Istanti soffocanti Lo sguardo squarcia il minuto, l'angoscia divora la rabbia e la cecità è padrona del mondo. I tempi or insaziabili percuotono questo innocuo petto mio e il buon Dio, ragion senza, cuce labbra ancor giovani. Pian gira l'aria per l'aula ed io a stilar la vita, del mio tormento la causa. Tanto è il dolore e l'anima scombussola: impotente chi assiste. Molto da scrivere e così poco tempo. Ahi! Arriva lei, Maga Ispirazione, ad assillarmi! Inizia il dramma del cor mio: esso torture subisce pur agendo d'istinto e assai non villano. Come rinchiuso in una bettola, già ammiro il social degrado vigente là fuori: fisso però rimango senza far di gambe le armi mie. Come in trappola son perso in pianti e nutro carta di visioni, quelle dei terrestri, esseri noi mondani, operai peccatori.Al venir giù di biglie piumate Scende bianca e soffice, escon di fretta gli allegretti angioletti, fior di gioventù, si nascondono tra i rami per giocare tra loro. Candide scaglie di cielo cadono delicate sulle teste di noi mortali e tutto ricoprono; dolcemente si fa festa perché vicino è il Natale. Il poeta intanto ricerca bramoso la sua musa, pare anche la sua condanna: lenta e angosciosa pur dolce che sia ma poco importa. Lo abbraccia, lo incanta, forse lo allieta e lo seduce; scendon chicchi di riso: compone versi e per i campi traversa le valli del mondo suo. Da quel vento di spighe, fragili biglie di neve, è catturato e piano lo accarezzano per portarlo via con lei… di quel bacio mai arrivato (forse un sogno ma pur sempre un sogno). Un bacio stampato sulla neve, l'attimo eterno pria del nulla, l'ulivo nascente e fiabesca espressione… Il poeta è vivo, vivo più che mai e ora sente ancor più lei, la compagna di sempre fedele: la poesia sua cara. Quel bacio divenuto realtà Lui aspetta sotto casa, lei non scende; lui ci crede ancora, lei pensa ad un altro; lui per le scale scende e sale, lei è confusa e non sa che fare; lui piange e sta male, lei dorme o tenta; lui la ama, lei però lo ha baciato; complotti e guerre all'ordine del giorno e il cor più in affanno è ancor; come in frammenti già perduti o in quel bacio fatto storia il corso si esplica e tutto si congela sotto nude spoglie e gli argini van via con lei. Di me nel profondo apro le braccia al vento e nel riparo chiedo a me: "Morire o patire? Quale sia meglio? Se per lei scomparire sarebbe forse più lecito del continuo e assillante, insopportabile patire, che destino è il mio?" Lui le mani sue sente, lei lo guarda sciogliersi: è un anno del ghiaccio che lento se ne va… Volo Nell'attesa paziente di te mi ristagno qui fra le pacate sinfonie sibilanti al cor, incantato dalla sua magica arpa, mentre adesso invoco Voi sacre promotrici del mortal pensiero per poter volare verso più alti lidi, esule ormai da questo avariato mondo e ben distante dalle tacite statue che fuor di me risiedono impudenti. Voli di pensieri Son sempre i migliori quelli che van via per primi e i miti, i sogni e gli eroi son destinati a svanir dalle polverose dimore della mente, tutt'ora in precoce tumulto. Mentre leggo l'immenso universale, racchiuso negl'occhi tuoi, volti al sol mio sguardo, io, ahimè ancor quaggiù, permango a scrutar il passar lento delle nubi sovrastanti. Vola via la spensieratezza e persiste l'usura dell'incapace cor; vedo sogni proibiti che si tramutano pian piano in ricordi assai sfumati e persi nel vuoto. Osservo te, che dall'alto adesso mi assisti, e prego allora il ciel di poter assetar con pienezza l'intelletto mio, sola ancora di salvezza. Al grande Burattinaio chiedo or di soddisfar, quanto basta, i sordi sensi miei pria del fatidico suon di tromba, allo sfiorir dei prati e del ciel sereno l'imbrunir. Piove Immerso nel sonno indiscreto, resoconto generale del giorno ormai andato, la bella penombra mattiniera or m'avvolge con frenetica insistenza, come grigie nubi travolte all'istante da lucenti raggi solari… E di colpo son rivolto con pacata violenza dai risonanti bisbigli del buio ciel, cade come dal nulla questa doccia risonante fatta di sol punti d'approdo e sempre più fitta compone piano la sua dolce sinfonia. E piove, piove sul bagnato, piove di continuo e non si ferma più; come infinito scivola via il lento pianto del buon Dio su noi misere formiche, amanti grasse della terra immonda. Piove, piove su di me, piove a dirotto per lei, oramai persa per sempre; e piove e piove senza stancarsi mai quelle accorte nuvole che nel ciel vanno e vengono e ancor lì poi son di nuovo qui… E tu, dolcissimo mio risveglio, stella giammai spenta ed eco sublime delle vie del cuor, non più come prima risplendi e qui l'indenne pioggia m'invade gli occhi, specchi inermi di questa rude realtà. Ed ecco che, mentre chiedo al tempo, miglior medico esistente nei casi dolenti al cor, di curar le tante ferite incassate, ti aspetterò ora dove né domani né mai cadrà quella incessante pioggia che ancor mi lava nauseabondo… Al tramonto … ma se gli occhi non sentono e se il cuore è fatto per patire, che vediamo a fare? Finiscono persone, svaniscono sogni; nascono personaggi e si crean fantocci; e pensieri e idiozie van oltre il vero: ecco tranelli e soprusi sorti dal cielo come niente; l'amor visto solo come uno stupido gioco, passatempo dei bei nottambuli a cui tutti prendon parte… e dopo? Che resta più? Vaghiamo per non perderci, eppur tutto è nebbia! Tutto! Ed ogni cosa è sbiadita se non è lei. Ancor girovago, cieco, in mezzo a questa fitta piena di risi e ghigni di burle e falsità e di forzata indifferenza… Muore il giorno e vien la notte; passano le stagioni, trascorrono le ore e gli anni e sempre giungono nuove albe a rasserenar la madre terra… Ed intanto io ancor penso a te… Non abbiamo poco tempo, ma ne perdiamo tanto… Pace Non capisco cosa succede al di fuori di me… Cosa davvero vorrei? Piangere? Scomparire? Non so più cosa dire… Mi ostino solo a nutrirmi di chimere! E allora? Da tempo combatto ingiustizie, mi perdo su futili menzogne e cado giù per contrastar la cecità altrui… Duellavo contro le tante sviscerate falsità che prima mi davan disgusto e dentro me sempre pioveva, pensando a sciocche questioni, fasulle idiozie… Oh mio caro ciclope, divoratore affamato di entità sopraffini, or fai di me ciò che vuoi… Io son qui per te che aspetto… Così imparerò a dar a tutto un senso e a crescere sul serio… Voglio più di un sogno! Voglio vivere di più… Or conosco le risposte e ciò che devo far… Non mi volterò all'indifferenza ma spingerò la mia penna a scriver cose sensate e di maggior chiarezza. Mai come ora sento la vita… Addio stupide illusioni! Ora a tutti dimostrerò il mio Mondo magico che un giorno di qualcuno sarà e allora davvero saprò aprir la mente al nuovo e spazzar via il nostalgico passato del core presente per poter finalmente trovar pace… Piangi, terra, piangi! Piangi, terra, piangi perché non hai più fede; piangi, terra, perché i tuoi alberi son caduchi e stanchi e i tuoi prati sfioriti… Piangi, terra, piangi perché non hai più sete e forse poiché ospiti fin troppa grezza materia t'opprimi e ti confondi senza dar modo al caro e vecchio zio Atlantide di sorreggerti da laggiù… Piangi, terra, piangi perché non sai che fare; piangi perché frutti non dai più e le tue rose son ferite da quei raggi di solo sole che in principio ti diedero vita. E le tue piante son offese nelle loro radici e stentano ad arrivar al domani e le fornaci dell'industria han ancor da spendere fiato. Piangi, terra, piangi perché non potrò mai averla… Sii solidale con me e accoglimi fra le tue grinze foglie e tienimi su stretta al tuo petto, così che possa scrutarla da lontano insieme a lui e abbandonarmi soltanto a una valanga di pioggia! Piangi, terra, piangi perché non potrò aver pace: tacere il sentimento e incassare i duri colpi del destino, ammirarla in tutte le sue forme e ripetermi sulla sua sconfinata delicatezza, lei, immensa mia scoperta… Piangi, terra, piangi! Fuori piove, dentro tuona il cuore Al vetro attende vibrante i colorati ricami del ciel quel garzoncello là, che forse vuol solo giocare. Si desta furente la pioggia al di qua del corroso fetor di gabbia e fuori un lampo imperversa solenne. Pian piano nella griglia quel fanciullo scorrazza e si perde, giocando, per la rete in cui è rinchiuso. Fuori piove, dentro tuona il cuore. "E l'arcobaleno a me caro?" Bisogna che tu sopporti la pioggia per vederlo arrivare! E questa muraglia, che la vista occulta, lo danneggia: povero! Scorre lento sugli alterati schemi del chiuso un vento; leggero, or lascia traccia indelebile, il sentimento, della sua profonda essenza e ancora il sol tarda a tornare. Tutto in un istante Quel mare da spartire è il distacco da riempire e tu avrai fede di aspettare? Ecco che fa rivivere quel pensiero: forsennato ti verrà a cercare e nulla più ci sembrerà distante. Allora lì baciami sino ad incatenarmi alle tue labbra, lascia che i nostri respiri sian sensuali parole, doni innocenti senza il soffocamento dell'ipocrisia… Leggera Ed ogni volta che i polmoni miei catturano ossigeno ho nostalgia di noi, almeno di ciò che saremo potuti essere… Quando chiudo gli occhi per sognarti accanto a me, il mio essere vivo inizia a danzare su lente melodie del canto di uno stormo di rondini in amore; piano si congedano verso del giorno il venir meno. Passa intanto il tempo che dissipa ogni nostro gesto, tenuto in serbo nel ricordo: memoria racchiusa per le morti stagioni. Oh cara sensibilità, fin dove mi porterai? Nella lontananza Fermare il tuo sorriso… Trattenere la fragilità delle tue mani… Sussurrare il ricordo… Il nostro… Scatena l'alata creatura che dimora dentro il tuo cuore… Scenari sbiaditi Incollati alle leggi dettate da un Dio, di cui la Volontà dell'ignoranza è il rifugio, consumiamo noi, dell'immensità i figli; qualor di "bamboccioni" sia il Paese nostro o l'Italia dei prodi Professori, (vani son di uno Stato i comandamenti) più nulla è da dire. Poiché mille volti possiede quel Fuoco là che cor prende e porta via con sé, ti divora dentro, rapisce l'animo e cresce ali, tante volte ci giocò, villano, e per me fu, vigliacco, fatale perdita; di coltelli nasconde la punta e ciò che fu è pianto: m'ingannò sovente. Compromesso è il secondo che passa, pochi giorni e muore il fiore: acqua si consuma e fango diventa: tutto abbraccia sorella morte; e se avventura è Vita, sveliamoci in scenari infanti! Dannati i poeti, se ipocrisia è tale da farli del dolore i fratelli! Ed io, letterato (arie non mi dò), naufrago di chissà quale terra, al filosfar perpetuo son già condannato e di riscatto voglioso m'alzo per ancor più sogni; nascosto dietro barba incolta e dotato di farfalle non infedeli e rare, saluto i raggi ultimi del morente giorno. Sbiaditi son i contorni e negl'appassiti prati del cor giammai sento freddo… Arcobaleno Trova spazio nel cammino suo disgraziato o che lei riposi beata, come niente fosse, tra i morbidi guanciali, o che malato sia il cuor. Oh infame Terra, vivi in totale apatia! E se "bestia senza testa" consuma e perseguita di pochi il talento precario, quel che era l'artista dipinge. Nostalgia dell'antica Lupa assale; è della penna il tocco magico che i sensi risveglia e il tempo inesorabile sfida: il sogno continua… Il compositore a Luigi Tenco Sotto il tetto torna lontano, quel poeta che troppo poco parlava; lungo il binario camminando, raccoglie dolci note che pendon sincere e al suo lento passeggiar del sassofono il soffocar balbetta. Compone solenni atmosfere, il verseggiator assai divino, timido forse un bel pò, con quel suo parlar politico; ai suoi occhi ripensa poiché sorrise per lei quella sera: la vuole per sé, ne ha sete. Ecco la panchina: lì ripensa, il romantico giovane, a quei perduti giorni ove nulla da fare si avea: in quel buco di cuore giammai s' innamorò sereno e allor il sonno morì. Di rado un sorriso scappa al militante ribelle che bisogno ha di sognare; ancora per esser vivo. Viaggia dal fumo ombrato come in cerca di un mondo altro da cantare… Al prodigio del suono si perde nel cor di lei, perla mai avuta, e dal suo caccia ombre a sassate; di quel sistema è vittima e saluta, ormai stanco, il suo eterno grande amore. Ciò che conta è non restar soli e sostar tra tanta gente; abitudine è speranza se i sogni rimangon sogni e verdi isole son già passate. Il vissuto pianeta quel che pensa mai dice e di saper tutto crede. Aver voglia di tornare da lei, averla tra le braccia, sussurrare amore, coll' inganno reagire al reale e poi andar via: cala il sipario e quel ragazzo là, folle sognatore, dai "normali" incompreso, svanisce sognando. Un bel giorno cambierà questo posto qua… Vedrai! La nave lascia il Porto. Non siamo nessuno! Solo in fuga dal tempo! Ciao Luigi, ciao… Scegli noi! Sinfonia d'un fresco battito d'ali scende lieta e poi fuggente come quel pennuto bianco là; con parole a te care, che tanto ricercavi, umile nella tua fragilità, ora chiedo a te di fidarti di Noi… Inchinati alla benedizione di stelle sorelle, ti prego di viver dentro te questo nostro opaco presente, così codardo da prendersi tutto; E allor non tremare, bisogno non ce n'è, ci son io… Non aver timore, insieme voleremo, sul corpo mio viaggerai; di lui il calore e di lei il profumo si fanno acqua che ribelle schiaffeggia il mondo: ha sbiadito i traguardi, ha deluso non solo te… Sulle mie labbra avrai gioia e scivolerai come niente; un inferno rosa non ha strada, è come intere due vite: non si appartengono, indietro non guardano, non si voltano ma lo vorrebbero… loro… … si raccolgono in una sola. Cattivo è il tempo, ma si è in due contro di esso: siamo Noi… con i baci nostri… Solo tu, per me a Michela L'autòma son io!? Quel che vagheggia e vaga, vibra se lei riflettono gli occhi. Se questa mia intensa pena m'affliggesse meno, se formiche vacillanti si colpissero a gomitate perforanti verso il tozzo misero di pane: di spazio ne manca. Se il tempo annullasse il corso suo, se affrettato