Pianto antico L’albero a cui tendevi |
Giorno per giorno 1 |
Dopo aver traversato terre e mari Dopo aver traversato terre e mari, eccomi, con queste povere offerte agli dei sotterranei, estremo dono di morte per te, fratello, a dire vane parole alle tue ceneri mute, perché te, proprio te, la sorte m’ ha portato via, infelice fratello, strappato a me così crudelmente. Ma ora, così come sono, accetta queste offerte bagnate di molto pianto fraterno: le porto seguendo l’antica usanza degli avi, come dolente dono agli dei sotterranei. E ti saluto per sempre, fratello, addio! (Catullo, traduzione di Salvatore Quasimodo) |
In morte del fratello Giovanni Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto. La madre or sol, suo dì tardo traendo, parla di me col tuo cenere muto: ma io deluse a voi le palme tendo; e se da lunge i miei tetti saluto, sento gli avversi Numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch’io nel tuo porto quiete. Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, l’ossa mie rendete allora al petto della madre mesta. (Ugo Foscolo) | In morte del fratello Giovanni Un giorno, s’io non andrò sempre fuggendo da un paese all’altro, mi vedrai seduto sulla tua tomba, o fratello mio, piangendo amaramente i momenti più belli della tua giovinezza stroncata. Soltanto nostra madre ora, portando avanti la sua vecchiaia, parla di me con te che sei cenere e non puoi parlare: ma io tendo a voi le mani deluse; e se da lontano saluto la mia casa e la mia città, sento il Destino a me avverso, e le segrete preoccupazioni che scatenarono angosce quand’eri in vita, e prego anch’io pace, come te, nella morte. Questo di speranze tanto grandi oggi mi resta! Popoli stranieri, affidate le mie ossa quando sarò morto all’affetto di mia madre infelice. (Traduzione: Lorenzo De Ninis) |
Funere mersit acerbo | In morte prematura travolse |
Se tu mio fratello Se tu mi rivenissi incontro vivo, con la mano tesa, ancora potrei, di nuovo in uno slancio d'oblio, stringere, fratello, una mano. Ma di te, di te più non mi circondano che sogni, barlumi, i fuochi senza fuoco del passato. La memoria non svolge che le immagini e a me stesso io stesso non sono già più che l'annientante nulla del pensiero. (Giuseppe Ungaretti) |
Atque in perpetuum, frater... Quanto inverno, quanta neve ho attraversato, Piero, per venirti a trovare. Cosa mi ha accolto? Il gelo della tua morte, e tutta tutta quella neve bianca di febbraio - il nero della tua fossa. Ho anch'io detto le mie preghiere di rito. Ma solo, Piero, per dirti addio e addio per sempre, io che in te avevo il solo e vero amico, fratello mio. (Giorgio Caproni) |
Vicino a una torre saracena, per il fratello morto. Io stavo ad una chiara conchiglia del mio mare e nel suono lontano udivo cuori crescere con me, battere uguale età. Di dèi o di bestie, timidi o diavoli: favole avverse della mente. Forse le attente morse delle tagliole cupe per volpi lupi iene, sotto la luna a vela lacera, scattarono per noi, cuori di viole delicate, cuori di fiori irti. O non dovevano crescere e scendere dal suono: il tuono tetro su dall'arcobaleno d'aria e pietra, all'orecchio del mare rombava una infanzia errata, eredità di sogni a rovescio, alla terra di misure astratte, ove ogni cosa è più forte dell'uomo. (Salvatore Quasimodo) |
Per la morte di Cino da Pistoia Piangete, donne, et con voi pianga Amore; piangete, amanti, per ciascun paese, poi ch'è morto collui che tutto intese in farvi, mentre visse, al mondo honore. Io per me prego il mio acerbo dolore, non sian da lui le lagrime contese, et mi sia di sospir' tanto cortese, quanto bisogna a disfogare il core. Piangan le rime anchor, piangano i versi, perché 'l nostro amoroso messer Cino novellamente s'è da noi partito. Pianga Pistoia, e i citadin perversi che perduto ànno sí dolce vicino; et rallegresi il cielo, ov'ello è gito. (Francesco Petrarca) |
