Inizio

Poetare

Poesie

Licenze

Fucina

Lettura

Creazione

Autori

Biografie

Poesia fantastica

Poesia realistica

Poesia dissacratoria

Metrica

Figure retoriche

Strumenti


La donna

Indice dei temi

Tristezza e solitudine

 
Antologia poetica
L'amore - La donna - Morte dei propri cari - Affetto per i propri cari - Tristezza e solitudine - Il dolore - La nostalgia - Racconto di un episodio - La natura - Gli animali - Gli oggetti - I desideri - I ricordi - Il poeta e se stesso - Il poeta e i luoghi - Il poeta si diverte - La poesia per i poeti -

MORTE DEI PROPRI CARI


Pianto antico

L’albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da’ bei vermigli fior,
 
nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
 
Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l’inutil vita
estremo unico fior,
 
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra;
né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
(Giosuè Carducci)


 Giorno per giorno

1
<<Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto...>>
E il volto già scomparso
ma gli occhi ancora vivi
dal guanciale volgeva alla finestra,
e riempivano passeri la stanza
verso le briciole dal babbo sparse
per distrarre il suo bimbo...
 
5
Ora dov’è, dov’è l’ingenua voce
che in corsa risuonando per le stanze
sollevava dai crucci un uomo stanco?...
La terra l’ha disfatta, la protegge
un passato di favola...

9
Inferocita terra, immane mare
mi separa dal luogo della tomba
dove ora si disperde
il martoriato corpo...
Non conta... Ascolto sempre più distinta
quella voce d'anima
che non seppi difendere quaggiù...
M'isola, sempre più festosa e amica
di minuto in minuto,
nel suo segreto semplice...

10
Sono tornato ai colli, ai pini amati
e del ritmo dell'aria il patrio accento
che non riudrò con te,
mi spezza ad ogni soffio...
(Giuseppe Ungaretti)


Dopo aver traversato terre e mari
Dopo aver traversato terre e mari,
eccomi, con queste povere offerte agli dei sotterranei,
estremo dono di morte per te, fratello,
a dire vane parole alle tue ceneri mute,
perché te, proprio te, la sorte m’ ha portato via,
infelice fratello, strappato a me così crudelmente.
Ma ora, così come sono, accetta queste offerte
bagnate di molto pianto fraterno:
le porto seguendo l’antica usanza degli avi,
come dolente dono agli dei sotterranei.
E ti saluto per sempre, fratello, addio!
(Catullo, traduzione di Salvatore Quasimodo)

In morte del fratello Giovanni
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de’ tuoi gentili anni caduto.
 
La madre or sol, suo dì tardo traendo,
parla di me col tuo cenere muto:
ma io deluse a voi le palme tendo;
e se da lunge i miei tetti saluto,
 
sento gli avversi Numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch’io nel tuo porto quiete.
 
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
allora al petto della madre mesta.
(Ugo Foscolo)
In morte del fratello Giovanni
Un giorno, s’io non andrò sempre fuggendo
da un paese all’altro, mi vedrai seduto
sulla tua tomba, o fratello mio, piangendo amaramente
i momenti più belli della tua giovinezza stroncata.
 
Soltanto nostra madre ora, portando avanti la sua vecchiaia,
parla di me con te che sei cenere e non puoi parlare:
ma io tendo a voi le mani deluse;
e se da lontano saluto la mia casa e la mia città,
 
sento il Destino a me avverso, e le segrete
preoccupazioni che scatenarono angosce quand’eri in vita,
e prego anch’io pace, come te, nella morte.
 
Questo di speranze tanto grandi oggi mi resta!
Popoli stranieri, affidate le mie ossa
quando sarò morto all’affetto di mia madre infelice.
(Traduzione: Lorenzo De Ninis)

Funere mersit acerbo
O tu che dormi là su la fiorita
collina tosca, e ti sta il padre a canto;
non hai tra l’erbe del sepolcro udita
pur ora una gentil voce di pianto?
 
è il fanciulletto mio, che a la romita
tua porta batte: ei che nel grande e santo
nome te rinnovava, anch’ei la vita
fugge, o fratel, che a te fu amara tanto.
 
