Poesie di Spartacus
(pseudonimo con il quale per qualche tempo ha pubblicato Renzo Montagnoli)


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Io sono quello che non vorrei essere, sono il riflesso nello specchio di me stesso,
il lato oscuro, l’ombra che si vede nel buio; ci sono, ma non esisto.
Vorrei riuscire a mettere in poesia la vita di ognuno di noi guardando dentro me stesso.
adler@mp4.it
 
Crepuscolo
Lacrime di sangue, storpiamento di anime,
nel crogiuolo infernale di un'umanità impazzita.
I deboli, i diseredati, sempre più calpestati,
l'ignominia a regnare sovrana senza orecchie
per chi urla di dolore.
A Fallujah è morta ogni speranza di vita.

Il grande freddo
Come montagne di ghiaccio
che affrontano l'immensità del mare,
sospinte dai procellosi venti del nord.
Come l'aria gelida che si insinua
nel collo non avvolto dalla sciarpa
e scende serpeggiante lungo la schiena.
Come le illusioni che appena nate sono
già morte e nemmeno hanno il rispetto
di una piccola bara bianca.
E' grande il freddo di questa umanità,
che troppo spera in un alito pesante
di orpelli, di oggetti inanimati,
senza nessun calore,
reliquie di fatuità.

L'inferno in terra
Orridi mostri si celano nelle acque profonde,
canti di sirene irretiscono i naviganti
e li conducono per mano all'ara sacrificale.
Gli inferi sono risaliti fra noi e in un sabba
di azzimate caprette si divorano le anime.
Satana in persona estrae il cuore dalle vittime
e, ancora caldo e palpitante, lo divora
nello scempio dell'umanità.
E' tempo di riti, di macabri festini,
di diffuso terrore in questo mondo
ormai senza amore.

Il ricordo
Di passate battaglie è il ricordo,
di sudore, sangue, polvere e
volti rattrappiti nel momento del trapasso.
Di attese frementi, di angosce che
l’animo scavavano, di incubi
che riempivano notti insonni.
Di sguardi dolenti, di bimbi imploranti,
di madri piangenti, di odio crescente.
Di sogni spezzati, di una gioventù
che conobbe solo la guerra, la miseria,
il dolore, senza passato e senza futuro.
Di questo mondo che felice mai fu.

Senza domani
Cedere alle lusinghe di sirene,
il cui canto rimbomba da ogni lato,
con ogni mezzo,
o fermare questa folle corsa
che sembra non avere mai termine,
che soste non ha?
Fra Scilla e Cariddi veleggia
questa povera umanità,
senza più ideali, senza sogni;
non c'è più amicizia,
non c'è più dialogo,
in questo consumo sfrenato
di bisogni inventati,
di inutili necessità,
in questo inaridirsi degli animi,
in questa eutanasia del proprio cuore.

Resurrezione
In un mondo avvolto dalle tenebre del potere
s'alzerà un giorno il grido di milioni di bocche
fino ad ora ammutolite dalla disperazione;
protese le braccia al cielo s'ergeranno
dignità calpestate, menti annichilite,
libertà represse, verità distorte.
E nella luce che fugherà il buio della tirannide
sbocceranno i sentimenti ora soffocati,
l'amore risorgerà in un mondo
finalmente patrimonio dell'umanità.

Sete
Arsura di labbra, che i denti mordono,
ansia che scava lo stomaco e che
corrode il fegato, notti insonni
con le braccia che stringono il cuscino,
tempo che passa vuoto nella
marcescente disperazione
dell'inutilità dell'essere;
é una sete d'amore per chi vaga
nel deserto della solitudine.

La capinera
Va, fuggi, vola sempre più su;
la libertà ora ti do, l'esser lungi da me
strazierà meno il mio cuore.
In pegno mi fosti data d'un grande amore,
di un tempo passato che mai ritornerà
e l'averti vicina consolava l'anima mia
in assenza dell'amata così a me lontana.
Guardavo la tua testina nera ogni mattina
e mi sovvenivano i suoi lunghi capelli corvini;
ascoltavo il tuo appena percettibile cinguettio
e mi sembrava di sentire la sua voce soave
che appassionata per nome mi chiamava;
ti vedevo osservarmi stupita e rammentavo
i suoi occhi estatici di fronte ai miei.
Pegno che non esiste più,
poiché un altro ormai le sta accanto,
sogna quel volto che mai dimenticherò,
ode quelle parole che tanto ha immaginato la mia mente,
vive nello splendore della sua presenza,
mentre io muoio nel dolore della sua memoria.
Va, fuggi, raggiungi le vette del cielo,
ritorna da lei e portale la voce del mio cuore.