La madre | Sopra una tomba Tutto un inverno ho sofferto pensando alla fradicia zolla dove tu riposavi in provvisoria fossa ch'era il tuo purgatorio. Piovose notti insonni conobbero il mio rimorso. E a te volavo, o madre, cui non piacque la terra per ultima dimora, la terra faticosa, la terra che patisti oltre la morte. Ora esaudita, emersa dal confuso elemento, tu sei come redenta. Non più l'informe grembo travaglierà le tue spoglie. Tu che vivente avesti incerto asilo, sicuro loco avrai or che sei morta, fin che l'umana pietà lo conceda. (Vincenzo Cardarelli) |
Anniversario Sono più di trent'anni e, di queste ore, mamma, tu con dolor m'hai partorito; ed il mio nuovo piccolo vagito t'addolorava più del tuo dolore. Poi tra il dolore sempre ed il timore, o dolce madre, m'hai di te nutrito: e quando fui del corpo tuo vestito, quand'ebbi nel mio cuor tutto il tuo cuore, allor sei morta: e son vent'anni: un giorno! e già gli occhi materni io penso a vuoto; e il caro viso già mi si scolora; mamma, e più non ti so. Ma nel soggiorno freddo de' morti, nel tuo sogno immoto, tu m'accarezzi i riccioli d'allora. (Giovanni Pascoli) | Per lei |
Alla madre | A mia madre Ora che il coro delle coturnici ti blandisce nel sonno eterno, rotta felice schiera in fuga verso i clivi vendemmiati del Mesco, or che la lotta dei viventi più infuria, se tu cedi come un'ombra la spoglia (e non è un'ombra, o gentile, non è ciò che tu credi) chi ti proteggerà? La strada sgombra non è una via, solo due mani, un volto, quelle mani, quel volto, il gesto d'una vita che non è un'altra ma se stessa, solo questo ti pone nell'eliso folto d'anime e voci in cui tu vivi; e la domanda che tu lasci è anch'essa un gesto tuo, all'ombra delle croci. (Eugenio Montale) |
Lettera alla madre <<Mater dulcissima, ora scendono le nebbie, il Naviglio urta confusamente sulle dighe, gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve; non sono triste nel Nord: non sono in pace con me, ma non aspetto perdono da nessuno, molti mi devono lacrime da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi, come tutte le madri dei poeti, povera e giusta nella misura d’amore per i figli lontani. Oggi sono io che ti scrivo.>> - Finalmente, dirai, due parole di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore, lo uccideranno un giorno in qualche luogo. - <<Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo di treni lenti che portavano mandorle e arance, alla foce dell’Imera, il fiume pieno di gazze, di sale, d’eucalyptus. Ma ora ti ringrazio, questo voglio, dell’ironia che hai messo sul mio labbro, mite come la tua. Quel sorriso m’ha salvato da pianti e da dolori. E non importa se ora ho qualche lacrima per te, per tutti quelli che come te aspettano, e non sanno che cosa. Ah, gentile morte, non toccare l’orologio in cucina che batte sopra il muro, tutta la mia infanzia è passata sullo smalto del suo quadrante, su quei fiori dipinti: non toccare le mani, il cuore dei vecchi. Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà, morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dulcissima mater.>> (Salvatore Quasimodo) |
Se fossi pittore Non sempre il tempo la beltà cancella o la sfioran le lacrime e gli affanni: mia madre ha sessant'anni, e più la guardo e più mi sembra bella. Non ha un accenno, un guardo, un riso, un atto che non mi tocchi dolcemente il core; ah, se fossi pittore, farei tutta la vita il suo ritratto! Vorrei ritrarla quando china il viso perch'io le baci la sua treccia bianca, o quando, inferma e stanca, nasconde il suo dolor sotto un sorriso Pur, se fosse il mio priego in ciel accolto, non chiederei di Raffael da Urbino il pennello divino per coronar di gloria il suo bel volto; vorrei poter cangiar vita con vita, darle tutto il vigor degli anni miei, veder me vecchio, e lei dal sacrificio mio ringiovanita. (Edmondo De Amicis) |
Preghiera Anima mia leggera, va’ a Livorno, ti prego. E con la tua candela timida, di nottetempo fa’ un giro; e, se n’hai il tempo, perlustra e scruta, e scrivi se per caso Anna Picchi è ancora viva tra i vivi. Proprio quest’oggi torno, deluso, da Livorno. Ma tu, tanto più netta di me, la camicetta ricorderai, e il rubino di sangue, sul serpentino d’oro che lei portava sul petto, dove s’appannava. Anima mia, sii brava e va’ in cerca di lei. Tu sai cosa darei se la incontrassi per strada. (Giorgio Caproni) |
