Quando cade il
proprio tempio
e la bussola sull'altare rimane intontita
ecco le vene scoprirsi,
ecco lo spavento dei muscoli.
I volti stranieri sono volti antichi,
emersi dalle ere trascorse
nel presente che si fa sogno.
Sensibili all'adolescenza
che espressa nei corpi,
con i suoi tipici gesti
è fiamma che infiamma la vita.
Mi trovo stupito dall'affetto di chi
da lontano non noteresti neppure:
l'umanità è un mistero,
la mia umanità è un mistero
che si risveglia da sola
come gli arcani del mondo
al profeta, al vagabondo.
Quanto abbiamo bisogno degli altri
e soprattutto il nostro egoismo,
lo spazio che le altre nature ci negano
è la marea che riempie le lacune del proprio
spazio.
La tristezza vale, la rabbia vale,
abituato al mare e al suo silenzio discreto,
le altre voci umane che prendono l'aria
e sembrano rubarla,
ci soffiano invece sulle labbra,
senza pudore, fin dentro al midollo
per ridarci una vita.
Lettera alla luna
È perché tu non puoi riceverla, che ti scrivo
questa lettera,
poiché ciò che scruto è uno specchio nel mezzo
di un ampio antro,
le cui famose voci cercano tutti.
Si sa che ormai la tua gloria è fiaccata
che il tuo nome è abusato da falsi poeti,
forse riscoperta da qualcuno in miracoloso
stato di grazia.
La vecchia posta più non funziona,
e la tua buca è vuota da tempo.
Tra breve non avrai più niente da nascondere
e sarai solo un'anziana vicina taciturna e
spiona.
Tutti i sogni hanno strappato dalla tua
superficie
e siccome senz'acqua, ancora più indegna
d'attenzione,
triste è il tuo tempo luna, che solo un lungo
silenzio di uomo solo
potrà redimere. Tu saresti di nuovo simbolo e
meta,
avresti di nuovo espressione e segreti, ma ora
sei solo
la luna di fiacchi poeti e astronomi alle
prime armi.
A volte diventi ridicola, quando ti impregni
di rosso
in certi tramonti d'estate oppure ti inventi
un'eclisse
per attirare l'attenzione, e per il resto del
tempo
il tuo bianco silenzio è distante da ogni
umano pensiero.
Ora io luna, non ti prometto nulla,
ma se è vero che tu insegni di te stessa,
lo sguardo distante e il candore, aprirò una
strada,
mi và di farti un favore, e nel tempo, senza
ansie
cercherò con la pazienza nell'occhio le tue
mille maschere
e sognerò una Eldorado nel folto nero dei tuoi
capelli.
Armenia
(il giovane poeta annoiato)
Senza l'ipnosi delle onde
avremmo paura
di guardare negli occhi il pomeriggio.
(il narratore di bel-niente)
Armenia accende il fuoco-motore di una piccola
mongolfiera di carta, il suo rosso sale,
ondeggia chissà dove.
(lo sguardo antropologico)
Gli anziani e i bambini
si godono seduti sopra sedie di vimini
la frescura del tardo pomeriggio
sorseggiando gassose
e rumorose risate.
Gli anziani spiano avidamente chi passa
i bambini rompono il caz…
"Se saltelli io saltello.
Tu stai ferma? io sto fermo." - si
sfottono l'un l'altro -
(la madre ubriaca di sonno nel sogno)
C'è della cenere sui tuoi pantaloni…
hai fumato una sigaretta distrattamente.
No! Torno da un falò.
Farai bene a lavarti per lungo tempo,
emani odore di carbone, hai il viso sporco,
caro minatore della notte.
(il narratore di bel-niente)
Suona un bel tamburo
in concerto alla banda,
che insieme alla santa
sonora attraversa il paese,
il quale si ferma un po' a guardare. - era già
immobile -
(un'ape attardatasi sul lavoro)
Armenia vive tra i papaveri,
sorge verso il tramonto soltanto,
stendendo il tappeto alla luna,
Armenia canta, che perderesti
il treno della tua vita per ascoltarla,
lei è la civetta, l'erbaccia cattiva,
lei è una mora un rovo un baobab.