Frenesia d’amore
Ho combattuto invano
la battaglia per il tuo amore,
mi son svenato, ho straziato il
cuore, giorno dopo giorno,
notte dopo notte, tra gelidi inverni
e torride estati.
E tu che mi hai dato?
Solo la compassione fredda per
un uomo ammalato di frenesia d’amore.

E la vita se ne va
Esce il sangue dal petto squarciato,
fiotti rossi gorgoglianti che mi
annunciano che la vita se ne va.
La vista s'annebbia, ma ora scorgo
immagini nitide del mio cervello,
memorie passate che veloci si
susseguono, ma anche queste
iniziano ad oscurarsi nel buio
che scende su tutto e m'avvolge.
Niente più dolore, nessun senso
di freddo nella parentesi che si chiude.

Sulle ali della fantasia
Galoppa, o mio cavallo,
ventre a terra, la criniera al vento,
vola là dove i sogni non muoiono mai,
dove nel cielo si riflette la terra che
tanto vorrei, dove il sole è l'amico
sincero d'ogni giorno, dove la notte
è l'amorevole madre che accoglie
al riposo le stanche membra.
Là ogni mia fantasia è realtà,
l'orgoglio è senza pregiudizi,
il vero non è mai falso,
il sorriso della donna che
invano amo è solo per me.
E non ci sono crudi risvegli
che lacerano l'anima, disperazioni
sorde che annichiliscono,
speranze che abortiscono.
Là c'è quello che vorrei
che fosse e mai sarà.

Sogno in una notte d’inverno
Il vento gelido mi schiaffeggia il volto,
mentre galoppo nella tormenta di neve
che rallenta il già lungo cammino per giungere a te.
Il mio destriero arranca sempre più nella coltre
bianca, affonda fino al petto, ma lo sospingo,
lo rincuoro, in fondo alla strada, oltre la collina,
c’è il caldo tepore di una fiamma amica, di un
cuore che innamorato mi attende.
La strada è ora meno impervia, superato
è il colle, e già il candido castello intravedo
nell’oscurità di una notte appena rischiarata
da una pallida luna.
Stride il ghiaccio del laghetto sotto gli zoccoli
che slittano: è quasi fatta.
Ma sordo un rumore tutto mi avvolge, una sorta
di lamentoso muggito, mentre io ed il mio
destriero affondiamo nell’acqua.
M’aggrappo al ghiaccio sottile, scivolano le mani
e scendo sempre più giù: ero quasi arrivato
alla felicità, ma come sempre nella vita tutti i sogni
s’infrangono nel cupo abbraccio della realtà.

Gelosia
Le persone che incontro, i loro sguardi,
il cicaleccio al mio apparire parlano di
lei, del suo tradimento; già tutti lo sanno
ed io tutto ignoravo.
E' un mondo che crolla, è una speranza
che muore, ma io ancora l'amo, forse
di più e mi corrodo nell'angoscia
di sapere e non sapere, un tormento
che esalta il mio amore in questa
gelosia che è parte di me e senza
la quale la vita sarebbe impossibile.
Sarà vero? Non importa, perché sono così.

Un altro anno
Fra poco un altro anno se ne andrà,
senza rimpianti, senza alcuna novità.
I politici inetti e corrotti, i portafogli vuoti,
guerre che continuano, nuove che scoppiano,
poveri che rimarranno sempre tali,
ricchi che si ingrassano a spese della società.
Così era l’anno scorso, così sarà il prossimo
e festeggiare il 31 dicembre sarà come rinunciare
al tentativo di recuperare un po’ di umanità.

La fine del giorno
Non c’è verità senza menzogna;
i sassi sempre biancheggiano alla luce del sole,
ma quel che un animo nasconde solo Dio lo sa.
Remoti ed ascosi pensieri si celano nei più
reconditi anfratti; non tutto è ciò che appare
in questa imperfettibile macchina umana.
Ma quando il giorno volge al termine,
prepotente è il desiderio di scoperchiare
il castello di ambiguità gelosamente custodito,
di far trasparire fra le pieghe invereconde
del tempo mille angoscianti pensieri,
inconscio testamento per l’aldilà.

Eravamo quattro ragazzi
Eravamo giovani, quattro ragazzi uniti dalle speranze,
entusiasti dell’idea di cambiare il mondo, di
stravolgere l’insana costruzione perpetuata
nei secoli dall’uomo.
Poi venne la guerra ed ancora fiduciosi partimmo;
solo io ritornai, loro rimasero a mostrar le ossa
sulle crude doline sferzate dal vento dell’est.
Nulla nel mondo è cambiato, la speranza da
tempo è smorzata e beati i miei tre amici morti
con ancora in cuore l’entusiasmo.
Resto io, spettatore attonito, morto di dentro.

