Poesie di Ettore Mosciano


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Alberi a noi lontani
Alberi a noi lontani che stanno su argille
di terreni caldi, le acacie abnormi di savane
con rami e saette di mani aperte
ampie e distese in sottili e alterni piani
vivandiere di aerei giardini in fiori bianchi
e terrazze offerte all'azzurro cielo.

E poi, archi e ombrelli del silenzio
e ponti, tra noi minime misure e l'infinito
d'area distante e d'anime sospese, scrutanti
orizzonti incontrollabili con labbra mute
nel divino rarefatto paesaggio.

Tale è natura antica, oggi negata
sui moderni asfalti che vietano voli
alla percezione pura
e alla dovuta costruzione d'anima ancestrale
dei luoghi e dei padri
inconoscibili simboli di un abbraccio
che ad altri fu già dato e non è nostro
e che ormai straniero ci abbandona.

Non darmi
Non darmi lo scontento, ho la testa altrove,
al sole, al mare, ai monti
alla cercata calma, e non ti seguo
se mi coinvolgi nelle trame
dei testi di grammatiche

Ho l'odore delle terre e dei prati
in cui germogliano semi appena nascituri
in fragili gambe.

Non voglio dardi e bacchette sulle mani
solo la quiete del domani e il fiume
che con dolcezza chiara m'accompagni
tra questi sassi lucidi ed oscuri
che frammentano paesaggi quotidiani
dei sentimenti.

Alla luna
Chi canta chi, e cosa,
con solitario verso, pingue luna?
Sei ancora abbarbicata lassù
tra le mani del cielo, oggi
che nell'amore e nell'amata
frangono flutti inscatolati e di riserva?
Abbiamo sapori artificiali, noi mortali.

Luogo sacro
Stanno nel tempio esseri alati
in forme umane sublimi e accese
e noi con essi raccolti e sospesi
dove lo spazio dilata e si riassume.

Musiche cristalline d'arpe estese
e da misura esenti
per anime itineranti, ombre e colori.

I canti sacri e le figure incise
sono strade innalzate all'abbraccio muto.

Nell'eclisse del danno e dell'affanno
messaggeri sulla vetta di un monte
lontani dal teatro impuro che ci illude.

Nonostante la memoria dei poeti
Nonostante la memoria dei poeti
si manifesta l'epoca violenta.
E in essa ciascuno ha la sua parte
e non sa per quanto tempo gli appartiene
la maschera che il volto gli sfigura.

Il male scorre tra la frenesia dei tanti
che nella corsa individuano bravura.

Quale accidente intorbidisce l'acqua?
e quale sale dell'indifferenza fa bruciare le ferite?

Noi conosciamo il sangue e il fango, l'ottusità e la follia,
apriamo micro fessure in ristrette geometrie.

Emigranti e grattacieli
Sinfonie cantate da sirene
i grattacieli americani all'emigrante.

Città avvistate dalle navi
dai volti segnati di nostalgie lontane
dei mattoni rossi e delle case basse
lasciati in cura alle moglie e alle madri.

E fumi bianchi di navi
svanenti in cielo straniero, i pensieri.

I nipoti d'Europa, passeri poggiati
su camini di navi fumanti
in carezze ai nonni mai conosciuti.

Flop… flop…flop…
La merce che non serve e che non piace, che ci stanca
è tutta lì sepolta, in cimiteri.

Gli "estinti" non hanno più vetrina
per stordirci da mattina a sera.
Calano sipari sugli eccessi
e sulle idiozie.
E allora… flop…flop…flop…

Non ombre letterarie
Un tessuto che s'infiamma nella trama
la febbre del tempo del cantore
e l'ardimento, il rischio,
nella solitudine in cui l'uomo si ritrova.

In sterminati terreni la passione
che si fa canto per mani secolari e sacre
uomo nei segni della stessa terra destino.

Non ombre letterarie, dunque, sono i poeti.

L'effimero è altrove.

Noi siamo scommesse con noi stessi
nel lungo e immenso sregolato sconcerto.

La sostanziale armonia
(tra la spiritualità orientale e la scienza attuale)

Serenità radiosa dell'intesa
tra le rocce e l'acqua
e l'alta trasparente aria della Terra.

E noi in essa immersi per cascate
nel quadro di una danza.

Il monaco buddista fissa l'onda dalla spiaggia
e dà il ritmo al respiro.

Così sta anche il fisico
della teoria dei quanti e del magnetico
tra l'osservazione ciclica dell'onda
e la via del Tao.

Acque alle sorgenti mormoranti
Acque alle sorgenti mormoranti
di fluide figurazioni nascenti
gli abbozzi chiari e scuri e i segni
di volti di madonne, in Leonardo.

Od anche rosate armonie di gemme
con il potere inciso di resurrezione
a ravvivare il prestigio delle creature
tra le trasparenze d'acqua e luce.

La madre dal seno sorgente
vigorosa e fragile immagine di fiamma
ed acqua che contorna e scende
sulle pietre levigate e tonde.

Ai nostri sensi lo scrigno scintillante
che serenamente ci racchiude
e che altri, fatti superbi, non conservano.

Il volto dipinto restituisce
memorie sopite
del sapere sacro e delle muse.

Vetrate
L'irreale che si apre alla luce, vetrate,
di storie sacre nelle gotiche chiese,
in noi da albe millenarie, trapassano
in colori l'umano sentire.

E' il vetraio delle trasparenze
che innalza al cielo il giuoco di smeraldi e di turchese
composto di velature e di visioni
per gli ebbri di sconfinati viaggi
tra le immagini di fede.

Noi
In paesaggi ampi e solitari, sui prati
vivaci macchie estese di colori, specie vegetali
tra i volti severi delle masse rocciose.

Eppure, isole larghe di fiori radunati rossi
accesi di contrasto, compensano l'assenza
dell'umano.

Ed anche qui si fa giorno e si fa sera
come nella mia casa al tuo ritorno,
tu fiore ed io sguardo, nel nostro paesaggio.

Alba
Ammaliato da un'alba, salgo
nel chiarore su per il filo d'ambra
che porterà il sole, e ridesto
nelle azzurre trasparenze muovo lo sguardo.

E il lento diffondersi del tiepido mi dice
che vivo nel sereno
già poggiato sull'ala di un airone.

Aurore di ogni giorno
In limpido giorno è dato leggibile
lucente ala dell'aurora
lucida speranza della nuova vita
energia caricata di rossore.

L'auriga della calma e della padronanza
guida il tuo risveglio gioioso all'orizzonte
e conduce con redini inflessibili
il tuo cammino tra le forze avverse.

E il mattino si rinnova di molteplici promesse
il mondo offerto alla gioventù del giorno.

Tu, creatura d'aurore, testimone e specchio,
risveglio
con il gesto di un neonato.

Se sono nato…
Se sono nato, mi concedo un po’ di spazio
nell'Oceano
come conchiglia che ha il suono
lasciata sulla spiaggia allo sciacquio.

E vivo restituito sulla sabbia
tra gli arbusti ed altri crostacei
un po’ vivi e un po’ morti, in giochi sfatti
degli adulti che allungano i passi
e fanciulli imberbi che nei giochi
schiamazzano superbi, ignari
delle controversie che traboccano dai vasi.

Al mio paese impavida una stella
Al mio paese impavida una stella mi richiama
e un cigno silente che agita le acque,
l'una che indica la strada e muove l'ansia
e l'altro che nel ristretto lago scrive fanciullezza.

Era un verde filare di tigli che mutava d'ombra
tra lo schiamazzo di noi imberbi nel creare
giochi di sorta per allegrare le serate.

Erano le fontane frizzanti coi zampilli alti
e noi tra brecce e aiuole in freschezza innocente
lenti ai richiami di isolate mamme
che lasciavano l'affanno in questo spazio quieto.

Ora l'ansia non ha più infantile porto
ed altre fantasie abbracciano la mente
nello scambio che ha ornato il mio passo
d'adulto verso altra cornice.

Ma riemerge voluta fierezza nel mio sguardo
tra le strade che oggi ripercorro nel ritorno
se la mano d'un bimbo mi porge la scossa.

La città
Storie ed eventi ed un sipario aperto
di fili di una trama e il vuoto
tra questi filamenti, finestre di un paesaggio
l'uomo nell'effimero e nel groviglio
a cui si vuole dare senso e regola.

La città ha mano di chirurgo
coi suoi mutamenti, inchioda l'ansia,
detiene il teatro e ruota e ronza
con il miele e il suo moto.

Eppure, l'abbaglio delle architetture
m'innalza nelle epoche e in ambienti
di castelli, palazzi, mura medievali austere
e dei giardini scoperti dentro vecchie case.

In una notte precocemente scesa
tra l'umano e l'inumano
luci di bellezza, fontane, acque.

Primavera è ancora
Primavera è ancora chissà dove
acerba fanciulla addormentata
in un velario che s'apre, incerta
del suo apparire.

Già lieve di grazia e profumi, colori
che muovono nell'aria fragili ali,
e che inviano d'attesa avvertimenti di luci.

Traspare l'arrivo nel memore prato
che s'adorna del verde e nei rami novelli
di marzo, in luminosa aurora.

Nascerà fra giorni primavera, già pittrice
di un sipario antico, ondosa
e in freschi umori, sensazioni a noi
in limpida memoria, di ieri,
ed è già un anno.

Un soffio d'aria e un volo sotto la grondaia
ed un canto nella traccia che sale, il richiamo
al nostro corale desiderio.

Codici virtuali
(per “Media di..versi”)
La sostanza del segno che misura
e che incarna su se stessa la parola
costruisce e distrugge segmenti
della vita disegno, con la penna e il tasto.

Il volume del mondo tra strumenti e stili
per dar forma e spessore alla parola
e consumare la tensione ardente
di una percezione, la penna sul foglio,
la notazione reale e impellente.

Ora il registro si estende,
si affina nel chiaro d’uno schermo,
in cui un Pegaso alato brucia le distanze
e muta le percorrenze in codici virtuali.
Dimensioni che stanno dove?
Attraversano cieli le parole?

Io chiamo all’appello lettere aeree
e di fuoco e dell’incanto
in sembianze di chiavi, e brucio profumi
per il mistero dell’essere
e delle combinazioni infinite.

Le parole tra nubi, dalle forme innumerevoli:
piogge fecondatrici.

Non sa la luce del buio
(per “Media di..versi”)


Non sa la luce del buio, ma viene
in un patto di natura e d’equilibrio,
attesa energia del giuoco e dell’arte
e della vita in cui la prima cellula
ebbe l’essenziale.

Dove il pensiero ora inclina il suo verso
è uno schermo di luce che rispecchia l’artificio,
convivio della parola e della “beata mensa”
del mio soggetto e d’altri
sul verso che si fa emigrante digitale.

Lo spazio che ora allarga il messaggio a dismisura
è un invaso che apre in architetture di reti
la imprevedibile voglia che lascia la foglia
cadere dall’albero matura o il seme dischiudere
in nuove primavere e frutti acerbi.

Argenteo fiume o tenebroso Tartaro?

La trama e l’ordito nel telaio di un computer,
e l’invisibile spettro che arriva e parte
per incognite e conosciute stanze:
tessuto incerto che tuttora vela, scopre e illude.

Infinite esistenze ha la poesia, e in essa
s’incurva la nostra umana storia
foglia della foresta che s’infiamma
se la scintilla dà l’accento al verso
e l’esperienza si lega d’unità col mondo.

