Racconti di Paolo Pomato


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Le aquile, queste sconosciute
Parto di buon'ora, il freddo è intenso ma l’emozione per l’escursione appena cominciata mi provoca un caldo euforico. Camminare in montagna è alquanto faticoso, ma la cosa non mi spaventa, mi trovo un po' in difficoltà nell’orientarmi nella parte bassa del monte prima di trovare il sentiero giusto, dapprima, seguo per un po' il torrente, poi ad una radura la traccia scompare fra un mare d’erbe alte quasi un metro, dopo averle attraversate, mi ritrovo zuppo fino alla cintura. Siamo alla fine dell’inverno, ora l’ambiente si fa più severo, la solitudine diffonde la sua silenziosa armonia che penetra dolcemente nel mio cuore, i primi segni della primavera si vedono e si sentono, qua e là minuscoli fiori variopinti occhieggiano i tra i sassi, i colori sono tenui e i profumi aromatici riempiono le narici, in un meraviglioso territorio, posto al dì sopra del limite del bosco, sotto le cime più imponenti che superano i tremila metri; con la loro neve eterna. Solo il canto del torrente col suo sciacquio che accarezza le rocce, accompagna le mie riflessioni in questo tratto della salita. L'ultimo pezzo è veramente duro, ma alla fine ce la faccio, la vetta è mia, davanti a noi si schiude un orizzonte sconfinato nei quali i nostri sentimenti possono galoppare all'infinito.
Il luogo è proprio selvaggio, probabilmente sono ben pochi quelli che risalgono questo versante. Vedo volteggiare su in alto un’aquila, incuriosito decido di piazzarmi su un gradone roccioso posto a circa trecento metri sopra di me, simile ad una grotta, al quanto grande e ben riparato, la scalata è impegnativa, ma ne vale la pena, in quanto non è facile, avere la possibilità, di osservare questi magnifici predatori, nel proprio ambiente naturale, punto il binocolo, mi appare in tutta la sua regale bellezza, un maschio d’aquila reale, di colore, marrone scuro con riflessi rosso-dorato sul dorso e sul capo, volteggia nel cielo ad un’altezza vertiginosa. Per attirare l’attenzione emette grida, simili ai versi di un cane, sicuramente alla ricerca di una compagna essendo il periodo degli amori per molti rapaci, dal nulla si staglia la sagoma di una femmina, la colorazione del piumaggio è simile, solo dalla taglia si riesce a distinguerli essendo essa più grande del maschio, che vola più bassa, senza indugio il vigoroso volatile parte in caduta libera verso di lei per una prima avance, per tutta risposta elle si gira sulla schiena e cerca di allontanarlo con gli artigli protratti. Il maschio non demorde, sa che deve ritentare fino a, quando la femmina non lo accetterà, compie spettacolari parate aeree, eseguendo il caratteristico volo a festoni usato per il corteggiamento, danze aeree e picchiate fino a, quando insieme, volano a spirale eseguendo una discesa a picco vertiginosa, questo è il segnale che la femmina accetta, il corteggiatore, si è creata una coppia, che durerà per la vita.
Il comportamento del maschio, mi fa ricordare un'antica leggenda, che narra di, quando gli uomini, come le aquile volavano, poi, non si sa come, persero le ali e caddero sulla terra. Ora nessuno vola più, tranne alcune persone; che con il loro coraggio e la propria determinazione, ancora oggi, pur senza le ali, riescono ad estrarre dal proprio spirito la stimolo per salire e superare le difficoltà, con la tenacia dei propri cuori, volano in alto senza timore e arrivano alla meta prefissatasi. Forse anche noi apparteniamo a questi, magari abbiamo ancora dentro di noi le loro radici, dobbiamo solo lasciare crescere nel nostro animo l’impulso a non giudicare gli altri, ma di volare sopra i pregiudizi, capire le problematiche altrui, per alzarsi sopra le nubi della vita, in un oceano d’unione, dove la saggezza, l'amore e la speranza trionfino.