Verso l’alto dei cieli
Polvere e sangue, fango e sudore,
contorcono questa umanità.
Lacrime ormai asciutte ristagnano
nella terra seccata dal sole.
Ovunque lo sguardo volga
è solo pioggia nera di odio
rappreso, di vendetta inutile,
di sogni infranti, di dolore muto.
La speranza è ormai lontana
e lo sguardo rivolto al cielo
è cieco, oscurato dall’orrore. 

Nessuna pietà
Nascosta in me ci sei anche tu;
un’ombra celata allo sguardo
e che prepotente ogni tanto
cerca di affacciarsi, di prevalere su di me.

E’ una lunga battaglia, un continuo
dilemma, fra me e te, te che sei parte di me,
il negativo dell’anima mia, il desiderio
inconfessato, il lato oscuro del sentimento.

Sarà sempre così, giorno dopo giorno,
nell’arco della vita di ciascuno,
lotta fra bene e male, senza quartiere,
ma soprattutto senza nessuna pietà.  

La verità
Hai mille volti, ma ognuno di noi ne vede solo uno.
Ci incanti, ci lusinghi, ci soggioghi, ma non sei tu.
Appari, scompari, riappari, ci illudi ed ogni cosa,
ogni evento è il fantasma della realtà, luce scialba
contrassegnata da chiaroscuri.
Vogliamo crederti, dobbiamo crederti, ma tutto
finisce con l’essere solo ciò che appare.

La strage degli innocenti
Il mondo è sempre più un’insalatiera
dove gli uomini che comandano
riportan gli altri nella notte più nera,
con ogni mezzo noi foglie rimestano.

Ed ogni sistema è quello buono,
nessuno sfugge al misero destino,
anche i bimbi, che innocenti sono,
vengono immolati a questo tragico festino.

E’ la sagra del terrore, del cordoglio inanimato,
ma ditemi un po’: che sarà un mondo senza umanità?
Non c’è risposta al quel bimbo ignudo e straziato
che chiede quello che mai avrà: la pietà.

Puttana
All’angolo della strada, sotto il lampione fioco,
attendi il turno, chi passa di lì a cercare
soffocanti atmosfere, che solo tu senza amore
puoi gratificare in cambio di immonda pecunia.

Esponi l’apparenza, a chi vuole solo l’illusione;
ti tuffi nel peccato d’altri senza assaporarne
il piacere, ti stendi muta sull’umida erba,
ascolti senza udire, fai senza partecipare.

Puttana, ti chiamano; ti disprezzano, ma ti cercano;
uomini disperati senza amore, senza sogni,
senza vita, soli in mezzo alla moltitudine,
come falene girano a vuoto intorno a te.  

L’amore
L’amore è un soffio di vita che si impossessa di te,
è vedere il mondo con occhi diversi, con la
fiducia di chi sa che vedrà il futuro.

L’amore è un tormento che ti logora l’anima,
un fuoco che ti arde dentro, che ti divora
ad ogni ora, ad ogni minuto, ad ogni istante.

L’amore è la certezza di esistere, è la sublimazione
della gioia, è la serena consapevolezza di
illudersi che i sogni diverranno realtà.   

Incubo
Scendeva un pioggia di lacrime sul mondo
fiammeggiante d’ira, sozzo di sangue rappreso.
Uomini con la testa mozzata vagavano nella
nebbia rossastra, vapori acidi e sulfurei
soffocavano piante contorte, radici atrofizzate.
Dal cielo nero, squarciato da saette bluastre,
scese lenta l’immagine di una croce spezzata.

La libertà
Fetidi umori di un mondo marcescente,
grida stridule di un’umanità implorante,
piogge acide di lacrime amare, sogni
che si spengono come nascono.

Ventunesimo secolo, appena iniziato
ed è già la copia di tutti gli altri.
Sinfonie di guerra risuonano, si
espandono, e tutto questo per la libertà.

Grande questa parola, infame e contorta,
non vuol dir niente, solo dolori, sofferenze
di chi la spera, ma per questi c’è un’unica
libertà: di essere immolati nel suo nome.  

Al ponte del diavolo
“Se passi di qua, soffermati un attimo,
o viandante, perché questo ponte difendemmo
con le nostre vite, per un mondo in pace
ed anche per te.
Cominciammo a pugnare la mattina,
incalzati dalle orde di barbari nemici,
fra un nugolar di frecce che passarono
le nostre corazze, s’infissero nelle carni,
storpiarono od uccisero i più.
Avanti venne poi la cavalleria e noi
sempre lì, sempre meno, incrollabili.
Dall’alba al tramonto durò la battaglia
e quando il sole già era scomparso
all’orizzonte gli occhi morenti
dell’ultimo di noi videro il nemico
ritrarsi, abbandonar per sempre il campo.
La nostra morte fu la vittoria e la pace
per sempre.”
La lapide annerita dal tempo sta all’imbocco
del ponte del diavolo, quasi nascosta da un’altra
lastra di marmo, ricordo ai posteri della strage
nazista ivi compiuta.  

