La breve storia di Frau Berg
Apollonia Berg è una signora ebrea tedesca, minuta e gentile. Abita dal
‘52 in Viale Porpora a Milano. Da sempre la signora, alla vigilia di
Natale mi invita a casa sua, dove c’è un presepe piccolo e spartano, ma
molto originale: al posto del bambino, tra l’asinello e il bue, mette una
sua fotografia, molto sbiadita, di quand’era ragazzina. Poi incomincia a
raccontare. “All’alba della vigilia di Natale del ‘44, mia madre mi portò
in campagna da una sua amica, in un villaggio appena fuori Baden-Baden.
Nel pomeriggio vennero al villaggio dei soldati; cercavano l’ebrea appena
arrivata dalla città, ma per mia fortuna in quel momento non ero in casa.
Mi cercarono ovunque i soldati: in ogni casa e in ogni stalla e per tutta
la campagna fino a sera. Se ne andarono col buio, forse perché era la
vigilia di Natale e avevano altro da fare. Mi nascose il prete in chiesa,
sotto il grande presepe vicino all’altare. Il giorno seguente mi affidò a
due vecchie signore molto gentili, e con loro rimasi fino a guerra finita.
Di mia madre e della sua amica nessuno seppe dirmi nulla. Praticamente, -
continua la signora - in quella notte di Natale io nacqui una seconda
volta, non le pare?... Per questo metto la mia fotografia al posto di Gesù
bambino.” Purtroppo questa storia non la potrò più ascoltare: la signora
ebrea tedesca è morta questa estate. Ogni anno a dicembre, alla vigilia di
Natale, frau Apollonia Berg mi mancherà più di ogni altra cosa.
Il tempo delle ciliegie
In un radioso mattino di giugno, accompagnai mio fratello Marco all’asilo,
raccomandandogli di avvisare la mamma che sarei tornato a casa il giorno
dopo perché avevo una gran voglia di vedere la zia Rina e lo zio
Alessandro che abitavano in campagna, a una mezza giornata di cammino dal
paese. Ricordo che al tempo io avevo sette anni e mio fratello quattro e
che gli zii furono molto contenti di vedermi. La zia mi domandò subito se
la mamma era al corrente di questa visita. Naturalmente risposi di si e
passai il resto della giornata con lo zio a raccogliere e mangiare
ciliegie e a far dispetti alle mucche e all’asino e a scivolare sul fieno.
C’era anche un grosso cane dal pelo fulvo, che pur non avendomi mai visto,
si comportò come se io fossi vissuto sempre con lui. Alla sera mangiai la
polenta con il latte e un grande panino col salame. Lo zio mi permise di
toccare il fucile da caccia che teneva nell’armadio come una reliquia.
Poi mi stufai. Salutai gli zii e ripartii carico di ciliegie che mi
pendevano perfino dalle orecchie fischiettando come un merlo. Sulla strada
del ritorno vidi il Ruggero cadere con la lambretta, rialzarsi come niente
fosse e ritornare indietro correndo come un matto. Quando arrivai al paese
c’era tutta la gente per strada e tanti sui balcone come se stessero
aspettando qualcuno. Mia madre era lì che piangeva e mio fratello mi
guardava senza dir niente. C’era anche il maresciallo e il dottor Pacileo
con la Gilera che scuoteva la testa. Il maresciallo mi portò in caserma e
mi fece vedere la gattabuia dicendomi che se lo avessi fatto un’altra
volta mi avrebbe chiuso dentro a chiave. Seppi poi da mia madre che ormai
mi davano per morto, magari annegato nel lago. Io risposi che la colpa non
era mia ma del Marco che non gli aveva detto niente. Lei allora scoppio a
ridere e mi comperò un grosso gelato. |