Poesie di Marco Verrillo


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Nato a Napoli il 18 09 1978, in possesso del Diploma di Perito meccanico, Marco Verrillo è iscritto al terzo anno del corso di laurea in Lettere Moderne presso la facoltà di Lettere dell’ Università degli studi di Napoli “Federico II°” – Corso di Metrica e Latino col Poeta Bruno Jannoni. Attualmente segue il Corso di recitazione, regia e dizione presso l’Associazione Moda Italia di Pompei(Na). Ha scritto oltre 150 poesie dal titolo “Cose che dicono niente”, il romanzo “Maelio” e il testo di filosofia “Confessione di un vecchio bugiardo Misantropo”.
Si dedica a calcio, pallavolo, basket, lettura, musica (soprattutto Pop, Jazz, HipHop, R’N’B).
Ha partecipato a vari premi di poesia di rilievo regionale e nazionale, e, in qualità di attore, alle commedie: “Filumena Maturano” di E. de Filippo (personaggio interpretato: Riccardo) con la compagnia teatrale dell”Associazione Moda Italia” e “Il morto sta bene in salute” di G. Di Maio (personaggio interpretato: Ludovico) con la compagnia teatrale “Ma chi m’’o ‘ffa fà”. Ha ricevuto una menzione d'onore ed un premio speciale al "Premio Internazionale Città di Pomigliano d'arco" patrocinato dal Presidente della Repubblica; ha partecipato come Guest Star alla fiction "La Squadra 8"; è presente, con delle  poesie, in alcune crestomazie della Romania ed ha partecipato come giurato di qualità e poeta narratore al Premio Totò con Liliana de Curtis.
Numerose sue poesie sono state pubblicate sul giornale “L’Idea”.
Creatore del nuovo ismo poetico-filosofico denominato “INTIMISMO”. Tra breve uscirà un CD poetico-musicale, dove appunto Marco presenterà, in breve, l'INTIMISMO e dove saranno inserite alcune poesie sue, alcune del poeta Leonardo Romano, della giovane poetessa Lù e della grande poetessa Tina Piccolo.
Blog:  www.cosechedicononiente.blogspot.com

Leggi i racconti di Marco

Cose che dicono niente

Ho visto foglie cadere
come pezzi d'anima
lacerata nei sobborghi
gente redenta dalla fame di un digiuno
carni purificate dall'acqua
e la forma di Dio
venduta nei mercati.

Ho sofferto l'infamia della noia
La bellezza di un amore
ed ingoio un altro autunno
solo, inattivo

nei raggi di sole
che prudono di vita.

È sera
gli occhi mi tormentano d'oscure forme.
Sorrido come i matti
come gli stolti, gli insolenti
come chi della vita ha bevuto il veleno impazzendo.
La vita:
cieco marco ammalato di respiro
e cancerosa coscienza!

Appunti di una carovana
Nitido silenzio
lo palpo, lo sento addosso
come la febbre - crudelmente vivo-
netto: un colpo d'ascia nel legno.
Sto qui a consumarlo con una sigaretta!
La notte è una coltre lucente
immersa negli occhi che annegano nell'universo.

Una notte.
Svelta, lesta agile
la mente ebbra veneggia
nella calura notturna
ventilata da morbidi soffi vespertini,

assopita – in istanti cosmici –
distrae il volto dalla notte
e vedo il giorno
i soli mattutini
cieli glauchi e verdi boschi
che armonizzano gli eventi.

Una notte senza anima né corpo
pavoneggia i suoi mantelli lucenti

ronzando sul mio sguardo
che in un delirio imperituro

agogna il dolce siero della morte.

Fosso
Esausto di stelle
covo morte nella terra.

Antro dopo antro
m’adagio in dimensioni nuove
in freddi umori
in passive fasi di riposo.

Qui,
l’inno dei pianeti tace
ed il bagliore dei cosmi
è un oblio di forme nude!

Da Cose che dicono niente

Febbre
Abbarbicata sulle vertebre
Febbre!

Come tacito monito
dischiude il tossico umore
nell’intimo,
nella carne
nel cervello.
Un delirio intenso
consumante
un pensiero ossessivo
un soffio notturno
una carezza di demonio.

Una forma gigante
un fluttio di pendoli antichi

un’anima di sogni
repressi, incompiuti.

Febbre come vivere!

Diario di un topo
Trascurandomi
sto in periferia
- luogo sconsacrato-
fumando illusioni
come questa sigaretta
che sento appena nei bronchi

annego in un silenzio di pioggia.

Mi trascino negli anni.

Dialogo Calante
Questa notte è una tazza d’arsenico.

Mi spoglio d’ombre.

L’ordine distratto delle stelle m’esaspera,

la luna s’ammala di sifilide,
il cielo è nero di ruggine
ammuffito di bragia ed amaro come l’inverno!

L’altro fardello delle cose
peserà sulle spalle
come questa callida sera
che mi riveste di morte!

Riverbero
Questa notte afosa
circoscrive la mia solitudine nell'universo
ed un approdo di malinconia
si fa silenzio di stella,
bagno cosmico d'eterno caos
e tormentato tormento di vita!

Una nota
Impavida
la sera
impone un soliloquio di luna
- tra le stelle la farragine di sogni illusi
ed una fresca realtà notturna
che gonfia nell'anima-.

A poco a poco consumo
come il cielo le nuvole!

Da Cose che dicono niente

Storia d' una spiaggia innocente
L'acqua vela il tuo corpo
lo scopre,
agitato
- bottiglia vuota-
tra la risacca che cresce ed abbandona la sabbia.
Profumi di mare
del mio mare!
Hai cadenza delle onde
il sorriso sgrana nella spuma
saliva e schiuma mi baciano in bocca
e stringo il corpo
come tenere una conchiglia bianca nelle mani umide
ma tu sei bruna
hai pelle d'oliva ed acqua viva per occhi
le gambe - tronchi di noce-
e l'oro di Buddha sulla fronte.
Il mistero del crepuscolo sulle labbra
la notte
profonda, salmastra, odorosa, universale
del tuo sonno che mi respira accanto.

Cera bianca.
Plumbei ricordi;

stranamente il tuo tronco si curva
e suda gocce pesanti.
La fiammella stressata dal soffio
è un fluttuo ubriaco

effonde sbuffi di fumo nero
che raccolgo con mani
consce di non raccogliere nulla.

Stranamente il tuo tronco si scioglie
e in quel mare solido di materia cerosa
mi ritrovo passivo affondato
immerso dalla bruma invernale
dall'essere più niente;

statico come fossile

incerto come domani.

Crepuscolare.
Annichilito dall'eccesso
trascino i fardelli della mia stoltezza!

Mi sciolgo mestamente
come lunghi ceri votivi d'una cappella!

Caino.
Dispiegai le braccia - intento a sfuggire dal martirio
che stringeva il corpo-
come un indemoniato ringhia
tra le mani d'un esorcista che sgrida l'orrida creatura!

Dipanavano nell'aria ancestrale
miasmi di panni umidi e paramenti sconsacrati,

fiammelle di candela - in cerchio -
trascrivevano il verso del peccato!

Nella stretta lucente m'inginocchiai
- storpio di falli, singhiozzi e noia -

docile come bestia domata
ghignavo ugualmente
come se avessi vinto,
come se qualcuno godesse del mio peccato!

Attonito: Sabrina.
Ampio e lieto
dilago i sorrisi

li dispongo nei discorsi d'ognuno.

Intento a carpire le sue profonde parole
mi distrae un taglio di luce
che le sferza il visetto
- esile e bianco -
ritagliandolo in forme ordinate e vezzose.

E la grazia dei suoi occhi
vispi e attoniti
ai miei gesti goffi e grevi, sinuosi e sconci, folli
sgrana nel cuore avido di lei!

Magro - come le sue dita candide -
un nuovo sospiro fa breccia dentro
e punge d'un rigoglioso gemito
l'alito che ansima il suo respiro!

Anna
Piangerò il tuo nome
sino a quando gli occhi
non saranno che delusa polvere sparsa,
freddo marmo incavato di nulla!

Fonderò la carne alla terra
ricostituendo l'archetipo principio
e t'odierò così come t'ho amato:
rinascendo!

La barista del nord
Il tocco sottile degli occhi
-trappole di seta-
suona acciottolii di tazzine sul banco
e mani con monili
bagnate di caffè
cicchetti di grappa, calici di bianco
brillano sul volto come ubriacarti.
Il bar di sera
brulica di elminti sulla carcassa
intorno al tuo corpo che si scopre con le stagioni
col caldo della folla
le tue spalle seminude fendono sguardi
come chiglie nell'acqua
e bevo,
bevo
ti bevo e bevo
ci bevo su
hai l'odore dell'acool
e ti bevo
bevo
l'acool ha forma della tua bocca
ci bevo
e prendo il bicchiere del tuo corpo che porto alla bocca
e bevo ci bevo
ti sento nel martini
rifinita come vetro di Jack
e bevo ti bevo
ti porto dentro me
nello stomaco che brucia
nel torbido cervello
nel rientro tormentato di sbornia
                          tormentato di te.

Venivo giù
-brivido lungo la schiena-
lacrime dal volto
come scendere scale dei palazzi fatiscenti di periferia che m'hanno temprato
pioggia d'avorio scintillante sul golfo
notti piene a Mergellina
giorni vaghi al bar
sbornie premature e non smaltite

come tornare da lavoro

appoggiato ad un pensiero di mille pensieri
ad un volto di mille volti
a parole d'una parola

come dopo aver recitato

nell'alba e nei tramonti napoletani
che non vedo più.
Come clacson ai semafori rossi
risse d'una vita intera
fuoco della terra vesuviana
come il mare trascurato a Pietrarsa
come te
che tocchi accordi e risuoni armonie
nel caos delle mie note arrugginite,
a te che sei presente nell'assenza
sole sul volto sbiadito
note
note di note su note delle mie note arrugginite.

Paesaggio anonimo sulla mia donna

Sull'orizzonte
dolenti ferite di carbone
svernano
- trascendono vapori gonfi di camomilla -.

Negli occhi innevati
sonni di cervi
e abbarbicanti macchie di luna
- vivide, lucenti, corpose, impassibili -
tracciate da Dio in due ellissi perfette!

In sincronica armonia con l'universo
il suo respiro pavido e infinito
- disposto, decretato da volontà superiori -
dipana fragranti fruscii nel bosco,
sul mio corpo avido di lei!

Ogni suono delle labbra
è miele sui rantoli del morente
è un ordine diretto della creazione

è l'anima mia rivolta alle voluttà eterne!

San Nicandro: "Areta 'a cupa"
Chistu vico?
Me l'aggia fatto 'e tutte 'e manere:
drogato, nnammurate, friddo,
assetato, acciso, stanco 'e fatica,
ca merda n'culo
e ansiuso e sole, e vita

ansiuso ca 'sta sfaccimma dda gente
chiù ampresse adda murì!

O' sciato c'aggia iettate n'cielo,
a pisciazza n'facce' e mmure
e sputazzate n'terra
e mazzate che cumpagne

e cumpagne ca so muorte
primma ca matina sagliessa n'ganne!

E paravis 'e fummo
e piste 'e gesso
a malincunia d'essere omme
quanno sta capa sballata aizave n'cielo,
quanno sti stelle m'aggiravene dint' a l'uocchie
quanno' o' turmiento d'essere omme
me pesava dint 'e palle!

Saglie,
cammina pure tu pe' sta cupa' antica,
pe sti mure sfrantumate
ca se spognene 'e resate, e omicidie;

adduorme 'o pensiero quanno o' cielo chiagne
dignenno 'a via 'e chianto
allagann cu nu ciummo niro
chesta via
e tutti quanti!

Nun cerco rime
nun trove pace "aret 'a cupa"
c'ancore suspira
è viva
e tegne 'e mistero stu rione
c'aspetta ancora sta furtuna
ca nun vene!

Ho solo tracce d'iniquo silenzio
e tu che sei il riscatto dei miei trent'anni,
il dolce logorio delle mani sul viso
-l'assurdità d'amarmi -
la chiarezza e la fiducia degli occhi
che mi seguono ovunque
anche quando bevo nell'inferno
ti temo, mi ami…

Ti dedico l'onestà d'un uomo
Il rispetto di un folle
la parola di un'arte
il compromesso d'un poeta

ed un sincero unico sorriso
che per te vale più di queste parole!

Ho digerito i lunghi anni di periferia
nei primi sprazzi di questo autunno lombardo
smaltendo l'ultima sbornia
nel nuovo letto caldo d'amore.