Quale bussola io porto e quale invito
non so, ma con altri sentieri e sentimenti
m’assommo nel proseguire il viaggio
nel regno accattivante, da esploratore
e custode delle mie memorie e d’altri.

La parola fluttuante
(per “Media di..versi”)
Chi è, se non quest’essere che pensa,
il mezzo e l’artefice della prosodìa,
del verso che si fa intuizione aperta
ed elettrica cifra, tra le reti, nella sfera?

L’esercizio sullo schermo che dal nero
apre lo spettro multiforme, svela
il nuovo teatro e la voce e il coro,
la policroma sostanza, la parola,
che d’energia s’inonda, e piega e balza
tra le immagini mutevoli del mondo.

L’ondeggiante pianeta è ancora nella schiuma
da cui nasce la Venere poetica
nell’Oceano senza sponda e senza fari.
Il viaggio e il tentativo di un accordo,
la tensione e l’ansia di legarsi al mondo,
lo scambio a dismisura, sono l’artificio.

L’entusiasmo guida il messaggio digitale
nell’itinerario che la parola saetta.
Il corpo e l’incanto stanno in questi flutti
e il desiderio nel flusso che ha l’origine
nella sorgiva fonte del mito d’Armonia

a cui si ritorna nella voce e nel canto.

E’ un pianeta immerso in questi segni
la realtà che ora ci sfida e ingloba,
l’onda di poesia argentea che s’alza
e ricade coi versi nello stesso mare,
unità del sorgere e nel variare del salto
e della nuova luce nella cresta:
l’imprevisto umano, la parola fluttuante.

Terra
Terra, e sempre terra…nutrita terra…
Terra impastata per noi manufatti
a forma… immagine e somiglianza
per un “corpo vitale” dell’uomo creato
nello stato imperfetto e di lungimiranza.
Corpo della terra che ha avuto il dono di visione
capacità nascosta di intuire,
prevedere con la forza del mito,
del mago e del poeta.

Uomo meccanico e formula alchemica
figura plastica conseguente e divergente
di una struttura etica e spirituale
di là da venire, disattesa, compiente o compiuta.

Utopia di un uomo
modificato mezzo nella prova del disfacimento
in progresso del sapere e del dubbio intellettuale.

Terra di ceneri e di microrganismi
creatività di principio e fine.
Terra di sostanza che sostiene
bellezza di natura, acqua fiori e rami,
ed aria in cui si muovono le labbra.

Clima ed umore di culture, terra
moderna ai frutti e indifferente,
produzione di significati e senso,
scambio di itinerari a noi sempre stranieri.

Un piede incerto ha l’uomo che vede,
richiamo di un mistero – e di un orgoglio –
per essere stato sulla terra in veglia.

Rugiada e parole
La rugiada è venuta silente sull’erba
e in vita distillata,
nutriente nel primo mattino,
già scena di un teatro che inizia.

In gocciole sparse sul verde
in mille riflessi
scrive in quest’ora la sua immagine.
Diviene umana apparenza
lo stelo che ha lucida lama.

Bagnata risale la goccia tentata dal sole,
si cambia in veli di nubi, ritorna
per aerei pensieri in mille disegni,
lontana solleva il ricamo dei giuochi
nel cielo della fantasia.

Parole e gocce di lume e di un mare
trovo da finestra d’aria, al risveglio.
Tra terra e cielo, ogni giorno
si scende, si sale, per sottili umori si ritorna.

Suoni di alte e di altre armonie
Oltre la razza e il pregiudizio la parola sale,
dall’umano s’innalza,
soffio laudante nel sacralizzarsi
e suono di ringraziamento.

Il tempo non esaurito nel presente
lancia messaggi dal passato e si fa ricerca,
trova incontri, senza obliare la sua origine.

E’ un giuoco angelico di voli?
E’ l’ala spezzata che ricade?

E’ il nuovo tentativo che rinasce
al sopruso e all’oltraggio quotidiano.

Identità ed isole noi siamo,
e illuminate stelle in un incredibile cosmo,
a variabile luce, spazio e campo,
visibili figure sulla terra
suoni di alte e di altre armonie.

Il mito
Necessità che penetra soave
lontana e vicina forza della scelta
mare di grazia per illuminare
od oceano immenso per il navigare.

Acqua che nutre di sapore la saliva
il fiore che s’incide sulla voglia saliente,
che s’infiamma, brucia il corporeo legno.

Scintilla, che ha il rinnovo nel suo farsi
e nel nuovo incominciamento, il sacro fuoco
in cui la mano e la mente pongono l’incenso.

Miracolosa potenza sulle anime
che percuote le menti col meraviglioso,
bellezza che nasce visibile al conforto
per il ristoro unico dai mali
dell’uomo agitato ed affaticato.

Il paradosso dell’essere e la poesia nel vetro di bottiglia
Ti ricordo, fratello, in un messaggio
che giungeva via mare, nel vetro di bottiglia;
ed anche virtuoso cercato tra le strade di Atene
dal Diogene irriso, con la lanterna in mano.

Sei ancora lo strumento e il mezzo
già portati in radice nel tuo gene,
carico dell’avventura che nei mari del pensiero
da eliche proteiche ha generato la parola.

La chimica biologica ha denti nella mente,
e combina sapori dolci e amari degli umori
passati e prossimi del mondo, e di quello a venire.

Non un esilio sacro, né il mito, coglie l’uomo nuovo,
ora che l’attuale celebrato occhio
fissa visioni mosse da altri sugli schermi,
e la misura della nostra riflessione sbocca,
viaggia in dispersione, vincendo irritazioni.

Il paradosso dell’esilio ambiguo,
dell’esserci non esserci, profanità
che si impone e ci adegua al mondo che cambia,
e fa del sublime inezia, e della notte il giorno,
apre il varco a pensieri impazziti e resistenti:
il labirinto che non ha più filo, e i mostri
con intrecciati lacci, in mille simbolici linguaggi,
urlano con sarcasmo e con la boria.

Verranno ancora, per aria, terra e fuoco,
acque e lune nuove, schiamazzi, trucchi e giuochi:
una cascata di cellule mentali misura il salto e il buio
e il vetro di bottiglia col messaggio incluso
per valori supremi, in disperazione, di quest’uomo parziale
che ha nella contesa la cifra e la radice,
la richiesta di distruggere finzioni e maschere,
(la poesia).

Al poeta del marmo (Prassitele)
La chioma e il volto in serena figura,
panneggi misurati in lunghe pieghe
e chiaroscuri e bellezza in elegante posa
del collo e delle spalle che hanno curva
appena necessaria per umana poesia.

Sta qui il cantore di Afrodite
per donna che sta in donna e in Venere racchiusa
e in pietra levigata di sacrale impronta
che ancora nutre il mito e la sostanza in carne.

Visione che giunge sempre a noi, ora e ancora
a noi richiesta ed in memoria nota,
e posa pura, non più data, del sublime,
d’incarnata dea nel pensiero dei padri.

Dalla nave il viaggio ed il legame
Ad ogni nuova alba e dalla tolda
il navigante tra l’immenso e l’onda
con ali da gigante ed umano pensiero si fa vela.

Per benefica luce tra le acque e gli astri
ed in chiara visione, la fronte lontana dal tumulto,
lirici inviati vanno per misteriose mete
trasportati in incanto di colori e paesaggi,
in lieti conversari e agiatezze, incontri che sanno, oggi,
dell’isola felice di un Olimpo.

Poggiati per un tempo su un Parnaso mobile,
staccati dalla Terra, e navigando d’acqua
in richiami e passioni posti tra gli ingegni
che furono maestri d’intrepide epopee
e leggende che ora nuove si ripetono
in freschezza che scioglie tensioni
e rasserena il viso.

Dalla nave che solca l’immenso anch’io vado
e giungo a nuove narrazioni, e in antico legame
con terre leggendarie che mi accolgono
in mirabile poesia e variazione di pensieri.

In giardini artificiali e incolti
Questa bella d’erbe famiglia, impensata,
d’una terra primitiva e grezza,
tra il blu della cicoria e il violetto dell’ortica
e le incolte campanule tra l’azzurro e l’indaco.

Misere vite in apparenza, e misere mani le nostre
irriguardose e pronte al diserbare fastidiose appendici.

I campi incolti come umane presenze
ai bordi delle strade, linee di confine…

La forbice pronta a recidere
ciò che non fa e non ha mercato
nei disegni della calcolata e dolorosa beffa.

L’umano paesaggio, e la mano e la radice
dell’uomo di frontiera, le erbacce derelitte,
trascurate presenze, incolte erbe,
la disumana lama che falcia:
presenze diserbate e il quadro artificiale.

Qui di giorno in paesi…
Ancora soprusi, ambizioni d’egemonie
da russe e musulmane, americane terre
e mani, mani, mani di poteri folli.

Qui di giorno in paesi la gente si muove
salutandosi ancora sulla soglia delle case
pur non conoscendo bene l’altrui viso:
basta il poco del vivere tranquillo
e il suono dei passi nelle strade
per consolarci ancora d’umana presenza.

In ciò che noi siamo, ciò che combiniamo
la virtù e l’inganno, la vita e l’artificio.

Immagine di ragazza sul metrò
Stai lì, giovane donna, racchiusa
in provvisoria cornice, ma vera
anche se in rapida impronta tratteggiata
e da mano d'artista colta nel sorriso.
Rallegrata e armoniosa giornata io sento
nel raccolto calore del tuo viso
tra le ali alte del tuo bavero cappotto.

Ciò che non vedi, ciò che non sai
Un cielo ed un mare e l’aria, e sulla terra noi
minute particelle e minime
legate alla materia primordiale, vite
di chi e come vede in incanto e paura
dell’occhio e delle luci. Per conoscere cosa?

La stella cadente d’un ricamo e d’una volta sospesa
o quella che si spegne, s’allontana o svanisce:
dove? in quale altro spazio?

E il sole che ritorna, l’alba, l’aurora
il calore e la nebbia, la goccia che l’umido ingloba
già piena di vita e nutriente.

Ciò che non vedi e ciò che non sai
dentro il ramo che ti consegna il fiore,
e in cellule e in metalli, minerali, simmetrie di cristalli,
particelle di luce e atomi, nuclei sospesi,
di materie indefinite per grandezze e spazi
invisibili e nascoste al sapere comune,
accese vite che possono durare istanti
o secoli e millenni, armonie d’equilibrio
magie elettriche e misteri di visione
colti appena nel possibile umano.

Ciò che non vedi e ciò che non sai
in messaggi racchiusi in universo
di stringhe e di atomi e su orbite
che ruotano anche in solida materia
che immota pare allo sciocco sapere.

Ciò che non vedi e ciò che non sai
nel diluvio e nella saetta infuocata
e nel raggio di sole d’esplosione continua,
d’una sfera infuocata d’anni luce distante,
luce che disegna ombre di forma, rischiara
ritorna alla vista, scompare, riappare
nel ridare colori a materie morte e vive.

Ciò che non vedi e ciò che non sai
ancora in un mistero di forze e relazioni
in cui il fare dell’uomo è goccia ed artifizio
in aria e terra ed in acqua e fuoco.