Dopo di questo divagare, mi concentro nuovamente sulle due aquile, mi rendo conto dal comportamento della giovane femmina che è alla prima esperienza di corteggiamento, insieme al suo compagno; iniziano una ricognizione, volano, costeggiando le pareti della vallata con ampi cerchi, per trovare il posto più adatto alla costruzione del nido, lo costruiscono su di uno sperone roccioso inaccessibile a circa 800 metri d’altezza, la mia postazione d’osservazione si trova duecento metri sopra di loro, la femmina rimane sullo sperone, richiamando con un grido il maschio, che ritorna con rami secchi raccolti sul terreno, cime di roverella con ancora attaccate foglie secche che staccano dagli alberi, edera verde tolta dalle rocce, erba e foglie secche per l’imbottitura, lo stesso fa la femmina, il lavoro è compiuto da entrambi di comune accordo, anche se la femmina essendo alla prima costruzione di un nido si trova in difficoltà, ma con l’aiuto del maschio, che la guida e lavorando infaticabilmente, dopo circa un’ora, il nido é terminato, ha una forma di un enorme cesto di vimini, i rami sono stati quasi intrecciati questa tecnica usata, lo rende molto solido, la sua dimensione ha un diametro di circa 2 metri. Ormai è sopraggiunto l’imbrunire e devo affrettarmi a rientrare. Con l’ultima luce rimasta, ritorno a valle, le aquile continuano a salire, con larghi giri, la volta celeste fino a diventare due puntini invisibili. Gli ampi spazi nei quali esse si librano, richiamano alla memoria ricordi lontani dove le dimensioni, da abbracciare con lo sguardo, apparivano vaste. Erano i tempi della gioventù, delle vitalità, i periodi in cui il mio animo era aperto all’avvenire.
Arrivato a casa, chiamo il mio amico Claudio, una persona veramente speciale, preparato sui rapaci e sulle aquile in particolare, fisicamente è un uomo robusto e dai capelli scuri con il sorriso sempre stampato in faccia e soprattutto è un individuo al quale affiderei la mia vita senza esitazione, gli racconto dell’incontro con la coppia d’aquile, gli propongo di unirsi a me per un’escursione a lungo termine in montagna, si dimostra entusiasta, ci diamo appuntamento il mattino seguente.
Le cinque del giorno dopo, il freddo è terribile, arriva Claudio. Gli spiego che dovremo accamparci sul gradone roccioso da me scoperto e continuare l’osservazione della coppia d’aquile, insieme, lui, è d’accordo si carica l’attrezzatura necessaria: viveri, sacco a pelo, una tenda sferica per due persone, per ripararci dal freddo della notte e l’occorrente per l’arrampicata. I picchi si stagliano nitidi contro il cielo. Indossiamo un paio di maglioni pesanti sotto il giaccone impermeabile. Si parte per l'avventura; durante lo spostamento si scambia solo qualche parola, affiora alla nostra memoria, una lontana estate d’anni addietro, era la notte di San Lorenzo, noi seduti fuori sdraiati sul prato, ad osservare con stupore le innumerevoli stelle cadenti in un cielo traboccante di punti luminosi.
Poi, silenzio, anche perché l’ossigenazione con il salire della quota, diminuisce e questo ci rende poco loquaci, dopo più di tre ore di marcia, si comincia ad intravedere, in lontananza, il verde-azzurro del ghiacciaio spuntare fra le brume del mattino. Superato il passo, s’incontra da prima un ripido gradino boscoso e quindi si entra in una conca incantevole.
Dopo, la vista si apre sulle spumeggianti cascate, che dai dirupi sovrastanti, cadono emettendo un rombo che sembra il loro canto, per noi, è come un invito a perderci in questa natura incontaminata.
Arriviamo sul posto ad una quota di circa mille e duecento, dopo una nuova scalata alquanto difficile di più di trecento metri con la roccia sdrucciolevole, raggiungiamo il gradone, piazziamo la tenda e iniziamo l’osservazione, le due aquile sono intente ancora a perfezionare il loro nido, con rapidi voli, trasportano nuovo materiale, queste traiettorie, mi spiega Claudio, che conosce molto bene le aquile fanno ancora parte del rito di corteggiamento, in questo periodo il maschio è molto attivo, estasiati dalle loro evoluzioni, non ci rendiamo conto del tempo che passa si fa buio e la temperatura comincia a scendere molto, ormai la visibilità è calata, la nebbia impedisce ogni osservazione.
Ci ritiriamo nella tenda; accendo il fornellino, preparo un te bollente che ci rianima un po’, mangiamo qualcosa, ultimo sguardo all’esterno, il cielo è magnifico, le stelle sono luminose e sembrano così vicine, una sensazione di libertà mai provata, siamo distrutti dalla fatica, non abbiamo neanche la forza di parlare c’infiliamo nel sacco a pelo, un sonno profondo e ristoratore è quello che ci vuole.
