
uno!!", voleva vedere come sarebbe finita la tenzone.
Vasj: Ssshiii! fai girare tutti gli avventori e mi prendono per un molestatore."
"Perché non è cosi??" Trudy "Fai il provolino e non ti vuoi assumere neppure le
tue responsabilità?"
-"Nooo!!!" implora Vasj "Giuro!!! volevo solo entrare in contatto, un ponte, una
vicinanza, respirare la tua pelle, i tuoi capelli, la tua prorompente
personalità, auscultare il battito del tuo cuore, bere le tue parole , - se non
urli e non emetti quei gridolini acuti - Insomma voglio sperdermi in te!" -
Riprende Trudy :".Ahooo!!! ma tu sei tutto matto, ho capito tu vuoi
palpeggiarmi, toccarmi, baciarmi e magari pure altro ch'è meglio non dire!! ma
chi ti conosce!!! ma che vuoi!!! cosa tieni nella testa le pigne?? . Secondo te
mi faccio toccare dal primo venuto?? non sono una lucciola sono una ragazza
onesta e timorata. Tu invece sei il solito maschio prevaricatore e violentatore
ai cui piedi debbono cadere tutte le ragazze -- fossi almeno bello o un
fisicaccio, macché sei da tre!!!!
Vasj :"Scusa ,scusa, non riesco a farmi comprendere , non urlare, tutti ci
guardano, quasi quasi ti saluto qui, credo sia meglio, ho iniziato il discorso
dal verso sbagliato e non c'è verso di trovare il bandolo giusto. -- Comunque
voglio dirti che non ho neppure accarezzato l'idea di fare quelle cose che vai
dicendo, -- come i gatti fanno le fusa , volevo fare un pò di fusa con te, bene,
anzi male, hai preso la cosa dalla parte delle spine allora è meglio chiudere
qui prima che il discorso degeneri.
-- Alzandosi -- Che fai? resti qui a sbollire oppure preferisci che ti
accompagno alla fermata del bus?
- Vorrei andarmene, mi sento a disagio, ho sbagliato tutto e non so come
rimediare perciò vado a farci una dormita sopra, la notte sicuramente porterà
consiglio".
Rimbeccò la Trudy :"Ahooo!!! ma tu sei tutto matto... e pure scemo...vuole
scappare ora, ma proprio non sai quello che devi fare!!! Essere un Uomo!!! O
No!!! "
>> FINALE così è se vi pare, ma si può cambiare<<
La Trudy gli prese la mano, costringendolo a sedere, gliela portò sulla gamba, e
vedendolo imbambolato fattasi in avanti gli sussurrò all'orecchio:
"Baciami stupidino o aspetti si faccia notte!! Non vuoi più sperderti in me? Non
vuoi respirare la mia pelle, i miei capelli, la mia prorompente personalità,
auscultare il battito del mio cuore, bere le mie parole? Non mi vuoi dolce come
sono?"
- Gli prese la faccia con una mano e l'attirò a se.
Lasciamo i ragazzi fare un po' di ginnastica, così per sgranchirsi, mentre la
camomilla si raffredda nelle tazze e il barista s'appisola dietro il bancone.
Scende leggera la sera mentre nei cuori aleggia l'amore.
La Dama del Lago
Era una giornata strana, un po' elettrica, afosa e l'aria, data l'ormai
costante presenza dell'inquinamento, irrespirabile. Da diversi giorni le
condizioni atmosferiche si dimostravano poco favorevoli ad un ricambio, non
soffiava la minima brezza ne vi era la possibilità che piovesse per
migliorare i requisiti ambientali. Vi sarebbe stato l'ennesimo blocco del
traffico per alleggerire la situazione, che sarebbe stato il so-lito
palliativo che avrebbe, temporaneamente, fatto scende-re l'inquinamento ma
non risolto il problema.
Per Giorgio era diventata irrespirabile non solo l'aria ma an-che la vita
che conduceva così piatta e grigia senza un futu-ro migliore in vista,
senza prospettive di miglioramenti con il solito tran-tran quotidiano, casa
- ufficio ufficio - casa, i mezzi sempre in ritardo ed affollati che lo
sfiancavano e to-glievano le residue energie. Giorgio si perdeva nei
pen-sieri e con lo sguardo fisso nel vuoto riandava nel passato.
-"E tu, Giorgio, cosa fai? Non frequenti più inge-gneria?"
-"No, - rispondeva - non mi dava più nulla; vado fra le colline ed i monti
e scrivo, dipingo, cerco di arrangiarmi nell'ambiente."
