Poesie di Lisa Massei


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Nata a Cecina (Livorno) il 30/04/79, diplomata geometra, nel 1997 pubblico la prima autoproduzione di poesie “Incendio Di Mille Foglie”; nel 1999 la raccolta “Teste Decapitate”. Nello stesso anno, Progetto Siderurgiko Prod. ha coprodotto la terza raccolta “Poesie”. Nel 2000 ”Racconti…” contenente racconti miei e di Marika Valtorta.. Nel 2002 “Istinti” raccolta di racconti in versione fumetto, e la coproduzione (Eden Prod./Criatu Prod.) di uno split “Grigie Prigioni Assolute/Estremismo come Nudità Mobile” di poesie mie e di Cristiano Quadalti.Varie collaborazioni con illustratori. Collaboro con la rivista “Fatecelargo”. Pubblicazioni su fanzines: Don’t Tell Me What To Do, Metal Knight, Eden, Mercurio, Out, Fatecelargo, Evasion, Emozioni, Cagnara, Whoooyeah, Autocombustione Spontanea, ecc. Pubblicazioni su riviste: Punto di Vista n.23, 24, Il Foglio Letterario n.19, Gemellae, Pick Wick, Brontolo, Container. Pubblicazioni su antologie: “Carte a Fuoco” (Whoooyeah Production); “Mondi” (Gummo Lab); “I Quaderni Letterari” (Edizioni Il Filo); “Una poesia per l’amore” (Edizioni Il Foglio); “L’Almanacco del Foglio Letterario” (Edizioni Il Foglio). Recensioni e pubblicazioni on-line su: www.perfect-trip.it, http://it.geocities.com/outzine/index.html, www.scrivi.com, www.ilfoglioletterario.itwww.succoacido.it, www.poetare.it, www.liberodiscrivere.itwww.ilromanziere.com.

Visita il mio sito: http://web.tiscali.it/mielenero

Dire che dalle
tue mani può piovere
solo sabbia,
che tutto sembra tempo,
anche la punta delle
dita, è dire
occhi giganti
che chiedono ad
una mano che sa
solo stringerli
per farli lacrimare.
Il cielo è una tavola
di metallo imbullonata
sopra alla mia finestra
e l’aria solo un
miraggio senza vento.
Sentire vivere ogni
angolo di pelle
e che ogni
tumore possa guarire
dal sapore di morbida
Morte.
Un pizzico di polvere
si posa sulle mie
gambe a riposare
mentre ti guardo
tornare bambino
fra un albero ed
un altro.
Il sorriso ti trasforma
il volto in un arcobaleno
che si incaglia
all’orizzonte fra terra e sole.
20.05.03 h:12:00

Una parola 25.05.03
Una parola è tutto
quel che mi stringe
la curva del mio
cervello.
           Un bacio morto.
Una nuvola a forma di labbra
e gli occhi
           che corrono
           sugli spazi da
riempire.

Aspetta
Un braccio che
regge l’altro,
e la testa china sul tuo corpo
morto.
Perché non mi hai aspettato
prima di morire?
Prima di capire
che non c’è mai parola
che si possa dire fine?
Che il nastro si riavvolge
per essere sovrainciso
e che non è
lo stesso se tu
non ci sei più.
Che fa male cancellare,
che le parole
sono affondate,
che il mondo non è
più lo stesso
se ti metti un paio
di occhiali,
se guardi al microscopio,
se chiudi gli occhi,
sorridi
e li riapri.

Sleep
Tirerei giù la coperta
che avvolge il mondo
per parlare faccia a faccia
con dio,
ma preferisco
stendermi lentamente,
incrociare le braccia
sopra agli occhi
e abbattere ogni
parete che mi abbraccia.

Viaggiare indietro
La voglia secca
di danzare sopra l’uva
e sentirne l’odore
supino fra i campi.
Ridere scotendo
i fianchi e piangere
di gioia
            Saltando fra
i capelli
            in uno sfiato d’aria.

Donna portaombrelli
Sono una donna portaombrelli
che convoglia lacrime di pioggia
nel suo ventre.
Madre di tutti e strega senza volto.
D’estate sono morta,
ma nessuno se ne accorge.

Passare la vita
Sotto un guscio di tartaruga
Diventare ospite di una formica
covare uova
nel suo nido
e poi fuggire a mani vuote.

Piegarmi i capelli
in una treccia
e colorarmi
due labbra
già troppo macchiate.

Nuotare
Nuotare riversa
sul mare.
Scaldarmi la pelle sotto la pelle
ed abbassare le palpebre
oscurando il sole rosso
bagnato sulle mie ciglia.

Correre
Correre come un ladro
per salvare la vita
ed allargare le braccia
quando l’erba mi
frusta le gambe
e i vestiti mi aderiscono al corpo.

Foglie
A volte mi sembra
di vivere fra le vene
di una foglia,
avere la pancia
così gonfia da non
riuscire a passare
fra una via e l’altra
per arrivare alla fine
sentendo gli odori
dei fiori che uccidono
il fieno.

Child
Sfogliare un libro
già letto,
accarezzare con gli occhi
le frasi sottolineate
a lapis.
Passare sopra ai miei
passi e rannicchiarmi
dentro alla mia testa,
dentro ad un cerchio chiuso
come un gomitolo di spaghetti.
Rimanere incinta
e partorire un bel romanzo
da leggere alla mia bambola preferita
mentre tiro gli orecchi
al mio orsacchiotto
profumato di latte.
……………

PO-CHE PA-RO-LE
AGLI
AN-GO-LI DEL-LE
LAB-BRA.

Un pensiero che uccide.
Fili di dita sulle mie ciglia di metallo.

Troppo poco
TROPPO POCO
IN GRADO DI RICAVARE MIELE
DALLE API.
TROPPO POCO
IN GRADO.

Sono così piccola e
leggera
che potrei smettere
di peSare.
Che potrei smettere
di peNsare.
Pensare che il silenzio
sia l’ombellico
della confusione
e che il mio naso
non serva solo per respirare.

Giochi
Quando ci scambiamo
gli abiti,
anche la mia voce cambia.
Mi salgono le spalle
per tenere su le braccia
mentre fra le dita filtra
la luce deformata
dalle foglie.
Legno che cigola
sotto ai piedi
ed una frase
da impedimento sulle
gambe
che danzano
fino a stillare
una lacrima di sudore.

Risorgere
Risorgere dalla mia
tomba e
incrinare questo cielo
di cristallo
a cui stanno appese
gocce impiccate
che brillano nel
corrermi incontro
per chiudersi nel
mio volto.