Ciò che non vedi e ciò che non sai
nella mente in cui si sostanzia e s’inabissa
il bene e il male, e lo stupore
per un mondo che c’interroga
per evidente e complessa fattura,
mano e radice dei piccoli moti e degli estesi,
sentimenti umani e duraturi, o che si sfanno,
costruzioni appropriate e vite e danni.

Origini e legami, voci e forme, ingegni,
in noi la via e la voce, i sentimenti
e per che cosa le leggi di natura in cui viviamo
nel fare e disfare, e la grazia che ci è data
per intendere ciò che in altri noi già fummo
e ciò che siamo.
In somiglianza di chi? E per che cosa, il registro universale,
la permanenza della materia che ci stringe,
il nostro mutamento e limite, l’indefinito Eterno?

Dal Mediterraneo
Avventura non è forse quest’ansia,
in parola audace che scavalca confini
per ritrovare legami con genti
di terre in cui già avemmo radici?

Noi, figli del seme indo-europeo, diventati stranieri

a noi stessi, e di geografie, d'aura d’Altrove,

novellando oggi ripetiamo il lirico abbraccio
d’un mistero e dell’incantamento.

Lo sconfinato sogno, in noi, tra le acque di mari
in cui fummo tenaci timonieri di vele
camminatori per impervie strade
e territori di scritture e conversazioni.

Con il sangue e la carne, l’anima che in voli
s’impregnava di culture per essere persona
e degna di un nome, in civiltà millenarie.

Audacia e amore, tensione che nel tempo si ripete
la voglia e l’attesa ancora dell’incontro
per esaltare “virtude e canoscenza”.

Entrando nei mercati dello scambio
o ammirando le marmoree statue,
levigate in bellezze supreme e gesti sacri e solenni,
rapimenti estetici di edifici, archi e colonne
e fregi narrativi, libri di rare traduzioni.

Corpi e volti, scritture ora in diversi alfabeti
vanno cercando, ancora, in quel Mare una vela
che sappia congiungere nazioni e messaggi
di fervorosa preghiera, in segni e sfide.

La vita itinerante suggerita tra diverse sponde,
ancora una volta in sogni d’un possibile
immaginario collettivo, con cui poter dire
l’investigazione e l’impresa, ora, il nuovo destino.

Poesia per un sasso
Delle curve di un sasso e dell’ovale
io domando all’Eterno,
e del disegno e della lucentezza,
dell’acqua limpida e fluente
che nel letto d’un fiume
l’ha così modellata, ora, questa pietra,
apparente ed immobile massa.

E domando la conta in questo sasso
degli atomi e del puro reticolo geometrico
di simmetrie e di cristalli ordinati,
e quale sabbia e polvere, compagne nella vita,
possano a questa pietra aver donato
il piacere e la salvezza, la grazia
di un disegno sulla superficie,
un paesaggio del tempo scivolato e subìto,
e del restante tempo in cui si getta
in fisica natura, calpestata e consumata
e tra i colori della vita non vita, io domando.

Del riflusso del mare e del riposo
Del mare lungo e del suo ritrarsi
sulla sponda il viaggio assorbente
e la nutriente culla dell’immenso
nell’ordine dei moti, del cominciamento.

Determinata luce apre il getto
che dall’immobile muove
e lega terra e cielo, venti e nuvole.

Noi uomini in sembianti di déi
nell’abbraccio sospesi, consapevoli
di un respiro cosmico e del nostro addome,
di cellule minute, di vita, e dei deserti,
delle sabbie sconfinate, ora sommerse,
e del moto già nato, dignità primaria delle cose,
intesa d’una padronanza che ci lega
per svuotamento d’affanni, riposo.

Il sale e il limo
Dall’aria e dal fango,
e dal doppio combinato genere,
maschile e femminile,
dall’argilla organica di cellule, il limo,
nasco come nuovo nato,
scalpello sulla terra e sulla pietra,
nell’azione umana.

Pietra grezza, e di quarzo staccatasi dal cielo
parlante ascia o martello che è già stato
d’una montagna centrale, d’altare, terra madre.

Pietra e pane, farina, ed eucaristica fame,
rigenerazione perenne d’attività umana,
illuminata conoscenza divina, sale raffinato
tra la civiltà del perituro e del durevole, strumento
e meteorite caduto simile a pioggia,
seme della fertilità poetica
liberazione dalla natura bruta, potenza in sé
di asce, proiettili di pietra, bidente e tridente
tremante uomo e microcosmo del cranio
e del cammino del pensiero.

Degli antenati, spiriti pietrificati, adoratore
ho trattenuto il sacro, per fertilizzare suoli
tutelare culti, fecondare, spalmando olio
come un mercante che assicura
prosperità, difesa, casa, salute.

La pietra che accoglie sole e pioggia
In benefica pietra lo spirito buono, io sento,
trattenitrice in scambio di umori
della mia salute e di un’atavica casa.
E sulla pietra del libro del profeta, del Sinai,
io poso le mani e il mio destino,
ne leggo i versi, da ricordare a memoria,
come quando ero bambino, a prova
dei miei suoni in essa ancora in armonia.

Partecipe d’un principio e simpatia di forme
tra pietre e nuvole, ricombinati modi di messaggi
appartenenti agli avi, realtà spirituali
di una colonna celeste che dura da millenni.

Pietra su pietra, io poggio nel rito, e nuvola nuova
in vento e gelo, pioggia, sole ardente
viaggiatore aggiunto di una cosmica piramide
partecipe d’una potenzialità che ognuno anima
qui, sul suolo, in questo luogo scelto, in alto.

E sui sepolcri, tra le pietre degli avi
io pronuncio le più sentite preghiere:
preziose pietre trasmutanti parole e riflessioni,
livelli di esistenza.

Pietra e cielo per uscire da deserti interiori
in vigilante veglia, per casa dedicata,
a mani giunte nel fortificare l’anima
poso la mia vita sul libro dei comandamenti
pronunciando il mio giuramento.

Il cristallo nero
(Per l'arte della scrittura giapponese "Shodo")

Il calligrafo che anima con inchiostro nero
il candido foglio ora immacolato e muto
è un figlio della luna ch’è sospeso al cielo
e ad un’alba che arriva, d’energia silenziosa,
per dare vita e forma al nuovo rito
ed all’inizio di un incantamento.

Con gesto, luce e lama di sua mano
egli s’immerge e veste, nel teatro del segno,
per tracciare il sublime messaggio di un’idea
vitale impronta che dia energia al bianco
col nero di un pensiero che s’inchiostra
in risonanza del “ki”, coscienza planetaria.

Di naviganti segni egli nutre la sua carta
con linee intense di vitalità e vigore
e punti che armoniosi stanno nello spazio,
equilibrati gesti che vanno su ali
di lettere d’un alfabeto antico
composte in trama e in punta di pennello.

E’ lì, ora, il nero moto risultante d’energia
che in marziale contrasto sul bianco s’innesta,
fluido che lo spirito concreta
per sintesi inglobata in arte da maestro,
e parola detta in bilico, tra la forma e il vuoto.

L’abbraccio tra lo spazio il fuoco e l’aria
e l’acqua di purezza in cui si è lavato
l’uomo del pensiero e del moto trasparente
nei segni ora composti di un cristallo in nero
con cui il calligrafo ha scritto la figura di se stesso,
il lirismo sul bianco, il rito e il macrocosmo.

La speranza è volo
Ad ogni nuova ala che batte
nel diverso giorno, la speranza è volo,
e ad ogni nuovo incontro, nuova luce,
costruzione umana sempre, essa è idea
che s’alza sorridente sulla creazione,
con volontà e fiducia nel trovare i doni
che in armonia accordino paesaggi e vite.
Viva è la gente che si sveglia al sereno
e pone il filo di sua vita nel tessuto
di oneste relazioni, problemi, amicizie.
L’umano e il sovrumano in intesa con noi
nell’energia del moto che imprime la traccia
d’una passione generante il nuovo,
l’incontro con la proposta positiva,
il mondo in cui si scrive con la mano
il segno della propria e dell’altrui storia.
Viva è la speranza nel moto del tempo
e viva è adesso in noi, carnale ai sensi
nel desiderio aperto d’un cammino.
In uomo e donna, e nel bambino insieme
la speranza in ala riprodotta e moltiplicata
va in culture e suoni, motivata trama
di relazioni e obiettivi, varietà di colori.
Virtù dell’umano, la speranza è quieta
ed accogliente guida alla volontà dell’uomo
che in logica si muove, nel credere un possibile
incontro di risorgimento in opere.
Cattedrale aperta, la speranza, sempre,
e cantiere di lavoro in cui s’installa il timoniere
e navi e vele che partono vogliose al vento
per paesi ed acque, essa è voce d’un’eco
del dono che ritorna più grande e non ti aspetti
e con cui il domani avrà la nuova luce.

Cattedrale gotica
L’architetto della fabbrica sacra
ha modellato nello spazio la sua fede,
e a noi restituisce con granitica pietra,
le immense navate dal disegno grave,
le scolpite figure e le vetrate,
le torri campanarie e le svettanti guglie.

Bellezze della fede restituisce
in incise scritture e levigate forme.

Risalendo da profondi scavi, e basamenti stabili,
egli ha dato forma e radice all’edificio sacro
con scienza conosciuta di marmi e di vetri
per il mistico brivido d’assieme,
in canto ed emozione.

E dalla pietra, la geometria perfetta
e la materia della “mater” che contiene
nel suo seno la numerosa prole,
la cittadinanza viva che s’immette
tra la terra e il cielo
per l’itinerario salvifico di una storia umana.

In configurata pianta di croce è la Chiesa
d’abbraccio ai punti cardinali nello spazio
e indirizzo al piede nel pellegrinaggio
tra le armonie sorgenti di pilastri e archi,
crociere sulle verticali.

L’ingresso nella caverna ampia del portale
e la ruota solare del rosone in alto, nel prospetto,
per i passi e gli occhi che introducono i devoti amanti
al cuore dell’altare, il contenitore sacro
e il libro intero della creazione che rivela.

Nei vetri e nei riquadri l’ascesa per lettura
e l’energia per colori d’immagini, luci,
penetrazioni dall’esterno d’energia degli astri,
armonie che si compongono in materia
nel rito solenne di un viaggio interiore.

La spiga che scintilla nel rosone di facciata
è pietra forata di un rosario in semi,
è rosa ricamata di un pensiero in proiezione
che collega luce diretta dal cielo alla navata.

E’ la pietra maestra d’una cattedrale
che interroga e trasfigura il comune mortale,
oggi ancora teso nel comprendere il sacro
con volontà di trovare la conferma alla sua quiete
in satura immagine, satura sostanza.

Samuel Beckett
Spirito amico, per accordi e suoni,
sfumature e ombre delicate.

Samuel Beckett tra le reti dei rami
coperti di bianco e di fogliame,
raganella di verde argentato nello stagno,
ammonitore lucido dagli occhi di cristallo
campo arso di guerra silenziosa ed ansia
dell'uomo immerso in intricati spazi.

Vincitore della lotta che apre spazi
con iridescente lama
che contempla e rispecchia
l'infinito svolgersi dell'onda nell'anima nostra
aspettando il risveglio dalle frasi rozze
incise di usura
che svuotano il linguaggio.