-"Ah, ho capito, - aggiungeva l'interlocutore - la cam-pagna..." con un
sorriso sarcastico
Allora sbottava: -"Pezzo di cretino, cosa ne sai tu della campagna, cosa ne
sai tu della mia vita, delle mie idee? Certo, tu ti senti a posto, ti senti
sicuro, hai raggiunto una posizione, hai il futuro spianato; ma sei proprio
sicuro di es-sere felice, hai tu provato una sola delle sensazioni che io
ho provato?"
No, non aveva sbagliato tutto; in campagna realizzava se stesso, altrimenti
si sarebbe sentito alienato, una marionet-ta nelle mani di Mangiafuoco, un
sassolino sulla strada pre-so a calci dal primo passante. Ma fino a quando
a-vrebbe potuto vivere così? Quando, sovente, sentiva che alcuni di loro si
erano laureati, che altri stavano per sposar-si, altri ancora avevano
trovato ottimi impieghi e raggiunto una posizione, si poneva la domanda se
per caso non fosse stato lui a sbagliare tutto, se non fosse stato meglio
mettere da parte i sogni e gli ideali troppo grandi e calarsi nella
real-tà. Ad un certo punto aveva capitolato e , come si dice, aveva messo
la testa a posto, aveva trovato un lavoro e poi s'era anche sposato con una
brava ragazza. Giorgio ave-va spesso pensato al tradimento che aveva
operato verso i propri ideali ma aveva sempre tirato avanti. Ormai a
cin-quant'anni senza nulla di cui vantarsi ne in bene ne in male si sentiva
come svuotato , l'eroico cavaliere Don Chisciotte, difensore dei negletti,
era rimasto intrappolato nella ragna-tela del grigio fluire dell'esistenza
borghese. Tutti i sogni di gioventù erano naufragati nel misero fango della
quotidiani-tà grigia ed insulsa. Un lavoro esaltante e ben remunerato ,
cosa preminente e necessaria per il pensiero odierno, non l'aveva
incontrato. L'hobby, chiamiamolo così, di dipingere , che avrebbe potuto,
anche, diventare l'azione autorevole ed esaltante della sua vita non era
mai decollato, nessuno vo-leva comprare quei quadri e quei pochi venduti
venivano pagati una miseria, neppure si poteva coprire la spesa dei colori.
La critica s'era sbilanciata definendo la sua pit-tura simile ai fantasiosi
paesaggi di Chagall per via dei cieli azzurri senza confini, i cipressi
rossi come le cromie di un tramonto o verdi come lo smeraldo del mare,
quadri dove triangoli e stravaganti volute di chiome, quali invisibili
sipari, nascondevano il profilo di tetti o monti. Ma questa positività non
era servita a fare in modo che le entrate migliorassero. E dopo un'ennesima
inconcludente esposizione ave-va definitivamente rinunciato a dipingere ed
aveva venduto tutto ad un rigattiere, naturalmente per poche lire. Lo
sa-peva, un giorno sarebbe stato solo davanti a questa grande incognita che
è la vita, e non sarebbero serviti a nulla tutti i suoi sogni, i suoi
ideali. Oggi vivi solo se produci, se ti in-serisci nel sistema; sei un
piccolo ingranaggio di una gran-de ruota che fa parte di un meccanismo
ancora più grande. Eppure continuava a scrivere, a compilare piccole guide,
monografie, a corrispondere con riviste di montagna, e lo faceva con
passione enorme, ricavandone le più grandi soddisfazioni, ma materialmente,
nulla . La moglie, che aveva sposato a trent'anni e alla quale non si
poteva rim-proverare nulla nel rigoverno della casa, nel controllo delle
entrate e delle uscite, nella cura dei frugoletti, nati dal con-nubio, si
era dimostrata una buona moglie ed era tutta dedi-ta alla casa ed ai figli.
Insomma Giorgio era arrivato al punto della resa dei conti. Sempre più
distratto sul la-voro aveva dovuto subire i rimbrotti del capoufficio per
il la-voro malamente svolto ed anche i borbottii malevoli dei col-leghi che
si vedevano accollato altro lavoro. Aveva chiesto un permesso al capo, che
glielo aveva malamente conces-so, era uscito prima dall'ufficio, aveva
preso la malridotta autovettura e si era diretto verso il lago distante una
ventina di chilometri dalla città. Voleva trovare un posto tranquillo dove
restare con i suoi pensieri, sviscerali, riandare al pas-sato ed
organizzarsi per un futuro, forse dare una svolta anche definitiva alla sua
vita. Aveva bisogno di quiete e di non avere addosso gli occhi della gente
mentre collo-quiava, magari animatamente, tra lui e la sua Anima.