A.C.
Tu non sei solo
nato.
Un’alba ha lasciato
sentire il suo vapore
d’oro e
raggi colorati
infilzavano le nuvole
solleticandoti le palpebre.
Una mano grande
quanto basta
per una carezza pura e
             nuda
ti stringe forte
sverniciando le tue paure.

Viale dei cipressi
Cipressi a palmo
e foglie di platano
alla fine della via rugosa.
Le tue richieste di fango
mi prendono
per le caviglie.
Una conchiglia
che canta e si deposita
sul fondo del mio sangue.

Un pugno di pace
Un pugno di pace
seduta in biblioteca.
Posso trattenermi
oltre chiusura?
Posso dormire qui,
farmi assumere custode
e dimenticare tutto il resto?
Morire di carezze per due
occhi che hai fatto piangere.

Sedia
Mi porto le ginocchia
vicino al volto
inarcando la schiena…
E fino alla fine
dondolo ospitando
ogni passante stanco
che per un po’
vuole allungare le
gambe sotto il sole.

 
Ogni giorno
Leggere qualcosa mi rilassa, mi fa dimenticare che fra pochi
Minuti devo tornare a lavoro.
Continuo a sognare una vita che non avrò mai il coraggio di vivere.
Vedo solo la luce che passa dalla finestra nei suoi tentacoli di polvere.
Posso attraversare il mondo senza dover vendere i miei vestiti?
Sono stufa di bere latte caldo per vomitare il mio disprezzo. Obblighi che non mi appartengono, ed un lavoro come copertura per rincorrere sogni che tardano ad arrivare sul mio binario morto.
Ti stringo la mano e vedo le vene disperate che si articolano fra le tue dita. Qualche ruga di disperazione ti spinge gli occhi come pena per la tua voglia autistica di essere come sei.
Ho voglia di leggere tantissimo, fino a che non mi lacrimano gli occhi. Voglio morire sommersa dai libri. Voglio leggere così tanto da non distinguere più la mia vita dall’inchiostro. E se mio padre per fare il simpatico mi dice che sono le cose nere quelle da leggere e non gli spazi bianchi, potrei rispondergli che è in ritardo di ventiquattro anni e che non è vero che non è mai troppo tardi. E’ DA TEMPO CHE HO SMESSO DI ESSERCI.
Sono andata a correre respirando aria che non sarà mai abbastanza pulita, sono andata a correre per continuare a guardarmi allo specchio, per capire cosa mi nasce dentro. Peso come una coperta invernale.
A volte chiedo solo un bacio al limone che nessuno mi vuol dare, così mi prendo a morsi un limone con la buccia macchiata di rame.

Non so cosa sia
Non so cosa sia veramente rimasto se non un po’ di caldo sotto la cenere. Forse un po’ di vento da masticare e idee da far sbattere contro ai denti. Ascoltare il mare fra le gambe di una conchiglia, come se gli oggetti non potessero mai perdere le origini.
Un po’ di radici rimarrebbero comunque alla mia terra per farmi tornare. La valigia suda nelle mie mani nere di paura. Un’ombra dietro la porta che cresce nel buio e scompare a luce accesa.
Sbatto le mani per applaudire il mio mondo ingenuo e ignorante.

Osmosi
Si dice che l’osmosi sia uno scambio reciproco di elementi, di notizie, di informazioni, di emozioni.
Se penso a questa parola credo che potrei appenderla ovunque e fissarmi a vederla brillare ogni volta che mi muovo. Posso pensare che tutto sia uno scambio di elementi. Pensare è un’osmosi, siamo fatti di osmosi.
Le mie dita che sfiorano un foglio ruvido, che sottolineano le frasi che mi affondano nel cuore: un libro che può cambiarti la vita.

Ciò che vorrei sotterrare con me
Una volta seppellita vorrei portarmi dei libri nella tomba. No, niente di spirituale, niente a che vedere con l’aldilà. Solo che certi libri mi sono nati sugli occhi e sono diventati me stessa, ed è giusto che continui a portarli con me, come un bambino che non è mai nato, ma che non ha mai smesso di crescere nella camera del mio ventre.


Occhi a me:
osservate quel ch’io osservo
e non osservatelo più.
Parole a me:
discorrete di quel ch’io discorro
e non discorretene più.
Mani a me:
create quel ch’io creo
e non createne più.
Poiché io son io
e voi ciascun altro essere.

Guardatemi a lungo.
Imitatemi ed opponetevi.
Seminatemi e raccoglietemi
e gettatemi e calpestatemi
come l’erbe e l’asfalti.

Consumata da odio e miseria
guardo rannicchiata
nei buchi neri
dei miei occhi
scottati al sole,
inariditi da
pilastri e fondamenta
all’ombra.
E la plateale
arte del lasciar
scorrer verbi e parole
fra foglie e rami secchi?
Vano tentativo.
Vana speranza
riposta in scatole di marmo
che mai saran calde,
neanche ricoperte
di terra e ornate
di fiori,
poiché pur sempre saran
scatole di marmo fra
scatole di marmo
dal numero infinito
e dall’identica forma
della comitiva,
nel branco-barcollante
del mond’intero.

Perché certe donne
han forma nel rogo…
e vederle stridere
e carbonizzare
fra lacrime di metallo
sarebbe salute per la terra,
per la vita
e l’esistenza tutta.

Quest’oggi leccami.
Leccami lungo
il collo e soffermati
sul lobo.
Prendimi come fossi
il centro nevralgico
dell’esistenza.
Come fossi
acqua zampillante
di montagna
e linfa dei deserti
(riarsi e sterili)
dei tuoi giudizi
(che lungo rive
della morte s’estendono).
Baciami e inglobami
come se fossi
il settimo degli elementi
ed il primo
dei perimenti,
dei ripensamenti,
dei tuoi comandamenti.

Il progresso va
a braccetto col regresso
come mogli e mariti
la domenica pomeriggio
quando oramai il vento
s’è trascinato via
il peso della settimana.
Il lavoro.
Le preoccupazioni.
Ritagli di non-libertà.
“L’acqua si fa calcare
se la si lascia troppo
scorrere dai rubinetti”
diceva la nonna.
“Desidera?”
“Menta fredda con
ghiaccio, grazie”.
Punto e a capo.o.