è il cor mio che or per lei batte, le rose di questa mia intensa giovinezza non sfiorirebbero mai, forse. Sterili piaceri son ben oltre mentre qui dietro ai banchi si aspetta e si duole; in mostra sol per l'automa, che son io, sfilan ombre orgiastiche e ignote dietro a deserti sfocati e l'incanto scompare… Se i baci son vani e i ricordi cose ormai futili, se la cara immagine sua sempre più viva in me, è il Sole nel cuore e le nuvole sotto le gambe, se tutto è un sogno, chi osa svegliarmi? Se per lei lagrime salgono dal petto, se brilla eterna luce sua nella oscura notte e madre Luna veste, come suo solito, della vecchia vestaglia, inseparabile, se fossi quell'autòma che sono, che tenta dal suo destino pian di scappar via, lei non sarebbe alla guerra la mia risposta. Se il Fato ha già deciso: "Marcire qui è solo il principio…!" possa giocare con di un'altra illusione la chiarezza e sentirla ancor vicina, lei, velo leggero e dolce gioia, solo per me, pioggia di pace! Solo tu, per me. Il canto a Manuela Madre Luna, tu che intorno a noi distendi quel velo dal tessuto lucente lungi dal bruciante Astro, lume del mondo, assisti, devota ai tuoi figli, quest'impavido core: quel canto vuole per sé. Fedeltà urla al corpo precario mentre il nome suo spesso e ancor mormora; la guardo e il pudor vien meno. Ed ora, o santa padrona del mortal vagabondare? Canta ed io che posso farci? Stento a crederci, ma prego te. Satellite a me caro, del cigno che posa caduco il capo è questo il canto! Delle sirene, signore dei mari, le preziose grida scorgo nude, armoniche danze di fate m'acquietano, tenere occhiate tra la Diva e il giovane che tanto sognava; quell'eterna melodia che ristoro dava al pianto, acqua alle secche labbra, luce mai spenta al chiuso giardino, profumo alla pelle, fuoco al camino acceso: d'amore parla e lei sboccia. E' più del dì mai sperato; scioglie il ghiaccio questo suono di vita e son traguardi abbracci felini. Tendo agitato l'orecchio e il canto si ripete lontano… Ritorni qui... e dopo via... Di un cattivo spettro ti dai forma, competi e colpisci: dura, al core; braccia e labbra, gambe e corpo: tutta te stessa dai al mondo e sparisci lontana ancora una volta; ti fai piccina sempre più e d'un tratto… via. Bisbiglia il passato, tempo assai sicuro, ad ossa ormai assodate: "Tu non se' immortale!" E' il conforto del vano sofferir? Ecco l'irritante furor che ora m'assale! Ridere della Fortuna? Altre carte da scoprire? Si fiutano risposte che mai a letto vanno, qui dentro avvisto sol quel pò che bolle e ritorna madame Ignoranza a persuadermi, poiché passioni inforna in abbondanza. Due volti dipingo a volte, che si cercano ma non si trovano… Comparsa Taciturno mormora l'errare di noi mortali, popolazione succube di maestà Natura, e di continuo parla d'amare la dolce necessità. Vò intanto a coronar di eccelsa angoscia questo cranio tempestoso; so che nel sogno delicato mi risiedo spesso: conviene uscirne. Inattesa comparsa il cielo scuro filtrò, bagnò il viso e risvegliò l'emozione: fingere di aver dimenticato…
Se dovessi esprimerti tutto ciò che sto provando in questo momento non finirei mai di scriverti… Ascoltami...! Tracce lasciate dalla magia del tuo sorriso leggo e rileggo sovente e impazzite gocce di gioia parlano solidali al cor mio di uno splendore eterno mai sazio di sussurrare te. Ascoltami, perché sento i tuoi passi ancor accanto ai miei e scuotere quella voce da preservare. Lento scompaio, guardandoti: lascio qui un fiore mai colto, nitido nella sua semplicità e distendo le ali per rapirti al tuo destino. Suona vacuo il vento con la foglia e il ramo e spazza tutto alla rinfusa: malevolo nel suo genio, tenta di celare l'impossibile mentre sulla strada, che distante da te mi porta, semino nobil tristezza. Ascoltami, perché non so che dirti: parleranno i ricordi, gli attimi chiusi in foto, le mai scordate ore in cui vicinanza ci univa e tutto sarà per noi immerso in una danza che non desidera altro; memoria del nostro vivere costeggia verdi pianure che mille e più scenari mai potranno compensare… Notte di maggio Saper più non voglio, niente! Tanto ogni cosa cinguetta e danza con maestria, no? Tutto è rosa e fiori, vero? E non rumoreggia il ferro! Del monocolo munito di lance la leggiadria coccola il mondo e di azzurro si sazia il cielo giammai coperto. Quel sacro vortice, che tutto coinvolge, la stolta ragione cancella ed è fatto di sogni, magie, risa e scherni poiché piccoli son gli uomini e si vive di soli specchi, manco fossero baci… D'ogni parte vige la madre del denso mistero: ecco Venere, divina di quel fuoco che bello e desiderabile fa apparir ciò che sul serio non lo è; ma non è sempre così… ……….….a volte… Nel ballar giochiamo, scherziamo, tanto Dio esiste! Che bisogno c'è di farsi d'affanni il pescatore? E di pensieri l'architetto? Accartoccio idee questa notte di maggio e rifletto: "Ma si può essere così vuoti?" Incanto Di girasoli scoloriti sotto piovani proiettili mi domando, perduto; solo mi risponde l'eco lontano delle strade, svuotato. Sento come quel senso di mancanza che mi turba, e mi assilla, mi scuote e mi colma il core tra un saluto e un'occhiata distratta. Assisto al fiorire cortese di forme leggiadre: sulle sponde di un fiume eccola la creatura, scoperta dopo il naufragio e m'incanto nel suo essere meravigliosa. Noto che al gener nostro il pater fato non donò che il soffrire e di poeti, quelli che chiamano "i sensibili", ne restan pochi, miseri. E allora mi faccio piccino e innocuo, girato l'angolo son colto da quel solito bagliore avvolto come mai fra le braccia del suo incantevole fuoco. Lodo quelle mie amate Muse, care al Dio, di cui tanto scrissi e conservai, rinchiuse perpetue, quei volti che parevan familiari e nati da egual seme, su languida carta. Di loro racchiusi l'incanto con sacra premura: quel tumulto che posson provocare nel denso spirito, sì che scolpita ne rimanga imbattuta memoria. Dalla luce lontano Ti vengo a cercare nei miei sogni svaniti e quel monellaccio là non si ferma più… Non ha mai pace! Quel birbantello che di frecce lancia condanne… lente torture… e se ne intende! Forse non appar da fuori il tormento che si evolve in piaga, ma da dentro lacera: è più forte che mai, credimi. Quello lì istiga la vampa che al sicuro se ne stava nel posto suo, qui, nel petto mio: e allora dimmi che posto mi dai sotto quel tuo sorriso… quello di sempre…d'ogni giorno… Bagliore intenso alimenta dei giovani il fuoco violento che supera distese di ore infinite e irrompe, poiché di pioggia battente il potere dissemina, ardente… E' armato quel fanciullo: impossibile resistervi, credimi. Arguta notizia tu porti al cuore, per te di certo gioiosa, la sognavi da tanto… E tuona più che mai per me anche se con assassina dolcezza, matrigna risonanza, improvviso abbaglio: rivedo quella scena. Osservo e taccio, divora all'interno quell'incubo: ride lui e folleggia, piccolo e scherzoso, divino delle malefatte, quel Cupido che non sa stare senza far nulla, diffondendo quel malanno che mi affligge ancor… lo dispensa… si fa gioco di noi… Sempre con te ho sbagliato, or cosa giusta è la pena: così dev'essere o no? Ma che cosa credevo, io? Lascialo andar quel malefico angioletto però: tutto procede secondo i suoi piani… Esordisce il patos… Se con la tua felicità, poi, gioco a dadi o la ostacolo, vedrai, solo un po' di tempo e mi dissolverò, portando via da te quel viaggio intrapreso dentro me… Pazienta e mai più noie ti darò, perché, ahimè, sarò distante da te: dalla luce lontano… Coccy-nella laguna Di color scarlatto scende giù dal suo cielo quell'insetto fulvo macchiato e, delicato, si posa fiacco sul verde di un filo per trovar conforto dal ritiro che l'ha frustrato. Gira e rigira, punzecchia qui e lì, oscilla da quella e dall'altra alla ricerca di compagnia e non si scontra in nulla: passeggia per i campi e quello stagno, mentre ingoia aria che per poco ai piedi non lo getta di madre natura. Disperato, non conosce il che fare e circolar qua e ancora là nel suo frenetico investigare, alla ricerca di lei, quasi muta in giostra. Lontano destan di sangue tacce e s'eccita come d'un filtro: visione pur falsa che sia, lettiga per appassionati. Qualcosa c'è! Forse un suo simile? Troppo incanto sarebbe! E invece altro non è che il mastro Don Rospo: d'un ingenuo Coccy il fausto piatto si servì e di quel boccone prelibato seppe nutrirsi avidamente; … spietato! L'amore (ritorno) Distesi ad asciugare al sole forgiamo un amore che forse non ci vuole ed io stringo te: la mano mia nella tua, la tua nella mia. Fa male, lo so, ed è difficile; andar via è come fuggire distrutto, ritirarsi da una battaglia già persa. Giammai il tempo l'avrà vinta, e la lontananza quale speranza può avere? Vivrà fra la placida marea e la fulgida realtà questo cuore battagliero e un giorno ancor per te, che sei distante, tornerà. Mi manchi; manchi ai miei occhi ormai lucidi e stanchi ma volenterosi di apprendere e scoprire nuove rotte… Quel moto dell'animo duole e non poco e si avverte una violenta fitta: pozione dai risvolti miracolosi e incantesimo afrodisiaco ma struggente condanna e lenta tortura nel modo stesso. Ritorno e dovrei esser felice; si disegna un sorriso sbiadito. Or son qui che mi allontano e a volte sento ancora la tua mano che mi sfiora… L'amore (andata) Affetto connotato e sincero: i sentimenti veri maturan oltre il tempo e la distanza, che del vento smorza i piccoli focolai e alimenta i roghi. Aspettare la persona cara per ore e ore, mesi e mesi, guardare il suo sorriso e nel tempo di un bacio, oscuro al fracasso di una guerra, capir che il ritorno è valso… E pur di rivederla, pensare è come sognare, abbracciarla è come volare, quel bacio, suon di labbra, corre tra le nuvole portato dalle ali di questa brezza: si poserà sul tuo cuscino per indugiare e augurarti una sereno risveglio. Che cos'è l'amore? Una dolce favola che sfiora il tuo volto, uno sguardo timido e impacciato, la voglia a cui può resistere nessun mortale: quella di riveder l'altro. Il cavaliere è alle porte della fortezza ove lei attende; è l'atmosfera giusta per avvicinarsi e sorride la donzella poiché il ritorno tanto sperato è questo: lui è arrivato. Non torna il domani ed è un sogno codesta forza, potenza sovrumana, a cui si arrende il peccato. Ogni cosa è imminente poco prima di partire: m'imbarco e affronterò diluvi e naufragi pur di guardarla ancora una volta… carezzerò le sue mani. Insonnia …una voce lontana riecheggia nell'ombra dei miei incubi profondi … La senti anche tu? Si, è lei che lenta arriva, mentre tra un taglio e l'altro si dondola: la voce delle tre maghe. Forse un chiù, ma io non sono quel pensatore lì: giammai oserei confondermi. Piano si dissolve quel sussulto inquietante e giochi di echi mi rapiscono sotto il chiaror di luna piena, figlia del pianto solenne. Mi dilettano illusioni e vedo fantasmi che il tempo divorano: solo i volti che pria del lampo finale salutano e dan il loro addio e il tempo che divora la vita. Mia Musica, ora accompagni il patir mio dolce come un'opera artistica da portare a termine e ti duoli del sol tuo andar; oscilla intanto il fragor di farfalla che ogni dì si fa sempre più lontana. Tu, beata, non sei qui e sento come voglia di andar via, evadere oltre quei confini e con me portarle strette al cor quelle mie lucciole che strada mi fanno ancor tra affanni e ostacoli: dell'aria il vento. Si fa morte con scongiuri di vita eterna, se soltanto noi terrestri potessimo comprendere quali altre peripezie c'attendono. E se spiati, siamo vittime dell'oltre: e lo gestiamo noi. A stento mi prende quel sonno là come di un ape che ancor lì sta e di quel fior delicato disteso sul perso giardino; la sinfonia continua: danza lieta. …svegliarmi da questo crudo sognare e svivolar giù come una caduta, ma più leggera … Paura di illudermi ancora Sotterro il sentimento, al posto suo sta, e litigo con la mia sfera perché fra le gambe saltellan bambini, ridicoli folletti incapaci di vivere la giornata e io mi dilungo col quotidiano. Che sia la pioggia o la sera, il giorno o il sereno, conto i giorni e aspetto quelle stelle per partire e tornare a vederla dopo un tempo indecente e pare un'eternità… Ove l'occhio non può pormi limiti insormontabili mi distendo stanco sulla tela di dea Fortuna e regole inculco ai miei battiti che s'alzano come le città là fuori. Il timore di non piacerle più scavalca ogni immaginazione e m'accorgo di vivere il monotono, capendo con difficoltà quel male arduo da battere: in me pullula la sua figura. Stasera scarabocchio ancor qui e lì mentre la lampada si consuma precoce; prego intanto Dio per dar sostegno al tavolo di lavoro, padre dei miei impieghi, delle fatiche sorde al comune. Mi accompagna forte la sua emozione. Ahi lontananza, matrigna di sventure, t'avessi vinta chissà cosa sarebbe ! E tu dai vigore al domani, penetri nell'insano e ti tuffi in quest'animo percosso. S'alzano le foglie, s'appiattisce il vago, s'acquieta l'inquietudine e attendo vano l'alba… I poeti Noi siamo quelli che per una briciola ci diam pena del vivere odierno. Noi siamo la voce del fanciullino, nato dal nulla che gioca, osserva e battezza il mondo: ride e scherza allegramente per risvegliar i coetanei addormentati dall'adulta bussola della cecità e dal bordello cittadino. A noi piace curiosare nell'anima e privarla delle viscere nascoste, delle sue voci, dei suoi sobbalzi oscuri alla luce, per sentirci liberi e onesti. Noi siamo gli albatri che guidano le navi ad affrontare il diluvio attraverso piogge e correnti, quelle della vita, e voliamo alti dove nessuno può arrivare, fieri del nostro dono divino. A noi piace l'orgasmo selvaggio di un'ispirazione; a noi piace guardare tutto per la prima volta e farci schiavi delle nostre emozioni. Saranno le nostre capacità a salvarci un giorno: tutto quel che abbiam perduto lo ritroveremo, perché così va il