Nucleo riposto di atomo chiaro, sei stato
e seme di desiderio comunicante
in bilico tra la parola e l'afasìa
in residui spazi d'attesa
sul ciglio dell'abisso
dei gesti quotidianamente ripetuti
dei tuoi personaggi molli ed impotenti
disillusi e resti di cartine mute
a fronte dell'assurdo e del cinismo
che azionano il perno della vita.

Da linguaggi iperconsunti
e coesistenti con parole d'abitudine,
d'angoscia e d'ironia articolate,
vieni al desolato teatro che anima e concentra
il passare del tempo, e che segna
l'inquietudine e la noia
e ci recupera e trasporta dal paradosso
alla limpida e schietta presenza
di una umanità più attenta ed ispirata.

Ezra Pound
Un sole straniero lasciandogli il cuore
mappa di navigazione, arteria diamante
di destinazione orientale e fiumi sottili,
elettrico all'odore dell'acqua e pietra
incisa di nàutili connotati.

E poi vivai di annotazioni in alfabeto nuovo e antico
il leggiadro oscillare di pagine in pagine
con lega arcaica
Ezra Pound, meteora e graffito
oceano grave e canuto.

E quale migliore cerimonia funebre
poteva darti l'Italia,
se non quella che è stata, in Venezia,
la gondola infiorata guidata in laguna,
il remo della forza che batte sull'onda
e il legno ornato dell'ultimo viaggio
tra i ponti della poesia e del Rinascimento?

Ed anche, le presenze riverenti e mute
tra le bellezze delle architetture di laguna
e l'omaggio
delle generazioni abbeverate ai tuoi "Cantos".

Le ceneri antiche e consunte delle ossa tue, che vanno
e la consumata usura che rimane
e su cui si è scagliata la tua rabbia
per la vile moneta trattenuta nelle banche.

Omero, Dante e Ovidio, le tue prime letture,
fatte in Europa, reggevano il tuo remo
e i versi nelle onde che al colpo si aprono
in anelli che dilatano
verso nuovi orizzonti fonetici.

Il diario dei sogni perduti, le intime sofferenze,
le culture e le razze, nella tua nuova visione
in cui i periti d'ospedale videro
"l'incapacità d'intendere e volere".

Thomas Eliot disse di te "il miglior fabbro",
per lo slancio emotivo e l'energia creativa,
il linguaggio forgiato, la cultura composita
nel mosaico delle tessere poetiche, antiche e moderne.

La bellezza sublime di Venezia, dunque, stava
con la tua purezza invocata nella preghiera a Dio
come nella tua "Litania notturna".
La magica atmosfera
in cui hai voluto confonderti, distante
nell'esilio ligure, ritornato ala straniera
alla furia del mondo.

Estasiato fiume, allora, e corrente
della coscienza e della conoscenza,
vortice d'un sentimento della ribellione,
in coraggiosa e travagliata parola.

L'incitamento, dunque,
a persone o maschere da resuscitare
per ridare un senso alla vita,
caduta "nella rapida smorfia" del presente tuo,
e del nostro continuo,
e illanguidita d'intelligenze e di frutto,
e pronta a mostrarti l'errore e a volgerti il viso
ma non a cogliere la grandezza del lirismo
e la proiezione, dal combattimento allora perso,
che riluce a distanza, risvegliata.

Ai bimbi mai nati
Degno non sono d'un asilo, madre?
Dono a te stessa nella tua natura
nasco al sacrificio estremo di un non nato
libero di spazio e senza nome atteso
al ritorno benedetto di quell'Uomo
che con la mano volle dall'argilla luce.

Ho provato un percorso tra le tante strade
incarnato in un disegno di mani maldestre
che hanno posto il nero sulla mia effige,
colore assorbente il mio arcobaleno.

Ritorno, allora, da amaro embrione muto
nella sorgente dei molteplici elementi
e sto accanto all'unico signore, il Padre eterno.

Trascendo l'assoluto dei due poli e sono
il mutamento tra la notte e il giorno
l'aria e il fuoco spento, il lutto dell'umano
ed il silenzio eterno e d'oro, la vanità
del mondo e il suo mantello, e della terra
il ventre di rigenerazione in luce, fecondità
di pioggia e ciclo rinascente delle cose.

Canterò nei giorni del pensiero,
gradino per gradino, fino all'estasi,
fino al compimento ed all'abbaglio
in cui la Divinità si fa specchio delle acque
e madre donata al padre e al buon consiglio.

Dove il muro scopre diroccato il ventre
Dove il muro scopre diroccato il ventre
è la riconquista di una libertà negata, l'altra parte
di una città divisa, occlusa da forze oscure d'una dittatura.

E' lì, dietro il cemento caduto e dell'argilla
la nuova aura che grida la sua luce
ai popoli e agli oppressi, nell'anno '89 del secolo passato.

Oltre la porta di Brandeburgo liberi volti
che hanno subito incessanti paure.

E' lo spazio riaperto l'inno di una primavera
sottratta all'ambigua minaccia e donata alla speranza.
E' il passaporto per la terra nuova, non più ignota
e straniera a se stessa, e a noi che ne conosciamo il nome
di fratelli.
Lo spettro delle insulse divise ha lasciato impronte
di un male antico, ma nuove sono le voci e i passi, il cuore
qui dove il ritorno alla libera scelta
ha dato generosa eco nel mondo alla scommessa
di democrazia viva, l'obiettivo di un risanamento aperto
che sulla muraglia non ha più "cocci aguzzi di bottiglia"
e il presente dei commerci, d'arte e cultura, rivive
la sua armonia in altro paesaggio, e nuova storia.

Già luce del sole discende
Già luce del sole discende e vedo stasera
gemella, la luna, che irrevocabile sale
bilancia del tempo che assorta veleggia d'intesa
per chi dei mortali e d'amante ha lo sguardo.

In questo cielo guardiano dell'umano
è Orione, con il suo chiarore tra schiera
di animali rilucenti, e la Vergine e l'Acquario,
e i due Gemelli, apparentemente immobili ed eterni.

Questo è il cammino ed il recinto sacro
che dagli antichi testi hanno dato e danno
il senso che figura la creazione e noi
che non troviamo accordo e passi più adatti
con le riposte verità e massime di luce.

Ora c'è nuova luce di un paradosso ornato
di lieto oscuramento in mille stelle
e darti vuole risposte al mistero, se l'acquisti.

Non prezzo ti chiede l'incastonato occhio
solo un momento per l'incanto e la fronte
non più chinata sull'affannosa valle, dove i fumi
salgono al cielo confusi da bruciate trame.

Solo questo ti chiede: attendi…attendi…
perché tu metta ali dal tumulto e dai suoni e ti plachi
su un cielo di questi, quando cala la notte.

Quando cala la notte, più chiare luci di festa
nell'alto, per gioire in attesa della figlia che dorme,
l'Aurora.

Si alzerà la sorella del Sole e della Luna, si alzerà
dal letto dell'Oceano, con benefica luce,
rosea nelle braccia e con mantello d'oro
e adornerà cavalli di splendore, per la festa del sole.

Rinascerà il giorno per lo spirito solerte
e per il navigante che gioca con l'onda e coi venti
e per l'umano pensiero che non affoga
se tu acconsenti e guardi.

Sulla noce e sulla ghianda, sulla grazia e sull'angoscia
Angoscia! Uscire.
Danzare! Alberi di noci e verde tra le foglie.
E i fiori del noce?
Ne sapevi l'esistenza?

E’ giuoco. Primo giuoco.
Spaccare il pericarpo-mallo:
il guscio in due valve incise
nasconde il gheriglio seme,
a forma di piccolo cervello.

La radice cresce un legno
compatto e venato allo strofinio di cera.

Si cammina sulle noci, goffamente,
mettendo male il piede, e si parla male
con la noce in bocca, borbottando.

Variazioni: di cocco, di manna e di mamma,
latte nutriente.

Noce del malleolo in cui si snoda il piede.
Noce di carne per arrosto, è carne di vitello
interno della coscia.
Noce che si squaglia al calore,
se di burro. Piccante e dall'aroma forte
se moscata.

Secondo giuoco. Si cambia.
Ghianda col cappello quello della quercia,
e proiettile di piombo, per l'antica Roma,
nella fionda del guerriero fromboliere.

In lontananza stanno:
persone e conoscenze dell'alta finanza.
Alte e basse, in forme e bravura.

La grazia sta da un’altra parte.
Sarà bene stringere d'assedio
il rigore manageriale,
creare sospensione.
L'angoscia sale e ingrossa dal particolare:
il video del PC ed il divario
tra le parole e le cose,
le une elaborate sullo schermo
le altre attendono di essere.

Corrono giornali. Costruzioni.
Programmi.
Si attendono osservazioni liriche,
anche all'ora del pranzo e dall'alta finanza.
-da “Satirysson e tric-trac”, 1979-

Cruciverba in 8 e ½
Io sono, non sono, chi sono?
Mi trovo, non trovo, fra tanti, mi trovano
perduto, arrabbiato, telematico,
telegraficamente instabile, impaginato.

Ruotante come un derviscio, affabulatore:
magico, cinico, grottesco?
Divino!…ino…no…o. (Oh!).
Che resto!. Acca con “o”: il paradosso.

La bellezza misura ogni evento
nel silenzio e nella discrezione:
forza che non insulta la vita,
luce del viaggio interiore,
innocenza nuova e lieve, intimamente accolta.

Quali strade, solchi, rigagnoli,
si leggono sui volti umani!

La giustizia riconosciuta in chi dispone
cibi e vini alla mensa, e non isole di naufraghi
tra le follie del secolo.

Coraggio nell’imprevedibile andare:
restiamo nella risonanza fertile
di musica, pittura e poesia.

Senza tempo è la fantasia,
forme e segni, contenuti spirituali.

Maledetta o benedetta efficienza? Si viaggia
tra grovigli di carta. Per chi la gara?
A chi? Per chi? Con chi l’insulto?

Il travaglio è stato costruito e permane:
tu stai sulla via.
Chi è capace di fermarsi?

Non si ha tempo per innamorarsi delle cose:
è già domani, e siedi con la macchina.
Inizia il nuovo giorno. Chi guida?
L’invisibile o l’uomo mascherato?

Del “Chi si ferma è perduto!”
potrei dire il bene e il male,
ma l’enigma si scioglie?

Chi ha il coraggio di aprire il nodo?

Il circo, se funzionasse,
sarebbe la metafora perfetta, così coordinata,
dell’atelier manageriale, dell’atletica aziendale,
è stato già detto.
Ma…luci, luci, luci…artificiali.

Ho trovato una scatola aperta:
vado dentro? Resto fuori?
Il coperchio mi chiude o vola via?
E quale vento m’illude?
-da “Satirysson e tric-trac”, 1979-

Attach e Invasione
(Leopold Bloom è un personaggio che vende pubblicità nell’opera “Ulisse” di Joyce)

Di grazia! Bloom, Bloom, Bloom.

Camminare, senza passi, interiormente
in luce ed aria, straniamento imprevisto
risveglio, ed incanto della mente.

Leopold, quanto moto! Anche tra i più piccoli viventi!
Formiche, nel loro tempo.
Scritture della conoscenza.
Scritture dell’incoscienza.

Vuoto, nel cammino
e nel cerchio dentro l’isolato
dei propri pensieri.

Tempo per un altro essere, luminoso.

Riempito è il giorno d’aghi
lancette che si sovrappongono
ruotando, in corse non necessarie.