Il lamento del cuore
Che cos’ è la vita senza amore,
se non ore che scandiscono incessanti
ed inclementi la tua solitudine.
E tu cuore che stanco accompagni
questa carcassa da anni disperi ormai
di correre all’improvviso allo scoccare
di una passione, di un sentimento.
Sento il tuo lamento, battito sordo
che rimbomba cupo in una mente
astratta, sopita dall’eterno durare
di un giorno che non finisce mai.   

Te deum
Si sollevò lentamente da terra, l’elsa in pugno
della spada spezzata, la corazza ricoperta di
sangue, di brandelli di carne.
Intorno a lui giacevano immoti a centinaia,
vittime di quella battaglia che sarebbe
dovuta esser l’ultima di una guerra senza tregua.
“Basta!” urlò, ma il grido gli si smorzò nella
gola trafitta da un dardo. E mentre cadeva e
gli occhi si chiudevano rivide il bambino di un
tempo giocare nel bosco ed incontrare una nera
signora senza volto, la stessa che ora l’avvolgeva
nel mortale abbraccio. Si lasciò andare, stanco
d’orrori, di crani fracassati, di corpi infilzati,
e solo disse: pace, pace. E fu la pace, eterna,
l’unica in cui l’uomo può sperare.
Sulla collina schiere di cavalieri s’apprestavano
a ravvivare quell’ultima battaglia.    

Preghiera
In ginocchio, prostrato al suolo,
non ti chiedo nulla per me;
volgi il tuo sguardo in ogni dove,
cogli le urla laceranti di chi soffre
in silenzio; i loro occhi imploranti
sono il frastuono di una voce
senza parole, il respiro affannoso
di chi vive, senza vivere, le miserie
di ogni giorno, la disperazione
dell’immutabilità, l’angoscia della
rassegnazione, il sonno inerme
di un pianto senza lacrime.
Dai loro un segno, infondi
la speranza, falli sentire
tuoi figli più degli altri.   

Clamori nel buio
Sono voci silenziose, senza parole,
gemiti, sospiri, quasi cori a bocche
chiuse che mi parlano nel buio.
Immagini senza contorni, ombre
sfocate che pretendono che le ascolti.
Lontani episodi, ricordi da tempo
soffocati, riaffiorano nella coscienza,
reclamano impossibili riparazioni.
E come mi prende il rimorso, svaniscono,
si cancellano, tornano nell’oblio da cui
sono giunte. E’ bastato il pentimento
per quietare il mio animo e far tornare
il lungo sonno ristoratore.  

Giardini di pietra
Giardini di pietra, estreme dimore,
ridondanti di vacue parole incise
su lastre di marmo, su croci di legno,
su steli di bronzo, non a ricordo di
chi è andato, ma a conforto di chi resta.
In questi giorni vocianti di gente,
di confusione di folla, di maldicenze rinnovate,
traboccanti di fiori, son luoghi di incontro
per un rito di ostentata affezione.
Poi, come una piazza, si svuotano e tutto
ritorna silenzio, pace infinita di
chi più voce non ha.     

Un nuovo giorno
Lenta s’alzava la bruma del mattino,
trafitta dal sole emergente, ed il
mondo un nuovo giorno cominciava.
Rumori di vita che riprendeva, scarichi
fumosi di auto, sveglie che suonavano,
odore di caffè, persiane sbattute, baci
frettolosi, membra stiracchiate, file
interminabili di un’umanità diretta
al lavoro, anch’io fra loro.
Ma al crocevia ho visto che aspettavi
l’autobus, guardando il traffico convulso.
Ti ho suonato, ti sei voltata, mi hai sorriso,
sei corsa da me ed insieme abbiamo iniziato
il nuovo giorno ed una nuova vita.       

Miriam la dolce
Profumavi di rosa appena sbocciata,
le tue labbra avevano sapore di miele,
il tuo cuore era uno scrigno sempre aperto.
Il tuo era vero amore, mentre ti davi,
anima e corpo, all'uomo di turno.
Il tempo ha ora segnato quel corpo così ammirato;
profumi di nicotina, le tue labbra sanno di vino.
Le illusioni lontane sono un ricordo dimenticato
nella realtà di un corpo e di un cuore tanto abusato.    