Una corsa contr’il
vento.
Il diurno cammino
da me a te.
Il paesaggio?
Sempre lo stesso:
discese,
salite,
supermercati,
ipermercati,
sali e tabacchi,
ferramenta…
poi case,
distese di pini,
e ancora farmacie,
la stazione,
bar, libreria…
Voltare a sinistra,
la seconda a destra.
Una figura a
metà traiettoria.
Da qui mi par
vecchietto ricurvo
nel lungonerocappotto,
a metà mi par
donna affusolata,
da vicino piccolo
bambino decenne.
Mi s’intrecciano
l’occhi prim’ancora
dei tuoi alberelli
e del tuo viso
stanco dopo
una giornata
di lavoro.

Prato di ghirlande
Distesa sul letto
di ghirlande
divento tutt’uno
con le lenzuola e
tutt’uno col mondo,
tutt’uno con tutt’intorno.

Nel lustrare divento
tutt’uno con la polvere
(sullo straccio)
e tutt’uno (mi spalmo)
con il legno d’abete e
di mogano e di ciliegio…

Ed è come se fossi…
Come se fossi
un polmone verde
che vive e pensa
a sorsate di vento!

Lasciatemi libera, vi dico…
Si, com’un falco dall’ali
ampie quant’il mondo.
Lasciatemi libera, vi dico…
Si, volerò nell’aldilà
oltre la follia, oltre il ghiaccio,
oltr’il cielo, oltr’il muro.

E dall’alto della vetta
del pianeta mio
lacrime strisceranno
(profumate di cobalto)
lungo il selciato del mio naso
grosse e belle come perle.
Cadendo su di voi
faran razzia.

Potrei lanciare in
alto i miei rimorsi,
come gatto che si morde
la coda.
E mordere me,
credendo in altro.

E’ qui che vi attendevo,
                                  miei cari.
Alle foci della gola del precipizio,
vestita di nebbie soffuse e cangianti.
E’ qui che mietevo il mio grano.
E che sia malsano il mio seme!
Maledetto e ricoperto di veleni bluastri
                                          Il mio petto.
E’ qui che correvo,
fra conati di oblii infranti
ottemperando gli schermati volti
che guardinghi mi scannerizzavano
di parte in parte, esaminando
ogni granello infetto della mia
spiaggia bianca. La mia spiaggia
bianca, la mia sabbia bianca
che si distendeva a lungo osservare…

Imbullonate lo scaffale,
appena qui, sopra il
lo stomaco e
lasciate stridere le viti
sulla carne mia che
strappa.
Vi poserò sopra
tutti gli stemmi e
gli stereotipi
dei forestieri
senz’anima e
senza tempo.
Urli sparati
in fronte a furie di
vento che s’arricciano
appena,
appena sopra la mia
pancia.
Non c’è ombellico
più rotondo
su cui possan
correr biglie
e palle da biliardo
in questo gioco
d’azzardo!

Su, fra i venti dell’Est
ho ancora un cervello
zeppo di spine,
ciascuna un desiderio
d’oggetto non voluto,
ciascuna su,
fra cielo e terra,
che s’impastano
nell’ acquerello,
nel disegno dalle linee
consunte,
tratto tremulo a colori
incerti, sbiaditi,
indecisi e lisi.
Foglio dimenticato
sul prato aperto,
calvo e nudo,
mangiato crudo.

Domani sarà festa,
fessa e molesta.
Sarà il Natale
o chicchèssia
ogni ladro avrà la via!
Farà di me, di te, di sé
polvere d’ hennè
che volerà giù molle
dalle dita
su nastri colorati,
luci e latrati!

Amare due persone
È bello e triste allo stesso tempo:
ci si sente egoisti e…
degli strani mostri.
Mostri generati da un aerografo che
vive di sfumature,
condotto da enormi
collinose, irte e forti mani
che creano senza senno.

Altro non so.
Non so se sono.
Se sono un filo.
Un filo rosso.
… Filo… Rosso…
Coagulazione di cadaveri,
vescica di puttana.
…Di … Puttana…
Latrati inanimati.
Odiosi innamorati.

Altro non so.
Non so se sono.
Se sono un filo.
Fors’anche il Nilo,
che s’interseca nelle
reti di rabbia
fra muri di sabbia.

Ho respirato anelli di fumo,
dal tuo cuore aperto.
Ci son passata nel mezzo,
mentre i miei occhi si stringevano,
si assottigliavano, su lame di luna.

Ho respirato anelli di fumo,
dal tuo cuore aperto.
Ne ho difeso l’odore
ed il crescente alzarsi.

Ho respirato anelli di fumo,
dal tuo cuore aperto
L’ ho conservati
nelle dilatate narici
e ne ho fatto essenza
le cui gocce vivono l’aria.

Dimmi:
che forma ha l’acqua?
Non è forse goccia,
petalo di foglia,
dall’anima spoglia?

I mesi passavano e ormai mi sentivo
sempre più indifferente alla vita,
al suo scorrere dal (mio) rubinetto,
liscia e sottile,
lubrificata nelle apparenze
da ricordi sgualciti.
Me ne stavo lì,
ad affettare l’aria per l’ora di pranzo,
osservando un paio di jeans senza corpo,
appesi alle raffiche di vento.
C’erano anche le mie idee,
che volavano su scie di vaghezze
che andavano e venivano…
… Progetti, idee, sogni…
poi ci sei stata tu…
Ti sei materializzata, leggendo tutto
avidamente, ridendo e deridendo,
squarciando i miei abiti,
i miei fili carichi,
così carichi che s’eran fatti curvi.
Progetti, parole, promesse…
Le tue risa in eco fra le foglie
han chetato il borbottio
del mio involucro d’apparenze…

Ho scorto oltre le tue
sopracciglia dipinte
mari e lune, e soli,
costellazioni incatenate e
nebulose screziate.

Studi e ricerche circumnavigavano
le caleidoscopiche imbarcazioni,
visualizzando i vermi ciclopici
di questo satellitare desiderio!

Cos’è che ti salva dalla vita?
La vita stessa a volte neanche.
So, so soltanto che se si rimane inchiodati
al passato ci si rende lisi giorno per giorno.
E’ questo quello che mi ha salvato.
Quello che non salva gli altri. Non una dote, o una capacità
aggiuntiva. Ma solo ciò che mi ha salvato.
Salvato e condannato alla vita.

Tu sei uomo,
io son donna,
e allora portami,
portami a peso morto.
Dammi il profumo
dei ciclamini,
che petali su petali
mi sotterrino
e decolorino
le impazzite alghe
dei miei capelli.

Tu sei uomo,
io son donna,
e allora alzami,
alzami da terra.
Ricopri di miele
Il mio volto,
e di seme il mio petto;
che possa andarne fiera
e coglierne le energie
per esser lepre
e cerbiatta,
stregone e camaleonte,
insetto e farfalla
e mosca rossa
che spia
dal tuo sopracciglio.