Un orologio rotto, un altro impazzito.
Attendo. E guardo dentro.
Spericolato?
-da “Satirysson e tric-trac”, 1979-

Incanto e disincanto (Pubblicità)
Ahi! Ahi!
Ritorni, testardo fantasma,
in suoni e figure sullo schermo.

Rompi, continuamente,
e rattristi l’incanto.
Non mi dai luce ed aria:
spreco di denaro, carta e colori.

Mediocre inviato dell’informazione
sei fuoco di paglia, burro irrancidito.

Vedi? Non duri.
Resti fantasma: non ridi come me.
Ti chiudo con uno “zapping”.
Ho il telecomando.
-da “Satirysson e tric-trac”, 1979-

Kant/o giuoco ovvero: Il partito e/o l'inutilità
Le parole bocche colorate d'usura arricchite
ed il mare di foglie, di foglie
di marcia insalata,
le sedie rivoltate consumate distribuite
da grassi sederi deformate,
i KGB - CIA - SID che occhieggiano
labbra di OLA' - LIP - POP OP
sui fianchi di una miss già pp o ppù-ppù,
le didattiche a martello a croce a punti e virgola,
i LINES palle colorate da appendere all'albero di Natale
dei sindacati,
le fabbriche dei cannoni che non chiudono,
le zanzare, le formiche, Mao-me, i siluri,
Fiat-voluntas tua, carri armati, tu e the,
le paillettes…ideologic…in frac, GRUPPO '63,
che hanno il suono di un DUN-DUN
al cuore di plastica che s'apre-SBAM
per la torta di crema e cacao che scivola giù, SLISC,
sulla schiena di un toro seduto nero-nero-N,
TUTTO QUESTO E' PARTITO!!
SFOGLIATE LE VOSTRE NAUSEE!!

L'emigrante, solo, al polo, comodamente sta
e NON ti guarda, perché non ha occhi che per vedere te.
Conviene far bene l'amore
oppure la Ti-tì per una RAI-TV?
Masturbazioni politico-uterine,
formule paraninfatiche di governo,
spray-slogans rinfrescanti a perdita di tempo.
I prezzi continuano a salire
e le crociere abbelliscono l'appartamento.
Ci resta la solita banana che è rimasta sola:
ma nessuno sa che farsene (!?).
……………………………………
« Avec le paradoxe de ma temporaire
condition a-poetique”.
-da “Satirysson e tric-trac”, 1979-

Suoni di alte e di altre armonie
Oltre la razza e il pregiudizio la parola sale,
dall’umano s’innalza,
soffio laudante nel sacralizzarsi
e suono di ringraziamento.

Il tempo non esaurito nel presente
lancia messaggi dal passato e si fa ricerca,
trova incontri, senza obliare la sua origine.

E’ un giuoco angelico di voli?
E’ l’ala spezzata che ricade?

E’ il nuovo tentativo che rinasce
al sopruso e all’oltraggio quotidiano.

Identità ed isole noi siamo,
e illuminate stelle in un incredibile cosmo,
a variabile luce, spazio e campo,
visibili figure sulla terra
suoni di alte e di altre armonie.

Il mito
Necessità che penetra soave
lontana e vicina forza della scelta
mare di grazia per illuminare
od oceano immenso per il navigare.

Acqua che nutre di sapore la saliva
il fiore che s’incide sulla voglia saliente,
che s’infiamma, brucia il corporeo legno.

Scintilla, che ha il rinnovo nel suo farsi
e nel nuovo incominciamento, il sacro fuoco
in cui la mano e la mente pongono l’incenso.

Miracolosa potenza sulle anime
che percuote le menti col meraviglioso,
bellezza che nasce visibile al conforto
per il ristoro unico dai mali
dell’uomo agitato ed affaticato.

Terra
Terra, e sempre terra…nutrita terra…
Terra impastata per noi manufatti
a forma… immagine e somiglianza
per un “corpo vitale” dell’uomo creato
nello stato imperfetto e di lungimiranza.

Corpo della terra che ha avuto il dono di visione
capacità nascosta di intuire,
prevedere con la forza del mito,
del mago e del poeta.

Uomo meccanico e formula alchemica
figura plastica conseguente e divergente
di una struttura etica e spirituale
di là da venire, disattesa, compiente o compiuta.

Utopia di un uomo
modificato mezzo nella prova del disfacimento
in progresso del sapere e del dubbio intellettuale.

Terra di ceneri e di microrganismi
creatività di principio e fine.
Terra di sostanza che sostiene
bellezza di natura, acqua fiori e rami,
ed aria in cui si muovono le labbra.

Clima ed umore di culture, terra
moderna ai frutti e indifferente,
produzione di significati e senso,
scambio di itinerari a noi sempre stranieri.

Un piede incerto ha l’uomo che vede,
richiamo di un mistero – e di un orgoglio –
per essere stato sulla terra in veglia.

Rugiada e parole
La rugiada è venuta silente sull’erba
e in vita distillata,
nutriente nel primo mattino,
già scena di un teatro che inizia.

In gocciole sparse sul verde
in mille riflessi
scrive in quest’ora la sua immagine.
Diviene umana apparenza
lo stelo che ha lucida lama.

Bagnata risale la goccia tentata dal sole,
si cambia in veli di nubi, ritorna
per aerei pensieri in mille disegni,
lontana solleva il ricamo dei giuochi
nel cielo della fantasia.

Parole e gocce di lume e di un mare
trovo da finestra d’aria, al risveglio.
Tra terra e cielo, ogni giorno
si scende, si sale, per sottili umori si ritorna.

La parola fluttuante
(per "Media di..versi")

Chi è, se non quest'essere che pensa,
il mezzo e l'artefice della prosodìa,
del verso che si fa intuizione aperta
ed elettrica cifra, tra le reti, nella sfera?

L'esercizio sullo schermo che dal nero
apre lo spettro multiforme, svela
il nuovo teatro e la voce e il coro,
la policroma sostanza, la parola,
che d'energia s'inonda, e piega e balza
tra le immagini mutevoli del mondo.

L'ondeggiante pianeta è ancora nella schiuma
da cui nasce la Venere poetica
nell'Oceano senza sponda e senza fari.
Il viaggio e il tentativo di un accordo,
la tensione e l'ansia di legarsi al mondo,
lo scambio a dismisura, sono l'artificio.

L'entusiasmo guida il messaggio digitale
nell'itinerario che la parola saetta.
Il corpo e l'incanto stanno in questi flutti
e il desiderio nel flusso che ha l'origine
nella sorgiva fonte del mito d'Armonia
a cui si ritorna nella voce e nel canto.

E' un pianeta immerso in questi segni
la realtà che ora ci sfida e ingloba,
l'onda di poesia argentea che s'alza
e ricade coi versi nello stesso mare,
unità del sorgere e nel variare del salto
e della nuova luce nella cresta:
l'imprevisto umano, la parola fluttuante.

Codici virtuali
(per "Media di..versi")

La sostanza del segno che misura
e che incarna su se stessa la parola
costruisce e distrugge segmenti
della vita disegno, con la penna e il tasto.

Il volume del mondo tra strumenti e stili
per dar forma e spessore alla parola
e consumare la tensione ardente
di una percezione, la penna sul foglio,
la notazione reale e impellente.

Ora il registro si estende,
si affina nel chiaro d'uno schermo,
in cui un Pegaso alato brucia le distanze
e muta le percorrenze in codici virtuali.
Dimensioni che stanno dove?
Attraversano cieli le parole?

Io chiamo all'appello lettere aeree
e di fuoco e dell'incanto
in sembianze di chiavi, e brucio profumi
per il mistero dell'essere
e delle combinazioni infinite.

Le parole tra nubi, dalle forme innumerevoli:
piogge fecondatrici.

Non sa la luce del buio
(per "Media di..versi")

Non sa la luce del buio, ma viene
in un patto di natura e d'equilibrio,
attesa energia del giuoco e dell'arte
e della vita in cui la prima cellula
ebbe l'essenziale.

Dove il pensiero ora inclina il suo verso
è uno schermo di luce che rispecchia l'artificio,
convivio della parola e della "beata mensa"
del mio soggetto e d'altri
sul verso che si fa emigrante digitale.

Lo spazio che ora allarga il messaggio a dismisura
è un invaso che apre in architetture di reti
la imprevedibile voglia che lascia la foglia
cadere dall'albero matura o il seme dischiudere
in nuove primavere e frutti acerbi.

Argenteo fiume o tenebroso Tartaro?

La trama e l'ordito nel telaio di un computer,
e l'invisibile spettro che arriva e parte
per incognite e conosciute stanze:
tessuto incerto che tuttora vela, scopre e illude.

Infinite esistenze ha la poesia, e in essa
s'incurva la nostra umana storia
foglia della foresta che s'infiamma
se la scintilla dà l'accento al verso
e l'esperienza si lega d'unità col mondo.

Quale bussola io porto e quale invito
non so, ma con altri sentieri e sentimenti
m'assommo nel proseguire il viaggio
nel regno accattivante, da esploratore
e custode delle mie memorie e d'altri.

Primavera è ancora
Primavera è ancora chissà dove
acerba fanciulla addormentata
in un velario che s'apre, incerta
del suo apparire.

Già lieve di grazia e profumi, colori
che muovono nell'aria fragili ali,
e che inviano d'attesa avvertimenti di luci.

Traspare l'arrivo nel memore prato
che s'adorna del verde e nei rami novelli
di marzo, in luminosa aurora.

Nascerà fra giorni primavera, già pittrice
di un sipario antico, ondosa
e in freschi umori, sensazioni a noi
in limpida memoria, di ieri,
ed è già un anno.

Un soffio d'aria e un volo sotto la grondaia
ed un canto nella traccia che sale, il richiamo
al nostro corale desiderio.  

Haiku o Haikai

L'Haiku o Haikai è un breve componimento della lirica giapponese (soltanto tre versi di 5, 7, 5 sillabe). E' forma molto antica e senza tempo. Le caratteristiche dell'haiku sono: l'istantaneità, la rapidità, le atmosfere sospese, l'inserimento di un elemento che richiami una stagione o la presenza di essa per mezzo di animali, piante o frutti. Nell'haiku la semplicità è solo apparente.

1.
Ruota nell'aria
una foglia leggera.
Ride, come te.

2.
Sotto il ponte,
trapassa in un volo,
rondine nera.

3.
A pioggia scesa
l'arcobaleno gioca
archi di ping-pong. 

4.
Disegni lievi.
Sulla coperta di neve
il merlo scrive.

5.
Cullata d'onda,
la roccia levigata
i sogni pesca.

6.
Con quali gocce
bagnerà il ciliegio,
pioggia d'estate? 

7.
Scossa leggera
sul ramo più alto:
s'alza e vola, frr…

8.
Smalto di fiori
d'eleganza infranta:
un vaso rotto.

9.
Festa d'estate:
s'inonda di colori
al suono di gong.

10.
Cerchio di fumo,
aria incoronata:
brucia l'alloro.

11.
Giunto dal bosco
respiro di nebbia,
bussa sul vetro.

12.
Il ramo apre
al vento, nel salice,
la verde chioma.

13.
La scura roccia
con neve caduta
trucca il viso.

14.
Luna riflessa.
Un sasso nell'acqua
la bacia nel "flop".

15.
Pesco fiorito
saluto sulla strada,
strizzando l'occhio.

16.
La melagrana
apre, tra verdi rami,
la bocca rossa.

17.
Legno che scoppia:
scintilla di lucciola
qui, nel camino.

18.
l cigno rosa
anelli seriali
spinge nell'acqua.