mondo… Saranno le nostre mani e i nostri cuori impavidi, anche se fragili, a salvare il pianeta suicida; saranno i nostri tiepidi occhi a pietrificare le ambizioni dei potenti. Saranno le nostre idee a farci spazio tra la fitta nebbia di dubbi e tormenti che frastorna l'uomo comune per scoprire il nascosto e svelare la nuda e schietta verità. Sarà la nostra folle incoscienza e la nostra assurda irrequietezza a darci la forza per opporci al fato e combattere il tempo - ciclope, figlio del male: e forse allora noi terribilmente facciamo paura. All'amore c'è tempo, o ragazzo/a, le ansie, i sogni, le malinconie non servono a niente se non le esprimi, se non le dai vita. Sarà il nostro ruggito ad abbattere le barriere del sonno e dell'indifferenza, dell'arroganza e della violenza. Noi sappiamo usar la penna a nostro vantaggio, come spada. Ci diam coraggio da soli e confortiamo noi stessi con la magia di un desiderio. Ci perdiamo appresso a futili sciocchezze e, stupidi, rincorriamo dolci inganni; a volte rimpiangiamo il passato senza vivere a pieno il nostro presente. A noi piace sognare ad occhi aperti e nutrirci di apparenze, una dietro l'altra per sentirci appagati. Brucia denaro, brucia!!! Non meriti tutta questa importanza, perché chi non ha talento insegna. Noi tracciamo linee di inchiostro per aspirare all'immortalità e per i ibernare con noi quella bellezza sopravvissuta all'uragano irruente. Noi diamo forme ai gesti, agli sguardi, a semplici baci, che per altri son robe d'ogni giorno: cavalchiamo sereni le soglie della virtù sublime e della gloria eterna. Proviamo dolore e tanto, secondo molti, per niente… Tutto e vano, dite? A prima vista piace figurarci come quelli di sempre; come "normali" esseri umani e ci ambientiamo intorno a tutti, passanti e non. Ora però dico a te, lettore, non avere paura di perderti tra i nostri versi perché questa è la nostra forza: diventiamo arbusti che pian piano crescono e danno luce a frutti ancor più maturi e nutrienti. Presto i piedistalli di retorica sui quali c'han abituato a vivere inesorabilmente crolleranno e i nostri nomi riecheggeranno nell'ombra fino alla fine dei tempi… Noi vediamo quello che gli altri non vedono (dovrebbero!!!) e sentiamo come nessuno sa sentire. Unici nella nostra essenza, attingiamo all'oltre e ci lasciamo andare alla coltre dei nostri pensieri. Siamo una galassia a parte e, incoronati d'alloro, proseguiamo a rilento per i sentieri bui del domani. Condanniamo il nostro animo a una esistenza fatta di sacrifici perché noi, come fari, piangiamo luce per gli altri. Massa immonde, resta pure a guardare mentre noi restiamo soffocati dal male di vivere quotidiano. Noi diamo voce al reale e salviamo la natura, madre e regina di vita; a noi piace trovar rifugio in noi stessi e confrontarci col mondo esterno. Noi siamo gli estranei, gli esclusi dai giochi demenziali e dai piaceri volgari della scatola dell'infamia, che tanto disprezziamo; esiliati di un mondo che forse non ci merita. Noi aduliamo gli antichi, nostri progenitori che saziavano il corpo di filosofia e sagge nozioni: ora invece tutto è perduto… Ci riduciamo ad una razza primitiva lontano dai ridicoli costumi e dalle dicerie della gente e di quelle maschere, noi ne siamo privi. Noi siamo come gabbiani, volatili meravigliosi di una lunga stirpe, scrutatori del cielo e padroni dell'aria: ci specchiamo nel mare profondo. Noi siamo poeti… creature lontane di una terra sconosciuta… Anima candida "Dove sei arcobaleno?" Il cielo interrogo e son rimasto… E sento l'odor dei ramoscelli tremanti al tocco di cascata immonde e di qualcosa che forse poteva succedere; come sempre, piano i miei pensieri odo soffocare: lingua, stile e metro si fanno carne e s'accartoccia il mediar tra strofe e accenti, mentre guardo lei; rime, non più di vita inganni e il pudor d'un'altra scoperta: disserra stracci di me questo vento e ne assaggiai solo le piogge, così come lei solo da lontano; giammai timori costeggian languori: sempre rodono da dentro. E le gridai: "Perché piangi, anima candida?" Stramazzato è quel cervo ferito, dal cacciator che per lunga data d'esser debole m'accusò senza indugio… maldestro; tu fai quel che vuoi ma le mie son solo parole e questa di una mezz'ora una fioca parentesi, goccia nel mare sommersa. Graziosa, lei: duole al petto vederla così e non starle accanto; un'occhiata e lì è speciale com'è: candida… Dono di fiore; dolcezza nascosta dietro un sorriso veritiero che stenta a venire… La mente è nebbia e crine; quel che gira attorno, aria e lei è sempre più lontana, come distante… ma forse è solo una mia sensazione: petalo protratto al domani. Vuoto Sorreggo la testa ora come per sostener un peso così grave da farmi male. Ancor ti rivedo nei miei sogni con il solito animo di ogni giorno, sereno. Adesso son rimasto solo; sento ancora la tua voce che mi carezza il cor e il sognare sano del tuo viso il petto con furbizia mi stringe e l'animo mio allieta, fiorente. Filtra, filtra luce intensa e bianca da non so dove e muove un'ombra che cascate fa sgorgare e un eco profondo risuona: "Ma perché piangi?" Frigno come un fringuello, viziato moccioso in castigo, un pulcinella senza maschera e testa, schiavo dei suoi stessi giochi, poiché forse validi motivi non ne ha, buffo. Rimango là, fermo e immobile, come nell'attesa di un evento imminente, spinto dal caso fortuito: sguardo fisso e perso nel vuoto e il sordo schernire ascolto, distratto. E mi piace vedermi ancora lì insieme a te, allegra farfalla di una vita che come in un sogno ci pareva infinita… Sulla mia pelle a Nico Addio caro amico mio! Il tuo ricordo vivrà in eterno tra i miei versi. << … ci vediamo presto. >> - così ci lasciammo, contenti degli anni nostri trascorsi a riderci su, vivendo quel che arrivava, e all'oscuro di ciò che in quelle ore, ancor in vita rimaste e non passate del tutto, ci sarebbe accaduto. Moribondo il destino ti lasciò sul ciglio di una strada, rosso liquido versato e gelido asfalto a contatto, e patisti poi l'agonia del sonno profondo e intransigente, finché anche quel tuo animo, poco prima ridente e scherzoso, voglioso di vivere, crescere, anche sbagliare e amare, strappato via ti fu in un attimo e ora tutti qui noi attorno a te; a compiangere un corpo vuoto che non risponde e un Nicola che all'improvviso non c'è più. Dove sarai adesso, amico di battaglie perse o per lo men tentate, quelle varie peripezie di vita a cui nessuno mai deve cedere? Giovinezza di farfalla, sorrisi mai sbiaditi, insetto giocondo pien di sogni e pensieri, assuefazioni del nulla, ci divise il tempo e scelse per noi il fato opposte vie da seguire: mentre tu chissà da che parte vai, io ancorato qui mi consumo a scarabocchiar filastrocche indegne del tuo nome. Ognun gioisce e si fa gioco del vivere continuo e monotono, godendo i più belli tempi di pagata esistenza, quando io spreco tutto il mio giovine essere sulle sudate carte dello studio per cercar d'investigare, di svelare, di comprendere come tutto sia possibile senza sforzi. Or ora ho perso anche te ma nulla mai ci toccherà, poiché saremo insieme col cuore, campioni inseparabili di vita, in questa o nell'altra… E questa mano trema, pensandoti, guardandoti, pregandoti: quattro lacrime mi bagnano il volto e stanche scendon giù sulla mia pelle. Magica favola Tu scappasti dalle mani mie, bramose di averti fra loro, ti facesti nebbia per confondermi e scintilla improvvisa per accecarmi; ti mutasti in ninfa per soddisfare il genio mio e ti rincorsi per mari e per monti, ma lontano tutt'ora mi sfuggi. Invano il cor mio potente si fece: mi sorridesti lieta per appianare il pensier mio che a stento ti raggiunse e ti voltasti con il tuo peluche che di colpo fu l'azzurro principe; e su di un niveo stallone galoppaste via da me, drago dal truce aspetto da battere o meglio evitare. Mi lasciasti solo con le mie malinconie, scivolate fredde sul corpo in prigione; ti vidi musa, mi ispirasti l'amata penna e ti dipinsi come rosa in un campo di grano, come corpo di stella in un cielo malato: ma ogni rosa ha le sue spine e di luce ogni stella prima o poi muore. Mi facesti tua preda, io squallido di un mortale, e per te trionfò quel sentimento che chiamano amore sull'amico che nulla sfiora. Da te pretesi troppo e a braccia distese rimasi ad attenderti come un'aquila in procinto di andar via. Or appari avanti a me e nulla è più chiaro di prima. Mia dolce scoperta, creatura dallo stato incerto ma allo stesso modo meraviglioso, per quale motivo persisti a fuggirmi? Ti facesti alloro per non soccombere alla mia nostalgica sete d'avidità? E di passione indenne ti chiesi la mano per accettar lo scrittore che è schiavo di lealtà. Di un bacio distanzia l'amicizia quel moto del core, per me solo patetica illusione. Sappi sol che sofferenza cara di te mai il passo cederà al voto del tempo corrotto. Io e te Siamo persi nei lunghi inverni di questa nostra città, ci sperdiamo per non incrociarci mai nei corridoi, per le scale e inventiamo assieme un sole che in fondo non c'è. Tra queste lunghe distese di prati, fioriscono verdi i veli di nostra cara gioventù, macchie di eternità, e dietro un mio sorriso che lento se ne va, ti osservo. Io, stupido di un pagliaccio, e te, dolce soffio di brina, rimarremo nei nostri cuori, mai spenti, che un giorno anche se saran lontani, le lancette del tempo inganneranno e in vero non saranno più distanti. Solo allor capirò forse che sarebbe stato meglio restare; e se dovessero mai rapirmi o dovessi andar via, nulla ci impedirà di ricordare, nulla di poterti ancora amare, nulla di starti a guardare di nuovo, sempre da lontano. E mentre viaggio con la mente verso altre mete da traversare, in questa nebbia ove nulla è mai certo, vivremo sempre con la promessa di rivederci e nel ricordo di un abbraccio mancato, io mai dimentico di te. Per le strade di città Son accesi i motori: via, si parte! Fumo e gas ovunque e si diventa macchine, schiavi del tempo ignoto, senza accorgersene: rumori di ruote sbattute violente come veloci ventole sul grigio manto di strada e il nero asfalto tutto rendon più chiaro e in una mischia, vortice continuo, mi tengon costretto. Ogni dove è tempesta e desolazione scende come un velo, lenta e quieta senza dar troppo disturbo e si mimetizza tra il chiasso arguto della città; e della sua follia le dan colore spenti palazzi e muraglie d'un tempo. Tutto è un perenne muoversi d'auto e di rude campagna folli pellegrini si fan coinvolgere, come zombie. Muore il silenzio e per noi parlan gli ingranaggi. Giammai singola lingua mortale osa gettar via fiato per una giusta ragion e solo di lì escon volgari lazzi e vani farsi avanti, d'opinioni nulla son le prese. Calcolatrici, amiche di vita, tutto regolano, anche i nostri cuor e ogni cosa è tecnica e numeri, fracassi e nubi, maschere di cemento scalfito che s'abbattono sul misero colono d'altre genti. E se tortura è vita, sol chi condanna i pensatori di tanti amori e santa ispirazione, ai clacson estranea, riempiono l'anima di codesto scrittore, straniero in queste mura cittadine, a cui alla vista di vecchi e giovani barbuti di strada, forte si stringe il core. Vagheggio solo, inciampo ma non mollo e senza lei mi rialzo a seguir quelle mie lucciole che di vita son vissute e pian piano fanno luce al percorso mio dannato e ancora mi faccio d'imprese il paladino, rinchiuso tra gli squallidi torpori di questa assordante realtà, che di sorda esistenza son la città, come in una gabbia: ed è da lì scruto l'azzurro cielo. Chi sono io? Cosa sono io? Cos' è la vita, se non un inganno perenne? Rispondere chi mi sa? Che sono, se non un alieno piombato giù dal buio spazio su questa lurida terra? E orme di giaguaro si fanno prede del continuo vivere frenetico, petulante peso da portarsi dietro, e da lontano ancor soglie, prossime al domani, che da sempre mi fa paura, son di ghiaccio. E son qui che accompagno fuor di là il dover mio più grande: quello di scavar sulla cieca carta bianca neri fiumi d'inchiostro asciugati dal bieco vento che dentro si fa sentire. E lo vedo lì, sul letto disteso e assonnato che abbraccia macchine, compagne di questa vita fatta di soli istanti, immersi nel vuoto, attimi rapiti al tempo della bella gioventù; fiato di vita scorre piano e si unisce alle gocce della nostra insensata amarezza. E dorme lui dolce, come fosse niente ed è come se tutto rifuggisse via da me e mi schivasse come un noioso ostacolo da superare e che osteggia il suo percorso di natura, madre indenne. E adesso del vero son le ore ed io ormeggio il mio battello, tiro per le lunghe stupide nozioni e le ripiego su di me, mentre aspetto e attendo lì vicino qualcosa, un gesto di solidale apparenza, e spero in un miracolo che d'improvviso dal nulla prenda vita. Chi sono io? Un poeta? Un effimero giocattolo nelle mani di Qualcuno più grande di me? E ancora mi ripeto sul vano palpitare di questo muscoletto che ancor nel petto risiede. Trovarti poco dopo A consolar di grave esistenza quel sollievo che sol tu puoi dare mi dolgo e al lento trasumar delle cose e a fredde lacrime di evocate speranze si espande fulmineo l'amore provato per te. Traverserò le nere fiamme degl'inferi, le acque squarcerò del dio Nettuno, tracimerò sol per averti tra le nuvole e le alte vette di montagna: volerò libero da ogni vincolo terreno che tutt'oggi qui mi tien forzato. E si inebria di mia fonte l'ingenuo scrittore al tuo sospiro ove cui quel tesoro lì splendea magico e brilla ancor più luce la mirabil creatura che l'artista nel suo turbolento cammino rese cieco. Avverso per le righe Suvvia, giaci nell'ignoranza! Orsù dormi pacato e indifferente a ciò, di cui Io non posso fare a meno di vedere e di cui non posso non parlarti, scrivendo! Su, accomodati pure tra i guanciali e gli sbadigli dell'inerzia, che all'improvviso possono prendere te, come possono prendere me, che ora attento ti scrivo! Continua così tu, uomo