Ahi no! Giocava per le pinte aiole,
e arriso pur di vision leggiadre
l’ombra l’avvolse, ed a le fredde e sole
 
vostre rive lo spinse. Oh, giù ne l’adre
sedi accoglilo tu, ché al dolce sole
ei volge il capo ed a chiamar la madre.
(Giosuè Carducci)

In morte prematura travolse
O tu, fratello, che dormi là sulla fiorita
collina toscana, e ti sta nostro padre vicino;
non hai tra le erbe della tomba udita
or è poco una gentile voce di pianto?
 
è il mio bambino, che all’appartata
tua porta batte: egli che nel grande e santo
nome (Dante) ti continuava, anch’egli fugge,
o fratello, la vita che a te fu tanto amara.
 
Non per lui! Giocava per le variopinte aiuole,
e mentre gli sorridevano soltanto belle immaginazioni
la morte l’avvolse, ed alle fredde e solitarie
 
vostre rive lo spinse. Oh, giù nelle tenebrose
sedi accoglilo tu, perché al dolce sole
ed a chiamar la madre egli volge il capo.
(Traduzione: Lorenzo De Ninis)


Se tu mio fratello
Se tu mi rivenissi incontro vivo,
con la mano tesa,
ancora potrei,
di nuovo in uno slancio d'oblio, stringere,
fratello, una mano.

Ma di te, di te più non mi circondano
che sogni, barlumi,
i fuochi senza fuoco del passato.

La memoria non svolge che le immagini
e a me stesso io stesso
non sono già più
che l'annientante nulla del pensiero.
(Giuseppe Ungaretti

Atque in perpetuum, frater...
Quanto inverno, quanta
neve ho attraversato, Piero,
per venirti a trovare.

Cosa mi ha accolto?

Il gelo
della tua morte, e tutta
tutta quella neve bianca
di febbraio - il nero
della tua fossa.

Ho anch'io
detto le mie preghiere
di rito.

Ma solo,
Piero, per dirti addio
e addio per sempre, io
che in te avevo il solo e vero
amico, fratello mio.
(Giorgio Caproni)
 
Vicino a una torre saracena,
per il fratello morto.


Io stavo ad una chiara
conchiglia del mio mare
e nel suono lontano udivo cuori
crescere con me, battere
uguale età. Di dèi o di bestie, timidi
o diavoli: favole avverse della
mente. Forse le attente
morse delle tagliole
cupe per volpi lupi
iene, sotto la luna a vela lacera,
scattarono per noi,
cuori di viole delicate, cuori
di fiori irti. O non dovevano crescere
e scendere dal suono: il tuono tetro
su dall'arcobaleno d'aria e pietra,
all'orecchio del mare rombava una
infanzia errata, eredità di sogni
a rovescio, alla terra di misure
astratte, ove ogni cosa
è più forte dell'uomo.
(Salvatore Quasimodo)

Per la morte di Cino da Pistoia
Piangete, donne, et con voi pianga Amore;
piangete, amanti, per ciascun paese,
poi ch'è morto collui che tutto intese
in farvi, mentre visse, al mondo honore.

Io per me prego il mio acerbo dolore,
non sian da lui le lagrime contese,
et mi sia di sospir' tanto cortese,
quanto bisogna a disfogare il core.

Piangan le rime anchor, piangano i versi,
perché 'l nostro amoroso messer Cino
novellamente s'è da noi partito.

Pianga Pistoia, e i citadin perversi
che perduto ànno sí dolce vicino;
et rallegresi il cielo, ov'ello è gito.
(Francesco Petrarca)


 

AFFETTO PER I PROPRI CARI


La madre
E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra,
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
 
In ginocchio, decisa,
sarai una statua davanti all’Eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
 
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.
 
E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
 
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
(Giuseppe Ungaretti)

Sopra una tomba
Tutto un inverno ho sofferto
pensando alla fradicia zolla
dove tu riposavi
in provvisoria fossa
ch'era il tuo purgatorio.
Piovose notti insonni
conobbero il mio rimorso.
E a te volavo, o madre,
cui non piacque la terra
per ultima dimora,
la terra faticosa,
la terra che patisti oltre la morte.
Ora esaudita, emersa
dal confuso elemento,
tu sei come redenta.
Non più l'informe grembo
travaglierà le tue spoglie.
Tu che vivente avesti incerto asilo,
sicuro loco avrai or che sei morta,
fin che l'umana pietà lo conceda.
(Vincenzo Cardarelli)

Anniversario
Sono più di trent'anni e, di queste ore,
mamma, tu con dolor m'hai partorito;
ed il mio nuovo piccolo vagito
t'addolorava più del tuo dolore.