Uomini contro
Nella sofferenza di un mondo insanguinato
c'è tutto il dolore di una speranza mancata,
c'è la disperazione di un'umanità irrisa.
Le inutili chimere del tempo, vanamente
inseguite, ora appaiono sterili conquiste
di gente senza fede, senza vita, illusa
da miraggi di colpo svaniti.
Nelle bombe che esplodono fra inermi sconosciuti
c'è tutto l'orrore dell'incertezza del domani,
c'è la scoperta della propria fragilità.
Insensato ora sembra quel benessere,
fonte di tanto malessere, quell'inconscia
consapevolezza dell'inutilità del vivere
in una terra ove più sono i nemici che gli amici.
Nella lucida follia di chi si esplode in mezzo a te
c'è quella parte di noi che stimola la ribellione
al quotidiano disagio, a una vita di apparenze,
a inganni per convenienza accolti.
Nel pianto disperato dei familiari delle vittime
c'è tutta l'impotenza di un'umanità che solo
ora scopre il valore della vita.    

La principessa del mare
Là dove il mare incontra il cielo,
dove comincia il giorno e finisce la notte,
s'alza sulle acque il suo magico castello,
svetta fra le nubi rossastre, sempre più su,
fino a perdersi nell'immenso del firmamento.
Come un ponte infinito si staglia un arcobaleno
che percorrere è d'obbligo per avvicinarsi alla meta.
Inseguo da tempo il sogno della principessa del mare,
stupenda, pur se ne ignoro le sembianze,
una luce vivida nel buio che più avvicino
maggiormente si allontana.
E' una magia della mente, un impulso del cuore,
è l'eterno viaggio all'interno di me.    

Paranoia
Voci di dentro che urlano il mio dolore,
scalciano inarrestabili l’animo spezzato,
infrangono la barriera della realtà,
sprofondandomi nell’eterno sogno
di un mondo ignoto agli altri,
rifugio ed incubo per la mia mente lacerata.
Vivo nel mio tempo, vedo cose che sono
presenti solo per me, chiudo un
giorno senza ore nella cupa disperazione
di chi non sa accettarsi per quel che è.      

Idi di marzo
E Cesare si coprì il viso con il lembo
della toga, mentre infierivano sul suo
corpo gli affilati pugnali.
Un giorno anche per me saranno
le idi di marzo, allorché dovrò
render conto a qualcuno della mia vita,
alla fine della stessa.
I mille volti che ho ignorato, le sconosciute
vittime della mia indifferenza reclameranno
per tutto quanto potevo e non ho fatto;
busseranno alla mia mente, storceranno
la mia coscienza ed allorché il rimorso
avrà invaso il mio cuore e l’orrore di
me stesso mi avrà stravolto il cervello,
inutilmente coprirò il volto per non
vedere: lampi di cieco rimprovero
guizzeranno dentro di me, mentre
disperato implorerò la morte.   

Tormento
Magica visione d'una fanciulla
che s'apre alla vita, in un sorriso
radioso che invita alla pace.
Ti ho scorta fra tante, di ritorno
dalla guerra, allorché più forte
è il desiderio di essere accolto
fra due braccia ospitali, affinché
l'oblio possa scendere a pacificare
l'animo, da tanto scempio squarciato.
Mi hai sorriso ed il mio cuore è
impazzito. Avrei voluto toccarti,
appoggiare il palmo della mia rude mano
sul tuo volto, sentire il calore del tuo
corpo, udire la melodia della tua voce.
Ma la gran calca ci ha allontanato, ci ha
disperso nel vociare confuso del solito giorno.
E' da allora che ti cerco, ma non ti trovo.
Sei vera o sei l'immaginazione
della mente mia nella disperazione
della solitudine?
Non so se avrò mai una risposta;
tu però sei in me e solo questo
dà la forza di vivere a chi tante vite
ha soppresso e che finita la battaglia
bussano alla porta, tormentano
le notti, reclamano l'anima angosciata.   

Il rimorso del gladiatore
Alto levo il gladio al cielo:
il giorno della libertà al fin è arrivato.
L’imperatore mi ha detto:
liberto ora tu sei per il tuo gran valore.
La mente corre al tempo passato,
a quando a Roma fui condotto in catene,
al primo combattimento nel Colosseo,
alla lotta non per vincere, ma per non soccombere.
Ed i giorni furono tanti, le tenzoni innumerevoli,
sangue, tanto sangue da me versato solo per sopravvivere.
Non c’è notte che non veda i volti disfatti dei morti,
occhi bianchi che mi fissano, bocche chiuse
che gridano la mia violenza, mani immobili
che additano il loro assassino.
Sono libero, ma più prigioniero di prima,
schiavo del mio orrendo passato.
Tremo a pensare che ogni giorno caleran
le tenebre e che rivivrò da schiavo le
lunghe ore della notte fino a quando questo
gladio insanguinato non calerò su di me,
raggiungendo solo così la libertà.  

La salita al castello
E’ lunga la strada che porta lassù,
ove fra mura possenti e torri merlate
c’è l’olimpo del mio cuore.
Il percorso è tortuoso, fra sirene
Invitanti, occasioni di momentaneo gaudio,
momenti di scoramento, sprazzi di fuggevole
gioia che cercano di ancorarmi a questa terra.
Ma se il cammino apparirà senza fine, breve
è invece Il tempo della vita per percorrerlo.
Ogni cosa ha il suo prezzo ed anche il suo premio:
al castello mi attenderà l’eterno amore.   