comune, mortale di ogni giorno, ospite fortuito non già predestinato o oggetto di una particolare Provvidenza: disegno di un progetto universale di cui non ti è permesso conoscere i misteriosi fondamenti, che non alzi il dito neanche per sfoltirti i capelli, per quanto sei pigro… Se perdi tanto di quel tempo, bene più prezioso dopo un'esistenza destinata già ad una condizione pressoché precaria e poco stabile, che Qualcuno dal profilo nascosto c'ha trasfuso da lassù oltre l'indefinito e superate le nebulose stelle dello spazio ignoto, appresso a futili questioni e banali passatempi o, Io penso, stando su fatiche che non danno appagamenti di nessun genere, lavori giammai pieni di soddisfazioni, non sperare di raggiungere con fasulla tranquillità la piena consapevolezza del tuo agire vano, monotono e molte volte contraddittorio. Non ne vale la pena, dico Io! Se si è così ottusi e ingenui da non capire, da non sforzarsi e da non cercare tanto meno di comprendere come tutto sia solo un patetico inganno, un solo giorno, ventiquattro ore fuggitive, che siano intense o vuote, che lascino ricordo o altro… Ti invito invece a darti da fare e nel rimboccarti le tue belle maniche: sii partecipe al mondo che ti avvede e ti circonda giorno dopo giorno e riscattati da questa tua posizione passiva e sonnambula! Al contrario, che ogni singola cosa si riduca al solito barlume di falsità e alle grigie notizie giornaliere sparate dalla magica scatola, da me sempre maledetta, piena di risi, ghigni, bassezza e scarsa materia grigia, è inevitabile… Se ti soffermassi forse a riflettere su ciò che è utile e benefico per una società "progredita" come la nostra, apprezzeresti di più sia la tua persona che le esperienze altrui; di queste ultime noi non ce ne facciamo una vera ragione, ripeto Io, e tendiamo, incontrandole per strada, per le piazze, per le vie e i corridoi, chi per sorte, chi per appunti già presi, a non accorgercene o meglio non riteniamo, credo sempre Io, opportuno rendercene conto; semplicemente patetici, no? Ma forse sarebbe meglio lasciare tutto al cieco dispensatore dei casi e abbandonarsi lenti al fragile respiro di sé. Come dico spesso Io: << A volte è meglio non sapere. >> Almeno così non ci porremo sciocche domande e più di tanto non ci tormenteremo, evitando di sconvolgere nuovamente quella già nostra afflitta condizione che pur ci rende schiavi, se non del nostro tempo, di sicuro delle nostre stesse passioni, da cui mai ci diamo freno, e degli stessi problemi, che mai smettiamo di farci. Riguardo a te, bove ozioso, disteso per quei dormitori, vedrai quando si apriranno le porte della verità che bel futuro ti attenderà! Poi faremo i conti, ognuno nel posto che merita! Sono proprio curioso di starti a guardare: Io elevato lassù, come adesso attraverso questi miei righi e per mezzo dei miei soli versi con i quali prendo posizione, accolto benevolmente presso l'amata dimora dei santi spiriti dotti e tu invece rigettato sempre più in basso verso il "non so perché"… Giaci nell'ombra, o relitto, e perderai il tuo tempo e le ore del giorno e morirai al freddo calare della notte senza aver assaporato, nemmeno per una volta, i dolci e gli amari sapori che la vita sa dare, solo e dimenticato da tutti. Essere un amico a tutti i miei amici Essere un amico vuol dire aver fiducia nell'altro, credendo sempre in lui e saperlo apprezzare anche per idee non pienamente condivise. Essere un amico vuol dire darsi la mano nei momenti di difficoltà, appoggiarsi e sostenersi a vicenda dove il cuore ne necessita. Si è amici nella buona, ma soprattutto nella cattiva sorte e si valuta il compagno non per come agisce in singole azioni ma per quello che è veramente e per quanto vale. Essere un vero amico è difficile, ma se l'intera vita è fatta di sfide, questa non sarà di certo né la prima né l'ultima. Si è amici sul serio quando si è capaci di perdonare o nell'occasione del bisogno quando, come degli angeli, si aiuta l'altro a rialzarsi. Essere un amico vuol dire saper amare e dare tutto se stesso per l'altro in ogni genere di situazione. Essere un amico vuol dire averne passate tante insieme da ricordarle in eterno. Essere un amico, è condividere emozioni ed esperienze mai prossime al domani e sempre intramontabili. Essere un amico vuol dire anche saper accettare la verità e capire cosa sarebbe la realtà senza di lui. Perdere un amico è come essere privati di un bene: un bene così prezioso che niente mai potrà rimpiazzare. Essere un amico è tutto: dal singolo fiore che sboccia al rumore del tempo che passa, dal minuscolo germoglio che nasce al più piccolo insetto che all'improvviso prende vita, dalla fredda roccia al fuoco rovente, dallo stiracchiarsi delle onde alla delicata pioggerella estiva, dalla furente tempesta al volgere di un nuovo giorno, da zone in ombra all'apparire di un arcobaleno dopo il diluvio. Essere un amico è volersi bene e rispettarsi ogni giorno che si va avanti. Essere un amico non è uno scherzo! Essere amici è come un saldo impegno da portare avanti fino a quando i due lo vogliano da entrambe le parti. L'amicizia dev'essere ricompensata, cercando di comprendere l'altro, di farlo ragionare quando sbaglia, di aiutarlo quando inciampa e di consolarlo quando ne ha bisogno. Lo si aiuta sempre! Si può essere un gruppo, si può essere soli, si può stare in mezzo alla folla ma da qualche parte qui su questa terra, qualcuno ci considera; qualcuno ci apprezza davvero per ciò che siamo. Sul serio ci ama come un amico: un fedele compagno di mille visioni mai giunte a termine, di tante viaggi trascorsi assieme, di tante risate spartite e di molti progetti mai messi a punto… Questo è l'essere amici: uniti sempre e mai persi nel bene e nel male… Ricordi Nell'opaca rimembranza si proietta il mio ardor di cuore matto e per lei insistente è il palpito che all'orologio chiede il tempo: un solo istante di questa misera vita mortale e tutto ritorna, al suono delle sue labbra. Sapor di gioventù, allegre chiacchierate, forti abbracci e amori sinceri, anche dolori ma eterne emozioni, finite per sempre all'incubo delle nubi che passano e dei giorni che mai più vengono; poiché pria del fondo ogni cosa è destinata a perdersi per lasciare soltanto il ricordo degli anni andati: e di immagini a valanghe e ripercorse sensazioni nulla si può più… O santa speranza, fior degli anni miei, chiedimi ancor di ricercar nella memoria quei respiri rinchiusi in quelle rose gote sue, che in tempi così brevi son già note di ansioso ricordo… All'amico Mario Al sordo reale adeguo lento la fragile mente mia, che tutto sovrasta: cadon giù le maschere della menzogna allo stormir delle fronde scarse… Sul sublime di cotanta verde etate le orecchie piego come un somaro al fato, equo dispensator del pianto sofferto, di cui resto pur troppo lo schiavo infedele. E odo spaziar tra queste mura del bieco contingente tutto il poetare mio eterno, immune dai dolci scandii del tempo fuggitivo, assassino del manto mortale. Orrido assioma di sempre, mi ergo disperato dalle tante schegge del cuore impaurito. Ma volgendo e spiando, delle barbarie genti l'eccelsa furia o l'agevol sonno, che tutti prende, or muovo i primi passi in questo emisfero idilliaco fatto di sol gesta e individui, singoli egoisti e cultori del proprio giardino. E di un sogno, in fondo a lacrime di piena amarezza, grido quei neri inganni che per tratti volgono al termine, ove al chiaro di luna il magico canto si spegne soave. Come di una torre non si scorge la base, il tacere dei sentieri e sterminati silenzi mi aggrediscono dolce e per il caro amico fremo e mi dimeno nel vederlo abbattersi lontano; e solo mi getto con rabbia su questa terra a scacchi che error non perdona… Ogni dì è una scoperta a Ramona Ogni dì è una scoperta e percorro indenne sentieri sempre contrari, accompagnato dall'inganno, amico mio, propenso ogni ora a consolar del mio cor lo sterminio e a far dell'ignudo animo mio la riarsa foglia giornaliera. E di speme novella si intravede ancor meno lo spiraglio: ho cercato di raggirar il dolor mio frequente e apprendere il denso spirito dell'amore che in te ritrovai mai perduto e mosso nei naturali gesti del tuo dolce essere: soave principio di magia. Scrivo, scrivo e non mi fermo più: effimero sfogo di follia. Come un treno impazzito, impazzito al sorriso suo innocente… Su pensieri Poiché il sofferire vano ancor mi assilla mi siedo qui a darmi pensiero sul massacrante ciclo delle cose e valuto come l'uomo sia crudelmente limitato, pur sommerso di orgoglio a quantità smisurate, nella sua penosa ingenuità. Rifletto e mi esprimo forse inutilmente sul reale che intorno di nascosto ci scruta e a voi ora mi rivolgo, che avete cervello: voi che vi credete padroni del mondo, di elevate qualità morali, basta con le parole; or ci vogliono i fatti e di programmi e idee niente male fate la Storia e non i guadagni. Volare, volare via e far finta che tutto questo non sia mai accaduto e che il mondo si rimetta su con i suoi stessi mattoni che un tempo celarono le arcane orme lasciate da Roma e dal suo vasto Impero, sempre vivo nel cuor mio ribelle. A getto lento Spiragli di vento si fan scintille ed è come perder tutto al freddo calar della notte: e mentre muore un giorno e un altro ancora, in un tramonto e un esordio che non hanno mai fine, io vagheggio triste e vagabondo per le vie oscure di questa sciocca città. Si fa luce per via dei lampioni ma io son cenere e niente più: or mi dò alla mente orge di questioni, se non futili, complesse e al tempo stesso geloso e avaro le tengo per me, avido di piaceri e del raro bello gettato per il globo, che già mi è nemico. Sordido del mio grande talento e dei miei affreschi or tanto cari più che mai e ben spolverati, non cedo alla speranza di poter riabbracciar quel mio fidato amico, forse non più in se: e mi annego nel rimorso e nel pianto vano del passato trascorso… E se per un niente cado giù mi dò ai brividi solo al dolce pensier di lei e al suo viso delicato mi spauro lento. Arduo è non sciogliersi dinnanzi al suo passaggio imperturbato e sto qui a sognare vani tragitti: intanto lì fuori ancor piove senza un perché… Via io, pensatore fin troppo banale e amante del buon libro e dell'inganno funesto che solo gioie può dare, me ne andrei ma rifletto attento: sul serio dove non saprei. Adesso mi dò vita di te, libera di vivere, per continuar con dolcezza a farmi male. E allo sbaraglio, tra gente che manda via e prende in giro sogni e forti emozioni, or le ali mi rispuntano e le riapro all'arrivo di una nuova alba per migrare via da questo barlume di falsità e di inetta ipocrisia, sorda gratitudine dei presenti… Tutto è apparenza! Riecheggia dentro me la mia collera verso ciò che al mondo detesto di più: verso ciò che davvero sono. Verso di me, stravagante idiota di un presente indegno della mia presenza, non più ben voluta da nessuno… Cosa posso fare, se non andar via di qui una volta per tutte io, che tutto dentro nulla imprigiono ma ho bisogno, come istinto primario, di esternar ogni mia più fragile emozione e la più buia parte di me che nascondo dietro dannate ossa e ignobili pezzi di pelle e carne assemblati? Ho bisogno di te, mia sola e unica amica di sempre, sorella di vita, per sfogarmi e gettare tutto il dolore mio sulla futilità della tua vera essenza, sul tuo nero inchiostro, mia amata penna, tu che persisti a curarmi e mi tieni al sicuro da tutto e da molti… Ed è con te che adesso riverso più che mai tutto il mio sapere e le mie lacrime, su questo foglio condannato pria del tempo al rifiuto; ed ora rimango solo e amareggiato nel pensar alle mie tante colpe… Maledetto di un villano, or sputo sul mio volto ricordando ciò che è stato: passato assieme. Tornerai… Forse un domani, forse mai… Ma or che importa più? Nulla merito ancora e mi faccio sabbia, spazzato via, senza opporre resistenza, da quel dannato vento, assiduo portatore di nuove e più sventure. E mentre piange vano il cor mio, or già in frantumi, perdo entrambi voi: lei costellata da mille e ansiosi dubbi, domande a lungo termine, povere di risposte che tempo bussano al tempo; lui invece che mai scorderò come fidato compagno di giochi e risa; di eterne avventure… Come mai scorderò l'orrendo modo in cui, senza volerlo, sporcai di indenne tradimento la solide basi della nostra amicizia, ormai in crisi e forse già un felice ricordo: e tutto pare perso per sempre… A lei Vai ora, non più ti inseguo per quei bei giardini, dove veloce tu mi sfuggi. Sei san e salva; libera da me che, al sol tuo sguardo, prendo fuoco e urla tutto intorno a me. Ringrazio solo il cielo di averti avvistata e aver portato via con me solo il brivido di un attimo passato insieme a te. Che sia oggi o il domani, qualunque cosa accada, sempre accesa nel cuor resterai, immensamente viva. Tutto sembra finito e ti dai alla fuga verso il tuo bel principe, del mio pianto la fuliggine. In scena Adesso assisto sconcertato dinnanzi allo sfacelo che fuori dilaga, rimango inerme di fronte al caos che da dentro piano mi divora e sconsolato alla vista del perenne inganno che fedele ancor mi circonda. Come un buon ladro di pensieri e di parole, un bravo spettatore aspetta con impazienza la fine dell'inedito spettacolo ed io qui, rinchiuso in me, chino il capo al volere imponente dei Prodi attori, fantomatici burloni, in attesa dei meritati applausi per esaltare cotanta rara bravura. Si accendono le luci, si alza il sipario della mia lenta caduta, erta discesa verso i cari presagi dell'oscuro domani e piego me allo scoccar del solenne occhio pien d'ingranaggi e al suo interminato scorrere freddo, nel parlare a voi pochi che tendete gli occhi, a voi che aprite le menti e spalancate i cuori. Or se solo lei fosse qui con me niente sarebbe forse già perduto; ma come si può guardarla accanto al proprio amico e non dir nulla? Restar quasi muto e distratto, come indifferente e mezzo dormiente? Che