Il raffio
Bello mio!
Son già partiti i pacchi…
e i muri sono bianchi hihihi!
Dentro le valigie che andranno via con te, ci sono io,
c'è un pezzetto di me.
Io, non porto valigie, ma sempre, il mare,
per questo io non sono mai in viaggio.
Faranno altri palazzi, e dirò stupito
come gli amici e le amiche lontane dei genitori:
"com'è cresciuto! com'è cresciuto…io me lo ricordo bambino…
come passa il tempo!"
(ci sono nuovi libri nel salotto)
La notte, non so più se desidero che finisca o non finisca,
che insoddisfazione!
Il mio mondo fragile e personale,
deve arrivare! sennò scoppio!
(mi importa del mondo degli altri, se il mio è
solido…altrimenti…mi rode)
Viene il tempo che conto i soldi,
e magari mi preoccupo se sono sottopagato per un lavoro
mediocre…
mannaggia…se fossi ricco, sulla mia barca,
il mio mondo non ci sarebbe bisogno di invocarlo
o di lottare, sarebbe come le onde, solo solo
verrebbe a me, a coprirmi di una gioia…
che poi posso dire di tutto (di tutto!): "CHE MI FREGA!"
perché sarei un leone…altri tempi(?)
e ora una canzone…una bevuta
magari il sole e poi la luna!
Conosco bene i colori che vorrei
la dolcezza giusta il tono la passione
ma il vino basta, non lo voglio,
voglio correre con la ragione.
Bè, sono stanco come un tonno sotto la barca
che vede di sbilenco il raffio e pensa :
"mannaggia a sta fame zozza,
m'è piaciuta la sarda e mo mi tocca!"
Dopo molte pagine
Dopo molte pagine, ancora altre,
ancora altre, dopo molto pagine,
Stolto topo (motivato da unanime precarietà)
si uccide, si uccide…
i sindacati scioperano,
infausti baci
infausti baci, e così via,
nella camera al dente
di presenze istituzionali.
Avessi na chitara come dico io
gliele suonerei…
(ma pure dolcissime và!
malinconiche come le sputo io…)
uno due tre, dormono,
contano i mille sulla collina,
dormono, nel carcere, dormono, le vecchie
canzoni.
Una birra, non rido…
e no non rido, sorrido se volete, ok, ok…
sono lontane per me!
(erano i vostri pomeriggi, le vostre sere
ero nei miei, nelle mie,
che non posso dividere
come fate voi, ora)
Anita urlante spara colpi in aria
urlante eccitata viva. (Anita)
Picchia pulcinella! picchia sulla collina…!
dove a volte la notte sale una nebbia,
dove una volta ci si infrattava, dove
Anita urlante sparava colpi in aria
urlante eccitata viva. (Anita)
Bruxelles
Come e perché?
Del mistero degli altri che ne sai?
Dal tuo porto non vedi che i tuoi moli,
il caffé il tuo mattino la tua terrazza.
E io? Non sono un pagano
nella tua Babilonia,
perché non mi perdoni?
La testa ha tante monete per il suo mercato,
ma io ho seta e spezie da un oriente
che tu non conosci,
dalle mie parti l'acqua risale i fiumi,
e il sole assume traiettorie improvvise,
il suo viaggio consueto…altro che essere
rassicurante!
La luna chiama i pesci alla superficie,
e nuove scogliere nascono
di pietra molle dalle frane
e nascono grotte sicure
e non vuoti che intimoriscono.
Una volta un pirata
mi donò un isola zeppa di mappe,
senza tesori, mangiavo il cocco
e dentro le noci trovavo le anime
colore del latte tropicale dei beachcombers!
Aveva una gazza mio nonno
che sapeva giocare a tressette
e non gli domandò mai
delle forbici che usava
per pulire le sarde.