19.
Raggi di chiaro
tra il castagno rosso:
frecce di luce.

20.
Luna serale:
salta nel bosco
lo scoiattolo.

21.
D'accento grida
la rondine in volo:
è qui, sulla è.

22.
Le onde alte,
in rulli rilucenti,
giù, in frantumi.

23.
Canta il gallo
dal chiaro spunta l'alba:
è chicchirichì.

Ezra Pound
Un sole straniero lasciandogli il cuore
mappa di navigazione, arteria diamante
di destinazione orientale e fiumi sottili,
elettrico all'odore dell'acqua e pietra
incisa di nàutili connotati.

E poi vivai di annotazioni in alfabeto nuovo e antico
il leggiadro oscillare di pagine in pagine con lega arcaica
Ezra Pound, meteora e graffito
oceano grave e canuto.

E quale migliore cerimonia funebre
poteva darti l'Italia, se non quella che è stata, in Venezia,
la gondola infiorata guidata in laguna,
il remo della forza che batte sull'onda
e il legno ornato dell'ultimo viaggio
tra i ponti della poesia e del Rinascimento?

Ed anche, le presenze riverenti e mute
tra le bellezze delle architetture di laguna
e l'omaggio
delle generazioni abbeverate ai tuoi "Cantos".

Le ceneri antiche e consunte delle ossa tue, che vanno
e la consumata usura che rimane
e su cui si è scagliata la tua rabbia
per la vile moneta trattenuta nelle banche.

Omero, Dante e Ovidio, le tue prime letture,
fatte in Europa, reggevano il tuo remo
e i versi nelle onde che al colpo si aprono
in anelli che dilatano
nuovi orizzonti fonetici.

Il diario dei sogni perduti, le intime sofferenze,
le culture e le razze, nella tua nuova veste
in cui i periti d'ospedale videro
"l'incapacità d'intendere e volere".


Thomas Eliot disse di te "il miglior fabbro",
per lo slancio emotivo e l'energia creativa,
il linguaggio forgiato, la cultura varia
nel mosaico delle tessere poetiche, antiche e moderne.

La bellezza sublime di Venezia, dunque, stava
con la tua purezza invocata nella preghiera a Dio
come nella tua "Litania notturna".
La magica atmosfera in cui hai voluto
confonderti, distante
nell'esilio ligure, ritornato ala straniera
alla furia del mondo.

Estasiato fiume, allora, e corrente
della coscienza e della conoscenza,
vortice d'un sentimento della ribellione,
in coraggiosa e travagliata parola.

L'incitamento, dunque,
a persone o maschere da resuscitare
per ridare un senso alla vita,
caduta "nella rapida smorfia" del presente tuo,
e del nostro continuo,
e illanguidita d'intelligenze e di frutto,
e pronta a mostrarti l'errore e a volgerti il viso
ma non a cogliere la grandezza culturale
e la proiezione, dal combattimento allora perso,
che riluce a distanza, risvegliata.   

Samuel Beckett
Spirito amico per accordi e suoni
sfumature segnate e ombre delicate,
Samuel Beckett tra le reti dei rami
coperti di bianco e di fogliame,
raganella di verde argentato nello stagno,
ammonitore lucido dagli occhi di cristallo
campo arso di guerra silenziosa ed ansia
dell'uomo immerso in intricati spazi.

Vincitore della lotta con iridescente lama
che contempla e rispecchia
l'infinito svolgersi dell'onda nell'anima nostra
aspettando il risveglio dalle frasi rozze
incise di usura, che svuotano il linguaggio.

Nucleo riposto di atomo chiaro, sei stato
e seme di desiderio comunicante
in bilico tra la parola e l'afasìa
in residui spazi d'attesa sul ciglio dell'abisso
dei gesti quotidianamente ripetuti
dei tuoi personaggi molli ed impotenti
disillusi e resti di cartine mute
a fronte dell'assurdo e del cinismo
che azionano il perno della vita.

Dimostrazione di linguaggi iperconsunti
e coesistenti parole d'abitudine
d'angoscia e d'ironia disarticolate
nel desolato teatro che anima e concentra
il passare del tempo e che segna
l'inquietudine e la noia
e dal paradosso ci recupera e trasporta
alla limpida schiettezza
per una umanità più attenta ed ispirata.   

La città
Storie ed eventi ed un sipario aperto
di fili di una trama e il vuoto
tra questi filamenti, finestre di un paesaggio
l'uomo nell'effimero e nel groviglio
a cui si vuole dare senso e regola.

La città ha mano di chirurgo
coi suoi mutamenti, inchioda l'ansia,
detiene il teatro e ruota e ronza
con il miele e il suo moto.

Eppure, l'abbaglio delle architetture
m'innalza nelle epoche e in ambienti
di castelli, palazzi, mura medievali austere
e dei giardini scoperti dentro vecchie case.

In una notte precocemente scesa
tra l'umano e l'inumano
luci di bellezza, fontane, acque.

Ai bimbi mai nati
Degno non sono d'un asilo, madre?
Dono a te stessa nella tua natura
nasco al sacrificio estremo di un non nato
libero di spazio e senza nome atteso
al ritorno benedetto di quell'Uomo
che con la mano volle dall'argilla luce.

Ho provato un percorso tra le tante strade
incarnato in un disegno di mani maldestre
che hanno posto il nero sulla mia effige,
colore assorbente il mio arcobaleno.

Ritorno, allora, da amaro embrione muto
nella sorgente dei molteplici elementi
e sto accanto all'unico signore, il Padre eterno.

Trascendo l'assoluto dei due poli e sono
il mutamento tra la notte e il giorno
l'aria e il fuoco spento, il lutto dell'umano
ed il silenzio eterno e d'oro, la vanità
del mondo e il suo mantello, e della terra
il ventre di rigenerazione in luce, fecondità
di pioggia e ciclo rinascente delle cose.

Canterò nei giorni del pensiero,
gradino per gradino, fino all'estasi,
fino al compimento ed all'abbaglio
in cui la Divinità si fa specchio delle acque
e madre donata al padre e al buon consiglio.

Amaryllis nel Santo Natale
Natale attorno ad una tavola imbandita
con natura floreale che richiama un paesaggio agreste.

L'accordo di fiori in un ovale
di piccoli pini e di abeti argentati.
E le perle di vischio in esili cristalli
tra i rossi amaryllis.

Il nuovo giorno ha spirito sacro
nel creato in cui ci riunisce e ci abbraccia.

Il presepe e l'albero, l'infanzia al cielo aperto.

Natale, ti porto il mio canto
Natale, ti porto il mio canto
con spirito nuovo, promessa a me stesso
di aggiungere altro all'incerto procedere.

Ti porto il richiamo agli affetti perduti
ai genitori muti e così grandi nel cuore.

Ti porto gli amici che sanno capire,
stando lontano, il mio piccolo ruolo.

Il giardino in cui ho rubato i frutti
e gli insegnamenti avuti dall'uso del badile.
E i fiori ed i cespugli ordinati di lune e di acque
nei tempi dovuti alle stagioni.

Il mare che ha cullato e bagnato il mio corpo
in cerca di sassi ricamati con paesaggi graffiti,
e i giochi sulle carriole grezze e veloci,
le furtive scorribande tra le campagne in cerca di nidi,
le sfide tra ragazzi e le gite al mare,
le nevicate abbondanti e le palle di neve,
i miei libri segnati e sottratti in una soffitta,
le grotte esplorate da ragazzi in cerca di misteri,
le sognate evasioni per il mondo da esplorare,
le punizioni severe e temute dei genitori
e i bagni nelle acque del fiume e gli studi precari.

Tutto questo ti porto, Natale,
perché nel tuo mondo bambino
hai saputo dare il sorriso ad un ragazzo
che come me vuol giocare e ha giocato nell'incanto
e vuole con le mani tese il ritorno
ad un abbraccio d'una innocenza senile.      

Il presepe
Un groviglio di carte di montagne colorate
spruzzate di farina, e l'erbetta verde del muschio.
Un macellaio in bottega ed il mulino
con la ruota che gira. Due panni stesi
e la lavandaia. Il dormiglione giace
ancora supino. Quattro pastori con le pecorelle
e lo zampognaro con la pelle di capra.

Le casette di cartone illuminate e la neve
di fiocchi di bambagia. Un laghetto brillante
con lo specchio o con la carta argentata.
Le oche e il gallo stanno sulla grezza via
e guardano coi Re magi un umile capanno
ricavato da pezzi di corteccia e di legno.

Splendente di luce una sagoma gialla
la stella caudata, sospesa ad un filo.
La paglia nella stalla, il bue e l'asinello
ed un bimbo appena nato, d'argilla
e con le braccia tese
tra lo sguardo intenso del padre e della madre.

Stelle e stelle appiccicate in un cielo
dall'azzurro intenso, di un foglio di cartoleria.

Com'è povero questo materiale! E' tutto riciclato!
Quante figure umane nate dalla fantasia!
Quanti oggetti! Per dire anche a casa mia
il grande evento della nascita di un bimbo.

Il vero che torna al vero con la fantasia
e costruisce un simbolo di fede
nella stagione dell'anno che guida e richiama
storie lontane e vicine di popoli in cammino.
Verso dove?

Di semplice sostanza è il materiale.
Così grande la saggezza nel simbolo.
Così grande, nel cuore di un bambino.

Notte di Natale
Luci che nella notte disegnate il canto
nell'arco luminoso di una stella cometa,
abbracciate la Madre ed il Figlio glorioso.

Notte silenziosa di nuova speranza
e di ogni uomo che compie il suo viaggio
con doni veri, ma anche coi pensieri.

Nasce al nuovo giorno l'Immagine preziosa
che dona armonia e misura ad ogni uomo
e sollievo di preghiera che ci placa.

La parola dei buoni non avrà più confine
e culmine sarà nella divina luce.

Notte emersa tra i cori di angelici canti
e seguita da noi che siamo tra i pastori.

Ogni viso si accende di stupore
e le armonie scomposte risana.

Notte in cui ogni donna torna ad essere madre
e terrena figura dello stesso prodigio
che esalta e nutre ed infiamma la vita.

Dove il muro scopre diroccato il ventre
Dove il muro scopre diroccato il ventre
è la riconquista di una libertà negata, l'altra parte
di una città divisa, occlusa da forze oscure d'una dittatura.

E' lì, dietro il cemento caduto e dell'argilla
la nuova aura che grida la sua luce
ai popoli e agli oppressi, nell'anno '89
del secolo passato.

Oltre la porta di Brandeburgo liberi volti
che hanno subito incessanti paure.

E' lo spazio riaperto l'inno di una primavera
sottratta all'ambigua minaccia e donata alla speranza.

E' il passaporto per la terra nuova, non più ignota
e straniera a se stessa, e a noi che ne conosciamo il nome
di fratelli.

Lo spettro delle insulse divise ha lasciato impronte
di un male antico, ma nuove sono le voci e i passi, il cuore
qui dove il ritorno alla libera scelta
ha dato generosa eco nel mondo alla scommessa
di democrazia viva, l'obiettivo di un risanamento aperto
che sulla muraglia non ha più "cocci aguzzi di bottiglia"
e il presente dei commerci, d'arte e cultura, rivive
la sua armonia in altro paesaggio, e nuova storia.