sia solo gelosia? E ancor contrasti si fan tormenti e dentro me veloci prendon forma… Giammai scomparirà il sol, non il velo celeste svanirà e nulla avrà termine per me, finito trastullo di pezza, ai pesanti brontolii dell'orco malvagio: e al suo insolente risveglio, il mondo, ignaro, prende e va… Mio dolce sogno Ben agiata sulle polveri oziose della ragione e sui fantasmi della mia coscienza riposa assonnata codesta contorta mentalità, anche se in vili condizioni di psiche, mentre dolori sopra inganni tengono sveglio il dolce sogno mio… Mille su mille emozioni di continuo a braccetto con soavi pensieri la mente avviliscono e a freno tengono me, ingenuo garzone presente, a largo dalla noia irriverente, avida cagna di vita e passiva condizione di sventura pressante… E se ci riprovo ancora, non credo sia più lo stesso con lei; e sempre continuo a ripetermelo attimo per attimo, secondo dopo secondo in cui prendo un ricordo, anche un solo istante passato insieme, che mi piace custodire per me nel lustro cor mio lontano da tutti, accanto a te, mio dolce sogno… Irruente odio mio E ora? Non resta che arrendermi… Cedere al suo ingenuo sguardo e al bruto gioco del destino; ma poi di noi cosa rimane? Ma perché dovrei smettere d'amarti e celare al mondo ciò che provo per te? Non guardo al futuro come vorresti perché senza di te non saprei come viverlo; guarderei lassù per il cielo ma tanto non saprei come volarci senza di te; non guardo il mare perché non saprei come navigarlo in lungo e in largo ancor senza te… Forse guardo questo mio cuore, ora più che mai sconvolto e in panne poiché ancor pace non trova… Odio!? E' questa la causa di tutto? Amaro sentimento d'inequivocabil frustrazione, indenne per me che solo inganni vedo… Nulla però riuscirà a distogliermi, nulla riuscirà a strapparmi via gli occhi, nulla riuscirà a non farmi più male, ma se davvero ciò accadrà, se il cuore non vorrà più sentire, anche vani sentimenti, ingiusti palpiti e rimbombi assordanti che nel corpo eccheggian senza fine, lo punirò come si deve… Con forza lo estrarrò dal petto e lo esilierò fuori da questa fetida gabbia dov'è rinchiuso; e rimproverandolo, lo getterò lontano da me, alla ricerca di uno nuovo con il quale poter vivere… Disfatta è ormai prossima!!! E invece Tu, che dormi lassù, dammi un cielo più blu mentre mi butto giù e rimbocco lento le coperte alla mia follia, imminente condanna e afflizione di sempre, ferito e ormai vinto per quel dardo fatale dal quale non c'è via di salvezza… Quanto ti vorrei! Perché di te ho bisogno per placar la mia sete e richiamar tutto questo irruente odio che mai come adesso ho provato per me… Intenso bagliore Poi colgo la rosa che mai vuol morire mentre sottraggo al tuo dolce sguardo quel sorriso, ricco di vita che per me è luce alla resa del perenne sfiorir del tutto… E se fossi un proiettile, destinato per somme leggi a colpire, potrei entrar davvero nel tuo cuore anche a rischio di provocar lo stesso dolore che come un treno adesso mi travolge… Ma non voglio farlo! Sarei solo un codardo: un patetico e vigliacco sognatore, estraneo a questa dannata realtà che ancor continua indisturbata a tormentarmi… E tenendo a bada i pensieri più segreti, perdo i miei ritmi e mi domando come si possa ordinar al cuor di non sentire più o di provare altro. E' forse semplice amicizia quella che mi prende verso un bagliore così inteso? Ancora ti vedo con lui mentre io siedo qui al sorgere del sole e accarezzo l'ennesima illusione che dalla mente disorienta e quella santa speranza che non muore mai… Questa volta, vedrai, spegnerò quelle parole tanto spese per te che in un tempo fugace come il nostro non hanno voce; e mi perdo nel riservarle ad un'altra stagione per guardar solo attraverso i tuoi occhi… Il crollo del tiranno Succubi notti passano in totale delirio e il cuore è in fermento generale: lui dal canto suo attende l'alba … e l'animo è in tempesta superba… mentre lì con intrepida ansia lo aspetta quel cappio funesto… Non riesco davvero a credere a cosa siamo arrivati, noi piccole creature del celeste ignoto, figli di un Dio che possiede tanti volti diversi per ogni religione, uno per quella cristiana, uno per quella buddista, uno per quella musulmana e molti altri per tante ancora, ma è un'unica realtà… E intanto aspetta l'ora quell'orco assassino, crudele autore e macabro regista di mille e più delitti, mentre in principio era sostenuto da quella immonde bestia senza testa qual'è da sempre la massa, che dapprima t'acclama ancor più e ti appoggia con tutta se stessa ma con il tempo a suo sporco piacimento, come se fosse un libero svago quotidiano, ti rigetta nella medesima gabbia dalla quale una volta ti ha comprato. "Giustizia è fatta!!!"- gridano dall'alto i potenti del mondo, seduti comodamente in giacca e cravatta e laggiù la gente muore... Crolla sconsolato quel misero barbone a cui tutto è stato tolto… e proprio come alle sue vittime ora viene immolato sull'altare ben predisposto per la tanto voluta messa a morte… come per il sacrificio di un tenero agnello offerto agli dei prima della battaglia irruente… Perché, penso io, influire ancora su un essere ormai sconfitto? Qualcuno mi potrebbe rispondere: "E' nato come un barbaro in una terra barbara, si è comportato da barbaro e per questo morirà come un barbaro nella sua terra barbara da lui stessa malamente forgiata". Altri invece: "E' un assassino: è il giusto prezzo da pagare per tutto ciò che ha fatto. Merita di morire!!!" Cosa sentono le mie orecchie? Merita!? Chiunque può dire la sua a proposito… ma non tollero che si parli così di qualunque persona… Chi sei tu, infame verme strisciante, tu che sei uno dei tanti sputi echeggianti nell'oblio dei tempi, precario passeggero su questa putrida terra, per parlare in questo modo barbaro? Ma soprattutto come osi giudicare, proprio tu che un giorno, prima o poi, verrai giudicato? Allora verrai tu stesso condannato, perché chi non ama la vita, dono più bello al mondo, e disprezza il vivere altrui, non ama neanche la propria di vita! Molti parlano di giustizia… ma davvero non sanno che cos'è la giustizia… Che sia un brutale gioco del destino o un patetico caso di necessità, senza più opporre neanche resistenza e lottare per una giusta sentenza su di un pianeta che dovrebbe essere ultrademocratico, sale sul patibolo l'ex Rais, tiranno energico e potente signore di un tempo fallace, al quale una volta vi si inchinavano… Chi disprezza compra dico io…. Ma comunque ormai è fatta… Secondo il paese più liberale e democratico al mondo tutto è compiuto ed io rimango qui inorridito dalla totale assenza di bontà e di buon giudizio… Noto come noi siamo tanto bravi nel giudicare gli altri ma così poco pratici nel farlo con noi stessi… E se solo l'illustre spada spirituale, contornata sempre più da oro e la mia misera nazione sono contrarie, dall'altra parte che sia la spavalda e ormai cieca Europa o la balorda Regina degli intrighi e inganni o l'alta capitale della strafottenza e del regresso, quel'è l'America unita, tutto è vano…. Cade giù allora con la fune legata al collo quel patetico fantoccio creato e sfruttato a più non posso da quelli che ora dopo le loro varie malefatte decretano la sua condanna, tanto per non aver più noie col passato… E poi si parla di armi di distruzione di massa e di armi intelligenti… Ahimé mi duole purtroppo assistere impotente a questi soprusi e terribili eventi: errori della storia contemporanea… e vedere tutto andare alla deriva ma del resto se tutto il globo si rifiuta di porgere lo sguardo, che si può fare? E mentre io qui scrivo, il sonno indisturbato della ragione di continuo genera mostri… Fuga da me Insisto ancor nel meditar e con frenesia illusioni rincorro senza porger l'occhio malato di profilo al vero e le dannate delusioni pesano amare sulla fin troppo tesa anima mia; e le mie, cosa sono se non vane parole gettate in man al vento? Parole e parole si van di continuo sprecando e rimasto solo, al tramontar del sol, appassisco lento, poiché nulla più come prima mi prende, mentre strepita con violenza quella mia ragione, schiava delle immonde passioni giovanili. E la mente, scontrosa ad elevar lo sguardo dinnanzi a quel sommo mendicante d'occhi cieco, al quale un tempo si piegava, ora è persa in un vortice; risucchiato dal continuo mutamento dei propositi è codesto spirito, voglioso di riscatto e desideroso d'agire e l'Io mio da me diserta. Stanco di me e di tutto m'abbandono al dolce andar degli eventi e sento lei venirmi contro e baciarmi ancora, sotto pioggia di rugiada; a stento m'opprime l'incanto della sua effigie e nulla è più… E là fuori cos'altro sta? Forse le fatidiche due spade fatte di sol pietra e cemento? Chi resiste in quel insipido ristorante, onde ognun divora la sua porzione, già bella e pronta? O meglio vien distrutto pria che tutto cambi al mutar del ciel e delle sue assidue visitatrici, bianche o grigie che siano? Or accarezzo lievi speranze e tutto torna… Oh ben diceva quel mendico dal chiuso sguardo, che nel perenne suo mendicar cantò per la bella Grecia le nobili gesta e di gran destrezza degli eroi d'un tempo già lontano e fin troppo compianto ieri e mai oggi, misera età del bello ozioso. Vergogna!!! Volteggian vane le nostre insegne che in quella Santa Terra, abbandonata al suo triste destino, son simboli indegni. Noi leviam le tende e come inetti spavaldi marciam via di lì di corsa senza dar conto ai tanti, morti per un giusto ideale. Vergogna, vergogna e solo vergogna !!! Voi stolti che ritirate le truppe e di fretta vi rintanate in chiusa dimora con la vostra nitida brodaglia, dopo aver zappato la terra gli eroi d'Italia e annacquato il raccolto col sangue sparso per amor di patria. E adesso, cosa è più? Vergogna !!! Vergogna !!! Sempre e solo vergogna !!! E allora che fare se non infuriare? Che disonore !!! Vò parlando al gran Professore di questa afflitta Italietta che al suo ordine rientra indenne dal campo di battaglia. "Che tempi! Che costumi!" E per il futuro che altro c'aspetterà? Forza e onore dicevano i romani una volta … << Forza e onore ! >> Bei tempi Nel nudo pensier mio allor mi fingo e come insulsa polvere si solleva verso altri orizzonti il più vivo ricordo di te, gettato via per le già agitate sponde del mar, unico testimone del nostro mendace amore … Bei tempi son quelli passati assiem, bei tempi quelli in cui sognando fra le soavi chiome tue risplendea dolce il mio fragile sorriso; intramontabili i tempi in cui l'ardor denso nato per te, fiorito dalle tue magiche labbra dalle quali non pendo più, vinse il combattuto cor mio … E lì mi chinai, idiota di un mortale, come un servo infedele alla tua solenne bellezza, piccola cerbiatta, ormai lontana e non più inseguita dai lacrimanti occhi miei or in cerca di verità … Adesso cambio strada, scruto monti perduti e sovrasto ben altri lidi; devio per diverse mete, dimentico di te e del nostro passato e volo via da questa dannata realtà, beffarda fin dal principio … Occhi socchiusi Penna alla mano! Mano alla penna! Silenzio in aula! Scrive lo scrittore! O amabile fonte del sapere, sol via di fuga da questa infame realtà, che divori, laceri, e ingurgiti senza fine mille e più schiave idee, sublimi accezioni delle menti più geniali, ora, qui, adesso restami accanto come hai fatto sempre, poiché di Te ho bisogno nei momenti più duri, pacata mente mia, forziere inestimabile di ricordi. Qualor si perda la mente stolta e gravida ad osservar, come se incantata, quell'insipido tavolo sul qual tutti come bestie s'avvinghiano per un solo, vano e insulso attimo di puro piacere, nel lento assaporar l'intensa fragranza di dolci prelibatezze sparse qua e là, su e giù per il globo, allor si che è vera pazzia. E il mio pensiero intanto va, ritorna sempre qua, a spiar le nuvole, sagge turiste del cielo ignoto; ed ora tutto perdo il senno mio e mi fermo qui, esausto del veloce scorrere del tempo, a contemplar gli umani gesti, i cenni distratti, gl' occhi indiscreti e già socchiusi della solita, noiosa e per tratti opaca, quotidiana esistenza. Al cor dolente Non t'affannar tanto pria del tempo e rallenta un poco i tuoi tenuti ritmi, poiché uno sguardo intenso di provato amore è come un flutto spoglio d'ogni realtà, senza il mutuo scambio d'intensi baci, chiamati sol dal vivo desiderio l'un dell'altro. Orsù via, esci da questi gangheri, stupido d'un muscolo, ammasso di sinuose fibre, agglomerato di sangue, e smetti d'angosciarti per indegne piume di struzzo. Oh se si potesse davvero accettar l'amara verità e ammutolir la mente in costante duello con il corpo, amante grasso di piaceri mondani. Or chiedo a Te, mio fidato Profeta d'imminenti sciagure, se ben vengano le voglie d'un cor così afflitto e ormai sazio di ripetute sconfitte. Taci un sol istante, non pianger più rosse lacrime di nero sconforto poiché all'insister giuoco del vano palpitar tuo nulla più risponde. E nel ripescar rime son qui a marcire, aspettando la notte, e stenta lui a muoversi compiaciuto, preso ancor nel petto da docili fiamme di tentato affetto. Così forte non t'affaticar per futili banalità e non ti cibar di perenni inganni e assidue illusioni, da tempo ormai mie sole ragioni di vita. Flussi a Beppe Te ne sei andato così, all'inatteso soffio del brutale vento che come niente ti ha portato via, lieve petalo di rosa, e alla tua partenza noi tutti hai lasciato persi e inerti, come privi di respiro, vuoti di una parte di sé ma ben ripagati da fastosi ricordi. Io stesso mai potrò lasciar al tempo, strappando alla memoria, quanti veraci sorrisi mi hai donato, momenti intramontabili di pregiate varietà custodite dentro al cor. Gelido silenzio scende lento in sala al flusso continuo d'infiniti sussulti e perenni pianti: tardano ad arrestarsi i lunghi ruscelli straripanti dai lucenti occhi nostri che assiem, come veli, ti avvolgono. Sdraiato lì ora ti vedo, assopito, ma per lo men