Ho condannato al cappio al follia
Inchiodato al muro,
in scaffali di plastica la mia arte
ed ora vivo soffocato
da questa normalità.

Inda,
l'inverno sarà duro come la tua pelle nera
- riluce-
e vasto come il tuo sesso.

Essenze
M'hai forgiato nella fiamma
ed il mio pane di fango,
le viscere inique
la mente ebbra,
il mio naso gonfio e dipendente
la bocca devota all'Ades - il mio sangue vermiglio-
l'hai mondati col verbo del tuo nome.

Dio sei assiso negli occhi languidi del pentimento,
nel cuore che pulsa risvegli
e nella pace ròsa e ferita da morsi infernali:
sei la redenzione del peccatore,
la mano cancerosa guarita
l'acqua del tempio e l'oro del mio lavoro,
sei la sete ed il ristoro
l'arsura e la pienezza,
la completa armonia
e giusta ricerca verso l'infinito.

Hai infuso in me il vigore della tua resurrezione!

Taccio e mi risveglio nel tuo nome!

Quando ti guardo
Hai infranto il mio ozio
sul tuo sorriso: un raggio di vita!
Mi percuoti di sesso con gli occhi.

Annuro.
Guarda,
dint' a' sti vene ancore scorr' o' sanghe
e chi patisce e magna collera!
e chi o' veleno - allero cumpagno 'e vita -
so port dint' a sacca
e freme e geme pe vase ca nun have
ca nun ha maje avuto!

Che t'aggia dì guagliò:
tutto te cunsuma
e tutto te cunsola!
Io, proprio io

ca sciato erva verde
e me tiro 'a povere do cielo.

Pe tramente o' cielo se spoglie,
se fa niro
- niro comme o' male,
niro comme a' morte
niro comme e' peccati miei ! - .

O' russ se fa scure
chistu sole trapassa
rét ' a stu vulcano senza faccia,
senza vizi
ca nun chiagne,
ca nun fa rummore;
rét' a sta muntagna verde
ca se tegne ' e fuoco, e oro
e pò more
nzime a stu juorno ca se ne và!

E annuro accuso sti fronne' e' sole
ca nun cocene chiù!

Quanta vita adda passà
pe vedè dimane?
Quanta juorno' e' merda anna passà
pe truvà e sapure c'aggia perso?

Fantoma. Nunzia
Ora che rantolo vedo il mio destino
ed il futuro è nel palmo di mani
e un bicchiere di rhum.
Segregherò vizi, noie, le tante fobie
e vagendo vivrò per vivere.
Nel vino ho rivisto la mia immagine,
nella tua bocca il resto dei giorni!  

Ad una scostante peripatetica
Venderei la mia autenticità
- rinnegando l'arte-
per la vividezza dei tuoi occhi
e per la tua verginità
che custodirei come un furto di un quadro di Blake:
indissolubile d'eterno.
Vorrei mordere un tuo desiderio
ed ingoiandolo vederti ridere!  

Ripercosso da un fauno
Nel silenzio della notte ho sciolto un nodo
ed il brusio ha scosso un eco
- dolce e fragoroso come il vento sulle foglie -
simile ad un sorriso.
Allora ho atteso che il ruscello
smettesse di sudare tra i ciottoli di un alveo
e mi sono specchiato
non temendo più il volto felice.
Ho pianto e ci ho sputato dentro
annaspando in cerca di quel viso fatto d'acqua
che in miliardi di gocce cristalline
ha rimasto sulla mano ansimante
sabbia, pietre ed un oblio malinconico!  

Cenerina
Temo ripercorrere pagine vissute
- ciò che ho visto mi distrugge -
e mi penalizzi tu
che ostinata e snervante
ancora non odii la mia bocca...
ti condanni verso la mia croce
confondendola in un sicuro giaciglio.
Ti maledico quanto ti amo!  