Al giorno fa male il suo callo
Al giorno fa male il suo callo, la luce.
Per il suo fato la nebbia, le nuvole, una
febbre
sono la sua benedizione.
Alla notte fa difetto il suo callo, il buio.
Per il suo fato le stelle, la luna, le città
sono la sua benedizione.
Potrei fare un elenco, ma lo risparmio.
La Basilicata è bella, terra di roccia
e di aspirazioni provinciali,
io telefono e nessuno risponde,
e la notte avanza verso il sonno consueto
implacabile che ci costringe a fermarci.
È certo, perderò per strada
Qualche amicizia affettuosa,
ma l'uomo presto si abitua,
la finestra si apre o sbatte
con indifferenza, seguendo i capricci del
vento.
Che strano pasticcio
quest'abitudine e questa straordinarietà,
questa immensa opera misteriosa,
questi cambiamenti questa ripetizione
che a volte ci fa sentire saggi
protetti forti, capaci di affrontare
il dolore con la distanza sicura
dell'intelligenza.
Ora, i sentimenti hanno voli brevi
come le parole al mattino,
e non come quelle impazzite della sera.
Le bestie, le bestie sono il mistero
le piante stupide nell'orto del vicino
il mare stronzo
il legno delle sedie i tessuti il frigorifero!
I gatti guardano la
pioggia.
I gatti guardano la pioggia, e poi mi fanno
incacchiare
Passa il treno, ripassa il treno e mi prude
una coscia.
Tra il vino e il sonno la mia fiducia,
la mia rabbia contro la debolezza, contro la
poesia (…)
se piovesse tutta la primavera e l'estate
per scoraggiare i turisti…
e se mi arrivasse quando desidero il pesce
fresco
e le rondini ad uno schiocco di dita,
per tagliare il cielo con una pennellata
d'acciaio
di uno di quei colori che ci fanno pensare
in qualche modo alla bellezza…
i gatti dormono, si rotolano, mangiano
chiedono ignorano
e il silenzio delle stanze della città non è
mai abbastanza lungo
abbastanza denso da penetrare
come fa l'acqua del mare a giugno.
Come i sassi gettati nei luoghi morti dei
campi pietrosi,
ma loro vedono lo spirito santo (!)
le rare serpi ormai (che ho solo intravisto,
nei pomeriggi in compagnia della pantera e del
mio sangue)
e il sole più alto vedono
e i fulmini più luminosi
la pioggia più gaia la notte più dolce;
ma il destino della mia specie è diviso a
metà,
tra mare d'inverno e spiaggia d'estate.
E io che devo fare? Attendo il destino con le
braccia aperte
sopportando il dolore di frecce che saranno
scagliate,
ma quel dolore, in realtà, è solo l'estasi che
desidero,
è il mio peccato continuato.
Antiche passioni
Tra montecitorio e il colosseo c’era una
nebbia di burro.
Sulle mani non ancora il sudore di giugno
e io pensavo distrattamente al mare,
alla pace di un caminetto acceso sul mare.
Potrei scolpire il legno o la pietra
creando figure della fantasia
rassomiglianti alla realtà,
potrei telefonare ogni ora
per organizzare qualcosa d’importante, sono
mezzo ubriaco.
Ho nostalgia, del vento, sulla spiaggia,
fresco,
di lavarmi il viso come un pazzo
alle undici della sera con l’acqua del mare.
Disegnerò una conchiglia, un flauto un falco
variopinto.
Sono io quelle onde e tu sei la spiaggia.
J.E.
No cerchio
"Io lo trovo disgustoso!"
E la chitarra suona e si ritrova
nella grotta-scarpa-rotta…
gianduia e pistacchio sono ottimi consigli
del bravo gelataio, e fritta è ormai la tenda
che salvava la pietanza dalla muffa dei vostri
occhi…
"Suona la chitarra come un mito!" ma
dietro i cespugli come tutti si sbottona,
io lo trovavo disgustoso
prima di vomitare sopra le tue scarpe!