Poi tra il dolore sempre ed il timore,
o dolce madre, m'hai di te nutrito:
e quando fui del corpo tuo vestito,
quand'ebbi nel mio cuor tutto il tuo cuore,

allor sei morta: e son vent'anni: un giorno!
e già gli occhi materni io penso a vuoto;
e il caro viso già mi si scolora;

mamma, e più non ti so. Ma nel soggiorno
freddo de' morti, nel tuo sogno immoto,
tu m'accarezzi i riccioli d'allora.
(Giovanni Pascoli)

Per lei
Per lei voglio rime chiare,
usuali, in –are.
Rime magari vietate,
ma aperte: ventilate.
Rime con suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini.
O che abbiano, coralline,
le tinte delle sue collanine.
Rime che a distanza
(Annina era così schietta)     
conservino l’eleganza
povera, ma altrettanto netta.
Rime che non siano labili,
anche se orecchiabili.
Rime non crepuscolari,
ma verdi, elementari.
(Giorgio Caproni)


Alla madre
Se tu torni fra noi
è un caldo e grigio
giorno di marzo,è l’ora del riposo
per noi rimasti nella casa, in pace.
 
Così lungamente
abbiamo aspettato nel silenzio
delle stanze assopite, ora i bambini
sono andati per viole.
 
Oh, poterli cercare con te
fra le gaggìe nude nel sole.
(Attilio Bertolucci)
 

A mia madre
Ora che il coro delle coturnici
ti blandisce nel sonno eterno, rotta
felice schiera in fuga verso i clivi
vendemmiati del Mesco, or che la lotta
dei viventi più infuria, se tu cedi
come un'ombra la spoglia
(e non è un'ombra,
o gentile, non è ciò che tu credi)
chi ti proteggerà? La strada sgombra
non è una via, solo due mani, un volto,
quelle mani, quel volto, il gesto d'una
vita che non è un'altra ma se stessa,
solo questo ti pone nell'eliso
folto d'anime e voci in cui tu vivi;

e la domanda che tu lasci è anch'essa
un gesto tuo, all'ombra delle croci.
(Eugenio Montale)

Lettera alla madre
<<Mater dulcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi,
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d’amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo.>> - Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore,
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
<<Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell’Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d’eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell’ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m’ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l’orologio in cucina che batte sopra il muro,
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dulcissima mater.>>
(Salvatore Quasimodo)

Se fossi pittore
Non sempre il tempo la beltà cancella
o la sfioran le lacrime e gli affanni:
mia madre ha sessant'anni,
e più la guardo e più mi sembra bella.

Non ha un accenno, un guardo, un riso, un atto
che non mi tocchi dolcemente il core;
ah, se fossi pittore,
farei tutta la vita il suo ritratto!

Vorrei ritrarla quando china il viso
perch'io le baci la sua treccia bianca,
o quando, inferma e stanca,
nasconde il suo dolor sotto un sorriso

Pur, se fosse il mio priego in ciel accolto,
non chiederei di Raffael da Urbino
il pennello divino
per coronar di gloria il suo bel volto;

vorrei poter cangiar vita con vita,
darle tutto il vigor degli anni miei,
veder me vecchio, e lei
dal sacrificio mio ringiovanita.
(Edmondo De Amicis)

Preghiera
Anima mia leggera,
va’ a Livorno, ti prego.
E con la tua candela
timida, di nottetempo
fa’ un giro; e, se n’hai il tempo,
perlustra e scruta, e scrivi
se per caso Anna Picchi
è ancora viva tra i vivi.
Proprio quest’oggi torno,
deluso, da Livorno.
Ma tu, tanto più netta
di me, la camicetta
ricorderai, e il rubino
di sangue, sul serpentino
d’oro che lei portava
sul petto, dove s’appannava.