Nunzia della notte
Tu la notte,
la pelle livida dopo una rissa
un tiro di neve
un gotto di rhum,
un pugno nell'occhio
una baiadera eccitata!
Tu parole
aspri e contorti versi
sesso, bagni di follia
parossismi.
Il coraggio
la fine - sperma ed ovulo-
merda ed oro.
Tu gemma e plastica
cielo e fango
folgore, rami secchi ed asfodeli
l'incanto della tua mano
la finitura dei contorni
che mi violentano...
tu l'ombra tornita di luce
la sete e l'acqua
l'onda e la schiuma

il riverbero delle note di questa notte
che risuonano tra i tuoi capelli sudati!
-Da cose che dicono niente-   

(Semplicemente) A mia madre
Desidero rimpiangermi, ripiegarmi come un foglio,
su di un foglio.
Mamma, quando il demone non gonfia i tuoi polmoni
quando Satana non grida dalla tua bocca
sei mia madre
la brevità, la cecità del dolore epicureo
- un attimo nel baratro o nello scintillio dell'eterno-
sei la folla e la solitudine,
la mano ruvida di faccende e morbida di rosa,
sei capelli imbrattati di permanente
la grevità di quando facevi l'amore!
L'aborto che non hai voluto
la volontà d'adottarmi
e tingermi il volto di saliva dei tuoi baci
tenermi tra i seni come un'amante.
Forse lascerò su tuo volto rugoso
il rimpianto di non avermi odiato!

Quando acquisirò l'austerità di Pavese
e la precisione di Borges
morirò bestemmiando contro la Trinità!
Tu non amarmi
e lascia che gli occhi si chiudano come un abbraccio!

Fate periferiche
Ti confondi come ladri tra le folle
la tua carne ha odore di foresta
- tu sei tante puttane -.
Somigli al vento, a questo vento
che scioglie a malapena la calura del giorno sulla fronte
    - Satana è la tua pelle, i tuoi occhi screziati di azzurro
       e le tue ciglia di pino-
ti assaggio come loto tra le fiamme
e godo confondendomi nella tua notte!

Io dentro te
Ora puoi curvarti,
aprire le labbra e - sospirando-
ingoiarmi!
Nel tuo piacere il mio
io dentro te,
insieme come forma autonoma
nucleo bollente
e patto di carne.

Tra me e me: Nunzia!
La mia notte è delusa senza te
- ti scrivo e mi masturbo-.
Nel cielo l'imperfezione delle stelle
come sterco di pecore al pascolo...
alla luna ho donato i peccati più oscuri
a te - morso d'infinito-
tutti quelli della mia vita!

Tagli sanguinanti dalle labbra di Nunzia
La necessità, il bisogno di vederti
viverti:
un giogo, una corona di spine
( arrendermi ai tuoi occhi)
un incontro omosessuale:
l'uomo che non avrò!

La voglia di cercarti:
un maledetto nimbo, una caduto nell'inferno
il logorio del piacere
l'attimo. L'eterno:
la vita di viverti.

T'adoro virtù incompresa!

Miele
Miele
saliva di Venere
sangue di luna
sperma d’oro
fuoco liquido
viscere di Montezuma
ebbrezza dolce,

puro sesso disciolto!

Spasimi
Ingoiato nella mia solitudine
assorto in raggi notturni
simili a fili di ghiaccio
spasimo
- ai riflessi di luna-
pestando acquitrini
come specchi da infrangere.

Goccia dopo goccia inumidisco!

Del nuovo autunno
ricorderò foglie...foglie fragili,
cadenti, moribonde, vecchie
passate.

Nunzia, spero nei tuoi occhi di mare
un dio diverso
augurandomi di viverti
sino al tardo giorno dei miei anni!

Nunzia II
Solo i tuoi occhi
disarmano il demone,
il mostro nel mio corpo!

L’inferno è la mia redenzione;
un piacere castrante!

Notte degenerata, predetta:
umida come cuore che pulsa scosse,
forvianti dubbi
placando la corsa suicida
nella tue mani che mi raccolgono
come acqua da bere!

Io, tu, noi...per sempre: un bacio di verità!

Fosso
Esausto di stelle
covo morte nella terra.

Antro dopo antro
m’adagio in dimensioni nuove
in freddi umori
in passive fasi di riposo.

Qui,
l’inno dei pianeti tace
ed il bagliore dei cosmi
è un oblio di forme nude!

Un mio verso
Più nascosto
oltre, al di là
del letame d’immagini odierne
inutilmente
il verbo ingozza di versi
il famelico demone.

La follia è andare
la pazzia è restare!

Torcerò le meningi
sino a che l’ultima goccia
non sarà un altro inutile pianto commiserevole,
seccherò questa fertile anima
sino a che il fusto benevole
non fiorirà tumori
premendo dal pavido cuore
l’essenza endogena che diverrà veleno!