Tu, madre, che da i tristi occhi preganti mi vigilavi pallida ne 'l viso e per l'onda felice de' miei canti abbandonata rifiorivi a 'l riso; tu che le angosce mie tumultuanti, s'io ne 'l silenzio ti guardava fiso, indovinavi, e le braccia tremanti a 'l collo mi gettavi d'improvviso; tu che per me in segreto avevi sparse tante lacrime e ròsa lentamente senza di me languivi di desío: tu non questo credevi! Tu, con arse le pupille, quel dí, ma pur fidente ne 'l mio destino, mi gridasti addio. (Gabriele D'Annunzio) |
Supplica a mia madre E' difficile dire con parole di figlio ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio. Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore. Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere: è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia. Sei insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai data. E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame d'amore, dell'amore di corpi senza anima. Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù: ho passato l'infanzia schiavo di questo senso alto, irrimediabile, di un impegno immenso. Era l'unico modo per sentire la vita, l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita. Sopravviviamo: ed è la confusione di una vita rinata fuori dalla ragione. Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire. Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile… (Pier Paolo Pasolini) Alla nonna |
Padre, se anche tu non fossi il mio... Padre, se anche tu non fossi il mio padre, se anche fossi un uomo estraneo per te stesso egualmente t’amerei. Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno che la prima viola sull’opposto muro scopristi dalla tua finestra e ce ne desti la novella allegro. E subito la scala tolta in spalla di casa uscisti e l’appoggiavi al muro. Noi piccoli dai vetri si guardava. E di quell’altra volta mi ricordo che la sorella, bambinetta ancora, per la casa inseguivi minacciando. Ma raggiuntala che strillava forte dalla paura ti mancava il cuore: t’eri visto rincorrere la tua piccola figlia e, tutta spaventata, tu vacillando l’attiravi al petto e con carezze la ricoveravi tra le tue braccia come per difenderla da quel cattivo ch’eri tu di prima. Padre, se anche tu non fossi il mio padre… (Camillo Sbarbaro) |
A mio padre L’uomo che torna solo a tarda sera dalla vigna scuote le rape nella vasca sbuca dal viottolo con la paglia macchiata di verderame. L’uomo che porta così fresco terriccio sulle scarpe, odore di fresca sera nei vestiti si ferma a una fonte, parla con l’ortolano che sradica i finocchi. E’ un uomo, un piccolo uomo ch’io guardo di lontano. E’ un punto vivo all’orizzonte. Forse la sua pupilla si accende questa sera accanto alla peschiera dove si asciuga la fronte. (Leonardo Sinisgalli) |
Nonno, l’argento della tua canizie Nonno, l’argento della tua canizie rifulge nella luce dei sentieri: passi tra i fichi, tra i susini e i peri con nelle mani un cesto di primizie: <<Le piogge di Settembre già propizie gonfian sul ramo fichi bianchi e neri, susine claudie… A chi lavori e speri Gesù concede tutte le delizie!>> Dopo vent’anni, oggi, nel salotto rivivo col profumo di mentastro e di cotogna tutto ciò che fu. Mi specchio ancora nello specchio rotto, rivedo i finti frutti d’alabastro… Ma tu sei morto e non c’è più Gesù. (Guido Gozzano) |
A mio padre Se mi tornassi questa sera accanto lungo la via dove scende l’ombra azzurra già che sembra primavera, per dirti quanto è buio il mondo e come ai nostri sogni in libertà s’accenda di speranze di poveri di cielo io troverei un pianto da bambino e gli occhi aperti di sorriso, neri neri come le rondini del mare. Mi basterebbe che tu fossi vivo, un uomo vivo col tuo cuore è un sogno. Ora alla terra è un’ombra la memoria della tua voce che diceva ai figli: - Com’è bella notte e com’è buona ad amarci così con l’aria in piena fin dentro al sonno - Tu vedevi il mondo nel plenilunio sporgere a quel cielo, gli uomini incamminati verso l’alba. (Alfonso Gatto) |