Canzone d’amore disperata
Un bocciol di rosa fra il grano imbiondito,
così la colse il suo sguardo approfondito.

Sedici anni, l’età dell’innocenza,
dei primi turbamenti, dell’impazienza.

E fra le messi ormai mature scoppiò l’amore,
dolce, soave, senza nessun pensiero al prossimo dolore,

perché la gioia dell’oggi è la sofferenza del domani,
perché nulla è infinito quando non è nelle nostre mani.

Si promisero eterno amore ed eterno lo sarebbe stato,
perché lui un bel giorno di primavera se ne partì soldato

e mai più ritornò; cadde ammazzato, impavido,
e nello stesso istante la fanciulla avvertì un brivido gelido

che l’avvolse, le tolse il respiro, le sconvolse la mente;
andò così errando fino al precipizio senza saper più niente.

E mentre cadendo il corpo s’avvitava,
l’anima sua leggiadra al ciel andava.    

Viaggiando di notte
Vola la mente nel sogno, supera vette sconfinate,
scende negli abissi più profondi, si immerge
nell’intima essenza della natura.
Si scioglie il velo opaco delle convenzioni,
si scandaglia l’anima fino a ritrovare
il desiderio di conoscersi.
Non è che un sogno, ma prima dell’alba,
prima del rientro alla quotidianità,
si è finalmente solo se stessi.   

La purezza
Goccia dopo goccia, stilla preziosa
di purezza assoluta scendi lungo
il declivio; nelle tue trasparenze
si rispecchiano il cielo terso, l’ombra
del pino proteso verso il sole.
Poi a te s’accosta il viandante,
apre il palmo delle mani per raccoglierti
e suggere il nettare della perfezione.
Ecco, è bastato il contatto con un uomo
e la purezza è sparita.      

Se potessero….
Se potessero parlare, se potessero urlare…
Giacciono immoti, lo sguardo vitreo,
le orecchie che più non sentono,
le membra rattrappite, le unghie adunche.

Se potessero parlare, se potessero urlare….
Il tempo trascorso per noi e non per loro,
migliaia di anni nell’oblio dell’eternità,
polvere dispersa dall’alito di insensate guerre.

Se potessero parlare, se potessero urlare,
queste vittime e carnefici della stirpe umana,
nulla direbbero, ma muti e sgomenti, riuniti in questa armata
delle tenebre, ci avvolgerebbero nel loro freddo abbraccio.       

Così va il mondo
E’ questo uno strano mondo,
contorto, ma affascinante;
per pochi gira tondo,
per i molti è imbarazzante.

Ci sta ricchezza senza limiti
e miseria da morti di fame;
taluni hanno beni infiniti,
gli altri stan nel letame.

Eppure, son duemila anni
che venne l’uomo del perdono;
ma è inutile che t’affanni:
s’è rifiutato anche questo dono.

Chi lo predica è da tempo ormai
parte integrante, assai attiva
di chi sempre provoca tanti guai.
E la vita non può che essere cattiva.

Epitaffio
Non scrivete nulla, solo il silenzio parlerà di me,
di un uomo che come tutti nacque, visse e morì.
Non scendano inutili lacrime: lasciatele ai vivi
perché se ne facciano motivo di esistere.
E nel tempo che passa, se serberete il ricordo,
guardate la polvere intorno a voi: io lì sarò.  

La Clessidra
Inesorabile passa il tempo,
si direbbe in un momento;
appena ieri sei nato
ed oggi già sei morto.
Lotti, sogni, ti fai largo,
ma il risultato non cambia.
Presto, per tutti, la clessidra
si svuoterà, il tuo destino è tutto qua.  

Un sorriso
Da allora tanto tempo è trascorso,
il sole migliaia di volte è tramontato.
Fu un giorno che non ebbe la notte,
il cuore impazziva senza sapere il perché.
Ma nell’aria fresca del mattino mi
riscaldasti con il tuo sorriso:
un attimo lungo una vita,
giacché non l’ho mai più scordato.
Mai più ti rividi, né io ti cercai,
fu solo un sorriso, ma degli altri
che seguirono non ho più memoria.

Hiroshima
D’improvviso s’alzò un vento possente
e fiammeggiante che avvolse ogni cosa.
Fu un attimo lungo una vita e non restò più niente.
Mentre mi dissolvevo in quel caldo infernale
pensai fosse arrivato il giudizio universale.