Anima mia, sii brava
e va’ in cerca di lei.
Tu sai cosa darei
se la incontrassi per strada.
(Giorgio Caproni)

Tu, madre, che da i tristi occhi preganti
mi vigilavi pallida ne 'l viso
e per l'onda felice de' miei canti
abbandonata rifiorivi a 'l riso;

tu che le angosce mie tumultuanti,
s'io ne 'l silenzio ti guardava fiso,
indovinavi, e le braccia tremanti
a 'l collo mi gettavi d'improvviso;

tu che per me in segreto avevi sparse
tante lacrime e ròsa lentamente
senza di me languivi di desío:

tu non questo credevi! Tu, con arse
le pupille, quel dí, ma pur fidente
ne 'l mio destino, mi gridasti addio.
(Gabriele D'Annunzio)

Supplica a mia madre
E' difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.

Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.

Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.

E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
d'amore, dell'amore di corpi senza anima.

Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:

ho passato l'infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.

Era l'unico modo per sentire la vita,
l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.

Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.

Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…
(Pier Paolo Pasolini)
 

Alla nonna
D’inverno ti mettevi una cuffietta
coi nastri bianchi come il tuo visino,
e facevi ogni sera la calzetta,
seduta al lume accanto al tavolino.

Io imparavo la Storia Sacra in fretta
e poi m’accoccolavo a te vicino,
per sentir narrar la favoletta
del Drago azzurro e del Guerrin Meschino.

E quando il sonno proprio mi vincea
m’accompagnavi fino alla mia stanza,
e m’addormivi al suono dei tuoi baci.

Allora agli occhi chiusi m’arridea
in mezzo ai fiori, una gioconda danza
di fantasime splendide e fugaci.
Gabriele D'Annunzio
 


Padre, se anche tu non fossi il mio...
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi un uomo estraneo
per te stesso egualmente t’amerei.
Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno
che la prima viola sull’opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegro.
E subito la scala tolta in spalla
di casa uscisti e l’appoggiavi al muro.
Noi piccoli dai vetri si guardava.
 
E di quell’altra volta mi ricordo
che la sorella, bambinetta ancora,
per la casa inseguivi minacciando.
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura ti mancava il cuore:
t’eri visto rincorrere la tua
piccola figlia e, tutta spaventata,
tu vacillando l’attiravi al petto
e con carezze la ricoveravi
tra le tue braccia come per difenderla
da quel cattivo ch’eri tu di prima.
 
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre…
(Camillo Sbarbaro)
 

 A mio padre
L’uomo che torna solo
a tarda sera dalla vigna
scuote le rape nella vasca
sbuca dal viottolo con la paglia
macchiata di verderame.
L’uomo che porta così fresco
terriccio sulle scarpe, odore
di fresca sera nei vestiti
si ferma a una fonte, parla
con l’ortolano che sradica i finocchi.
E’ un uomo, un piccolo uomo
ch’io guardo di lontano.
E’ un punto vivo all’orizzonte.
Forse la sua pupilla
si accende questa sera
accanto alla peschiera
dove si asciuga la fronte.
(Leonardo Sinisgalli)

Nonno, l’argento della tua canizie
Nonno, l’argento della tua canizie
rifulge nella luce dei sentieri:
passi tra i fichi, tra i susini e i peri
con nelle mani un cesto di primizie:
 
<<Le piogge di Settembre già propizie
gonfian sul ramo fichi bianchi e neri,
susine claudie… A chi lavori e speri
Gesù concede tutte le delizie!>>
 
Dopo vent’anni, oggi, nel salotto
rivivo col profumo di mentastro
e di cotogna tutto ciò che fu.
 
Mi specchio ancora nello specchio rotto,
rivedo i finti frutti d’alabastro…
Ma tu sei morto e non c’è più Gesù.
(Guido Gozzano)
 

 A mio padre
Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l’ombra
azzurra già che sembra primavera,
per dirti quanto è buio il mondo e come
ai nostri sogni in libertà s’accenda
di speranze di poveri di cielo
io troverei un pianto da bambino
e gli occhi aperti di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.

Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.
Ora alla terra è un’ombra la memoria
della tua voce che diceva ai figli:
- Com’è bella notte e com’è buona
ad amarci così con l’aria in piena
fin dentro al sonno - Tu vedevi il mondo
nel plenilunio sporgere a quel cielo,
gli uomini incamminati verso l’alba.
(Alfonso Gatto)

Al padre
Dove sull'acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da tre giorni,è dicembre d'uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele disseccate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verità e lame
nei giochi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.