Già luce del sole discende
Già luce del sole discende e vedo stasera
gemella, la luna, che irrevocabile sale
bilancia del tempo che assorta veleggia d'intesa
per chi dei mortali e d'amante ha lo sguardo.

In questo cielo guardiano dell'umano
è Orione, con il suo chiarore tra schiera
di animali rilucenti, e la Vergine e l'Acquario,
e i due Gemelli, apparentemente immobili ed eterni.

Questo è il cammino ed il recinto sacro
che dagli antichi testi hanno dato e danno
il senso che figura la creazione e noi
che non troviamo accordo e passi più adatti
con le riposte verità e massime di luce.

Ora c'è nuova luce di un paradosso ornato
di lieto oscuramento in mille stelle
e darti vuole risposte al mistero, se l'acquisti.

Non prezzo ti chiede l'incastonato occhio
solo un momento per l'incanto e la fronte
non più chinata sull'affannosa valle, dove i fumi
salgono al cielo confusi da bruciate trame.

Solo questo ti chiede: attendi…attendi…
perché tu metta ali dal tumulto e dai suoni e ti plachi
su un cielo di questi, quando cala la notte.

Quando cala la notte, più chiare luci di festa
nell'alto, per gioire in attesa della figlia che dorme,
l'Aurora.

Si alzerà la sorella del Sole e della Luna, si alzerà
dal letto dell'Oceano, con benefica luce,
rosea nelle braccia e con mantello d'oro
e adornerà cavalli di splendore, per la festa del sole.

Rinascerà il giorno per lo spirito solerte
e per il navigante che gioca con l'onda e coi venti
e per l'umano pensiero che non affoga
se tu acconsenti e guardi.

Se sono nato…
Se sono nato, mi concedo un po’ di spazio
nell'Oceano
come conchiglia che ha il suono
lasciata sulla spiaggia allo sciacquio.

E vivo restituito sulla sabbia
tra gli arbusti ed altri crostacei
un po’ vivi e un po’ morti, in giochi sfatti
degli adulti che allungano i passi
e fanciulli imberbi che nei giochi
schiamazzano superbi, ignari
delle controversie che traboccano dai vasi.

Alla luna
Chi canta chi, e cosa,
con solitario verso, pingue luna?
Sei ancora abbarbicata lassù
tra le mani del cielo, oggi
che nell'amore e nell'amata
frangono flutti inscatolati e di riserva?
Abbiamo sapori artificiali, noi mortali.

Nonostante la memoria dei poeti
Nonostante la memoria dei poeti
si manifesta l'epoca violenta.
E in essa ciascuno ha la sua parte
e non sa per quanto tempo gli appartiene
la maschera che il volto gli sfigura.

Il male scorre tra la frenesia dei tanti
che nella corsa individuano bravura.

Quale accidente intorbidisce l'acqua?
e quale sale dell'indifferenza fa bruciare le ferite?

Noi conosciamo il sangue e il fango, l'ottusità e la follia,
apriamo micro fessure in ristrette geometrie.

L'alchechengio d'autunno è fiore rosso arancio
L'alchechengio d'autunno è fiore rosso arancio
al soffio dondolante messaggero
lanterna dal calice occluso.

Nascosto è nel fiore il frutto rubino
sferico e carnoso
come nascituro in grembo posto.

Eleganza che nasce tra i vitigni e i sassi
nel mese del virgineo maggio,
dapprima ventre immaturo e poi del rosso acceso,
costulata vescica in reticolo scarlatto,
recante corallo, ciondolo e ciliegia.

In nessun posto
In nessun posto all'altro sconosciuto
potremmo stare nella calma ideale
tra la mediana fascia del braccio di mare
e la distesa verde da ogni parte protetta.

Sei venuta nel paese del vento
nella valle coltivata di foglie di àcanto
e frutti primaticci come pietre preziose.

I porti numerosi e incavati in queste terre
sono approdi di navigli provenienti da ogni senso
e trasportano colorate e profumate merci.

Le bacche lucenti del mirto e le notti lunari
accolgono la voce dell'acqua tra i sassi
suonante limpide e flebili canne.

Il bacio è sospeso nell'aria
nel posto dove ora vivi, in luogo conosciuto.

La mia attesa e l'arrivo sono stati fuoco
e risvegliato ricamo dei sensi
nel consumato manto del giuoco lento
dei corpi nudi sui prati.

Ragazza
Ragazza che non hai ancora il cuore pieno
dei sentimenti dell'amore, e vuoi
l'aria e il sole per sondare i prati
su cui camminare e cercare margherite bianche
da sfogliare.

Il ritornello che ti rasserena
dice ancora "m'ama, non m'ama"
in una candida frase che al sorriso s'apre.

E poi, l'armoniosa ribalta che ti porta
ancora, tra chi ti cerca e chi ti trova
gazzella di prato.

Venere nascente in Botticelli
Venere nascente che poggia sul mare
e che s'avanza a noi in rosea valva,
pudicamente mesta
trapassa il piano dell'umano
nella sua armonia d'atomi intoccabili.

Donna che hai nel ventre il figlio e la figlia
ravviva tu e mostra la poesia di natura
per far risorgere bellezza dai tuoi rami,
con impronta segnata sulla vigna
e che ci dice l'essenza dell'opera prima.

Donna, hai solo tu l'amore e la grazia, la stretta
che produce e che esterna quell'unione
e che s'incarna nel dono dell'attesa,
coniugata con il sangue e con il seme.

Tu, copia terrestre degli archetipi celesti,
erede e punto in questo arcobaleno,
nata somiglianza che ripeti la radice,
sei sempre l'entità racchiusa di sostanza
e di unità raggiunta nella triade,
nell'accordo dei due nella somma.

Animus/anima
Le formule e il giuoco e le sonore parole
semi confusi tra i semi, milioni di occhi
riposte nuvole avverate, trascinanti
che in onde colorate allungano volute
al pensiero proteso di quell'uomo immerso
suo malgrado
in armoniche bellezze o in distorte fortune.

Al richiamo di strutture innalzate
molti piani e molteplici vicende
d'argomenti e di significati
di paesaggi di scritture e monumenti
in attesa che liriche chiare e ordinate
scatenino luce ed ornino parabole.

In poderose onde incalzato si ricade
per maiuscole e minuscole esperienze
e rinate innocenze del fiore e della mente,
quando si dice il nitido pudore
la ricercata distensione spirituale
la percezione d'armonia di un centro
la stanza contro l'inverno e la notte.

Svuotati agli altri in pasto ed olocausto
ravvolti vorremmo stare
nei sogni dei padri e delle madri
assenti alle macchine in giostra perenne
agli schermi rigonfi delle garrule rane
al labirinto e al concerto di ombre velate.

Uomo secolarizzato, uomo confuso e dissestato
troppo sangue, troppo dolore costa il progresso
uomo naturale, uomo spirituale, uomo di redenzione
attento asilo scavato, martoriato e molestato
da tigri affamate, da volgari passioni.

Soffio di respirazione in vetta sublime
anima,
che agli intelletti inopportuni taci
abbacinata e ieratica vetta di un emblema
della creazione
di un terribile cimento groviglioso e fascinante.
Animus, anima, cosa è la vita ?
Fioriscono in sentimenti dell'unione
la crescente chiarezza, l'infermità spirituale
il seme che germoglia, il vento sulle onde?

Ogni stella che si muove di notte
forse è quella che t'insegna la casa.

Sole, sole, sole, uomo che muori e rinasci
nel corso annuale per quattro fasi e fasce
seme di vita, vita, luce della terra
radice delle annotazioni del tempo
materia rituale antecedente e conseguente.

Uomo piegato alla Madre, terra, acqua, caverna
pietra, monte, casa
casa della forza, casa della profondità
casa della madre, casa della notte,
apertura della bocca, lingua
principio di ogni sapienza
misurata e disumana appassionata parola.

Voi sapete dello stringersi dei ritmi
del tenersi sulla cresta dell'onda
del tener testa all'onda
per trionfare al di sopra degli scudi.

Santa montagna, anima bella
luce che nasce dal grembo della notte
dea di bellezza nata dal nostro stesso mare
acqua viva, acqua celeste
da cui emerge il nutrito fiore
laboratorio sei tu di te stesso
croce degli elementi
vapore sottile della resurrezione, acqua ardente.

E' l'esempio dell'emblema della creazione
la conchiglia del Nautilus che ospita tra le pieghe
il lento accrescersi delle sinuose spire
forse icona ed entità del moto di galassie ?
E l'aurea sezione
il tempio dell'ingegno dell'uomo, il Partenone ?

Oltre ciò che appare nascosto è il valore
riflesso della verità che ha perso senso
albero della croce che ha per cupola il cuore
luogo della resurrezione, polo unificante.

Di mappe silvestri e brezze selvagge
d'alte maree prospetti e guide
stremati sulle sabbie, raffiche, relitti e belve
approdiamo, veri uomini, vere donne
per amache sospese e per cavi marini.

Acque di pioggia del mattino e di lavoro forzato
dei figli umori salvifici e selvatici
amori di miserie umane ed anime eterne
i genitori negli spazi celesti
impalliditi volti di fronte alla morte
corsari di ulteriori certezze ed ampiezze all'orizzonte
viaggiando in fragile esistenza per minimi segreti
e sottili corrispondenze
urne e calici di fiori aperti, aspri ed essenziali paesaggi.

Le nostre vite tra le incerte mani
in molte altre confluite e compresse
in un notiziario sgualcito e arbitrario
arabescato di umori non nostri.

La sostanziale armonia
(tra la spiritualità orientale e la scienza attuale)

Serenità radiosa dell'intesa
tra le rocce e l'acqua
e l'alta trasparente aria della Terra.

E noi in essa immersi per cascate
nel quadro di una danza.

Il monaco buddista fissa l'onda dalla spiaggia
e dà il ritmo al respiro.

Così sta anche il fisico
della teoria dei quanti e del magnetico
tra l'osservazione ciclica dell'onda
e la via del Tao.

    

Nutrire il giorno
Nutrire il giorno
dell'antico che non ha traguardo.

Dalla terra e dal cielo
penetrate parole nella nostra pelle.

Miracoli per tutti i sogni e gli incubi:
il passato, l'avventura dei sensi
le risposte alle domande
della macchia chiara sul muro
e del rimosso quadro.

Fragile e vaga, e oscillante
è la ragione, e incerta misura ogni giorno
di ciò che accade.

Il giorno al giorno messaggio
ogni stagione propizia alle alli
ogni occhio sulla radiosa bellezza.

Tutti fiumi specchiano la luce.
Tutti fiumi, di grado a loro modo.

Lo spazio aperto e il mutamento
con ogni singolo pensiero risanando.      

Nutrire il giorno
Nutrire il giorno
dell'antico che non ha traguardo.

Dalla terra e dal cielo
penetrate parole nella nostra pelle.

Miracoli per tutti i sogni e gli incubi:
il passato, l'avventura dei sensi
le risposte alle domande
della macchia chiara sul muro
e del rimosso quadro.

Fragile e vaga, e oscillante
è la ragione, e incerta misura ogni giorno
di ciò che accade.

Il giorno al giorno messaggio
ogni stagione propizia alle alli
ogni occhio sulla radiosa bellezza.