Del mio corpo così straziato nulla restò
se non un ombra lungo una scala maestosa
che portava al tempio; ero riparato, ma non bastò.
La mia anima inorridita fuggì via e volò in cielo
frammista al fungo gigantesco che come un velo

sottrasse l’orrore allo sguardo di Dio, che, pietoso,
fece scendere una pioggia scrosciante a lavar
le lordure di quell’immane sfracello, ancora
ascoso alla vista dei più; beato fu chi alla prim’ora

morì; risparmiò sofferenze di anni interminabili,
cure inutili che il dolore non fecero passar.
La morte alla fine accolse pietosa questi insanabili,
poveri esseri che soli compresero come l’umano
fosse riuscito a portar l’inferno con un aeroplano.   

Homo sapiens
A morsi strappava la carne, smembrava la preda,
chino su di essa del sangue si ingozzava, poi
il sole si oscurò ed allora lesto corse via a carponi.
Al ritorno della luce, volse lo sguardo al cielo
e sui piedi per la prima volta si drizzò.
Incerti i primi passi, traballanti, poi andò spedito
ed in breve, anche se furono millenni, perse
i folti peli, si ingegnò a costruir arnesi in un
continuo costante progredire di cui neppure
s’accorse. Sempre più avanti, ma una cosa
sola restò: la ricerca appagante di nuove prede.  

Il senso della vita
Come nebbia che all’alzar del vento si dissolve
ci fu un giorno nella mia vita in cui tutto più
chiaro e nitido m’apparve, obliate le remore
del saper come potesse essere il futuro.
Ed ecco il cambiarsi delle cose, il mutarsi
degli aspetti, la certezza della fatuità dei
percorsi intrapresi, dalle effimere glorie
raggiunte sacrificando la mia identità.
Fu quando mi innamorai e d’esser riamato
mi accorsi: per qualcuno valevo per quel che ero.   

Baccanale
Insieme stanno ad ingozzarsi,
a tracannare il sangue d’altri,
mai sazi, avversari ed alleati
contemporaneamente, in una
continua e sfrenata orgia di potere.
Non c’è limite alla bramosia,
alla voracità: non esistono
principi per questi parassiti
dell’umanità. Liberamente
eletti, naturalmente inetti,
si fan chiamare onorevoli,
strano appellativo per chi
il senso dell’onore proprio non ha.

Gott mit uns
In un vortice di polvere attraversarono le vallate,
tutto distruggendo, le case date alle fiamme,
gli abitanti inermi trucidati, chi sgozzato, chi mitragliato;
le donne violentate e poi ammazzate, i bimbi immolati
all’orrore, le bestie razziate, le messi distrutte.
Una ferocia assurda, nessuna pietà, come orde
vandaliche distrussero gli altri per distruggere se stessi.
“Gott mit uns” era il loro motto, ma Dio non era
con loro, né con le vittime; in un angolo del cielo
teneva gli occhi abbassati, ripensava agli albori della
vita, a quell’Adamo che così bene aveva plasmato
e piano ripeteva: magari l’uomo non fosse mai nato.  

Buio e luce
Correva in sella al suo nero destriero,
sorvolava il mondo e tutto ricopriva
con l’ampio mantello.
Dinanzi al Signore delle Tenebre
fuggiva la Dama della Luce, anche
se da tanto tempo sospirava
d’esser raggiunta ed impalmata.
Amore impossibile sbocciato
all’improvviso, desiderio di
luce appagante e di buio acquietante.
Chiese invano al padrone del tempo
di poterla raggiungere e toccare,
mentre lei nel suo splendido
fulgore trepidante proseguiva
il suo cammino lucente.
E quando seppe la risposta negativa,
si sciolse in pianto e le sue lacrime,
cadendo, s’imbrigliarono nel nero
mantello del Signore delle Tenebre.
Ed è così che, luccicanti, in
cielo di notte stanno le stelle.   

Uguali
Nell’alba fosca di nebbia muovemmo i passi,
in fila per due, l’uno all’altro incatenati.
Penoso cammino verso la fine del nostro
destino, niuno per la strada, piedi pesantemente
strascicati, gli animi contorti, gli occhi angosciati.
Ed ecco sulla collina, allineati, i capestri a noi
riservati; ancora poco e poi, nel soffio dell’ultima
aria che sarebbe uscita dai polmoni, gli occhi
strabuzzati, la lingua penzoloni, l’orrido buio
del nulla, l’arresto del tempo, il termine definitivo.
Chi fummo? Uomini ignoti, vittime di altri
uomini, e che gravemente peccammo
chiedendo di esser loro uguali, delitto
tanto più grave, perché Caino non
può tollerare che Abele possa essere come lui.   

Notte magica
Notte magica, di stelle lucenti,
d’umanità assopita, di quiete infinita.
Sogno, ma ad occhi aperti dell’incontro
d’oggi, degli occhi di una donna
che hanno rapito il mio cuore.
Dolci, soavi, languidi, struggenti
hanno sconvolto il mio animo,
spalancato la mie mente a
mille gioiosi pensieri.
Non posso crederci, ma
in me ora alberga l’amore.  

