Poesie di Carmen Moscariello


Home page  Lettura   Poeti del sito   Racconti   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche

http://digilander.iol.it/carmenmoscariello
 

Al Poeta e alla sua eternità
(Al Poeta Renato Filippelli)

A volte penso che sei morto, ma non mi pare, la tua presenza è là.
Posso ancora leggerti i miei versi con umiltà, perché sempre ti

considerai grande e irraggiungibile Maestro. Chi ora mi difenderà?
Chi mi dirà: Carmen, le strade della vita sono sempre attraversate

dalla luce e il cammino del Poeta è consacrato alla verità.
Le lacrime, ne ho versate tante, sapevo come la malattia ti divorava,

ma la tua fierezza mi fece credere che tu fossi immortale.
Caro Renato, la tua eternità spazia lontano nel firmamento

delle voci chiare, nell’omelia incorrotta della Poesia.
Volteggia lenta una foglia d’autunno a ricordare

l’eternità del tuo poetare, nenie luccicanti di malinconia
sfiorano il vento che culla materno il tuo esser figlio.

Chi può dire dove ci incontreremo per raccontarti
ancore le mie liturgie di madre e di Poeta.

A te cantore degli umili, della terra bagnata dal sudore,
della Casa del Padre dove sei tornato.

Agli operai di Termini Imerese
La selce colpì ancora sugli anonimi scudi di plastica
Lì i figli che attendono invano
La porta è socchiusa

Si inquieta il giorno e corrugata è la notte

Sale per le stive della fabbrica
Il rancore

I rintocchi amari di una vita di stenti
E il cuore è fiele di paura

Gli operai singhiozzano per il loro futuro
Mano nella mano portano cesti di dolore

La luce grigia del giorno muore sui loro sogni

Ai disoccupati senza lacrime (A Vittorio Foa)
Mi rodono a volte gli occhi di dolore
impotente in questa valle di lacrime il Poeta
ha solo la parola, l’urlo nella gola
è aspro e straziante, vorrebbe Egli gridare
per i mille che non hanno voce
per i tanti che la corrente amara della diaspora
portò via in silenzio
affidando se stesso a una corda al collo.

Tramonta il mondo e gli stolti
hanno ragione dei savi, un altro tempo
si avvicenda dove chi è debole cade e la frusta della fame
inchioda la sua schiena
un tempo c’erano gli eroi , c’eri Tu che difendevi
l’Operaio, la Libertà, la Giustizia, ora ciarlatani insulsi
vomitano odio e seminano miseria

Udii il salmo funebre,
Interrarono la solidale spada,
oggi i becchini scavano fosse per l’ultimo impiccato.

Dove sei Tu? il tuo umile silenzio attraversa
il tempo della storia ed esuli ,
noi sopravvissuti al ramingo ostello
bussiamo perché tu ancora ci apra il cuore.
 

          Pasqua 2009
Stabat Mater

Coro:
E la pelle della luna aprì arcuati i gobbi del cammello
Gli uomini urlarono perché la morte come saetta fletteva i lunghi artigli
Né c’era scampo per il ricco epulone e per i tortuosi ossiuri della parola.
La montagna si spaccò e si lasciò attraversare dalla spada del dolore
I pesci nel mare annerito dalla centrale
boccheggiarono per l’ultima volta, tra anse al mercurio
E le pinne in preghiera si lasciarono
andare vacue sfilate alla tempesta.
La montagna di Gaeta con boato terribile
spaccò il mare furioso,boccheggiò
sul cuore degli inetti.

Maria:
Cala il velo dei tuoi occhi ,o figlio prediletto,
né io posso alleviare il tuo dolore,
le spine trafiggono il tuo sguardo
ed io derelitta imploro di salvarti
Assistere al dolore di chi si ama
è pena che scarpella ogni infinito
e le tue mani lontane alla mia fronte
che implora la tua benedizione

Non vedi, Figlio di madre addolorata
che essi con spade appuntite trafiggono il costato
E il sale arde il sole e i miei pensieri
Figlio, di mamma disperata
volgi a me i tuoi occhi tanto belli.
Nel mio ventre ti portai
Amen, risposi all’angelo annunziante
E felice protessi il mio ventre benedetto dal Signore

La Folla:
Crucifixo , iusta crucem,
Figlio di Dio, dov’è tuo padre?
Beh perché non salva gli occhi tuoi belli
Menzognero ti scoprimmo e una croce
regalammo al re dei giudei
Ecco che preparammo una corano, un diadema
di dolore, un foglio di sanscrito,
figlio di madre sola, figlio senza ritegno.