Vivrò nell’inutilità di vivere!

L’Innocente.
… e quella troia abbuzzì
i suoi sensi infuriati sfruttando il mio corpo
eccitato e passivo;

rodendolo con perverse pose funamboliche
mordeva
tracciava lascive fantasie
della sua mente infinta e geniale.

Ottusa come tutte le amanti
- ostinata cacciatrice –
selvaggia regina amazzone

elucubrava
emulava le antiche orge paniche;

infaticabile
tappava con i seni giganti
i miei sospiri dolorosi che godevano
lasciando libera e capace ogni voluttà.

Affondò
con colpo secco in andamenti pelvici
la mia lama nel suo corpo
e fondemmo – carne e spirito, fiato e anima –
in un solo e ardente inferno!

Il volo del pazzo.
Bagnami di maledizione!

- Trappola d’uva -
inciampo nell’oro nero
della tua veste racchiusa in gotti diafani
- fibrilla il palato ad ogni sputo che ingoio! -.

Le suore sono tutte puttane
s’alzano le gonne
- fetori crudeli di dispensa –
e si prostituiscono ai ceri votivi!

Cattiva è la fede ai santi di pezza
che si rivestono di preziosi metalli
arricchendo la Chiesa
che avida sposa delle guerre,
arpeggia false note pacifiche
nutrendosi del sangue dei caduti,
della fede degli ignoranti
e dei morsi del diavolo!

Solo tu poeta
hai ancora chiare le tue incostanze,
le note distorte dello spirito
che chiarisce gli eventi.
Non hai altro che denigrare e denigrarti
favorire gli eventi
porre fine al rimorso
e anteporre all’inizio
la fine!

La tua indicibile facoltà d’essere
sgorga dalle fonti dannate dello Stige
e lo purifica
l’esalta, lo fertilizza
- Nilo d’argento –

ma la traccia della penna
che maneggi come un perizioso cavaliere antico
è maledetta, impura, imperfetta
- vera -
assai folle, scostumata

e ciò che alimenta il fuoco del tuo verso
non è che lurido suicidio, compromesso
noia, pianta malata

insaziabile volontà di spegnersi
in un bagno d’immenso oblio!

A 16 anni. Lari di maggio
Scavavo il naso con le dita,
qualche sigaretta – un tiro di cancro-
ed il vento crudele
- cavilloso soffio d’un demone avido-
(estro d’un mattatore furioso
grido impavido
luce divorata,
occhi d’inferno)
scuoteva i numi d’una fede fiacca…

Ora inabissato nel mio abisso,
devoto a dii umani,
rassegnato del mondo
- proselito sfigurato-
divoro, come uno del branco, la carcassa
attingendo
raramente e limitato da tutto
al fluire delle cose.

Mi sfugge l’infinito!

Dal Limbo
Oscurato da luminosità oscure
curioso – come quando m’accingo al vizio-
usciolavo
dalla nicchia fetida e stracolma d’ossa
il vigore mistico delle stelle.

Incoraggiato da una fede sconosciuta
esposi il capo all’aria terrestre
ed il nero mantello argentato, lussurioso
disegnò nei miei occhi libertini
un vago sentore di vita
e tracciò movenze ebbre col capo
che seguiva l’infinito…
…non risorsi
ma tornai nell’inferno
sotterrato di redenzione!

Divagazioni
Solite facce
plebee, fatue.

Che troia!
I suoi occhi stillano libidine.

L’aria scricchiola indesiderate tersitudini.
Ivana,
bevo dalle tue labbra
l’immonda fine della mia solitudine.

Un’irrilevante presenza di vita
mi scuote
tumulando, per un attimo,
il vivo peso di vivere!
Ivana, trame di luna
vestono la tua pelle candida!

Affannato di morte
protendo l’infima anima
verso una fede crocifissa, tetra; statica…
l’agghiacciante peso bigotto
della religione (cristiana)
mi deprime:
consumerò questo fardello al rovente pozzo
come il vomito gli ubriachi!

Io, vulnerabile ed ingenuo
tu, puttana e puerile
come scorza di piacere sul corpo,
come ferita infetta….
come sangue sulla bocca!