Perché tu sei uomo
Ed io son donna.

Il giorno mi colava
sulla fronte
sul salire di scalini
a scomparsa.
Capelli in brandelli
e crespi e sfibrati
scolpiti fra legnosi lineamenti.
Giorno dopo giorno
stesa fra le raffiche
sulla cima d’un grattacielo,
(ignara d’attimi e momenti)
cospiravo ali di deltaplani
e bramavo pianeti e galassie
misantropici
in un’era glaciale
di bianco e di nero
in cui sfumature e
sbiaditi colori
avevan finito d’esistere.

25/12
Parole corrette e benvestite,
sculettano fra
ustionati sorrisi
sulla maschera del globo.
Salsedine e vento
in etere fessure,
espirano, inspirano,
e danzanti ruotano
in gorgheggianti boati
voltando l’angoli del paese.
Fra luccichevoli vie
sfinisce la vita
ma le lattine continuano
a saltare d’acquisto
in acquisto…
Regali, regalini
auguri e baci
su cui si cimentano
limiti secolari.

Si può giocare
di gioia nello spolverare
mimose e tulipani.
Giusto per pianificare
minuti e ore
nello scandirsi di lancette
che nella rincorsa fan spazio.

Ogni uomo buono
è uomo morto e
ogni morto è
beffa d’uomo vegeto.

Ogni uomo ha occhi
per donna.
Ogni donna ha occhi
per donna.

Mi son seduta qui.
Cheta e muta
a rassettare
brandelli di ciccia,
come nulla fosse.
E nulla era.
Era vita e morte
come vite e morti
sono i giorni.
Giorni che nascono.
Nascono e muoiono.

Mi son seduta qui.
Cheta e muta
a rassettare
brandelli di ciccia,
con musiche
nell’orecchie
(e sottili ciglia
che s’ondeggiano
sulle nuche)
come nulla fosse.
E nulla era.

Oggi l’occhi tuoi
son’arabeschi
di morti morenti.
V’è segno di vita
ai passi del mento e
docilità distesa
fra ciglia e ciglia.

Un respiro di bimbo e
brevi tremiti nel sonno.
E’ petto che sale,
è torace che scende
lungo l’orizzonte tuo
di malizie.

Mangio vermi
a boccate alterne,
e fra capriole d’anime argentee
m’inumidisco
nel focalizzare
il globo a passo di formica.
Ed è formica ch’attacca,
attacca la preda!

Ogni giorno una crociata
in centro città,
contro il business,
lo stress, ed una vita
(non mia) che m’hanno affibbiato
(appiattita) sulla fronte;
-provo a celarla
(fra file di capelli),
a ritingerla, addobbarla,
a ritagliarla, lasciarla, scrollarla,
ma niente…-

Passi feroci ed indaffarati
ribrezzo ed affanno
m’ han privato
di perdermi all’orizzonte
come quand’ero bimba.

Non soppesai le lacrime sue
di fanciulla che copiose ribollivano
(salate) sulla mia carne aperta,
e circoncidevano le ferite,
le gioie mie, incastonate
come diamanti.

Vidi solo i suoi mille
cervelli compressi l’uno
sull’altro da cui spremeva
succo d’arancia e fiori di pesco
ornavano le nuvole dei suoi
rigonfi capelli,
(riversi sulle valli).

C’erano sconfinate distese
(di prati) oltre vista
che s’accendevano
e si spengevano a intermittenza
in luce di notti
e baratro di giorni.

Poi labbra in sussurri:
bestemmie vermiglie
che di nota in musica intrecciavano
corona di festa
e foglie d’alloro
mutarsi in raffiche di vento
s’arricciavano a peso d’uomo.

Bianche pietre
ad ampiezza di palmi:
nella sua tregenda
!la mia lapidazione.

Ho murato vivo
il mio disprezzo,
e le frasi non dette,
le bestemmie
e le parolacce inespresse.

Strati d’intonaco
e due mani di vernice
lo tengono lontano, celato,
occultato. Sepolto e defunto.
Sepolto e defunto
è quel che ripeto
fino a sciogliermi
la lingua.

E’ appeso ad uno specchio,
ed è specchio in cui
rifletto lo spirito mio
vestito a festa,
la mia anima rinnovata,
rinnovata sulla fronte
sua antenata.

Ho piegato in
bella forma
i miei sogni
sommersi,
quelli che una volta
eran intensi
tenui e vacui,
torbi e sordi,
son adesso
com’un tonfo.
L’ho così chiusi
com’un libro,
com’un libro che
si legge alla sera
prima di coricarsi,
un libro che si fa
ben presto a dimenticarsi.

Foglio e foglie,
castagne e sapori agri,
orsù, fatevi avanti,
senza timori e
tremiti ambulanti.
Adesso guardatevi,
voltatevi la faccia,
e che occhio e testa
sian gonfi a caccia!

Intanto il cielo
di cartapesta cangiante
sudava,
grondava dense lacrime
di pioggia.
Ed io con quel che
d’animalesco plateale
volgevo e rivolgevo
ogni odore aspirabile
dalle mie fresche narici.

Ho raccolto il tuo volto
nella mia coda,
fra bracciate di vene
sfibrate
(deturpate, andate)
ate… ate… ate…

Ho raccolto il tuo volto
nella mia treccia,
sulla mia tela tesa,
a tratti, quasi, appena…
offesa….
esa… esa.. esa

Ho vomitato
cenere per anni,
cenere di parole,
di pensieri slabbrati.
Fino a strapparmi,
ad inchinarmi sulla mia
concavità di marmo.
Fino a veder srotolare
le mie membra,
brandelli di me,
del mio cervello
sviscerato, sventrato,
steso sul tappeto dell’ignoranza.

Lo senti?
Ascolta:
!è il mio cuore che scalcia
L’ ho nutrito dentro il
ventre.
E’ il seme delle tue labbra,
lo specchio delle tue parole. Nude.

Lo senti?
Ascolta:
è il mio cuore che scalcia!
Scalpita, trotta, corre pazzo
nell’orbita…
percorre le galassie sue.
Esplode? Vuole sgorgare?
Oh, sì, vuole inondare il mio corpo
dipingerlo, schizzarlo
di caldo sangue vermiglio!

I miei capelli le incorniciavano
Il volto,
fra piogge battenti
oltre la sua cupola di cristalli.
Era la sua diversità di corallo,
a profumare il cielo sgombro.