La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.

Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po' più in là dell'odio e dell'invidia.
Quel rosso sul tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d'aquila.
E ora nell'aquila dei tuoi novant'anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d'Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo - difficile affinità
di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del Biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
<<Baciamu li mani>>. Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.
(Salvatore Quasimodo)
 
 
 Scoiattolo
Tu mansueto destino, camminante fortuna,
stelo piegato nelle guerre e raddrizzato,
inciampo che non cascava, sorriso che mai
non naufragava,
aiutami, papà.
Tu basco, pipetta e via andare
contento del colore di una pera,
tu e le tue tinte così azzurre sulla malta,
fatto di carezze discrete sulla malta, di malta,
di cavernose locande, e canoniche in quel gelo,
di sandali svelti e pulitezza,
pittore scoiattolo, lontano, impicciolito,
spoglia passione senza cruccio,
nonnulla che intorno aleggiava.

Adesso perlustro il terreno, la più scarna
tua Lombardia,
a cercare i granelli di riso che a cento
piano piano hai lasciato cadere,
tu Pollicino, e senza neanche sapere:
mio arrovellato inseguimento.
(Tiziano Rossi)
 
A mio padre
Non più il catrame odora
di remoti velieri
dietro San Giorgio: un gorgo
d'altri e più acri aromi
pullula, Sottoripa,
nei tuoi fondachi bui.

Ma è festa ai marinai
d'oggi come fu ieri
un tanfo di bolliture
rancide, d'olii di semi,
o all'osterie nel fresco
morto d'acque portuali
carnali risa di donne
frequentate dai mori.
(Giorgio Caproni)
 

 Zio
Qui bene si staglia in due fotografie
dritto su un prato secco,
e somigliava a uno spago, bisognoso di nulla.

Si spera che sereno sia arrivato
ad altre solitudini,
porgendo l’orecchio a quello che non c’è:
mio zio col cappello, che poco lavorava
e gli piaceva solamente la musica e
con uno strumento faceva dolci suoni.

Ora rilucono di più le sue manìe:
teneva un elenco dei genetlìaci, seguiva
notturno i lavori tranviari,
spesso si intruppava con dei cani.

La sua storia malcerta qui finisce
(sai le persone, isole che camminano)
e quale evviva potremmo gridargli
noi, venuti al tempo di cose mondiali,
di stirpi in smisurato espatrio.
(Tiziano Rossi)
 
Difesa
Caro nonno, che di me nipote
più non ti ricordi (sono
venuto al mondo dopo il Trentaquattro),
che mi dici figliolo o pressappoco
nel tuo scuro farnètico e gli sbagli, e
parli appena di trincee e di fuoco.

Ecco - la vedi? - questa è la trapunta,
così si chiama, e adesso fa' attenzione
a come la federa s'apre e s'infila. O ancora
tu t'imbuchi là a Nervesa (la battaglia
sotto le troppo sue bombe) o a Doberdò
nel fumo stranita e caduta?

Di tanto si è ritratta la tua vita
tutta in un puntino, per fare resistenza:
che difesa scarnita in questo tempo
sempre di ghiacci, di afflitti letarghi;
ma tu, di certo, hai cominciato nello stento
un'altra specie di combattimento
da qualche spelata dolina...

E il colloquio è finito, radunare gli straccetti.
(Tiziano Rossi)
 
 
 Genitori
Io devo al grembo che m'ha partorito
il temerario amore per la vita
che m'ha tanto tradito.
Poi che nacqui da un sangue
ben fervido e gioviale.
Io nacqui da una donna che cantava
nel rimettere in ordine la casa
e, madre più trionfante che amorosa,
soleva in braccio portarmi con gloria.
Ora, ebbi un padre severo
come un santo orgoglioso.
E furon questi i due forti avversari
che m'hanno generato.
(Vincenzo Cardarelli)


Ritratto della mia bambina
La mia bambina con la palla in mano,
con gli occhi grandi colore del cielo
e dell’estiva festicciola: << Babbo
- mi disse – voglio uscire oggi con te >>.
Ed io pensavo: Di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde;
anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti.
(Umberto Saba)

 

 Favoletta
Tu sei la nuvoletta, io sono il vento;
ti porto ove a me piace;
qua e là ti porto per il firmamento,
e non ti do mai pace.
 