Apro gli occhi alle prime luci dell’alba; esco dalla tenda e sorprendentemente nevica, alla fine d’aprile è alquanto difficile, leggero e silenzioso, il candido mantello bianco sceso dal cielo sembra coprire come una soffice coperta l'irruenza dell'universo. Prendo la neve fra le mani e la passo sul viso, ottimo sistema per svegliarsi e darsi una pulita. Preparo il caffé e la colazione a base di pane con marmellata e del cioccolato fondente per darci un po’ d’energia, Claudio si sveglia, mangiamo e ci scambiamo le impressioni sugli avvenimenti del giorno prima, il mio amico mi sembra felice di vivere insieme con me questa straordinaria opportunità. Nel frattempo ha smesso di nevicare. Iniziamo l’osservazione. Claudio ha portato la sua macchina fotografica digitale con tutti gli accessori; compreso il teleobbiettivo, comincia a scattare foto, la femmina è nel nido, il maschio non si vede, la visibilità è tornata ottima, il dolce tepore del sole riattiva le nostre funzioni fisiche e mentali.
Ritorna il maschio, con una lepre tra gli artigli; parliamo sotto voce, le uniche parole che escono dalla bocca di Claudio sono è magnifico, sembra ipnotizzato da quella vista, il rumore della macchina fotografica non sembra dare fastidio all’animale si posa sullo sperone, la sua compagna si muove verso di lui, e cominciano insieme a mangiare il pasto, mi spiega Claudio che durante la fase di corteggiamento queste attenzioni da parte del maschio gli serve per rendere la coppia affiatata e per farsi apprezzare, in modo che la femmina non sia attirata da altri concorrenti. Dopo pochi minuti il maschio vola via, con ampie spirali tra le pareti della valle controlla il suo territorio, che difende da qualsiasi intruso, si allontana e finisce fuori del nostro campo visivo, la femmina sposta la preda e si rimette nel nido. Dico a Claudio che molto probabilmente durante la notte la femmina ha deposto le uova. Decidiamo che per assicurarci della deposizione, dobbiamo avvicinarci il più possibile al nido, per il momento la femmina non ha nessun’intenzione di allontanarsi.
Scendiamo dalla postazione, Claudio vuole scattare qualche fotografia del luogo e degli animali che incontreremo, costeggiamo il fianco del torrente in piena, che borbotta, vediamo una ballerina gialla che vola da un sasso all’altro in cerca d’insetti, risvegliati dai primi soli primaverili, nell’aria si sente il richiamo del merlo acquaiolo. Ci affacciamo sulla riva, in una pozza più profonda sul fondo, scorgiamo un piccolo pesce, Claudio lo riconosce si tratta di uno scorzone, dalla testa schiacciata e dall’enorme bocca insaziabile, che approfitta dell’abbondanza d’insetti che la corrente fa cadere dalla riva rimpizzandosi per rimettersi in forze. Questo è certamente un ambiente severo e maestoso che va rispettato e protetto commenta Claudio, che chiaramente mi trova pienamente d’accordo. Passato il ponticello e lasciato l'ultimo larice solitario sotto al quale raccogliamo due funghi detti mazza di tamburo una vera bontà, finalmente arriviamo alle cascate, l’acqua è limpida e ghiacciata, approfittiamo per rifocillarci, vedo dell’ottima menta selvatica, ne raccolgo una buona che può essere sempre utile, riempio la borraccia d’acqua e un piccolo ma capiente contenitore termico adatto al trasporto dei liquidi.
Seduti sui grandi sassi che si trovano nei pressi delle cascate, scambiamo le nostre impressioni su quello che abbiamo visto, concordando sul fatto che tutto è stato molto interessante, Claudio mi mostra le fotografie, che fino ad ora è scattato con la sua macchina fotografica digitale, resto colpito dalla perfezione delle foto, che riprendono l’ultimazione del nido delle aquile e i loro voli mozzafiato e gli animali visti lungo il torrente, un lavoro eccezionale da premio oscar.