Al padre Dove sull'acque viola era Messina, tra fili spezzati e macerie tu vai lungo binari e scambi col tuo berretto di gallo isolano. Il terremoto ribolle da tre giorni,è dicembre d'uragani e mare avvelenato. Le nostre notti cadono nei carri merci e noi bestiame infantile contiamo sogni polverosi con i morti sfondati dai ferri, mordendo mandorle e mele disseccate a ghirlanda. La scienza del dolore mise verità e lame nei giochi dei bassopiani di malaria gialla e terzana gonfia di fango. La tua pazienza triste, delicata, ci rubò la paura, fu lezione di giorni uniti alla morte tradita, al vilipendio dei ladroni presi fra i rottami e giustiziati al buio dalla fucileria degli sbarchi, un conto di numeri bassi che tornava esatto concentrico, un bilancio di vita futura. Il tuo berretto di sole andava su e giù nel poco spazio che sempre ti hanno dato. Anche a me misurarono ogni cosa, e ho portato il tuo nome un po' più in là dell'odio e dell'invidia. Quel rosso sul tuo capo era una mitria, una corona con le ali d'aquila. E ora nell'aquila dei tuoi novant'anni ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali di partenza colorati dalla lanterna notturna, e qui da una ruota imperfetta del mondo, su una piena di muri serrati, lontano dai gelsomini d'Arabia dove ancora tu sei, per dirti ciò che non potevo un tempo - difficile affinità di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo cicale del Biviere, agavi lentischi, come il campiere dice al suo padrone: <<Baciamu li mani>>. Questo, non altro. Oscuramente forte è la vita. (Salvatore Quasimodo) | |
Scoiattolo Tu mansueto destino, camminante fortuna, stelo piegato nelle guerre e raddrizzato, inciampo che non cascava, sorriso che mai non naufragava, aiutami, papà. Tu basco, pipetta e via andare contento del colore di una pera, tu e le tue tinte così azzurre sulla malta, fatto di carezze discrete sulla malta, di malta, di cavernose locande, e canoniche in quel gelo, di sandali svelti e pulitezza, pittore scoiattolo, lontano, impicciolito, spoglia passione senza cruccio, nonnulla che intorno aleggiava. Adesso perlustro il terreno, la più scarna tua Lombardia, a cercare i granelli di riso che a cento piano piano hai lasciato cadere, tu Pollicino, e senza neanche sapere: mio arrovellato inseguimento. (Tiziano Rossi) | |
A mio padre Non più il catrame odora di remoti velieri dietro San Giorgio: un gorgo d'altri e più acri aromi pullula, Sottoripa, nei tuoi fondachi bui. Ma è festa ai marinai d'oggi come fu ieri un tanfo di bolliture rancide, d'olii di semi, o all'osterie nel fresco morto d'acque portuali carnali risa di donne frequentate dai mori. (Giorgio Caproni) |
Zio Qui bene si staglia in due fotografie dritto su un prato secco, e somigliava a uno spago, bisognoso di nulla. Si spera che sereno sia arrivato ad altre solitudini, porgendo l’orecchio a quello che non c’è: mio zio col cappello, che poco lavorava e gli piaceva solamente la musica e con uno strumento faceva dolci suoni. Ora rilucono di più le sue manìe: teneva un elenco dei genetlìaci, seguiva notturno i lavori tranviari, spesso si intruppava con dei cani. La sua storia malcerta qui finisce (sai le persone, isole che camminano) e quale evviva potremmo gridargli noi, venuti al tempo di cose mondiali, di stirpi in smisurato espatrio. (Tiziano Rossi) | |
Difesa Caro nonno, che di me nipote più non ti ricordi (sono venuto al mondo dopo il Trentaquattro), che mi dici figliolo o pressappoco nel tuo scuro farnètico e gli sbagli, e parli appena di trincee e di fuoco. Ecco - la vedi? - questa è la trapunta, così si chiama, e adesso fa' attenzione a come la federa s'apre e s'infila. O ancora tu t'imbuchi là a Nervesa (la battaglia sotto le troppo sue bombe) o a Doberdò nel fumo stranita e caduta? Di tanto si è ritratta la tua vita tutta in un puntino, per fare resistenza: che difesa scarnita in questo tempo sempre di ghiacci, di afflitti letarghi; ma tu, di certo, hai cominciato nello stento un'altra specie di combattimento da qualche spelata dolina... E il colloquio è finito, radunare gli straccetti. (Tiziano Rossi) | |