Tutti fiumi specchiano la luce.
Tutti fiumi, di grado a loro modo.

Lo spazio aperto e il mutamento
con ogni singolo pensiero risanando.

Al mio paese impavida una stella
Al mio paese impavida una stella mi richiama
e un cigno silente che agita le acque,
l'una che indica la strada e muove l'ansia
e l'altro che nel ristretto lago scrive fanciullezza.

Era un verde filare di tigli che mutava d'ombra
tra lo schiamazzo di noi imberbi nel creare
giochi di sorta per allegrare le serate.

Erano le fontane frizzanti coi zampilli alti
e noi tra brecce e aiuole in freschezza innocente
lenti ai richiami di isolate mamme
che lasciavano l'affanno in questo spazio quieto.

Ora l'ansia non ha più infantile porto
ed altre fantasie abbracciano la mente
nello scambio che ha ornato il mio passo
d'adulto verso altra cornice.

Ma riemerge voluta fierezza nel mio sguardo
tra le strade che oggi ripercorro nel ritorno
se la mano d'un bimbo mi porge la scossa.  

La cometa “Tempel 1”
(4 luglio 2005)

Sorridi al sole, cara, oggi avremo risposte
sulle polveri sottili che hanno dato origine alla nostra vita.
Saprà Iddio quale sarà quest’altro notiziario.

Nel cuore della cometa il proiettile sparato
troverà alchimie dei segreti princìpi.

Sarai tu, sarò io all’origine del ghiaccio
e tra i frammenti degli elementi antichi
che si formarono allora nel sistema del sole
e nella scia luminosa che tu vedi, ora,
in chioma e coda.

Eppoi, spente le micce e le ferite dell’agguato
penserai a questo corpo celeste come a un cigno
che nell’affanno ripiega dolorante il capo
chiedendosi:”Chi mai mi volle così bianco al sole
e chiaro di luce, se si esulta da qualche parte nel mondo
per la caccia?”.

Stagione venatoria è la nostra, e il fucile,
mirante e prossimo, non farà cilecca nell’agguato
all’umanità distratta, se tu corri come fiera cometa
tra corpi celesti slegata nella chioma
ed io ristretto nel covo della casa che mi appresto
a guardarti, a medicarti le ferite, non più sanguigno
arciere, ma umano e prossimo con te a salpare, nel diluvio.       

Cucire toppe sui buchi
Cucire toppe sui buchi
che sono in realtà voragini dei sogni, ecco
il malessere sull'incanto del passaporto di ognuno.  

Poeti
Poeti, parlate alle pietre, all'aurora
non più orecchie umane stanno coi sentimenti.
Le piante affondano radici
e succhiano terreni come mammelle.

Ho venduto il mio nome
Ho venduto il mio nome all'aria,
all'acqua, ad altri mari…
ed alle terre ombrose dei tronchi
per non rischiare di perdermi
sulle strade piene
nell'incontrare gente che non aveva
l'odore del tuo seno,
libellula formata di vele agitate
e colori sfavillanti
in un crepuscolo sereno.     

Onda del mistero che c'inonda
(maremoto nel Sud Est asiatico, 26 dic. 2004)

Onda che t'innalzi superba,
vivace figlia di Natura, fluida lingua
di un sussulto terrestre, plumbea culla
divieni di catastrofe immane.

Onda del mistero che c'inonda,
onda dei nostri occhi al sole brillìo,
limpida forma e colore di smeraldo
ora sepolcro che adombri spavento.

Onda, non hai forse tu nel seno la stella,
la colorata fantasia della variopinta schiera
dei pesci e dell'amèba, del corallo
e del castello dei vetri del fanciullo
che attorno al suo cerchio gira
e colora dalla spiaggia fantasia?

Onda non più di misericordia, l'affronto
alle inermi braccia,
ai fanciulli strappati all'affetto
non più ritrovati nel nido
non più della grazia lo sguardo.

Onda, girandola e vortice,
errante pellegrina, balorda
stendi lenta la mano
sii amica della conchiglia e del cerchio,
del castello di sabbia e del percorso
che il bimbo ha segnato sulla sponda.  

Neve
Questo cielo che rilascia luce, di note bianche
lente e misurate, da mattina, la neve
in ritmi cade, con la sua trama fitta di cristalli
dentro e sopra il paesaggio.

E sulla strada bruna, ora è il chiaro
e conduce a riposante miraggio.

Noi, liberi da spericolate grida
siamo pensatori inosservati, declinanti
al piano e lento scorrere della vita
senza più interventi artificiali,
senza più asperità ed angoli,
provvisoriamente ritornati all'armonioso canto.    

In quella foce
In quella foce dove il tempo si attarda
il fiume è figlia fluida esaltata
che azzarda il salto nella vita,
aperta ai colori e alle tempeste,
ai ritmi inusitati, alle scoperte
in mare aperto, e si fa vela,
e poi seme della schiuma e dell'onda
e vapore e rugiada, scaldata,
e nuvola ripetuta e mossa
che ridona pioggia virginea, nutriente.

In quella foce io vedo, io vedo la vita.    

Cuori di pietra
Cuori di pietra
di quei grandi vecchi di granito, le montagne
le rocce millenarie, irte
e di pieghe e balze scoscese,
vette di viola, al tramonto, e di rame.

Cuori che sanno
del sublime e della prima fonte
e sottraggono a noi gravità per appropriazione
con le vivide cime segnate
forse luoghi di genti d'altre epoche,
simboli di liberazione solenne.

Questa è la pietra che si staglia
di netto in faccia ai cieli
e lasciarti vorresti sempre sulla soglia
di questa aperta meraviglia della vita.      

Acqua
Da suolo sacro di arterie fluente
ero nota segreta in polle d'acqua,
trasognato di fiumi salubri, salici e more
da pareti arcane imbiancate vibrando
per fenditure fosforescenti e pietre levigate.

Ruscello di incolte pianure
in rivoli e bolle frizzanti, schiumanti
tra bianchi gelsi e ruvidi ginepri
ornati da terrapieni di muschio
per brune penombre, ànsiti gonfi
scheggia e diamante in acquario, sono stato.

E poi, d'alleanza d'altre acque riverso
coniugato e abbondante, immerso
a forza e irruente verso altri lidi e foreste ampie.

In argentei precipizi di cascate bianche
saltante in sinfonie impennate e diverse
ruotante ed ebbro e lucente in faccia al vento.

Entità rinnovata nel vortice dei sensi
ed àncora dei segni di bellezza
cadente nel sonno d'ampia placida sponda
d'un letto d'acqua, che all'arrivo scema
per piccoli ruscelli e toccate case,
messaggera di poesia e viandante
tra le braccia della gente.

Una pietra
Una pietra guizzante sopra il mare
(nel pomeriggio gaio del settembre)
l'affondo e la voglia che risale, il salto
per chiazze e intervalli, gli schizzi
insieme al gabbiano che con l'ali
roteando si proietta contro il cielo.      

Vicini stanno gli amanti
Vicini stanno gli amanti
i corpi sinuosi decorando con vibrati canti
ed in carezze delicate.

Ognuno all'altro aggiunto in misteriosi prati
di tessuti d'asfodèlo e coralli di baci
agli altri dispersi, leggeri alle sensazioni
d'indovinati gesti e di sguardi.

E nel sentirsi interi e coniugati
balze e voli per finestre aperte
su nubi disegnate in forme estese
contemplando paradisi d'erbe
e colorati archi di fiori sparsi.

E poi ridiscesi dal sogno ristorati
in lievità di un'onda che d'autunno
la foglia sulla terra posa.

I luminosi corpi distesi
sui giacigli pensili dei sentimenti
nella fragranza in ombra dei prati.

Incisi pensieri d'amore al tuo orecchio
ho lasciato, baciato oggi da aurea fortuna,
cesellati in gocce di rugiada.

Sentinelle alla tua pelle i miei suoni
e i battiti ai tuoi affiancati
discesi da astri per meridiani celesti.

Amanti e amate foglie
Gli amanti e le foglie seguono sentieri
per rami in cerca di odorosi fiori.

Ed ora casti stanno sospesi
ora in punta di rami estasiati e solenni.

Molte foglie e molti amanti per amori persi
delusi per corolle vuote e labbra chiuse.

Per quali rami seguire le strade
non è dato sapere alla foglia e all'amante.

Ognuno raggiunge il suo fiore aperto o chiuso
ed usa il sensuale passo verso altre corolle.

Siamo foglie nelle diverse stagioni
ora fredde ora calde
o tiepide ali di farfalle dai vari colori
e rigidi fiocchi invernali sui volti.

Il vento porta e muove
Il vento porta e muove cantabili parole
dai prati e dalle corolle esposte
e tramutate in rime le involge e sparge
in altri porti, per altre strade.

Lirici naviganti messaggeri trascrivono versi
raccolti sulle terre emerse
per brezze chiare e ondose.

Scritture dal canto sottile le stagioni
riserve di fragranze e di quanto rimane
del nostro camminamento quotidiano.

E i venti, legate le essenze alle molteplici ali
vanno a vibrare in onde e spume biancheggianti
e poi emozioni impresse di energie di luce
o tenebre tuonanti di tempestose paure.

Oh, quanti granelli di sabbia hanno gettato i malvagi
sull'immenso giardino fiorito
e quanti ancora insabbieranno il mondo!

E il vento di nuovo s'innalza,
tra l'accrocco variopinto delle case,
per intrecciare realtà su nuove trame
di creature fatte intere in corpo e anima
in epoca di messaggi arsi e arbitrari.

Percossa melodia di vita
la nostra vela al vento rigonfia
di note dipinte e rimate.

 
Il male
E se, si potesse dire fino a che punto, il male
in questo tempo è ancora viva fiamma,
e quanto questo principio antagonista sale,
noi dovremmo sondare profondità marine
e imprigionare il vento che incombe con la sinistra ala, l'oscuro
che confonde la coscienza, la degradazione
dai mille tentacoli e dai mille nomi,
il sottile inganno, l'insidia e le pulsioni
alla crudeltà e al terrore.

Ancora nostri, i sogghigni sui capitelli delle cattedrali
di quei volti che spodestano l'uomo dalla grazia di Dio
e il disordine, la divisione e la dissoluzione,
abiti in cui si nascondono tiranni,
terroristi sull'umano incedere.

L'incenso e l'incendio nelle nostre mani
e il volto sinistro che agita lo specchio
in questo mondo che conosce luce
ed è immerso nell'oscuramento, di acidi funamboli
che bruciano pensieri.

In morte di Papa Giovanni Paolo II
Sull'ala di colomba che con lui sale
dalla Sacra Porta nella piazza, il cuore
inciso di memorie e in mutamento
per aurore eterne
l'immagine di lui dilata, nel sidereo spazio.

Le campane hanno il suono della morte
e il silenzio riduce il canto e il pianto.

Padre, che eri e che più non sei
conforto quotidiano, vigorosa speranza
di una meta che si fa più salda
nell'incertezza della nostra vita,
ci hai dato l'acqua di purificazione che s'interra e che s'innalza
per etere e vapore nell'Illuminato Sole
e la traccia dei sentieri di consolazione
e del rimpianto.

Onda di quiete e di rilievo, sei stato
e cantore di speranza nuova
nel fiume dell'umana ragione che ci tocca
e con la quale siamo goccia e punto
nell'Oceano.


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