Ci accingiamo a ritornare, all’accampamento la scalata mette a dura prova la nostra resistenza, dopo tutte le emozioni e la fatica che abbiamo provato, arriva la dolce quiete della sera. Ormai non si vede più nulla, ci ritiriamo nella tenda, sono due giorni che ho saltato il pranzo, devo mangiare bene per riprendere vigore, Claudio apre una scatoletta di fagioli precotti e taglia della pancetta affumicata, io intanto preparo la cara polenta, condita con i gambi dei funghi raccolti la mattina, gli ombrelli degli stessi finiscono grigliati su una pietra piatta scaldata sul fornellino, conditi con sale ed un filo d’olio, insomma un lauto pasto, con dolce finale, una cioccolata bollente, finalmente siamo satolli e pieni d’energia, discutiamo di come organizzare l’avvicinamento al nido delle aquile, anche perché la discesa non è per nulla facile, l’accordo è che io scenderò verso il nido e Claudio farà da pilone e mi sosterrà. Propongo al mio amico una tisana alla menta raccolta a valle, faccio bollire l’acqua, unisco la menta e lascio in ebollizione per cinque minuti, una piccola dose d’acquavite e miele, l’infuso è pronto lo consumiamo fuori della tenda, mentre contempliamo la volta celeste, siamo allibiti dalla bellezza di questo luogo e dalla pace che trasmette. Ci torna alla memoria, con nostalgia le alzate prima dell'alba, quando nel buio che si andava lentamente dissipando, si cominciava ad intravedere, in lontananza, il ghiacciaio. Allora Ruggero e Flavio badavano a smontare le tende, mentre era compito mio preparare la colazione per tutti e, nell'incerto chiarore che si stava espandendo, la mia Annamaria e Mariangela di Claudio cercavano di addolcire la brutale sveglia con l'abbondante colazione a base di biscotti e caffé bollente, che veniva da loro servita a tutti appena usciti dal sacco a pelo. Poi si partiva per il passo, continuando, lungamente sul fianco del ruscello la sua cantilena accompagnava il nostro gioioso saltellare tra i sassi. Il nostro stupore alla vista della sconfinata distesa bianca. Era certamente quello un ambiente al quale non eravamo preparati. Le cose sono cambiate le nostre donne non ci seguono più; nelle nostre escursioni, sono impegnate a cose più importanti, come crescere i nipoti. Terminate le nostre rimembranze, rientriamo in tenda e finalmente si riposa.
Il mattino dopo, approfittando del fatto che la femmina si era allontanata, partiamo per l’avvicinamento al nido, ci spostiamo di circa quattrocento metri a destra del nostro punto d’osservazione; con cautela ci avviciniamo al dirupo, trecento metri sotto c’è il nido, dopo essermi imbracato alla corda assicurata alla parete da un chiodo da cordata e tenuta saldamente da Claudio, mi calo arrivato cento metri sopra il nido, vedo al suo interno due uova, di colore biancastro puntinate di verde, sono circondate da muschio, foglie e molte piume. Sento un fruscio molto forte, alzo gli occhi e vedo la femmina, che mi punta, la testa allungata fra le ali e con una picchiata, come un missile mi si avventa addosso, mi appiattisco alla parete per schivarla, Claudio comincia a recuperarmi issando la corda, ancora un attacco, lo schivo accostandomi il più possibile alla parete, chiudendomi a riccio e incasso la testa fra le spalle, finalmente sono in cima, con cautela, ma in fretta ci allontaniamo, l’aquila ritorna il nido e si calma, la paura è stata forte, ma per fortuna è andata bene.
Ritorniamo alla tenda, Claudio è sbiancato e a ma tremano le gambe, ci guardiamo e ci stringiamo la mano, anche se azzardata è stata una manovra ben congeniata, e l’unico sistema per assicurarsi della deposizione delle uova. L’adrenalina scende e finalmente, troviamo la forza di riderci sopra. Sappiamo che fra circa quaranta giorni ci sarà la schiusa e una nuova generazione d’aquile, volerà con regalità ed eleganza fra le gole della nostra valle. Il nostro compito è finito, siamo riusciti a portare a termine quello che c’eravamo proposti di realizzare.
Smontiamo tutto e carichi di felicità per la meravigliosa avventura appena, ci mettiamo in marcia per rientrare. Queste giornate passate assieme, rimarranno un ricordo indelebile per noi. Così da poter dire: dolce è la salita su per l'erta china, che di lassù la cima, lo sguardo appaga. Veramente il salire una vetta risveglia la profondità del nostro essere facendo crescere in noi un sentimento d'amore infinito.
Le aquile, hanno da sempre stimolato, l’interesse dell’uomo, spesso come rappresentazioni, d’audaci predatori che possiedono il dominio dell’aria, oppure di divinità celesti. Purtroppo a volte le sono attribuite, difetti tipici dell’uomo come cattiveria e crudeltà.
Specialmente in passato, erano esagerate, le sue capacità predatorie, credendola capace addirittura di rapire bambini o fanciulle, per un sostanzioso pasto. Tutte fantasie, dovute ad ignoranza e ancora oggi molti, vedono nelle aquile, la causa dell’impoverimento di selvaggina, ignorando l’importante ruolo di selezione naturale che esse svolgono.
Il suo volo armonioso e la figura possente che si staglia nei cieli tersi, arricchisce di selvaggia bellezza e di fascino le nostre montagne.

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