Accipicchia com'è di moda l'anima!!!
Io pensavo fosse svalutata o fallita,
l'ho forse sottovalutata dunque forse
probabilmente all'inferno io andrò,
ma si ma no matto non sono se non sono nei
guai;
travaglia la coda della sua pipa
travaglia travaglia come una nuvola
e balla e salta quella sua fronte
le gote le braccia che candido amore!
Ma lenti pesanti sono i suoi passi
io nel laghetto …mi pareva accogliente!
se non si sbriga
ci affogo con niente!
(Il coro dei danzatori)
Strade aperte e sgombre per gli istrici!
Più piscine e più ricambi per gli scogli!
i tamburi sbattevano e sbattevano
come una tribù di bisonti al confine con il
New Mexico
e il rumore di piatti rotti del capodanno di
Parigi del 1921
nel culo della danza
le mani dei suonatori sanguinavano già,
a furia di abbattere mura e rocche con la
rabbia e l'incoscienza;
Alfredo, ballava sull'asfalto grigio topo del
sud,
nel tripudio di gente e nel diluvio del
sudore,
i grilli dalle campagne tenevano il ritmo
veloce,
fumando sigari più lunghi delle loro antenne.
(il coro delle danzatrici)
Grandi pranzi e grandi doni per chi si
mariterà!
Grandi uova e campane per chi fugge
dall'amata!
Sotto i piedi zozzi e spellati sta l'amore
sulle schiene umide e puzzose sta la musica
negli occhi rossi dilatati molto vino,
lontani i sogni dei bambini delle nonne,
sta musica è bella!!! Proprio bella!
E i corpi? I corpi interi di seme e pasticci?
i corpi pieni come botti
di mosto e batteri,
i corpi in alchimia di sabbie fini
i corpi che hanno lasciato
la testa sopra il ponte dei tremori.
Destro e sinistro, e treni sparvieri pullulano
mostruosità aritmetiche per trecento
e una santa folla diretta a sera col carbone
che brucia brucia!!!
Torri, e di guardia agnelli
di vedetta polli malati
strilli in cantina vermi per terra.
Nella triste fiera dei
pazzi di paese, tenutasi
l’anno scorso presso il convento di S.Pasquale,
vidi un cane, che pareva un prete, camminare
ciondolando con del pane sotto ai denti.
I sentimenti del condannato, col quale quelli gigioneggiavano,
furono assolti perché rientravano
nell’elenco delle possibilità costituzionali,
e i mente-ratti risero fuor di questione
di questa risibile novità, tanto a quello chi lo salvava?
Io, per me, non ci credevo,
lasciavo cascare tutte le arance fuori dal sacco sfatto
che un giorno la nonna contenta, era il mio primo, m’avea dato,
per partecipare alla gara dei sacchi
che si teneva davanti al convento di S. Pasquale.
L’elenco fu ritrovato con dei pezzi di pane tra le pagine consunte,
mentre il prete con la faccia da cane
spargeva l’incenso per la messa del venerdì santo.
Lui, per sua fede fortissima,
non volle assecondare il referto del pubblico dominio,
ma l’interessato convenì che non se ne poteva,
e fece delega a sua zia di portare la farina in sua vece,
le pittule non potevano aspettare! così fece
e addusse che le muse non poteano disporre dell’anima del poeta,
soprattutto dopo che questi si organizzarono in sindacati,
addirittura rivendicando diritti e affibbiandosi doveri…
(più vicino signori! questa è poesia vera!
convincetevene, non sentite il verso il ritmo la rima,
il profondo ammiccamento…?)
Nel pozzo, successivamente furono ritrovate
le prove schiaccianti del deus ex machina,
che un giorno fece di quelli là, ciò che erano,
e del condannato ciò che non poteva.
Io, per parte mia, mi dissi d’accordo,
bisogna prendere atto della situazione immantinente
e cercare di riorganizzare ogni cosa al più presto
visto che il tessuto per le vele scarseggiava
e anche gli sfruttati volevano i diritti.