Vanno a sera a dormire dietro i monti
le nuvolette stanche.
Tu nel tuo letticciolo i sonni hai pronti
sotto le coltri bianche.
(Umberto Saba)

Sorella
                             A Maria
Io non so se più madre gli sia
la mesta sorella o più figlia:
ella dolce ella grave ella pia,
corregge conforta consiglia.

A lui preme i capelli, l’abbraccia
pensoso, gli dice, Che hai?
a lui cela sul petto la faccia
confusa, gli dice, Non sai?

Ella serba nel pallido viso,
negli occhi che sfuggono intorno,
ah! per quando egli parte il sorriso,
le lagrime per il ritorno.

Per l’assente la madia che odora
serbò la vivanda più buona;
e lo accoglie lo sguardo che ignora,
col bacio che sa, ma perdona.

Ella cuce; nell’ombra romita
non s’ode che l’ago e l’anello:
ecco, l’ago fra le agili dita
ripete, Stia caldo, sia bello!

Ella prega: un lungo alito d’ave-
marie con un murmure lene...
ella prega; ed ecco un’eco soave
ripete, Sia buono, stia bene!
(Giovanni Pascoli)
 

 Una sorella ho nella nostra casa,
ed una siepe più in là.
Una sola è registrata,
ma entrambe mi appartengono.

Una venne per la via che feci io -
e portò la mia gonna smessa -
l'altra, come un uccello il nido,
costruì fra i nostri cuori.

Non cantava come noi -
era un motivo differente -
essa stessa a sé una musica
come un calabrone di giugno.

Oggi è lontano dall'infanzia -
ma su e giù per le colline
tenni la sua mano più stretta -
così abbreviando le miglia -

e ancora il suo canto
da un anno all'altro
inganna la farfalla;
ancora nel suo occhio
stanno le viole
appassite in tanti maggi.

Rovesciai la rugiada -
ma colsi la mattina -
scelsi quest'unica stella
fra le schiere della notte immensa -
Sue - per l'eternità!
(Emily Dickinson; traduzione
di Massimo Bacigalupo)

Al fratello
Un giorno amaro l'infinita cerchia
dei colli
veste di luce declinante,
e già trabocca sulla pianura
un autunno di foglie.

Più freddi ora dispiega i suoi vessilli
d'ombra il tramonto,
un chiaro lume nasce
dove tu dolce manchi
all'antica abitudine serale.
(Attilio Bertolucci)
 

 La mia fanciulla
La mia fanciulla snella e polposetta
è come un arboscello con le poma:
una ne mangi ed un'altra t'alletta.

La mia piccola cara è una bambina.
Teme, se tardi rincasa, legnate,
suo castigo di quando era piccina.

E quando fa quella proibita cosa
si volge, e manda sospettose occhiate,
per veder se la mamma è là nascosa.

La mia piccola cara è troppo audace.
Mette la testa con la grande chioma
fra le mani, e mi guarda a lungo e tace.
(Umberto Saba)
 
A Ninetta
Con le guance di fuoco
e gli occhi ridenti
camminavi per una selva.
Il sole scherzava
con l'acqua
che fuggiva via.
C'erano il ginepro aromatico
e le grandi felci fiere
e i misteriosi licheni...
Sorse la luna chiara
fra i rami.
(Attilio Bertolucci)
 
 
 A Rina
Nell'aria di settembre (aria
d'innocenza sul chiareggiato
colle) sopra le zolle
ruvide mi sono care
le case a colori grezzi
del tuo paese natale.

Scherzano battendo l'ale
candide sui tetti a fiore
giunti, le colombelle
nuove.

Mentre commuove
dei voli l'aria il giro
tondo, nel cielo ai tocchi
festevoli delle campane
è il lindore dei tuoi virginei
occhi.
(Giorgio Caproni)


La donna

Indice dei temi

Tristezza e solitudine


Inizio

Poetare

Poesie

Licenze

Fucina

Lettura

Creazione

Autori

Biografie

Poesia fantastica

Poesia realistica

Poesia dissacratoria

Metrica

Figure retoriche

Strumenti