Era arrivato, con uno sforzo, sulle rive del lago in un paese rivierasco,
parcheggiata l'auto aveva preso un tramezzino ed un caffé in un bar, poi si
era recato sul pontile dove fa scalo la motonave che collega le cittadine
lacustri. La cal-ma era sovrana, qualche raro passante e qualche auto,
l'aria era più respirabile, che in città, anche lì però perma-neva quel
senso d'elettricità ma più attenuato, l'acqua del lago sciarbottava molto
delicatamente sulle rive. Scivolano silenziosi, sulle acque placide del
lago, due bianchi cigni, al-tèri e maestosi, sembrano sospinti da brezza ma
vento non c'è. Anche l'acqua è immòta, polita come lastra di cristal-lo, la
trasparenza, sotto la superficie, è tale da intravedere i piccoli pesci che
s'avvicinano alla spiaggia alla ricerca di in-setti. E Giorgio ne segue,
senza vederli, l'incedere, sono come i suoi pensieri che vagano senza una
meta precisa. Appoggiato alla staccionata del pontile, Giorgio, spazia con
lo sguardo verso il limitare delle acque ed alle colline scure che lo
circondano, residui delle colate laviche sprigionatesi dalla Terra milioni
di anni prima ed ora coperte di boschi con qua e là alcune cittadine e case
isolate che si rispec-chiano nel lago. Alle sue spalle, poco più in là,
qualche autovettura transita nella strada che attraversa il paese. Neppure
la spiaggia è lappata dalle onde, una quiete afo-na, foriera di misteriosi
ed inquietanti accadimenti avvolge l'intero speco lacustre infondendo una
dimensione trascen-dentale e misteriosa. Il periplo tutto è visibile
sebbene una foschia, leggera nebbiolina grigiastra, ne renda difficile
l'interpretazione nelle insenature, dove la vegetazione si bagna e si
riflette stemperandosi nel liquido. L'alberata risale la cerchia di
colline, circondanti la conca acquëa, e si rispecchia nel lago dandogli la
parvenza di una bocca sden-tata che verso il centro appare simile un oscura
cavità spro-fondante, un orribile gorgo pronto a mettersi in moto ed
in-ghiottire nelle sue spire ogni cosa circostante.
Nel lago, scuro contro un cielo ora grigio cenere, si rifletto-no i ruderi
del castello e le case del paese assumendo un aspetto spettrale, vaghe
forme senza definite dimensioni con vuote occhiaie tentennanti ad ogni
mossa dell'acqua.
Le gabbianelle si accostano alle rive, fischiando, manten-gono una rotta
parallela alla spiaggia cònscie di un pericolo incombente. Altri cigni,
sopraggiunti i primi, sembrano avere una gran fretta e si legge
un'irrequietezza, nei loro movimenti, dettata dalla paura. Prime folate di
maestrale si abbattono sul lago, il vento imprigionato dai rami degli
alberi guaisce ed ulula. I cigni, le piume arruffate dai colpi di vento,
cercano affannosamente di guadagnare il ricovero sicuro ma il vento rende
problematica l'operazione . Le nuvole ora diventano sempre più bigie, il
clima peggiora molto velocemente, anche il giorno è in fase calante e
l'oscurità la fa da padrona. Già si percepisce il brontolio del temporale
che rimbomba dall'orizzonte. Qual-che saetta illividisce l'äere e sinistri
bagliori si riverberano sulla superficie.
Ora il maestrale, con la forza di dieci nodi, flagella la super-ficie del
lago, vanno formandosi corpose onde che s'infrangono sulle rive mentre i
pesciolini cercano scampo dalla incipiente bufera fra alghe che crescono a
poca di-stanza dalle rive. Rapidamente l'intensità del vento au-menta e
passa dai dieci nodi ai venti ed ai trenta, altrettanto rapidamente l'acqua
diventa sempre più furiosa, le onde si rotolano su stesse e la schiuma
viene rapita dal vento sem-pre più rabbioso ed ululante.
I cigni, nel frattempo, hanno faticosamente guadagnato la riva e stanno,
nel maestrale sempre più teso, caracollando verso il rifugio e lanciano
striduli versi di paura e rabbia.
Una saetta da un cielo, ora, cinereo ed oppressivo scende zigzagando nel
centro del lago ne segue un devastante rombo con diversificati echi
rimpallanti dalle colline.
Scrosci di pioggia si sommano al vento sempre più violento.