sereno; arduo è però tra noi, come frenar il corso degli eventi al sol tocco del tirso incantato, il pensier e il morso dell'assenza tua. Tutt'oggi sento, come spero altri dopo di me, il dovere di dirti "Grazie!" per avermi insegnato, al veloce correre tuo, a sognare sopra i verdi altopiani di questo tortuoso viale che ogni giorno c'accingiamo a percorrere. Sotto le stelle Ecco la divin fanciulla che vien da lontano ad allietar codesta mente, morta per quanto basta, e solleva me per l'aerea ora sottostante stelle cadenti al magico passaggio suo. Sotto astri impenetrabili seguo il tuo incedere elegante, plano sul cor tuo, poso tutto quanto me sulla dolcezza delle tue labbra e vedo la tua parte di sol diventar meta dei miei pensieri. Splendida visione si prospetta all'apparir degl'occhi tuoi che lenti traspiran dentro me e al tuo cospetto le ali tutto d'un tratto riacquista il pennuto passa guai, nascosto nell'ombra. Vinto è quel mostro, geloso di cotanta fortuna, dai mille baci nostri; e finché avrò fiato da regalar al cielo t'amerò ora e per sempre su per questo dipinto stellato. Bacio Or è l'atto pria della tempesta che m'assale e mi diletta e con insana violenza sboccia in piacere al dolce tocco delle labbra sue. Me conquista e divino con lei m'innalzo al ciel: sboccian fiori prelibati e fioriscono giardini da ogni parte e vedo ninfe e rampolli girarmi attorno come allegre donzellette. Aquile reali e alati stalloni sormonto e scruto dall'alto del mio Io e spalancati mi son quei dorati cancelli soli accessi per la sacra dimora degl'alti immortali. E di quel bacio io mi inebrio con tale forza da schiarir la mente e liberar l'uman cruccio, da molto mio assiduo divoratore. O potenti ammiratori del buon terreno e saggi aspiranti al ciel supremo che sol preferite contemplare, io ora dispiego le ali e supero voi, restituendo al Fuoco i suoi respiri. E ancora sogno quel gradito bacio e quel tenero abbraccio pien d'affetto ricambiato che mai svanire nel tempo potranno. Lacrime di pioggia Che cos'è l'atto del perdono se non l'abbassar le orecchie dinnanzi alla dura realtà dei fatti ? Ed io ora, zoppo di un mulo, mi rimetto al giudizio della Corte … Richiamo all'ordine le chiassose turbini irrompenti in me, scaccio via stupidi fantasmi e mi ripeto sul continuo sofferire del povero cor mio. Oh che possa per lo meno goder d'un solo esiguo momento, attimo inconfutabile di pura calma! E mi chiedo: "Or non è forse tutta apparenza ?" Alla clemenza di voi, Lord signori, piego me, avvilito trastullo di pezza, e vieto l'accesso su di te, linfa fin troppo seguita al lento lacrimar che da dentro adesso mi percuote. Poiché quando un giorno le città saran deserte e corpi e corpi finiranno con la gioia d'esser esistiti, io solo morirò nella gioia d'averti conosciuto. Caduta Ora su questa pagina rigetto tutto il mio rancore e riverso infinito dolore infangato dal vasto disgusto e dall' amaro disprezzo che pervade le fuse reliquie del cor; filtrano come fitte lame nel denso spirito mio questi angoscianti tormenti, lontani dal tempo, mentre laggiù precipita il gabbiano oramai finito. Amari sorrisi mi scolpiscono il volto e inspiegabili quesiti tengo per me tra le pacate mura che ora mi contornano. Vicini però mi son quelle care farfalle, compagne di tante avventure, che benevoli come angeli aiutano a rialzar le ali spezzate dopo la brusca caduta. Tutto è perduto e crolla giù dai nocivi pendii Euganei, da dove anche io cado, arso dalla straziante realtà mirata alle alte fronde del quieto ciel. E piango ormai inerme felici ricordi già svaniti al orribil suono del vagheggiante ciclope e dolci baci spazzati via al passaggio del vento silenzioso … Al cor dolente Stanco d'ogni futile banalità e corroso dalla bruta arroganza circostante, cado giù verso l'ignoranza meschina di un mondo a me del tutto estraneo e privo di ragione. Ed io infine la rividi, lei, ricca sorgente d'innocua grazia e delicata fragranza dell'espressione divina, e cercai invano di non incrociar il suo sguardo di leggero candore. Beffardo fu il motore che nel petto risiede e d'inganni si nutrì il mio dolente core per cosa poi ? La sporca idiozia di un compromesso o forse la bell'arte del perder tempo ? O amaro frutto dal piacevole inganno dopo il tocco assai delicato delle sue labbra, sprizzai luce come divino e mi cantava come magica la natura che intorno a me bruciava; o per quanto ingenua tanto mi invasò come niente, lei che di buon viso per me era. Mie dilette illusioni, inganni a me tanto cari, soavi e lieti come petali leggero mi trasportate e come soave musica prendete ciò che resta del crudo essere mio e tutto rinnovate in un dolce sogno, affogato nel dolore da cui oramai prego di non svegliarmi più. Dell'animo sussulti Immagini di te son come cieche visioni nate dal nulla e perpetuate nell'acre eco del veloce battere del cor. E rimaste mortali son l'ebbrezza che di te, sleale spirito dall'incantevole pregio, ancor m'accompagna e con forza m'attecchisce. Arsa è la luce emersa dal tuo infinito bagliore, splendido sigillo di fugace beltà e di folgore improvvisa. Arduo è lo spegnersi dei bei occhi tuoi, del tuo dolce viso e delle tue candide labbra che sol per poco sfiorai. Dell'animo son sussulti quelli che con funesta angoscia or evocano l'assopito sentimento che per te già provai. Ahimè agitata anima mia, quanto ancor dovrai patire le asfissianti leggi del cor per vaghe illusioni e infondate speranze ? Ed il rigetto del rimpianto funesto ora mi assale con assurda inquietudine mentre il ricordo di te da me ancor stenta a volar via. Le ali del cuore Inevitabile è la resa che adesso mi percuote con acre insistenza di fronte a questa falsa e subdola realtà che persiste a circondarmi e al monotono essere di ogni cosa superflua. E ora mi rifugio in te, mia eterna sorella di vita, che mi rasserenasti nei momenti più duri e mi curasti dalle tante ferite che ancor battono con forza alle porte del mio cuor. Tu che nascesti da questa futile penna ingorda di desiderio, di fugace istinto e d'innocua immensità, tu che ispirasti tante languide menti prima di me e fosti in un tempo lontano ma verace la suprema voce del vero indiscusso e della bellezza perpetuata e mai sbiadita, or invece in questi tempi ardui e oscuri solo rari pretendenti hanno l'onore di averti come compagna di viaggio. Tu che d'improvviso mi prendi la mano, sentendo il tuo lento respiro scivolar dolce dentro me, tu che mi hai aperto gli occhi e hai suggerito alle sorde orecchie mie ciò che nessun altro ha il poter di vedere tra le insane savane dominate dal ciclope, padrone degli uomini, inveisci contro questo corpo fatto di sol carne e d'ossa e insisti a nutrirlo con vive e dense emozioni. Oh cantami o musa quale sarà il mio futuro per poter almeno ambire a qualcosa di efficace e veritiero; continua così, mia dolce Diva di disegni superiori, e nobilita codesto mio pensiero forse fin troppo estraneo per dei volti che non meritano tutta questa mia bizzarra rarità. Dolce estate S'infrangono le fresche onde dell'animo mio sui frangenti della barbara verità di questa giovine età colma d'intrighi e illusioni e così priva di sentiti sorrisi e durature delizie. Sempre cara mi sarà quella dolce estate che tanto m'insegnò fra le gelide acque dell'ingannevole apparenza e fra i tanti benevoli ricordi che mai svanire potranno. Ed ecco come alla fine tu mi han ridotto con poche ma affilate parole ora affisse al corpo e invocanti mille e più perché. Rimane solo l'ingenuità di un buffo burattino ora preso in giro e rimasto incompreso e intrappolato tra i dolenti giochi dell'empio amore. Solo per lei a Eliana Solo per lei palpita il cor mio e marcia a suoni lenti ma profondi come mosso da qualcosa; mosso da quell'amore che mai ho avuto ricambiato con dolcezza e che solo ora rimpiango di aver conosciuto. Oh male mi fa pensare a te senza vederti per poter sprigionar l'immenso mio desiderio di te su ogni irruente banalità. O mia dolce principessa quanto vorrei baciarti di nuovo come quella magica notte in cui conobbi la vera forza del desiderio soltanto sfiorato in precedenza. E mentre tu ora dormi serena sotto morbide lenzuola io, insulso fardello, tento invano di resistere al continuo struggimento di averti soltanto per me. Sole, terra e mare Ho guardato qua giù, intorno a me, ma tu non c'eri; ho girato lo sguardo verso la placida marea sperando di vederti arrivare da lontano, ma tu ancora non c'eri; ho alzato la testa per domandar al cielo quando ti avrei mai rivista e avuta con me ma lassù solo bianche e più candide nuvole vidi, e poi …. il sole. Si spegne l'ardor d'un tempo codardo, ma si riaccende viva l'estasi che per te all'inizio provai poiché parte di me per sempre sarai. Si chiude la felice e calda stagion del vivo amore e della mai persa speranza e si riaprono i cancelli del gelido tempo. Pugnalato da spine sempre più sottili il cor mio lacrima dolor poiché cosciente di ciò che attorno gli accade tra sole, terra e mare … L'equilibrista Oh sante virtù del quieto vivere orsù plagiate questo acrobata ora ben agiato sui cordoni delle sue più intense emozioni. Frena un po' la tua marcia, ossequioso ciclope che in questi attimi di pieno moto e di pacato equilibrio rimani il mio più caro e fedele consigliere. Rallenta un poco i tuoi ritmi e sii paziente almeno per adesso così che io, subdolo giocattolo ingordo di vita, possa adeguar la mente e ragionar sereno su ciò che è meglio da fare. Barcolla un po' qua su, in bilico tra timori e dubbi tra frenuli e allarmi tra insidie e speranze e tra le gioie e i vuoti del cor, quel tenace equilibrista cha mai vinto si è dato nel suo infausto cammino colmo di tanti ostacoli. E mentre lì all'orizzonte due torri dilanianti fumo e fiamme cadon giù a pezzi e mille e più gente vola via priva d'ali, l'abile giocoliere ben si destreggia tra gli alti e i bassi di questo ostile palcoscenico. Il fabbricante di sogni A tender fiato permango, pensando a te ed ogni più banale fatalità persisto ad ignorar sotto false verità in questa intricata reggia d'ignobili insetti. Fan tanto i padroni coloro che invece davvero non lo sono e sotto subdole idiozie il caparbio faro carico di sé piange immensa luce per tentar invano l'impossibile. Ahimè quanto fango deve colar senza tregua dall'assurda idiozia dei soliti lombrichi offuscati dalla sorda polvere e così privi d' intenso bagliore ! Come un semplice fior al veloce passaggio della fertile stagione sboccia e si dimora anche se dopo non dura, così passano concitate le ore, i giorni e i mesi che ci separano. Ed ora che il cuor mio è diviso da mille e più insani conflitti, statico perduro, cercando per mezzo di fioche parole di dar voce a ciò che per altri è irreale: e allor che fare allo schiarir delle nubi o al frastuono delle strade ? Danza piano quel anziano ormai curvo e un po' turbato or col vecchio e fedele legno da battaglia che un tempo spensierato e felice usava per costruir sogni e giochi ben lontani da quel che era vero e di cui tutti sempre si burlavano. Ed ora ancor si alza e sorride fiero continuando come una volta il suo dolce balletto pieno di allegria, quel magico e saggio fabbricante dall'aria sempre attiva. Infinitamente lei Infinito è lo spazio che ci separa infinito è l'amore che provo per te infinito è il desiderio di chiamarti per sentire la tua voce infinita è la voglia di rivederti ancora ancora e ancora … L'isola che non c'è Or quando il sol cesserà di dar luce alle più cupe profondità degl'abissi infernali e le stelle si stancheranno di girovagar attorno al ciel forse anche quel che noi chiamiamo l' occhio del tempo cederà di fissarci e si sazierà di correrci dietro. Oh mio buon capitano d'oltremare, elegante Uncino, rapiscimi e portami via da qui sul tuo imponente galeone e solchiamo sereni i favolosi luoghi di quell'isola sperduta tanto ricercata e mai esplorata. Oh amate fatine turchine, dolci sirene dal mendace volto e minuscole creature del mondo che non c'è trascinatemi via con voi così che io possa cantare del vostro immenso creato così magico e meraviglioso. Orsù tappeti volanti, valorosi cavalieri bianchi, polvere di fata e avvenenti principesse, draghi caparbi e conigli parlanti avvolgete le mie grezze piume con la ricca sorgente della giovinezza ! Come farò ora senza di voi, saggi folletti, zucche incantate e bestie dall'animo nobile, or che il potente ciclope a piede veloce mi si avvicina ? Finirò forse per dimenticarvi miei amati protetti ? Crescere sempre più senza fermarsi a pensare a ciò che potrei diventare qualor tutto ad un tratto si sostasse troppo mi duole. Ed ogni cosa sarebbe già risolta se tu, caro Pater, volteggiassi un po' qua giù e mi insegnassi a sognare come nessuno sa fare per non essere inghiottito dalle folti nubi del mio arcano futuro. La macchina del tempo a Caterina Avrei voluto dirti tante cose, ma d'un tratto nulla fu più; immobile gemevo e muto mi perdevo ogni volta che i tuoi occhi sfioravano i miei. Ed ogni santa verità io stesso, frivola marionetta ed ingenuo bamboccio d'altri tempi, congelai e sotterrai sotto subdole idiozie; e il non poter più rivederti per rivelarti ciò che mai dev'essere celato o rinchiuso nelle cupe celle dell'anima ora mi rapisce il cor. Ancor mi bombarda e potente mi soffoca come privandomi di un qualcosa l' esser privi di respiro e con sacra violenza strappa via quel poco di criterio scampato in precedenza. Ed ora, mia gemma di vita cosa ne sarà di noi ? Chissà se un giorno potrò mai rivederti, o mia stella fatata; e allora cosa son i palpiti dell'esagitato cor se non un chiaro segno del destino ? Ahi mia cara aurora di primo mattino troppo e fin troppo aspettai per dirti ciò che mai ti rivelai e poi cosa rimase di noi ? Aria e polvere ombra e luce son durate qui tra noi a contendersi il terreno; o mia adorata brezza cosa farei se potessi tornar indietro ! Se sol conoscessi gli oscuri segreti di questa maledetta realtà che noi, ignobili montaggi di carne e d'ossa ancor non avvertiamo, ideerei sol per te un utopico congegno per riavvolger tutto e poter tornare da te rivivendo così lieti quei bei momenti già vissuti un tempo e che forse mai più potremmo rivivere. Insieme Forse qualora tutti insieme guardassimo lassù in cielo verso quelle candide nuvole e alzassimo lo sguardo solo per tentar di sfiorar le magiche stelle del nostro giovine cor, riusciremo davvero a vivere per sempre insieme anche se lontani forti emozioni come nessuno può farlo. Soli e lune vissute a tender l'udito verso le fresche sinfonie del quieto mare, lasso dal tanto moto, docce di farfalle, benevoli spiragli di vento ed eleganti chiome di pregevoli girasoli accompagnavan le note dell'amata orchestra di cicale in quegl'eterni giorni d'estate. Infinita gioia e luci perenni si son vissuti assieme in così poco tempo ed è triste pensar che gli occhi nostri non si potran rincontrare poiché veraci sorrisi e felici ricordi c'han per molto dipinto e sono sbocciati sotto l'attenta cura della suprema Legge dell'etra. Insieme, insieme per sempre, come cuori inseparabili, resteremo se solo il volere di noi esseri mortali potrà mai essere esaudito per poter provare anche solo per un istante, ancora una volta, tutto ciò che insieme abbiamo vissuto. Campioni del mondo Sono minuti in bilico tra disfatta e successo ove stanco incede il malevol orologio come per far dispetto alle ingenue pedine di cui si è sempre fatto gioco, ed ogni cosa è nulla, priva di fiato, come morta, incoerente e d'un tratto ammutolita mentre lì per lì l'erbetta vien dolcemente calpestata. Attimi rapiti come in un sogno mai finito, lenti respiri strappati via dal solito vento passeggero e sguardi fiduciosi fissi verso quella tela bianca per ora esposta lontana, costernano quei nobili campioni dall'animo azzurro. Azzurro come il ciel di prima luce che appena sfornato balbetta un po' e poi si alza su come quella magica sfera sprizzata come un razzo al sol tocco del potente Stivale. Per pochi, minuscoli e interminabili istanti tanto si aspetta ed è come se tutto si fermasse al rigido comando del neutral Arbitro che da lassù assiste compiaciuto. Ed è subito trionfo or quando vien trafitta la rete, poiché è vittoria; immensa gioia, infiniti palpiti e sfrenato giubilo esplode allora nel cor di mille tifosi ed è festa nel veder la fedele bandiera tricolore sollevar la tanto sognata coppa sempre più in alto, dove tutti loro in quella notte stellata felici si librarono. Mio piccolo amore Restan pochi istanti per poter fuggire via con te, eterna luce del mio fragile cor, oltre gli oceani, il sole, le stelle, le nubi e le volte di codest'opaco cielo. Se tu grandiosa Roma, indiscussa dominatrice del rimpianto passato e suprema guardiana di sempre di quel mondo fin troppo sognato e mai realizzato, risorgessi dalle turpi nuvole che da tempo ti celano, ogni mia vana pretesa sarebbe da te già placata. E mentre giaccio qui a dipingere ciò che rimane di questa sporca realtà, tu, mio dolce fragore di vita, mi abbandoni sulla rude terra bruciata delle mie angosce. O mio piccolo amore di giovine età, che giungi da lontano a dar continue noie e a tormentar mille e più volte questo fugace spirito ingordo d'ambizioni e desideri, non dondolarmi più del dovuto ma vivimi ora con pacata dolcezza finché codeste sporche ali non cesseranno di muoversi e di dar così lustro alle loro grandi capacità. Osservando impietrito E dovrei indossare una maschera io, sciocco ribelle dell'odierno tempo, senza poter davvero esprimer ciò che penso e dar sfogo alle mie libellule ora agitate come non mai ? Ooh cielo, quale sorte è la mia ? Se non potrò tendere alla sua mirabil bocca, che cosa allora dovrebbe animarmi per poter vivere ancora e lasciarmi qui solo e speranzoso osservando impietrito la mia lenta agonia ? Ombre furenti Percorro ormai inerme le luride fogne della mia misera nazione, errante tra i rigidi scudi dei rozzi popoli barbari. O moleste pinze intessute qua giù e legate per benino fin qui fra le salde radici della celeste pupilla del sol cosa mi combinate ? Invece di liberar da gravi sussulti e sofferti pianti codesta mia retta casa, osate aggravarla con futili questioni lievi come petali ? Ed io oramai chino il capo inibito di fronte al caos che da dentro mi divora e rassicuro le dolci farfalle, fedeli compagne di gioventù. Che le più furenti e morbose ombre dell' animo mio si preparino allora una buona volta a far bagaglio ! E che ogni cosa in cui credevo svanisca per sempre purché lei, fulgido assioma da sempre tanto amato, mi lusinghi con sentita volontà e faccia palpitar il mio lustro cor ancora una volta come un tempo, né tanto amico né troppo fallace ! Innocenti evasioni E quell' inconsce volatile piovuto giù dagli argini del ciel per dissetarsi dei tanti vestigi sparsi di su e di giù per codest' elisio ora atterra sulla tenera lana, fiorita dal seno della divina Etra e raccoglie il frutto della linfa seguita, partorita dal prestante Arciere del sol. Danza il folle pennuto fra le bianche chiome del saggio Eolo e accarezza le docili acque del Sovrano dei mari ; si dondola beato fra le candide frecce sparate da Eros, sprizza via da un monte all'altro insiem al frivol Messager e beve il dolce calice del sublime Dioniso. Or ora si prostra dinnanzi al suprem' Imperator dell'ignoto spazio e assapora gli intensi profumi di quella terra fin troppo ingorda di flagrante beltà ; distende poi le ali infangate di perfidia verso l'attraente Fior e tende le sue ormai grezze piume di fronte alla fiera Lancia combattente. Al palpitar del cor nulla risponde aldilà degli usci fulgenti le rare epistole dei popoli passati e scolorite dall'ignobil serra che ancor sotterra le reduci fiaccole invocanti ausilio. Ahi solenne terra, dimora dei tempi andati, come ti sei ridotta ora, tu nobile patria e sangue erudito dei miei antichi avi, solo per vantarti dell'orrido automa che il cosmo devasta ? O dei sapienti della più lontana terra d'occidente del gran re Macedone, concedetemi il lusso di poter evadere oltre quei cancelli così da annidar le mie caste idee bisognose d'aria. Per il piccolo Tommaso Ove cieca e sorda si erge l'immensa reggia, che trafigge le siepi del mio retto giardino, languide gocce d'un così fugace splendor cadon giù come sassi, cedendo voce agli abissi del suolo. O illustra gente dei tempi remoti, che state lì seduti ad assister come statue ai patetici inganni di noi moderni, ammirate il gelido spegnersi d'una vampa da poco animata. O piccolo angelo, augello del ciel, vola via di qui lontano dai cani rognosi, dai bifolchi avvoltoi e da quelle ibride belve divoratrici mai sazie di pura innocuità. Ahimé vetusta penna, se in codesta misera stalla d'infide canaglie e di luridi suini non v'è minima traccia d'ingenua bontà, forse non val davvero la pena sprecar tant' inchiostro. Dond' evitar ulteriori indugi ora m'affretto a terminar i miei futili versi poiché difetta il colore per l'orrendo delitto commesso da simil zecche ed il tempo scorre ... L'ebbrezza del mattino O sovrana gioventù devastata dal delirio non lasciar che t'inganni quel famelico genietto, lavati dagl'insozzi piaceri mondani e accogli con dolcezza l'amato sorriso di sempre. Bandisci dal tuo fetido corpo, gravido verme, quell'orrendo fetore di vanità, d' arroganza e di dama avidità, tu che avveleni le menti di noi tutti con astuta arguzia. O pazza coscienza, defraudata dai risonanti rimbombi del consueto ticchettio, fa sì che io, stolto balocco del paese incantato, possa per una volta elevar le mie insulse membra verso l'alto, tramite codesta mia nobil arte e goder così dei piacevoli fervori che da lassù di continuo traboccano. E tu, mia sobria ragione resisti ancor per poco poiché prima o poi saran le prime luci del sol a dilaniar quelle morbose catene che con forza ti abbracciano. Ave Maria O santa Vergine, generatrice di luce, procreatrice della vera vita e lupa benevola di pace e d'armonia, tu che hai patito tanto le amare pene procurate da quella donna sfigurata dalle acute lance del tempo e sei sfiorita di fronte alla crudele maschera della beffa, volgi anche per poco il tuo sorriso scolpito e il tuo candido volto verso ciò che resta di codesto mondo rintanato nell'infida tana del serpente. O madre della Giustizia, ave Maria, tu che hai assistito al precoce consumarsi della tua amata creatura da molti tanto lodata dopo la triste notte e accusata e derisa durante il suo breve soggiorno fra noi esseri, ammira a cosa è arrivata la ben curata indifferenza degli uomini. A non veder aldilà del proprio orticello siam giunte noi patetiche creature delle più cupe profondità terrestri: noi che ci crediam grandi signori non siam altro invece che ipocriti conigli, timidi volatili e riprovevoli testuggini dal fatuo aspetto. Nitida colomba del cielo, o bella puledra del sole, cosa dobbiam fare, noi insulse blatte e sudici insetti che mai tregua nel vincere ci diamo se continueremo ad issarci sulle infauste cortine dei timori più ingenui, per affrontar con energica forza codesta sporca realtà ? Guidaci Tu, eterna cometa che strappi la buia tela dall' avvilita immagine del docile cielo e scaccia via per sempre quella nera biscia che solo male ha procurato durante il suo sudicio percorso. Orsù allora stolta gente dei tempi moderni strappate dalle fauci dell'insana bestia la pecunia bellezza che solo per mezzo dei miei semplici versi potrà forse riprender fiato. Invisibili Ribolle dentro me quel torpore che ancor mi inquina, le dolci fiamme del deserto danzano giocose tra le mie deboli carni e la nera sabbia dell'ignaro intruso soffoca il mio già lento respiro. E adesso mi do pensiero sulle infinite pulci sparse per codesto globo che afflitte da ancor più dolore si dimenano qua e là per le quieti case e i dormienti palazzi, mentre lì al buio vi riposano quei grandi cavalieri. Demoni oscuri e infidi spettri ci terrorizzano e ci dominano sotto false sembianze; cosa fare allora se non sguainare le spade ? Gli invisibili predoni delle strade stanno lì ad aspettar la notte. Loro forti prendon le spade e li affrontano senza alcun timore, poiché ormai niente li vince di più e fieri del lor essere barcollano per le tetre vie dei loro affanni e del malevol sonno che pende su noi tutti. Rimasti soli ad ascoltar gli immensi frastuoni notturni e fra le fioche luci dell'alba non si dan tregua nel scovar il dispettoso genietto che ogni cosa osserva e contempla dall'alto delle sue mura. E si alzano degni con le loro languide armature gli invisibili cavalieri delle strade. Or lì dove non è possibile, noi falsi schiavi del tanto temuto ciclope solchiamo con la sola speme le infinite volte dell'amor e dell'affetto che sol quelle lucciole posson dare. Cristalli infranti Pioggia di metalli, momenti di sgomento, sguardi persi, parole mute, strade bagnate, cristalli infranti, ricordi svaniti, fiumi di tristezza e corpi inerti di fronte a codesto veloce e assonnato giorno in apparenza simile agli altri. Tutto si ferma al fracasso degli squilli e delle voci passanti per quel filo nero e soltanto l'orrendo ciclope del tempo continua a brontolare, indifferente a ciò che è appena accaduto. Immagini fulminanti, ore di angoscia e domande invadenti circondano ciò che resta del mio cuor, poiché pochi flutti dividono la luce della vita dalla palude della morte incombente e dell' attesa frenetica. Quanto dovrò aspettare? Quante luci dovrò veder svanire nelle tenebre del mistero? Ed il camion dell'arroganza e della ricchezza incolta s'infrange sul dolce sorriso di colei che per sempre rimarrà accesa tra le foto del mio album colorate di quel verde che mai via se ne andrà. Ed io alzo i miei piccoli occhi mortali verso codesto cielo tempestoso e piovoso per cercar di dare una risposta a cotanta pura acqua persa tra i flutti del grigio asfalto. Chi siamo noi Che cosa ci accade ? Cosa ci succede ? Siam davvero noi, mortali, a voltare le spalle all' orrore di codesto morbo intrinseco e immerso nella nostra natura ? Siamo sul serio noi, piccole e futili formiche, a farci burle delle pene altrui ? Siamo noi, fiori appena sbocciati, a sputar sul lavoro di coloro che credono nella Giustizia ? O poveri noi siamo, se ci nascondiamo sotto il nostro guscio o se fuggiamo via dalle piccole sale della pura realtà per viverne una molto più falsa e indecente. Laviamoci allora da codesti soprusi e dai fiumi contaminati dell' indifferenza che scavano ancor sul volto del nostro pianetino, isolato tra le oscure luci della verità perversa. Non voltatevi verso l'ignoranza di chi non vuol vedere, per entrare nelle tetre stanze delle vostre menti poiché ancor tanto si deve fare. Chi noi siamo ? Ragazzi di strada, ricchi di buona volontà, di orgoglio, di principi, di ragione e di occhi . . . con i quali guardiamo inerti e terrorizzati il disfacelo totale che ancor ci circonda. Voi che rimanete lì fermi e immobili, non contemplate i piaceri mondani che percorrono il mondo odierno, ma aprite la mente a ciò che è reale ! O mondo vano e cieco, mondo di vignette, di pregiudizi, di reality, di burle, di frasi fatte, di specchi e di parole, noi altri ti sorreggiamo anche se poco tempo ancor ci rimane per fare tanto e parlare poco. La fossa del serpente Oro scarlatto, pietre argentate, pavimenti lucenti rintoccati di bronzo, anelli ed insegne maestose da sempre decorano quella fossa buia ed infida. Piogge di diamanti, corridoi brillanti e soffitti dorati pendono su di noi povere bestie del tempo presente e sull?altopiano laggiù numerose frazioni cadon giù a pezzi. Sarebbe codesta la casa del Signore, portatrice di pace, armonia, amore ed umiltà ? Non tutt? i torti allora c? aveva quel monaco di Germania che divise i cristiani. O voi stolta gente, asini burloni e bifolchi invadenti non rimanete lì immobili seduti con i vostri amati giubbotti, disdegnate invece la vera tana del vizio ! Oramai quella Stella si è spenta; e di così luminose quante ancor ne rimangono immerse in codesto spazio oscuro ed infinito che domina ogni cosa ? O potente imperator del ciel supremo spazza via codesta tua istituzion per rifondarne una nuova, più viva e accesa di quanto non fosse stata innanzi ! Poiché mentre prima era pura e sacra or come ora sguazza tra il concime di codesto amaro calice, da cui tutte le tue creature, da Te tanto amate, han purtroppo bevuto ! Vento tra le foglie Scende piano la notte, in silenzio senza svegliar l'orco che dorme, la graziosa luna come il lucente sol abbaglia il piccolo pianeta azzurro ed il vento danza soave tra i rami degli alberi. Ancor si muovono quelle nere lancette dallo stran aspetto che bisticcian tra loro, dando vita ad un ridondante ticchettio. E mentre la quiete sovrasta il luogo, il vigile occhio del fagace tempo riman lì a fissar ciò che per sua legge è sempre in pieno corso. Dall'alto invece corre veloce quel carro impazzito senza più dar conto a nessuno, come una gazzella in fuga dal suo predator. Le ordinarie catene del quotidiano stringono ancor il mio povero cuor tra le fioche luci della verità perversa di codesta maschera di latta. Una lacrima pian piano scivola via dal viso candido di colei che solo col suo dolce e luminoso sorriso può ridar luce a codesta notte cupa e misteriosa. La primavera della vita Siamo come piccoli cuccioli allattati dalla forte madre e vicini al padre sognatore; nasciamo dalla felicità di chi ci vuol bene e restiamo uniti dall'amore e dalla giovinezza che bella come la primavera ci culla nel suo dolce grembo. Illuminati da cotanta luce e accarezzati dalle soavi onde del mar corriamo insieme tenendoci per mano e voliamo via liberi lassù in cielo dove soltanto Lui può stare. E allora godiamo di questi lieti giorni e rallegriamoci di quel che abbiamo poiché un amaro giorno rimpiangeremo ogni cosa passata ! Danziamo dunque intorno ai fiori fragili ma splendidi della nostra illustre stagion e invece di pensar a quel che un giorno sarà demoliamo insieme le barriere della pigrizia e dell' insolenza, vivendo in piena libertà i bei momenti di codesta tela bianca colorandola con magici sorrisi e con la fantasia di chi non vuol mai crescere. Animo tormentato Sarebbe bello poter tornare indietro per cambiare ogni cosa e per evitare i dolori, le sofferenze e le sconfitte della vita, ma purtroppo non è possibile. Sono solo un ragazzo, ormai disorientato nella selva oscura, pieno di dubbi domande assillanti e timori sterminati, dopo tante pene subite e non ancora risanate. Molte cose tutt’ ora mi affliggono tra cui la figura perplessa di Dio Onnipotente, e l’ impensabile concetto di Perdono, visto come una casa senza fondamenta. Mi do tormento nell’ oscurità del bosco, di come ogni cosa al mondo venga prima usata e poi lasciata annegare nel mare profondo del tradimento. Riflettendo infine sulla caducità della vita umana, mi chiedo se vale la pena andar avanti, pur sapendo come tutto al soffio gelido della morte si estingua e non emetta più alcun respiro. Un gabbiano morente Quanto vorrei volare via da questo mondo scellerato pieno di guerre, dolori cattiveria e tanto triste: Così triste che la luce delle mie lucciole non basta per indicarmi un cammino sano e giusto. Vorrei gettarmi nel vuoto e aprire le ali verso un mondo migliore senza delusioni e malattie morali per poter assaporare il vero senso della libertà; Col tempo forse capire potrò ma le ali ancora non si aprono e per terra continuo a soffrire. Ferito e afflitto, malato e contorto, ho bisogno di qualcuno accanto a me per poter volare via, nessuno però soccorre il povero gabbiano disperato che per terra si sgomenta e invoca aiuto. Il gabbiano sempre più fiducioso via si trascina tra la polvere infame di un mondo tanto cattivo e perfido, dove solo la fede e la vecchia e saggia speranza restano le uniche ali per poter prendere il volo. Prendere il volo almeno moralmente dove il gabbiano sporco e ormai morente potrà volare via verso quella felicità da sempre tanto desiderata e molto spesso tanto attesa ma fino in fondo mai veramente provata. Nuvole all'orizzonte Il cielo si oscura e la terra improvvisamente diventa scura. Pian piano giungono grigie dall’ orizzonte ed ora mi son di fronte ! Un po’ turbato , ma per niente spaventato le osservo da lontano sperando che non facciano molto baccano. Esse sovrastano le case e tutt’ intorno tace , anche se alla base di ciò ogni cosa pura all’ improvviso imbruna. Si avvicinano sempre più ed io mi chiedo : “ Che cosa in futuro accadrà ? ” “ Pioverà ? ” “E se si , quando succederà ? ” Domande frangenti e risposte sempre frequenti in questo pomeriggio di Settembre tutt’ora immerso nelle tenebre. Vago e perlustro Vago e perlustro le vie desolate del blu oscuro, cado e mi rialzo nella notte colorata di scuro. Penso e rammento le delusioni dell’ amore appoggiato al mento e scrutando per ore il passar del tempo lento. Vago e perlustro i sentieri bui e il cuor che dentro me richiama e mi domanda : “Dove stiamo andando?” Penso, osservando : “Dove sei luce dei miei sorrisi?” Vago e perlustro dinnanzi a quella siepe e in questa notte di mistero mi chiedo : “Io dov’ ero?” Affetti familiari È buio sopra il tetto e steso sul morbido letto sono costellato dal dolore, ma circondato da vero amore. Qui sono malato e con il cielo stellato, mi appresto a ricevere e ad avere con piacere tanta tenerezza e amorevolezza. Una felice brezza da coloro che erano sono e saranno le mie lucciole che sempre mi guideranno, in tutto il corso del mio lungo anno. Pensando a lei Qui su quest’ isola distesa sul sereno mare mi trovo ora ad ammirare il panorama estivo che mi circonda. Come una veloce onda è già approdato l’ amore nel mio cuore e pensando ai suoi capelli così lisci e così belli passeggio tutto solo, meditando pensieri profondi ma dolenti. E ripensando ai suoi occhi lucenti continuo a passi lenti accompagnato dal suono delle cicale che per le rispettive pinete sale e sale. Nuovamente continuo a lei pensare, forse a illudermi ma sempre a sognare le sue dolci mani, che forse un domani potrò anche accarezzare. Mi siedo poi ad osservare il mio amico sole tramontare e alla vista di un gabbiano volare, un pensiero il mare sorvolerà verso colei che da qualche parte aspettare mi starà. La stagione dei girasoli Passeggiando accanto al mare mi incanto ad osservare colei che seduta l'orizzonte scruta. Un girasole lei rispecchia che sostituendo l' aiuola vecchia fiorisce di immensa giovinezza e di sconfinata appariscenza. Una fanciulla e un girasole son creature di pura bellezza, che vengono dal vento accarezzate, dalla luce solare illuminate, e dal mondo esterno ammirate. Al cuor non si può comandare ma alla vista di tanta beltà e di illimitata venustà, si può solo sperare che codesta stagione non possa mai terminare. Lamenti nella notte Artigli d'acciaio, lame di ghiaccio, coltelli di vetro e falsi sorrisi trafiggono il povero volatile senza tregua, allo svanir del sol e al passar delle nubi. Urla e strepiti mi devastano il cuor e solo le mie amate lucciole ancor mi son vicine al trapasso del malefico uragano. Dolori e tormenti lancinanti e strepiti assillanti devastano le fragili capanne della ragion e soffia forte il bruto vento su questo corpo assai innocente. Tanto fracasso invade questo spirito nella notte più buia del mio fausto cammino nel giardino fiorito di codesta intensa primavera. Ecco il mio Salvator ! La luce del dì sereno spazza via la notte e mi lava dalle folgori della tempesta, anche se la serpe del peccato riman sempre in agguato. La stanza degli specchi Barcollando fra i cipressi della mia adolescenza continuo a camminare per il misterioso vicolo delle mie angosce e dei miei quesiti più profondi, colmo di rabbia per coloro che oramai su quell’ isola non ci sono più. O voi che da cotanta ingenuità vi inabissate nelle torride acque di codesto mondo pieno di infamia, di ingiustizia e d’indegna crudeltà, non vi curate del moscone che vi gira attorno ma spalancate il vostro cuor a nuovi orizzonti! Annegar nelle indulgenti e incessanti correnti della pura realtà e consumarsi come un fragile scoglio per le rive del mar è futile in confronto agli accesi riflessi che dominano quella stanza. Davanti agli specchi della menzogna il vero diventa sempre più vano ed ogni nostro gesto ancor più inutile, mentre l’abbagliar delle lucenti superfici fa sì che la nostra mente sia accecata senza più dare ascolto ai palpiti del cuor. La torre campanaria Ascoltar i risuonanti rimbombi del campanil oscuro e aprire gli occhi di colpo per rendersi conto delle vaghe illusioni che circondano l' uomo, vuol dire svegliarsi da un sogno. Svegliarsi da questo mondo di opinioni e di credenze, di parole e di apparenze cominciando a comprendere in quale luogo noi esseri umani ci troviamo. Svegliatevi allora uomini di codesto tempo, ascoltate i rintocchi del campanil severo che indica l'ora del vegliar per conoscere il mondo in cui vivete! Orsù, dunque non li udite anche voi i suoni della nera torre campanaria? Alzatevi quindi dal prato del bosco e andate in cerca della luce perenne! Ma badate a riconoscer coloro che vi giran intorno poiché son lupi travestiti da pecore. Ancor rimbomba il campanile sempre più forte e il suon riecheggia per tutta la selva, dove anch' io apro gli occhi per prendere coscienza di ciò che mi circonda. A zia Marcella Andando avanti per la diretta via , mi fermo accanto ad un Fior , bello e attraente , prosperoso ed innocente , e al sol guardarlo il cuor palpita ancor più e mi procura immensa gioia e tenerezza. Tutto allora tace , mentre il Fior si dondola qua e là al passaggio del vento silenzioso . All' improvviso del dolce Fior lo stelo si inclina e appassisce : Ciò fa sì che nella mia mente riviva soltanto un dolore tormentato e una sconfinata amarezza. Nel veder un Fior così raggiante e lieto, spegnersi nel misterioso mondo della vita, e dell' Ingiustizia divina , io non posso far altro che ricordare la bellezza di codesta creatura piena di purezza e felicità, volata via come le rondini al mutar della stagione. Anonimo Un cammino tortuoso sto adesso compiendo tra i miei pensieri e le mie paure passate : E ora mi ritrovo in mezzo ai tanti fantasmi e ai mille corvi della mia adolescenza. Da solo continuo a vagare , senza nessuno che mi voglia ascoltare , nell’ ombra delle mie domande più nascoste e incerte. Purtroppo ancora non so la meta del mio tragitto così tortuoso e colmo di ostacoli da superare giorno dopo giorno. Mai voltarsi indietro ! No , mai ! Lasciare il passato dietro di sé la cosa migliore è ! Andare sempre avanti ! In cerca della luce per orientarsi e aver così libero sfogo ai propri dolori e alle proprie aspirazioni. Liberar i miei tristi ricordi ora devo ! E ripensando per l’ultima volta ai timori più cupi del mio cuor, continuo a errare in cerca di un luogo dove poter di nuovo amare. Il sentiero dei tulipani pungenti In cammin per un sentiero lì sperduto dov’ ero, vado avanti ora mentre il cielo si colora e la luna pende come il mio cuor per lei risplende. Verso la spiaggia continuo adagio, pensando sempre a lei con disagio mi sento male al sol ricordo di pensieri dolenti e tra i tulipani pungenti mi avvio contro insidie ingenti. Triste e assorto mi dispero e solo spero, scrutando il marino paesaggio, di aspettare pazientemente il suo piacevole passaggio. Sono qui seduto Sono qui seduto a studiar sul libro voluto e a pensar non mi do pace… Se fossi un rapace che vola lì in alto con gli occhi di cobalto, se il tempo si fermasse e l’ orologio si bloccasse: Che cosa ne ricaverei? Il mondo sovrasterei? E della vita che ne farei? Sono qui seduto a guardar le stelle e ad amarle come sorelle. Sono qui seduto ad accarezzar le celesti nuvole, a scrutar il cielo azzurro e pieno di illusioni, e questo molto mi duole … Sono qui seduto su questa sedia fragile e muto … Il giardino fiorito Come un fiore sboccia la vita e con il passar delle ore contando tra le dita, crescono i petali dell’ armonia: bruciando quindi la monotonia e spruzzando via gioia come una dolce melodia. Come un’ onda del mare arriva nel cuor l’ amore, veloce senza fermare la passione e i sentimenti del cuore. Così rapisce il fortunato che felice di essere nato, si lascia andare ad una serena impollinazione; Che alquanto pare andrà prima o poi a schiantare sul durissimo scoglio del dolore e della falsificazione. Come una farfalla vola via la fanciullezza e del sol ricordo della tanto amata giovinezza il fior traballa ferito da un’ imperscrutabile falla. Crescere ... È sera adesso ed io ripenso spesso ai miei giorni passati e a quelli tanto sognati. Mi siedo di fronte alle stelle, mie compagne gemelle del mio percorso ormai trascorso, ed inizio a ricordare con rimorso quanto per lei ho sofferto scivolando nell' erto cratere della rassegnazione e del dolore. E mentre passano le ore continuo il mio tragitto con coraggio e con ardore, trafitto però da un misero raggio di sole. Solo e abbandonato ora mi trovo, dove solamente un fitto covo di ricordi mi rintrona e ancora forte tuona. Lasciato il disagio alle spalle, proseguo per il mio calle pur sapendo che il ragazzo che un giorno fu purtroppo non ci sarà mai più. La ragnatela dei ricordi dolenti Tanto tempo da allora è passato, eppure sembra che tutto ciò non ci sia mai stato, anche se io stesso sono molto cambiato. Quanti rimpianti frequenti nella mia ragnatela dei ricordi dolenti ! Essi fanno male e ostruiscono la mente anche se Dio dall’ alto ogni cosa vede e sente. Nella tela del ragno sono imprigionati i miei pianti e i miei rammarichi mai sognati, come in uno stagno pieno zeppo di massi e sassi difficili da rimuovere. Io so soltanto che col trascorrere del tempo, la ragnatela tanto odiata e mai sperata via se ne andrà e un nuovo passaggio da intraprendere certamente aprirà. |