Genitori Io devo al grembo che m'ha partorito il temerario amore per la vita che m'ha tanto tradito. Poi che nacqui da un sangue ben fervido e gioviale. Io nacqui da una donna che cantava nel rimettere in ordine la casa e, madre più trionfante che amorosa, soleva in braccio portarmi con gloria. Ora, ebbi un padre severo come un santo orgoglioso. E furon questi i due forti avversari che m'hanno generato. (Vincenzo Cardarelli) |
Ritratto della mia bambina |
Favoletta Tu sei la nuvoletta, io sono il vento; ti porto ove a me piace; qua e là ti porto per il firmamento, e non ti do mai pace. Vanno a sera a dormire dietro i monti le nuvolette stanche. Tu nel tuo letticciolo i sonni hai pronti sotto le coltri bianche. (Umberto Saba) |
Sorella A Maria Io non so se più madre gli sia la mesta sorella o più figlia: ella dolce ella grave ella pia, corregge conforta consiglia. A lui preme i capelli, l’abbraccia pensoso, gli dice, Che hai? a lui cela sul petto la faccia confusa, gli dice, Non sai? Ella serba nel pallido viso, negli occhi che sfuggono intorno, ah! per quando egli parte il sorriso, le lagrime per il ritorno. Per l’assente la madia che odora serbò la vivanda più buona; e lo accoglie lo sguardo che ignora, col bacio che sa, ma perdona. Ella cuce; nell’ombra romita non s’ode che l’ago e l’anello: ecco, l’ago fra le agili dita ripete, Stia caldo, sia bello! Ella prega: un lungo alito d’ave- marie con un murmure lene... ella prega; ed ecco un’eco soave ripete, Sia buono, stia bene! (Giovanni Pascoli) |
Una sorella ho nella nostra casa, ed una siepe più in là. Una sola è registrata, ma entrambe mi appartengono. Una venne per la via che feci io - e portò la mia gonna smessa - l'altra, come un uccello il nido, costruì fra i nostri cuori. Non cantava come noi - era un motivo differente - essa stessa a sé una musica come un calabrone di giugno. Oggi è lontano dall'infanzia - ma su e giù per le colline tenni la sua mano più stretta - così abbreviando le miglia - e ancora il suo canto da un anno all'altro inganna la farfalla; ancora nel suo occhio stanno le viole appassite in tanti maggi. Rovesciai la rugiada - ma colsi la mattina - scelsi quest'unica stella fra le schiere della notte immensa - Sue - per l'eternità! (Emily Dickinson; traduzione di Massimo Bacigalupo) |
Al fratello Un giorno amaro l'infinita cerchia dei colli veste di luce declinante, e già trabocca sulla pianura un autunno di foglie. Più freddi ora dispiega i suoi vessilli d'ombra il tramonto, un chiaro lume nasce dove tu dolce manchi all'antica abitudine serale. (Attilio Bertolucci) |
La mia fanciulla La mia fanciulla snella e polposetta è come un arboscello con le poma: una ne mangi ed un'altra t'alletta. La mia piccola cara è una bambina. Teme, se tardi rincasa, legnate, suo castigo di quando era piccina. E quando fa quella proibita cosa si volge, e manda sospettose occhiate, per veder se la mamma è là nascosa. La mia piccola cara è troppo audace. Mette la testa con la grande chioma fra le mani, e mi guarda a lungo e tace. (Umberto Saba) | |
A Ninetta Con le guance di fuoco e gli occhi ridenti camminavi per una selva. Il sole scherzava con l'acqua che fuggiva via. C'erano il ginepro aromatico e le grandi felci fiere e i misteriosi licheni... Sorse la luna chiara fra i rami. (Attilio Bertolucci) | |
A Rina Nell'aria di settembre (aria d'innocenza sul chiareggiato colle) sopra le zolle ruvide mi sono care le case a colori grezzi del tuo paese natale. Scherzano battendo l'ale candide sui tetti a fiore giunti, le colombelle nuove. Mentre commuove dei voli l'aria il giro tondo, nel cielo ai tocchi festevoli delle campane è il lindore dei tuoi virginei occhi. (Giorgio Caproni) |