Svuotato il caos
di queste onde marine di gente,
fra sassolini affrescati, saettanti:
piangi!
piangi il mio nome, urlalo!
abbattilo sul petto!

Odiare è terra?
è terra sottile,
arida e crepata.
Odiare è sole,
è sole solo,
immondo pianeta
che scalpita, che scalda,
che brucia…
Che vive!

Vorrei essere.
Vorrei essere un uomo nuovo,
con nuove sagome
e nuovi organi.
Vorrei essere quello
che il sole vede da dentro
che dorme fra galassie
e navicelle spaziali.
Vorrei essere quello
che sfiora sorrisi marziani,
che vede le vite
e non la vita,
che non teme la morte
in preda ad un dio.
E, ancora vorrei essere
la scelta che galleggia
in una bacinella d’acqua
mentre gli altri legumi sono
appiattiti sul fondo.
Vorrei essere…
tutto ciò che sono!

Il mio dio sono io,
la mia anima:
il mio vangelo
dalle infinite pagine
i cui geroglifici
s’arricciano
giorno per giorno…
giorno per giorno…



A piedi nudi
            …Anche le macchie
      si cancellano da sole…
                                                            “Ciao,
                                                    ti presento…
                 …questo è il mostro che è in me”.
Dessert
Ho l’abitudine di lasciare
cassetti aperti
quando ho sonno.
Solo se ho sonno.
E’ tutto tempo che sottraggo
alla mia biro notturna.
fra le cosce la coperta
elettrica.
Anche lei partoriva
aborti di desideri
mente i suoi occhi di whisky
si infossavano
nelle ore ferite al sonno.       

Parentesi
La mia bocca
è chiusa fra parentesi,
non rughe d’espressione.
E’ fra parentesi
il non sapere,
la mia borsa piena di
giocattoli, bambole di pezza
e pupazzi di ceramica
che fanno l’amore.                               

Attesa
Ti aspetto… vieni a prendermi,
vieni a perderti…
nei miei castelli…
vieni ad inabissarti nel mio
umore,
vieni a rispecchiarti nei peccati,
a respirare le mie ferite,
a lambire le mie
gioie infinite.

Annega in me
nel percorrermi
guardami evaporare.
Avvolgiti nella mia nube
di piacere
chiuditi nella mia nebbia,
prigioniero della ragnatela!

A piedi nudi
Mi ferisce ferirti.
Se ti lacero
Mi lacero.
Mi faccio schifo
dal bene che ti voglio.
E non è nella sua borsa
o sotto ai suoi tacchi
in cui ho Sputato
(I miei Scrupoli),
ma su di me
a rapirsi flebile.

Spilli negli Occhi
I tuoi occhi sono
Bottoni e le pupille
Spilli dalla cima colorata.
Non c’è sonno,
ma tempo per curiosare.

Sono io che
Sono io che
mi lego all’anima.
Ho qualcosa di speciale che
incaglia le vele
ai miei fondali.
E mi fa male vivere
di sabbie mobili.

Insonnia
Ho raschiato
il mio sonno
per trivellare
il mio corpo,
e la mano bruna
mi trema
per questa mia vita
estrema.

Bambola sono io
Sono solo
una bambola
volata via,
una falena
in un cassetto
che si costringe
al petto.
Un filo di capello
fra le pagine di un
secco alberello.

Occhi vuoti
Vorrei solo farti
capire quanto mi sento
inutile e vile.
Ricopri di carta le pareti
non voglio sentirti
mentre mi osservi
sguainando il tuo sperma
sulla mia anima rafferma.
Sono solo un pezzo di pane
incatenato fra denti
di cane.

Sangue
Sudo ruggine purpurea.
Ho pagato la pena?
Tutte le lacrime del mondo
non placheranno
questo crimine.
Solo le onde del tuo sorriso
possono recidere le mie Colpe.
Ma… ma…
Ho chiesto Perdono
senza Perdonarmi.

Oppio dei sogni
Ho sognato una poesia stanotte.
Il titolo rendeva
liquidi i versi
Poiché era titolo e versi
insieme.
Ho sognato una poesia stanotte.
Il suo corpo ad incastro
perfetto sul mio
perché era uomo e donna
insieme
la nostra comunione sublunare.

02/03 rabbia in fili
Non sono più soffici
I miei lunghi riccioli,
ma catene,
catene che colano
giù dal cranio,
cranio affilato di vetro,
tessuto da mani di
cui vorrei urlare il nome.
Cranio e cervello sono.
Stridono le viti
che arginano le tempie.

Riflessi
- Che cos’è?
E’ ruota di morte e sopravvivenza.
- Che fa?
Nasce e cresce e muore.
- Poi?
Lascia spazio colmato e svuotato.
- E…
E da qui di nuovo il via alla mia:
e piano piano riprendo i polsi invecchiati
portandomi ogni peso.
Continuo, soffocando rimorsi,
snudando falce di sorrisi
e celando il sapore malato di una lacrima,
ma…
- Ma?
Ben presto sarà solo vapore.
- Solo vapore?
Così è, che piaccia o meno:
Gioie e dolori che fanno l’amore:
il puzzle incompiuto
di questo linguaggio.
- Linguaggio?
Così, la vita.

Suicidi
Uccidi il mio
orgoglio di Essere,
tu, che sai che
mi ci vorrebbe doppia vita
per incollare lingue a colori
acrilici, appesa al cielo violaceo
del tuo nido.

Nel ricordo
Un martello di foglie
sotto cui nascondere
nebbia a filigrana
e graffi in calce
nel ricordo fluido
del tuo sapore.

Pomeriggi d’estate
Parla al minimo
che io ho sonno.
Mi stiro al sole
da buona lucertola
e mi arrotondo le caviglie
svitando il mio verme
solitario.
Un soffio di erba sulle
labbra e schizzi
di sabbia che mi recidono
le braccia.

Entrare
Vorrei entrare nel
ventre di un albero
e non smettere più di ridere
mentre mi guardi.
Prendere lo smalto
e riempire lo specchio.
Vedere a colori
mentre vai e vieni,
mentre mi preghi
di andare e di tornare.

Il bello è
Il bello è condividere
il miele
del mondo:
po…che… goc…ce
di ragia ai pigmenti
delle ciglia: ali di gabbiano.

Il bello è
due proiettili
che mi puntano a mira
e una mano sopra l’altra
mi parla,
e ancora sono bella.

Alla luce
Sto per partorire.
Le acque rotte giù dalla finestra,
e mio figlio è blu nell’anima,
dovrà imparare a camminare
cerbiatto
se non vuole abortirmi
negli occhi.

Samuele
Mi guardavi avvertendo
il mio peso. Non più aria.
Le occhiaie accettate sul viso.
di notte Samuele
ti aveva parlato
chiedendoti
perché l’avevi
impiccato al tuo passato.

E… Poi?
Ed io?
Io che pretendo vita dalla
vita.
Che non mi cristallizzo nelle
illusioni.
Io… che posto avrò
nel vostro alveare mia dolce dea…
Che pedina del vostro
impero di ghiaccio e fuoco?

Solo se…
?Se ci ponessimo
su uno specchio:
il mio volto sul tuo.
I tuoi occhi sui miei.
Il mio seno sul tuo.
I tuoi fianchi sui miei.
L’una il negativo dell’altra…
Nella magia dei sensi.

Cuore a fette
Ho il cuore aperto
anche di notte.
Ci passa il vento sotto
ai tuoi passi.
Sono le tue scarpe
ed il sudore sul mento
ad avermi.

Rugiada notturna
Il cielo è
uno strato di pelle stanotte
e la luna
una borchia ancorata
fra campanule stelle.

Routine
In realtà non ho
un cazzo di tempo
per dormire e
un cazzo di tempo
per vivere.
Solo portaoggetti
e fogli colorati
da graffiare e spalmare
sulla popolazione.

Chi mi lega
Chi mi lega a chi?
Chi mi prostituisce a chi?
Ho più rispetto
per le puttane
che vendono il comprarsi.
C’è puzza di cuore
dentro al tuo cuore
ed una lama di sole
travagliata da rughe.

Che ne sai?
Che ne sai tu?
Mi credi bambola
sfregiata.
Che ne sai
dei delfini
fra i miei capelli
e del mio seno
che si taglia?
Che ne sai delle
mie ombre
e delle zone morte,
pallottole nella mia testa?
Che ne sai dei
polpastrelli
annodati
al sudore trafugato?

Minerali
Come spostando pietre
ti ho
spostato da parte.
Ma sei nel mio esofago e
nel mio fegato,
nella forfora e
nelle pupille
incerte.

Il male di me stesso
Ho legato
Tendini al cuore e…
… stringi…
…stringi
ho schizzato
lacrime nel cesso.
E’ solo lì che possono
stare: tutt’uno con escrementi
e grumi di carta
lungo lo scarico del mio corpo-latta.

Membrana
Hai fatto leva
su tasti cedevoli,
scavato spezzandoti le unghie
sulla mia pelle
arida e fertile
gelida e rovente.
Sono tornata da lui
ingoiando sassi stanchi
(di me stessa).

04/02 real time
Se solo mi picchiasse,
fino a farmi sanguinare…
Il cielo a strisce.
Il suo orgoglio-sputa-veleno.
raccolta a
Spirale…. Spillata…
Cucita…
Io. E sola.
Eterna pena.

Lo specchio delle illusioni
La vita è solo un’illusione.
Di essere forti?
Un’illusione.
Di essere deboli?
Un’illusione.
Un Cubo a Combinazioni
di novità, ospiti e tumori.

Non senso 05/02
A volte si è spettatori
delle proprie tragedie.
Mi sento un timone ossidato
che scende a pelo d’aria
sul letto di alghe blu.
Mi vedo: assistente muto
che ti ha sgualcita ancorata
al passato: una musa dagli occhi
crocifissi a baldracche parole
come ultimo
Arido,
Agro saluto: (Addio).

A mai più
Se avessi davvero
voluto dirmi addio,
l’avresti fatto
a labbra slegate:
mare nel mare e
vento fra neve di conchiglia.
Avresti letto
fra le righe e non
i graffi delle lacrime.
Avresti visto che
il mio intreccio era
anima e cuore,
gioia e dolore.

Piatta pianura
Ho raso al suolo
le tue viscere.
In nome di che cosa?
Di ciò che avevo succinto
ai fianchi?
Ho strappato onde
corvine (di cenere)
capello per capello
e filo dopo filo
mi presento a te
come un malato
terminale dal cranio livido
nella speranza di farti solo
schifo.

Centro città
Una finestra che cala
in mezzo ad una metropoli
e cala e cala
nel minerale di me stesso.

Ciò che siamo
Noi siamo decisi.
Incisi e decisi
come eterni arabeschi
di geroglifici
incastonati
fra le rose dei venti,
impigliati fra le vene
di un fiore,
(spesso)
aborti alla fine di un amore.

Il mio fiore
Il mio fiore si è
tagliato le vene.
Troppa acqua
gli ho dato.
O troppa poca al
rame di luna.

Sono i miei ormoni a darti noia.
Finire di leggere
come alibi per vivere.

 
Painkiller
Vedere la vita da una lacrima.
Mangiare carta
per cancellare delle parole stampate e
urlare con lo stomaco
ogni male che fa perdere
la vista.
Giallo e verde
al posto degli occhi.
Senza sapere perché
sono diventata una mano.
Occhi grandi come il mappamondo
e tanta voglia di respirare
la tua voce
e le risate
a pieni polmoni
che ti escono dalla pelle.

Un capello morto. La malata voglia di
dividermi nel mezzo dal ridere.
Cullare un figlio nato con 23 anni di
[Ritardo]
e prenderne a calci un altro
con le vene piene di eroina.
Ho capito che il mio vero figlio sei tu.

Non è colpa mia se mi si staccano le
[dita dagli occhi]
Lo sai che mi sono tagliata per entrare
[in questi pantaloni]
Non esiste abito che mi calzi a
[meraviglia.]

Da quanto schifo mi fa
non riesco più neanche a vomitarla.
Delle non risposte significano molto.

E’ piovuto tutto il giorno
Sul quaderno a fiori che ho lasciato
sul balcone.
Ci avevo scritto parole con bava di lumaca.

Le mie grigie piogge blu
Il mare di demonio
dai denti verdi che
cedono alle gengive.
Carne che rigetta
sputandomi fuori.
Un Feto che si ritira nel suo stesso Sangue.
Melma di parole, parole fluide e lucide
e un’arancia spremuta sul vetro del mio finestrino.

Rosa rossa
Cercare la dignità in una canzone.
E’ che leggerti mi fa bene.
Sapere che ancora ci sei,
il tuo diavolocorpo è dentro al mio
si artiglia allo stomaco.
Scorrere via insieme all’acqua
quando tiri la catena.
Ho ancora la pancia
fra le mani e un
cimitero di gatti
nel mio giardino.
Dimmi, dimmi:
                         posso ucciderti ancora?
Ancora una volta,
una soltanto.
Finirai comunque con il lasciarmelo fare.