Quest’infinità di cielo fagocita frammenti d’universo!
Ivana, in te un rigoglioso sorriso ci attende:
solo in te rivedo me stesso!      

Pulsione
Questa notte
le stelle
sono ceri sciolti,
lucernai di messe nere.
Con dolore
affanno ai miei ricordi!
Il giorno debacca la resurrezione delle vite
      - il bosco ha profumi di foresta-.

Ascolto senza capire!        

Ad una ignota carne
Dal caos nasce la tua forma,
imperfetta come la vita
precisa come la morte.
Sul tuo corpo, nella bocca
tra le gambe:
il piacere di viverti!

Passi immobili
La terra bagnata ha l’orrore d’una megera
la follia d’un verso.

Al patibolo del silenzio
passi che non farò
e lo strascicante triste pedissequo
di vita rinnegata e rimpianta d’eternità!

Impilati sull’immagine del Cristo
occhi inermi
come in forche accecanti:
il dolore d’amarmi
lottandomi nel tempo!   

Clochard d’anime
Prono,
da lunghi giorni,
il cielo demoniaco sbava d’acqua la terra
come tortura cinese
e quest’acqua putrida ha l’orrore d’una pozza
dove muta e stracolma di vita
s’abbevera l’anima.
Impaziente come lo sperma di un adolescente,
l’inferno attende la mia condanna.
Scenderò giù
ingoiato da un porco
alle viscere del profano
e vivrò la mia notte
fino al confronto con Dio!  

F. Pessoa. Posseduto da un gemito di carne
Quanta anima ho da vendere in questa terra desolata e notturna
dove ogni umore amplifica la noia profonda e magnifica d’essere, esistere
- se pure mai sarò esistito-
in questa magra, breve, violenta e mendace certezza
che circoscrivo in un umile sospiro: “Vita”.

Giacigli
Sulla linea degli occhi
la sera ingoia un orizzonte di sangue
macchiato d’iride
dai profumi invernali.
La carne si scioglie
immacolando corpi
che fondono al buio.  

Un autunno
Di questa fogna di cielo
ricorderò il volto plumbeo,
bagnato d’acciaio e ferro pesante
che cola come chiodi di fabbro.

Di questo tempo rugoso
avrò trame di metallo da ingoiare
ed incendi dolosi di folla
che consuma strade come la fame.

Di queste roride vie
chiuderò gli occhi e ne calcherò una
donandomi – in un istante- al fato
e vivrò vivendo
come se vivessi!  

Nunzia
Sei lo spettro e l’ombra casta di versi
che non ripeterò,
l’evidenza d’uno specchio
e l’immagine immaginata,
orda di follia
vezzoso riposo,
amabile smarrimento
foglia di marijuana
argine e confine di parole!

Spuma d’acqua verde,
salsedine, fulva sabbia d’africa...
l’incontro dell’uomo col peccato,
vizio e redenzione
pornografia, castità
donna e uomo.
Possessione, pathos
- prolessi, atarassia-
argine e confine delle parole!
   

Frammenti d’acqua
Pregno di noie umane
mi disperdo in osmosi eteree di verbi.

Da un’eternità di spazio
staccai una stilla di vita
e nacqui.

Ho i polmoni densi di cielo!

Donna
mai più il respiro
si nutrirà del tuo odore:
il ricordo di te
è un’asfissia dolce!

Affonderò
nel cosmo fluttuante dei tuoi occhi
e nell’agonia staccherò un frammento d’acqua

ingoiandolo come veleno!    

Infinità infinite. Candori di tardo giorno
Lieve brezza:
un soffio di donna sul corpo…
mi sfoglio in questo gemito di tempo
calato in soavi frecce di vento!

Al cielo s’accosta il crepuscolo
spogliandolo d’azzurro.

La vita m’avvezza ad un’altra sera!

Tornita da mani capaci
la luna risveglia ombre oblunghe
invogliando gli universi
a vomitare stelle!

Donna,
taccio accecandomi del tuo corpo.

Timido s’accosta ai cosmi
il folle gesto d’andare
- ramingo-
tra spazi d’eternità divelte!    

L'inerme
Languido
il sorso d'un ruscello fluiva
fra tumuli di foglie noiose.

Arroventava
di tremuli fruscii
l'aria tenace del bosco...
io ero lì...
anelando i flutti con ciottoli dimessi

- disperso-
come il tempo nelle carceri
mestamente rigoglioso

- attonito-

in uno specchio di vento!