Il silenzio dell’anima
Dentro di me c’è il vuoto
di chi è conscio che
questo mondo mai cambierà,
che l’ingiustizia sempre ed
ogni dove prevarrà.
E c’è il rimorso di
nulla aver fatto o
aver tentato per mutare
questa realtà.
E’ il silenzio dell’anima mia
che, sgomenta, ricorda
al cuore che il mondo
è senza amore.    

Dialogo muto
Mi guardo allo specchio e mi chiedo chi sono.
Non una sillaba esce dalle mie labbra e non un
suono giunge alle mie orecchie.
Riflesso vedo l’immagine di un uomo vissuto;
il peso degli anni si scorge nel viso; piccole rughe
contornano gli occhi, solchi che delimitano netti
un lontano passato e l’incerto avvenire.
Mi passo le mani fra i capelli, sempre più grigi
e mi illudo che il vecchio dinnanzi a me sia
una traslazione della mia mente immaginaria.
Che ho da dire? Nulla, quello che stato è stato.
Una vita come tante fatta di ricordi che il tempo
svanisce, soffoca, disperde.
Come un ciocco che brucia lentamente
mi trascino nel percorso segnato dal destino.     

Rosso scarlatto
Rosso scarlatto, dilagante, svenante;
inzuppa la terra riarsa, gronda dai rami,
trabocca dai monitor, stempera sozzamente
l’azzurro del cielo, il blu del mare, il verde
dei prati, il bianco dell’anima pura.
Ogni giorno sprizza da corpi sventrati,
a lunghi fiotti che si ramificano lungo
vestiti stropicciati e sempre più velocemente
ricopre questo mondo di odio esasperato,
di respiri soffocati, di libertà represse,
di incivile civiltà.   


E l’acqua si ritrasse
E l’acqua si ritrasse inorridita,
portando con sé coloro a cui aveva tolto la vita:
un campionario di umanità per la prima volta
nell’immensa tragedia finalmente unita.
In cielo ritornò il sole ad illuminare lo scempio,
case distrutte, vegetazione divelta, ed a migliaia
cadaveri emergenti dal fango, le braccia protese
verso una sperata ed impossibile salvezza.
Il mare ridivenne l’amico di sempre e lenta l’onda
prese ad arrivare alla riva, portando seco corpi
disfatti e martoriati, che allineò sull’arenile devastato,
un esercito di ombre ritornate all’agognato suolo.
In un mondo di guerre, di atrocità dell’uomo sull’uomo,
la forza tremenda della natura ci aveva ricordato la
nostra caducità, ci aveva fatto scendere nuovamente sulla terra.
Disteso sulla sabbia un bimbo immoto stringeva nelle mani
un ramoscello d’ulivo.   

Tre atti, una vita
S’alza il sipario, il velo è strappato
ed al mondo un nuovo bimbo s’è affacciato.
Porta con sé l’innocenza di chi ancor vissuto
non ha, una speranza di chi ancor caduto
non è nel vortice senza fine dell’umanità,
ma quanto prima anche lui non sarà più rarità.

Cresciuto in fretta, istruito ed educato come si deve,
ben presto quell’innocenza al sole del sapere come neve
si scioglierà. Uniformato ai desideri, alle regole della civiltà,
sarà finalmente uomo, ma non se stesso, perché per viltà
la ribellione sarà per lui solo il desiderio insoddisfatto
di tutta una vita condotta da libero e non da coatto.

Da vecchio penserà a lungo al suo passato, alla mancata
occasione di vivere l’originaria libertà, tristemente sprecata
per far parte di un mondo che mai l’ha soddisfatto,
che sempre l’ha usato, ma adoperando quel dovuto tatto
che tanto credere gli ha fatto che presto qualcosa sarebbe cambiato,
con l’unico risultato di rimpiangere d’essere nato.    

I due cavalieri
Il cavaliere galoppava sul suo bianco destriero
nella verde pianura del tempo andato: passo
dopo passo ritrovava le prove della sua vita,
la casa dov’era nato, il giardino dove aveva
osservato le farfalle posarsi sui fiori, il sorriso
intenso di una giovanetta al suo primo ardire,
i limpidi cieli che si rispecchiavano nelle fresche
acque del fiume silente, il lungo vallone
dove tanto aveva cavalcato con il vento nei capelli.
Al bivio della strada fermo un cavaliere nero
l’aspettava, sollevò il braccio come per fermarlo.
Il bianco cavallo si imbizzarrì e disarcionò il suo
cavaliere; e mentre cadeva vedeva il sole spegnersi nel
cielo, il buio della notte incombere su di lui.
Protese invano le braccia, mentre si spense anche l’ultima luce.  


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