Maria:
Non senti le urla dei dannati
Salvati da loro e salva la tua madre sconsolata
Le belve vogliono il tuo sangue
Giuda, l’apostolo col bacio traditore
E Pietro due volte rinnegò il tuo amore.
Il gallo all’alba e a metà del giorno
il cielo si fa nero e l’inferno ricopre il mondo peccatore
Morti gli uccelli, tremano gli olivi
e le donne piegano il ginocchio
Pietà di noi! Ma il cielo è buio
E la morte affila il suo coltello
piangono gli uomini perversi
la rovina dei loro tetti
Trema la terra, si spacca in ogni dove
il peccatore urla il suo dolore.

.

Gesù.
Lascia, madre mia, che io salga in Paradiso
Il fiele l’ho bevuto e il mio corpo già
la pietra del sepolcro è pronto a sollevare
Io vado avanti per aprirti la porta del Paradiso
Madre non disperare.

Maria:
Figliuzzo di mamma tua, cuore d’amore
e gioia, come ti posso mai
vedere con i chiodi nelle mani..
Mani di fuoco e stelle
Mani che benedicono, mani che risorsero Lazzaro
Mani che io strinsi al petto, quando tu eri bambino.

Gesù:
Attendi e hai fede , io non morirò
La pietra del sepolcro è solo simulacro
Io come il fuoco sono destinato al cielo
e tu madre mia mi seguirai in gloria

Maria.
Mi lasci sola tra le aborrite sentinelle del potere
Devastano con arroganza la vita degli innocenti
Seminano fame e discordia tronfi delle ricchezze
Mi lasci con vili traditori, che irridono il mio Figlio benedetto
In mezzo alla tempesta di contraffatti orrori
Tra canne di galassie che sanguinano il tuo sangue.

Gesù:
Virgo virgine praeclara
Hai fede nel Dio del cielo
Egli che atterra e suscita
la palma dell’olivo, al Getsemani
portati insieme alle altre donne
E dunque tu perdona come già ho fatto io,
se la palma della vittoria vuoi un giorno ottenere

Maria:
Crudeli, et me tibi sociare, portami insieme a te
Fa che anche le mie mani siano attraversate dai chiodi
Fac, ut animae donetur Paradisi Gloria

Gesù
Stabat mater dolorosa juxta crucem lacrimosa
Madre mia, Madre di figlio doloroso, venni a salvare gli uomini
ed essi mi appesero alla croce, che tu sia benedetta , Madre
prediletta , in trionfo tutte le genti ti chiameranno beata.

Maria:
No, il Figlio mio prediletto, il Figlio unico figlio di madre afflitta
Scendi dalla croce e salvaci, ti prego.

Coro:
La folla lo sputò, lo irrise
e l’aceto bagnò il cuore
arse per il dolore. L’uomo traditore
irrideva il Salvatore e il sangue gocciolava.
Sul fango delle urla
crebbero le bestemmie ,
per te la croce, urlavano, a noi il piacere
E un nuovo sputo toccò i piedi trapassati.

Intanto un urlo di dolore
attraversò cielo e terre
e volse gli occhi al cielo
e il Padre suo lo accogliesse

Maria:
Fac me plagis vulnerari,
fac me cruce inebriari
Et cruore Filii
Che io possa presto, insieme a te,
inebriarme della luce del Paradiso.

Coro:
Rosa candida, Rosa prediletta
Virgo virginum
Madre di pazienza, Figlia del tuo Figlio
presto tu godrai la luce del Paradiso
e tutti i popoli ti chiameranno beata
Proteggi le mamme addolorate

E i figli crocifissi
Sui pali del dolore
Mater lacrimosa volgi il tuo sguardo agli umili
Disperdi i superbi, brucia la loro perfidia
Rimanda i ricchi a mani vuote

Preghiera a San Gabriele Dell’Addolorata passionista
Il tuo passo leggero di fanciullo
volava nel pensiero di Dio.
Santo ballerino che volesti
abbracciare la croce e
puro come la neve di marzo
spargesti sui fiocchi candidi
l’amore per Dio e per il mondo
La croce sul petto e il sorriso nel cuore