Il generale piombò come un aquila nel bordello
dove si teneva la riunione della comune di Cartize,
mentre appesi a panza all’aria fuori,
che ormai notte era, i pipistrelli facevano la guardia.
Disse e ripeté quello che c’era da farneticare,
con la solita voce in falsetto.
Egli, finito che ebbe, non poté credere ai proprio occhi,
tutti gli astanti si erano tramutati in ostriche.
Mandò in aria un lungo fischio acutissimo,
i pipistrelli disparvero e tornarono poco dopo
con dei sacchi pieni di limoni che gettarono ai piedi del generale:
cominciò, lui, il suo banchetto che durò tre bellissimi giorni.
(signori prego avanti! questa è poesia pura!
convincetevene, non sentite il verso il ritmo la rima,
il profondo ammiccamento…?)
Arciduca mio, da quanto tempo, non la sentivo,
via gastro-telegrafo, lo sapevate
che il generale si è fatto una memorabile scorpacciata
di ostriche con il limone,
e a noi non c’è restata nemmanco la schiuma di mare?
No, non lo sapevo mica… Minchia…dobbiamo organizzarci…senti caro,
io per me ho già ordinato du milioni di nasse dalla Svezia
per pescare qualche cosa, il mare è grande è vero, ma qui se magnano tutto….
io , per quanto la mia signoria,
non abbia in stile di immischiarsi con le forze militari,
ordinerò ai miei industriali della guerra di costruirmi delle bombe di
profondità.
Così cominciò la gara agli armamenti,
chi nasse chi ami chi bombe chi cuenzi chi reti
chi drifting chi spinnig che casting di stromenti per la cattura!!!
Io, per me, m’ero premunito,
mi sono fatto in cantina un allevamento,
sono il loro dio, controllo con le stagioni l’accoppiamento
e l’aragosta non manca mai sulla tavola mia!!!
(avvicinatevi signori! questa è poesia grande!
convincetevene, non sentite il verso il ritmo la rima,
il profondo ammiccamento,
non sentite il lavorio della mente
il valore del profondo sentimento??!!…)
C’era una torre sul
mare,
e un serpente spaventato
che disse:« Ulisse tornerà
con la sua nave senza schiavi,
per mettere sul trono
il figlio, e lui, accompagnato
da un fischio grave
e allegro di flauto,
scomparirà tra i sassi
bianchi delle sue colline».
C’era una barca,
costruita da famosi
artigiani dell’est,
guidata da un uomo
grande e semplice,
che navigava solitario
sulle coste della sua terra;
ebbe, in una calda estate,
una figlia stupenda,
da una dea vestita
d’alghe e coralli, che andò
in sposa a sedici anni
al Re di Francia.
C’era un enorme pino,
sotto cui si svolgevano i processi,
con gli occhi dei giudici
che non si fermavano
sulle carte o sul viso dell’imputato,
ma che spaziavano verso gli orizzonti,
prima di parlare.
C’era un tasso zoppo
che sapeva storie bellissime
sulla caccia degli uomini,
e volpi aristocratiche
che cantavano la decadenza
della loro stirpe.
C’era un silenzio,
che rapiva i corpi
che sapevano attenderlo,
c’erano onde più vive
spiagge più lunghe
improvvisi acquazzoni
tuoni di tulle, maggi di spose,
c’era una strofa
che mai terminava una pioggia
una cosa che non saprei ridire,
e poi quel salto assassino
che fecero i bruchi
nel dire "allelluja"
mentre s’alzavano
i muti gigli della primavera,
c’era come sempre la sera,
e i gerani sparsi dovunque
sulle case dei paesi,
e la pietra ammuffita
nei campi di chiunque,
e graffiti che attendevano
di essere scoperti
e pertiche che strisciavano
sopra alberi infiniti,
c’erano liti tra etnie coloratissime
c’erano zuffe all’uscita di scuola,
c’erano è un presente
in cui ci si abbandona
per non perdere il presente
che ci divora… |