C'è qualcosa, scivola sull'acqua, sulle onde violente, sotto l'urlo del
maestrale e la schiuma rapita dalle creste , qual-cosa lontano
all'orizzonte, assomiglia ad un grande cigno con le penne arruffate, ma
avvicinandosi la figura si riesce a comprendere: è una figura umana, una
donna avvolta in una tunica bianca orlata di porpora, a coprire il capo un
velo arancione dai cui spuntano capelli rossi, un gran mantello bianco che
dovrebbe ripararla dal vento furioso e dalla pioggia ma proprio il vento
furibondo lo gonfia e lo trasfor-ma in un'ala ondeggiante e svolazzante a
capriccio.
Vola sull'acqua la Dama indifferente a tutto quel trambusto messo in opera
dal temporale ma le sue vesti come il man-tello, vengono mosse dal vento
ora si gonfiano ora sgonfia-no ora sembrano bagnate ed aderiscono al corpo
ora svo-lazzano come panni all'asciugatura e allo stesso modo ciocche di
capelli vagano per la fronte a capriccio, ma la Si-gnora non si scompone
continua imperterrita a camminare con passo misurato ne lenta ne veloce
facendo sfoggio di altera signorilità e conscia della propria avvenenza
passeg-gia come fosse al Corso. Nel frattempo le saette fioccavano a destra
ed a manca illuminando vividamente la notte buia ed i tuoni rimbombano uno
di seguito all'altro, altri scrosci di pioggia si riversano sul lago.
Giorgio, nel vento ed alla pioggia che gli schiaffeggiano il corpo, assiste
indifferente all'avvicinarsi della Dama ma è Lei che lo chiama e l'invita a
raggiungerla sulle onde rassi-curandolo che avrebbe camminato
tranquillamente come sulla terraferma.
La Signora ha un incarnato roseo più accentuato sulle gote e il bianco
collo è ornato da due catene su di una è appeso un crocefisso l'altra è
come un filo girocollo rosso dai con-torni sfrangiati e sanguinolenti: alla
Signora era stata taglia-ta la testa! - Si Giorgio hai ben visto ed intuito
- dis-se la Dama - mi hanno tagliata la testa, mi dovevo sposare ed invece
mi hanno denunciata come Cri-stiana e mi hanno portato al patibolo con un
co-dazzo di sghignazzanti figuri. Dio li perdoni perché non sapevano quel
che facevano. Hanno chiesto, nuovamente, la mia abiura ed al mio diniego il
boia mi ha costretto al ceppo e con un colpo, Zac - e ri-prese mentre
Giorgio era senza fiato - La vita è bella e va vissuta in letizia, mattone
dopo mattone giorno dopo giorno, anche se può sembrare tutto scontato e
grigio devi pensare che quel che fai per la tua famiglia e per te non ti
aprirà la gloria dei posteri o qualche tesoro sulla terra ma sicuramente il
Signo-re sta accantonando per te in cielo. Caccia dalla testa quei brutti
pensieri perché non risolve-resti un gran ché toglieresti solo il pane alla
tua famiglia, tua moglie e i tuoi figli non hanno colpa alcuna e dipendono
da te. Stacca qualche volta di più e con la tua famiglia recati nei posti
che tanto ti piacquero e solleva lo spirito, ricomincia a dipingere. Ed ora
vai con la pace del Signore.- e tacque mentre si allontanava rapidamente
lasciando una scia fosforescente. , il velo arancione, strappato da un
colpo di vento prese a volteggiare vicino a Giorgio che meccani-camente
l'afferrò.
Giorgio era preso dall' agitazione, sospeso sull'acqua! cosa sarebbe
successo? Si ritrovò seduto su di una barca, rolla-va fortemente sulle
onde, ma era solida, una solida barca di pescatori.
Il vento era rapidamente scemato, le onde ancora solcava-no il lago ma si
facevano sempre meno violente, le nubi ra-pidamente sgombrarono ed apparve
una luna splendente che svolse il suo manto sul lago rendendolo simile alla
via lattea che l'accompagnava in cielo.
A Giorgio venne un gran sonno, si sdraiò sul fondo della barca e dormì, si
svegliò, l'alba rosea stendeva le dita sul mondo, vide che la barca era
accostata alla riva, scese ra-pidamente ed andò ad una cabina telefonica ,
da una tasca della giacca stazzonata fuoriusciva un velo arancione. Era
l'alba si! ma era meglio così che stare nell'angoscia.
-- Pronto cara devi scusarmi, ti spiegherò tra poco quando sarò a casa -
- Sono qui e Ti aspetto a braccia aperte - rispose la moglie.
Giorgio nel viaggio di ritorno si preparò a spiegare quanto fosse bella la
vita.
Quando arrivò al giogo delle colline si volse indietro, vide Il lago
scintillante sotto il fulgore del sole nascente e fu certo che il futuro
sarebbe stato molto differente.
Aveva una Speranza. |