Il Dio ti portava tra le
braccia come bambino
prediletto per una culla di candide speranze
Io ti prego Angelo di speranza
pietà di me
pietà di noi
che senza sorriso chiediamo ristoro
Non lasciarci nelle palude

porta il sole nelle nostre vite
Ti affidasti all’Addolorata
sapendo che il dolore
è ciò che più uccide.
La dolce Maria
cuore di madre
alla quale al figlio adorato
posero la corona di spine
Tua prediletta , pregala per noi

Candido Santo dei Passionisti
la tua luce
vedo riflessa negli occhi
dei tuoi confratelli
che come te darebbero la vita
pur di asciugare una lacrima al prossimo.

25/11/2008 giornata mondiale contro la violenza alle donne
Dedicata a Meredith nella giornata mondiale contro la violenza alle donne.


La morte cadde e le lacrime seccarono.
Come sterco la pietà si trasformò in calci
e il sangue sgorgò dagli occhi

strappata la luna e ora giace nell’inutile cunetta
di una vita stroncata

cadde il giorno
sporcato di laceri indumenti

E, dunque, assassini radete il sole, storpiatelo
cucite vesti per la croce

che non respiri più
Gli uomini, di lussuria
hanno il cervello e picchiano
vomitano le loro agonie

e strappate le torri, i terremoti hanno squartato la terra,
con i timpani rotti percorrono

nutrici
del male, costruiscono vite provvisorie
l’orchestra è oltraggiata
vuota la mente del braccio
senza fede .

A Giordano Bruno
              e
ai perseguitati d’ogni tempo


Io primo fra gli uomini intuii
l’immensità dell’universo,
sciolsi i cordoni del mio

abito e scalzo rincorsi
Madonna Verità. Ho
visto non creduto le mille

costellazioni e innalzai la mente
verso la bellezza, a contemplare
il Dio degli uomini, dei giusti e

degli assassini. Insegnai a non
temere l’inferno, poiché l’infinita
misericordia non può estenderlo oltre la vita.

Non ci basta questo inferno?

Dedico perciò il supplizio a cui
sottoposero il mio corpo
ai fiori che non sanno contare,

agli uccelli che cantano l’inno alla primavera,
a quanti non rimane vita per morire,
alla selce che infligge l’ennesima ferita.

Ho visto Venere nei mattini d’estate,
parlai con lei come se un filo di luce
congiungesse la mia disperazione alla sua

solitudine e il cielo non mi apparve sopra di me,
ma dentro di me. Navigai nel sereno universo
e carezzai valli e monti sulla luna,

Saturno non pose resistenza col suo scudo
Primo tra gli uomini percorsi la via Lattea,
costellata da infiniti mondi.


 

Segno dei tempi
 

Amori
Dormono tutti sotto la terra secca
Eppure un giorno li amai,
per loro cantai

Oggi sono ombre lontane

Non più gli uliveti verdi o
le viole nel campo

Allora sulle torri tessevo il mio domani

A Erina
Bruciata.
Ebbi paura anche a pronunciarla

Poi sognai di portarti
salva sulle spalle

Le mie spalle apparivano solide come torri
Tu ti lasciavi portare

Non parlasti nel buio

Vita
Morsicata fui dalla tarantola
Inquieta corsi dalla morte alla vita e poi ancora nelle sue fauci

Inquieta porto il fardello, mai piegata
Strinsi le vesti e scavai radici profonde
Cercai i fiori o le rose

Seminai e raccolsi nei cieli stellati .

Poeta
Iniziasti a parlarmi bambina sugli
speroni dei monti
o a cavallo alla giumenta

Sentivo la tua voce

Ti prego portami via
non voglio brucare l’erba amara
dei chiodati alla croce

Tempo
Una faretra di spine è il mio cuore

Pesa, a volte
come una zavorra

La rugiada brucia sui sopravvissuti

A Zia Marta (Suora dell’Ordine degli Angeli)
La processione ha un singhiozzo amaro

Ci sono i morti
che placidi vagano

E anche tu col tuo Dio
hai ancora nel cuore i poveri da nutrire.

A volte ti cerco, ti chiedo perdono.