Ricordi di sangue
Ho messo a dieta un pacchetto di sigarette
per fargli tornare la vita stretta,
poi mi sono vista riflessa
sulla cornice di un tuo quadro
passandomi le unghie sugli occhi.

La sera
La sera esulta
quando non mi
vede più morta in giro
per il mondo.
Non sento il vocio
della placenta…
Come chiamerai
il mostro che ti nasce dentro?
Non è forse un aborto
di obblighi e vecchi
propositi?
Hai già fatto un ponte
fra te e la tua voglia
di vomitare.

Per me non è finita qui.
Questo il mio sbaglio.

Perdita di memoria
Devo aver dimenticato
dove è andato a vivere il rispetto.
Devo aver dimenticato com’eri prima
di prendere in prestito le mie paure,
prima di usurpare le sigarette che respiro.
Adesso il senso del tempo si spezza.
Tu, tu continua pure a guardarmi
con quel corpo coltivato
nello squallore.
Non so in che modo posso dire di
possedere il fresco di
un’arancia appena aperta.
Come posso masticarti
deglutire e digerire un respiro sgozzato
sulla cima delle dita di questo killer
con la gonna a pieghe e il volto bruno.
Penso a questo sole cremisi
che mi marcisce dentro
sbocciando come una melagrana
cotta al caldo.
Che cosa ho sulla lingua?
Un nocciolo del tuo seme.
Ho imparato a lacrimare
da un occhio solo,
lacrime di coccodrillo divise a metà.
Guarda ciò che hai forgiato
sul tuo palmo.
Hai visto che colore ha assunto
il fondo della bevanda nel tuo bicchiere?
Cangia con la luce,
non ti sembra un cimitero di nocciole?
Vorrei bere dalle tue labbra
quello che ancora è rimasto:
un bacio, un gemito,
un suono, l’inizio o la fine di una parola timida.
Non farò comunque in tempo
a tossire questa bestemmia nella tua gola.

Perle di sudore
Perle di sudore a riposo
sulle ciglia.
un bacio,
una carezza,
una piccolissima parola
gonfiata dentro ad un palloncino,
stretta a nodo e lasciata
libera nel mosaico
di mattonelle a colori.

Utero
Il mio utero sottovuoto
digrigna i denti
e annida l’ansia sugli oggetti
svelsi al mio tatto.
Un liquido dolce sotto alla lingua
ed il ricordo di calde arroste
ritorna sulle tue guance.
Vieni qui e stringimi forte.

Nero di seppia
Pettinarmi con lische di pesce
senza pelle,
sgranocchiare noccioline
e guardarti navigare
sul ponte fra i raggi della tua bicicletta.
Mi coccolo.
Il davanzale è ancora pieno
di briciole
per tutti quegli uccellini
che ancora riescono ad
atterrare in queste nuvole
di stanchezza.

L’altra metà
Sei l’altra metà dell’universo
dove meteora vagante mi ero perso
due verdi stelline in cielo
si vestiranno di candido velo
un sole raggiante di giorno
io, terra e tanti pianeti intorno.

Sei l’altra metà dei miei polmoni
caldo respiro di ardenti carboni
chicchi di grano, spighe dorate
a cantarti interminabili serenate
in sottofondo un’orchestra di grilli
ma sento già di un bimbo gli strilli

Sei l’altra metà dei miei pensieri
se penso a quando non c’eri
vuoto il cuore piena la mente
di brutti ricordi e giornate spente
vivere così non aveva senso
sei l’altra metà è ciò che penso

103
Una parola che cammina
morta su di me.
Hai già iniziato a cancellarmi,
non so se dai piedi o dalla testa
calpestando le mie lenzuola
di sigarette sudate.
Prendere una penna in mano
è l’unico modo che
mi è rimasto di gridare.

Giugno
Mi sono svegliata con la
fame sul cuscino,
gli occhi giocavano a rincorrersi
per il letto.
Un gatto che miagola
e mi studia senza farsi avvicinare.

Biblioteca Comunale
C’è un cadavere in biblioteca
che non la smette più di leggere.
Muri pieni di muffa
color gorgonzola.
La moquette ha
macchie marroni
agli angoli della bocca.
Libri unti sul mento
allungano e annodano le pagine.
Ho misurato la
temperatura al videoregistratore,
il dottore ha detto che
ha visto troppi film
prima di morire.
Posso ammalarmi
di un cancro alla gola
così non sono più costretta
a parlare per fare gli auguri.

Una parte
Una parte dentro di me
è morta dentro.
In fase di decomposizione,
divorata da vermi
aspetta solo di diventare
polvere da espellere.

Stanotte
Stanotte vorrei svegliarti
passandoti la lingua sulle
labbra
e tormentarti i capezzoli
solo con il pensiero.

Etrom
Immaginare la mia
Vita
che va a sbattere
contro il muro,
immaginare un cervello
a margherita
con i petali recisi.
Prendere a morsi
il burro di cacao.
Perlustro i miei capelli
ma non trovo mai
il tempo per mantenermi
uno stipendio fisso,
un bicchiere di latte sporco
e due fette di pane imburrato
di sperma e peli superflui.

Mano
Ho una mano sul tuo cuore,
dimmelo, dimmelo
con gli occhi,
basta solo un cenno
che te lo strappo,
lo faccio a fette e ve lo servo
nel piatto,
ma l’ultimo pezzetto
me lo metto nella borsetta
dei trucchi,
mi farà per un po’ da rossetto.

Sogni: cadaveri sul nascere
Oggi mi faccio un pezzetto
di schifo in più.
Uno sputo sulla mano
ed una mosca dai riflessi verdi
sono gli unici ad onorarmi della loro presenza.
Sangue infetto assorbente in
un bicchiere di lacrime da vendere,
un cappello, un sorriso di feltro
senza dignità ed un paio di gambe da depilare.
Un corpo morto nato senza testa,
un milione di schiaffi da dare.
Una busta gialla ed una lettera da scrivere
su cui posso solo pulirmi le mani.

Vorrei capire dove sta la fine.
Lo vedi? Nessuno ti ascolta.
Il mondo cambia pelle.
Che cosa starò mai disegnando?
Ho smesso di tenere un diario
per non ferire le piccole cose
adesso può bastare solo una parola.

Gocce di memoria
Per una donna nata vecchia.
Mi cola lava incandescente
giù dalla testa
e il cervello liquido mi scivola dal naso:
fantasmi di fobie nella bocca.
Lasciami in pace,
la mia faccia è solo un nido d’api.

3 di quadri, 2 di picche, asso di fiori
Non so dove ho trovato
il coraggio di scrivere quel nome sulla busta.
solo lettere una incollata all’altra.
Una collana nella bottiglia
tracce di palmi sul vetro
e poche emozioni aromatizzate alla vaniglia.

Squame
Mi sono impalata
sul tuo arsenale di difetti.
Per uscire viva mi hai tramortita
ricoperta di squame.
Non so perché continuo
a sognarti in regalo
per il mio compleanno.
Un giorno è già morto.
Oggi mi frana il cuore.

Ho finito le idee per i miei stupidi racconti
Ti voglio bene per come
sei dentro: malato nel mezzo.
Ho bisogno di una iniezione
prima di tornare in caserma.
Timbrare il tuo sorriso
è anoressia.
Prendimi ancora un po’ in giro,
fammi il solletico,
                       voglio morire ridendo.

Frutta sciroppata
La verità dentro ad un frutto da sbucciare,
nell’anima di una fragola,
o nel nocciolo di un’albicocca ancora acerba.
Mi sono messa a bucare il buio
alla ricerca di un quadrato di luce
che svanisce acido all’ombra.
Sei di nuovo ingrassata sotto alla gonna.

25/02/03
Una stanza tutta per me
da perlustrare a piedi nudi.
Perché una pagina da voltare
continua a macchiarti le ciglia?
Perché continuo a svegliarmi
sulle tue lacrime morte?

Essere
Mi piacerebbe
scrivere da uomo,
da uomo magro.
Buttare giù credenze costruite,
e con un nome d’arte fingermi
maschio.
Essere un cavallo
sconosciuto e indomabile.

Manie di una casalinga
Solo una parola,
una parola di più
e sbatto il mio culo dietro
a quella porta.
Vuoi star zitta per favore!
E smetti di pensare
alle persone
come a gingilli che escono
ed entrano in questa
pietra con i piedi
Sempre troppo Sudici
e le Mani troppo Sudate e Maldestre.
Quanto ancora uccideresti
per i tuoi adorabili oggetti?
Possibile che siano più
importanti
due stracci e dei nodi di porcellana
di tutto, di tutto quanto il resto?
è quello che più conta per dimenticare
quanto non ha senso il tempo
di cui ti nutri?
Sono solo cose,
non parlano, ma, se lo facessero
ti manderebbero affanculo
e se avessero due gambe
taglierebbero la corda prima
che tu te ne sia accorta.
Che faresti poi?
Una bella fila al supermercato?
Un giro di lavatrice con
la testa nella centrifuga?
O ti cacceresti sotto la doccia a piangere
cercando sensi di colpa
nelle biglie dei morti?
Cos’è tutto quel polline
che hai sui capelli?
Ah, la tua nuova tinta per capelli…
ma loro che c’entrano adesso?

Un altro po’ di vino per favore
Mi hai detto che anche il
tuo fegato è andato,
lo sentivo asincrono
già da tempo,
maculato da polveri vermiglie.
Puoi versarmi altro vino per favore?
Il dottore ti ha detto
che non devi più buttare giù quella
roba se non vuoi finire all’ospedale.
Buono questo drink, non trovi?
Vuoi assaggiarne un goccio?
Dai, solo un goccio,
che vuoi che ti faccia?
Al massimo può spedirti
supino al cimitero.
Porterò dei fiori per
ricordare ogni mia incapacità.

Lo specchio dimagrante
Questo specchio dimagrante,
canaglia della carne
incorniciato da tondi e levigati sassi,
mi guarda e mi chiama,
potrei entrarci dentro a questa fluidità
a forma di ragnatela,
e cantare con voce di fata alata
prima di vomitare il nero di seppia
del mostro che è in me.

Scusa se rido
Scusa se rido
della mia pelle
alla prima abbronzatura.
Un dente accavallato sull’altro
galoppa nel nido
della fine maliziosa.

Impartiscimi questa
ultima lezione a letto,
mia piccola maestra,
impediscimi di parlare,
volo troppo di fantasia
senza castrare questa bocca
deforme. Lettere e sillabe
piovono giù come
insetti nocivi alla pelle.

Buona notte
Notte dalla dolce vita:
un letto fra le gambe
ed un cuscino dietro allo sguardo.
Mi cingo da sola
adesso che hanno dato poco più
di un mese al mio seno
prima che si ritiri su se stesso.
Un anno appena a questi capelli
che mi lasceranno glabra
da ogni pensiero.
Poco dopo le ossa
chiederanno di uscire
dai muscoli a ventosa.

Arem
Labbra cucite ad un
corpo di pietra
unghie blu velluto
sulla punta delle dita.
Rughe di mare nella luce
aranciata del tuo sole.
Parlarti è stringerti
come fossi un piccolo
germoglio nella mia pancia.

Ho scritto lettere, una attaccata all’altra,
nessuno le leggerà mai, si sono cancellate
da sole inseguendo l’inchiostro della mia penna.

203
Deve essere stato
un’ anatema
a costringermi
al cuore incapsulando
polmone per polmone.
Chi pensava che troppo
bene poteva farmi male?

Sabato sera
Di sabato sera
intontito dall’alcool
hai detto:
- chi ha fatto quella risata?
- Io.
Ti ho risposto.
- Mi ha dato veramente noia.
Era lo squittio di
un topo sordo e logorroico.
-----
Se non voglio avere un figlio
non è colpa mia. Non lo voglio
e basta.
Il terzo incomodo,
un’altra gravidanza inattesa.
L’obbligo a mettermi al mondo
per salvare la faccia.
----
“Che vuoi ancora?”
Mi hai detto.
Avevo solo sbagliato a digitare il
numero di telefono.
Non preoccuparti sono morta.
Questa stronza di merda non
è mai esistita.

Cane negro
Sei la mia caricatura. Cane negro.
Tutto in continuo
movimento nella mummia
che si conserva dentro se
Stessa,
è polvere gialla nell’aria,
un arcobaleno
perduto nel Cuore di un sacchetto.

Time
Non so più come urlare,
mi sono ingoiata la lingua
senza accorgermi del sapore
che ancora aveva
il mio palato.
Sabato prossimo
mi vesto da donna.
Fermo il tempo e mi
masturbo le gambe
appena depilate.

Devo
Devo ancora digerire
tutti i dolci
che sono mancati
per ogni mio compleanno mamma.
Sin da bambina
amavo giocare con i
soldatini rosa
mentre lui si faceva
tingere le unghie
di celeste.
Ho sempre saputo
di essere ciò che sono.


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