L’impotente
Di notte
quando le menti gracili
di quest’umanità fiacca
tacciono
il mio riverbero
- alba impoverita di pioggia-
fiocamente vibra su molli fogli di carta;

il demonio pregna d’anima i miei verbi
il veleno domina il cervello
e la mia pazzia
- artificio esecrante –
sfocia in lussuosi gioielli
che congiungo nei versi!

Sorge il peccato
- la nutrice impazzita –
e impoverendo con le membra

attendo il calvario!

Al risveglio.

Si scrostano dal cielo placche d’astio
come stearina che scavo dal tavolo
e riempie l’unghia d’un bianco cremoso.
Un azzurro violento appare a buchi
si destreggia tra le nubi che crollano
come mattoni di Babele.

Un’orgia di profumi delicati esalano
al mio naso avvelenato dal gesso
e da fragranze feroci d’uva e fumi verdi.
M’ancoro alla dura corteccia d’un castagno
temendo che il battello soccomba
nell’onda che s’infrange ostinata.

Cadono angeli dal cielo!

I suoi seni nudi s’aprono come due corsi d’acqua
due sipari di seta
due covoni sull’aia – mietitura ricca –

il mio respiro echeggia tra loro
sulla gloria del suo corpo che dorme e vive
in sincrone movenze – veli soffiati da aliti celesti -.

A tratti l’ombra si dimena in spettrali moti autonomi

indipendente come i suoi fianchi prostituiti
si concede – distendendosi come petali sull’oro –
lungo il sofà;

riposa la troia nei suoi sogni incandescenti, lussuriosi

nell’albore del giorno che per noi è un addio!

Anelando i venti.

Gemmerà qui la mia fine
l’ultimo gioco di vita:
anelando i venti!

Un rosso crepuscolo
striscia giochi d’ombre all’orizzonte
vibrando al caldo vespertino
d’una tramontana ricca e carica di soffi!

Mi riscopro uomo
in un torvo abbraccio del tempo,
finito
limitato…
aridamente vivo!

Il languido abbraccio
dei suoi occhi svelò
- squarciando-
tutte le mie noie arcane
ed epurò lo spirito
che esorcizzato dalle sue mani
amorevoli e voluttuose,
ricompone d’un candore candido
ingoiato da gole infernali
da demoni avidi!

Mi scopro in lei rivedendomi
attorniato di desueti attimi
che riflettono risveglio!

A Vittoria Monti
- la mia spogliarellista di ieri -
Demone biondo

giunco risuonante

sui tuoi seni vibrano l’armonia e il delirio
delle mie note

tra le tue gambe – spade di seta –
risiede il segreto, l’energia
la corrotta esistenza

l’ovulo nero che cova l’anticristo.

Mi unisco ai tuoi sapori senza ritegno,

seguo i tuoi passi zingari
il sentiero del mio corpo carezzato
dalla danza

dalla bianca saliva che unge vezzosa
i coltelli
e le mie voluttà.
 

Osmosi verso oriente (per Nunzia)
...e lei assorbiva, come la crosta il sangue, il luccichio della sabbia rovente; fulvo come l'africa il suo collo slanciava lo sguardo verso i suoi occhi macchiati di luna e di verdi zampilli d'acqua che battevano la costa di un oro bianco con riverbero schiumoso. La sua pelle setosa prosciugò il colore delle solide querce del nord ed il sole favorì il disegno prudendola d'argento! Pregni d'acqua i suoi biondi capelli intarsiarono il volto sempre meno anonimo e sempre più crudelmente perfetto; i suoi capelli: filigrana e bragia di camino distesi, ordinati e brillanti come campi di grano da mietere.  

Congiure di periferia
Impreco,
inseguendo espiazioni che m’inchiodino alla croce,
per strada puttane dalla pelle di pantera
aspirano e tossiscono scaglie di fumo;
attorno al prometeico fuoco mani, tante mani...

Tra i rifiuti
aromi violenti
assuefano

nelle poche stelle della notte
troverò un embrione di parola
che partorirò in amari versi
- congiure di periferia che dall’infinito di cielo
mi legano a questo luogo tiranno che amo come la morte:
San Giovanni a Teduccio.


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