Padre
Tu eri lì
Sulla finestra di casa,
osservavi la mia tenera mano
che chiudeva una lucciola

Ti rividi in terra straniera, là dove
non volevi morire,
condannato a un quadrato di terra

senza croce.

Montella
Venni un giorno dal paese della pena
nessuno mi prese per mano
né consolò i miei passi

I miei sogni crebbero
come gorgòni trafelate
E sbucciai i mandarini dei ricordi

Stemperai per tutti
amore
come contadino che spande i suoi semi

Pasqua
Vi ascoltavo campane di San Michele
col mio vestito rosa e
le scarpe lucidi di Pasqua

Povera, col piede piccolo
Raccoglievo le fragole
bruciavo le felci
cantavo l’ultimo silenzio
mentre pietoso il coltello, dell’odio
distruggeva la mia infanzia

Il coraggio
Fischiavano alle orecchie i lupi di Montella
Io non li temevo nemmeno da bambina
E anche oggi cammino sfidandoli
Sputo nei loro occhi di fuoco
E vedo la luce riflettersi nel sole

Non camminare, mi dicono,
ti uccideranno

Ma il bianco e il rosso
sono un fiocco di gioia
e vado sgranando rosari

piangendo sulle pietre
amare di fame
e lucidi i lombrichi
strisciano limacciosi

Non guardo mai in dietro
vado nel vento,

sono furia e lamento

Alle mie figlie Lara e Silvia
Dal mio balcone vedo Gaeta
E il mare azzurro si riflette
nei baci che vi mando
nelle nostalgie che mi calpestano

Chi può dire quando durerà?

Ed io vi attendo sempre
A braccia aperte
per sentirmi chiamare
e nel cuore entra tutto il cielo

E la strada non seppi indicarvi
Urlai nel buio
per bruciarmi al sole
con esso crepitavo
nell’odio e nella maledizione

Tu mi chiedesti, come vivere
In questo mondo infame?
Ed io non seppi
Muta abbracciai il vostro dolore!

Lo so pensi che tutto è maceria.
La sciatemi la preghiera
i mie santi
le mie stimmate

Vi prego non infierite
lasciatemi su questo mare

a piangere

Addolorata
I tuoi occhi di cerbiatta
si aprono opachi al dolore
È acqua di fontana
la tua parola di pietra
E lì il sogno mummifica l’ultima speranza.

Chi può consolarti?
E’ lo stesso dolore che umilia,
o anima bella e perduta,
i ghigni di un uomo senza scrupoli

E il pugnale penetra silenzioso,
né io posso lenire il pianto
ara senza pietà
e distrugge anche l’ultima sera


 Primo Maggio
Agli operai che non tornarono a casa

Ai fiori che non sanno contare
Agli uccelli che cantano l’inno alla primavera
E la selce colpì sugli anonimi scudi di plastica
I figli che attendono invano, la porta socchiusa per gli esuli del dolore

Guadagnaste il pane, per le bocche affamate, per un tetto in affitto
Miseri, non nel cuore, che generoso diede la vita

E non sanno contare, i fiori
E noi che oggi viviamo a capo chino le vostre morti
non ricordano i gigli e godono il pallido sole

I colpevoli hanno porte spalancate
Portafogli straripanti denaro
in un giorno spendono quello che tu guadagnasti in dieci anni

E non desiderare più di appartenere a un cielo macchiato di sangue a un’aria gonfia di lacrime
L’inferno non è qui?
Cancellare la calce, ripulire i bidoni
di catrame nera della coscienza di chi doveva vigilare

Non rimane vita per morire, aprite le porte che possano urlare,
finalmente gridare
non calpestateci ancora!

Ai fratellini di Gravina
Ciccio e Tore


Una cisterna ingoia i silenzi e
il cuore rotola sui calcinacci
dei bimbi senza voce

Il silenzio è vergogna per
quanti sapevano e non udirono

Chiudete le porte non voglio vedere
l’acido scortica le vene dei piedi

Lì, quella scarpa logora
imbrattata di morte
e dolore e gli occhi

della madre si spalancano
increduli, come stelle
lontane che più niente

possono raccontare
ai due corpi che
attendono invano
una salvezza negata

Terra, caverna, pietra
del dolore, pietra dell’infamia


Home page  Lettura   Poeti del sito   Racconti   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche