Poesie di Maria Campeggio


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Salve! Sono della provincia di Lecce (esattamente di Parabita, un paese di 10000 abitanti), ho 37 anni e sono single. Pur essendo musicista e avendo conseguito due Lauree al Conservatorio, la mia grande passioneè stata sempre scrivere: poesie e, ultimamente anche favole e aforismi. Amo di conseguenza leggere, in modo particolare narrativa e psicologia. Tra gli altri interessi, mi diverto a fare un po' di giardinaggio.
Un caloroso saluto a tutti coloro che scrivono sul sito e, qualora lo vogliate, potete contattarmi: mi farà piacere! Maria Campeggio.
E-mail: campmary@libero.it


Notte di San Silvestro
Colme le coppe,
come lo sdegno
si scontrano
frizzanti
in un carnevale
di scintillii opachi
e scollature voraci.
Risa, fracassi e spari
da Caos primordiale
paradossalmente però
lo contaminano,
scenografie mostruose
indegne
intrise di follia
e stordenti
più dello champagne
che anche spruzzato addosso
non lava le sozzure,
mentre un ronzio
nel cervello va.
Stupro per l’orecchio
immolate alla mondanità
rintoccano le campane
da cui esce la brace
dei giorni venturi
scottanti
pallidi
vogliosi.
E sia:
illudiamoci
che un tappo di bottiglia
scoppi
annientando
il sofferto
proiettandoci verso
un futuro aperto
a ogni possibilità.

Bellezza
Il viso più bello
è il tuo quando sorridi
le mani più belle
sono le tue quando ne stringono altre
le parole più belle
sono le tue quando vengono dal cuore
e il giorno più bello
sarà quello in cui al tramonto del sole potrai dire:
"Oggi ho vissuto pienamente".

Casolari abbandonati
Tra sentieri tortuosi
gravidi di sole
e rocce immobili
sporcate di verde
cammino sola
meditando piano.
Mi osservano
gli occhi neri
dei casolari abbandonati
e divorati dal tempo.
Aleggia
un venticello incerto
che raccoglie nel grembo
l’asfissia del presente
e il loro florido passato.
Dunque che sento?
Grida di bimbi infangati
e nenie di giovani madri
dalle grassocce mani infarinate,
il calpestio degli scarponi logori
dei padri
al lento tornare dai campi
all’addio del giorno,
le voci sagge degli avi
e crepitii di caminetti accesi
nelle sere inclementi d’inverno.
Realtà remote
dalla storia sgretolate
che hanno lasciato un segno
nelle dimore
spente e desolate
che ho davanti…..
nel vento.

Amore giovanile
Se mai seduta in penombra
ti troverai a passare
e mi vedrai
io inizierò a raccontarti
la fiaba di un passerotto
appena volato dal suo nido di piume;
porgi l'orecchio
all'eufonia lontana
di pallide mattine
e sere in un luogo
che nella mia memoria
non ha mai taciuto
come i canti di grilli e cicale
che udivamo nel raduno estivo.
Lo scudieroè morto
e adesso fili d'erba
avresti potuto calpestare,
pensalo quando mi guardi
e mi beffeggi
come la mia paura.

Felicità
Un’iride penetrante
un sorriso genuino
mani che si protendono
una luna calante
…..e il caldo abbraccio dell’amore.
Si ingoia
in un secondo
come semplice assenza
di malinconia
e di sofferenza.
Il suo segreto…..
Non essere.

Solo il piangereè autentico
Il bacioè inganno
il sorrisoè veleno.
Essi si spengono sulle labbra.
Solo il piangereè autentico.

Amori da niente
Una scintilla da feccia
accende un fuoco fatuo,
come quelli che si vedono
di notte nei cimiteri.
L’eccitamento
vacuo si consuma
spegnendosi
come candela a un fiato
debole debole,
rimedio di fortuna
per la luce mancante,
estinguendosi
come papaveri
rossi rossi,
reclinanti il capo molle
in un bicchiere vacante.
Dove sono il calore e il colore?
Vacillano valetudinari,
lasciando sommier deserti
quali vestigia profanate
da animalesche brame.
Reso il tributo a Venere
sepolti i sentimenti sotto la cenere,
sono scappati via gli attori
di questo teatro osceno.

Peschereccio
Peschereccio
rubato alle umide spiagge
dagli sfondi neri
dei fantasmi marini.
Una lanterna:
emulazione di appigli
nell’esistenza cupa,
tra chiaroscuri perversi
di quotidiani contorti
e sonni esagitati
di generazioni infelici.
Si perde…
Ritorna…
Approda.
Guizza la vita,
mentre gronda il sudore umano:
ricompensa cercata
tra la malia delle acque impietose.

Rimembranze
Nelle mie rimembranze
disegnano
tomboli di stelle
argenti ineffabili;
scivola via
un amore solo assaporato,
piagando l’anima muta.

Fuochi d’artificio
a Ferragosto.

Si sono spenti
con le nebbie di novembre.

L’eloquenza del silenzio
Nell’aula vociare sommesso
sotto epopee di retorica vuota.
Fonema alcuno non han proferito
coloro che più d’ogni altro
hanno detto.

Infanzia
Voglio affogare
nella mia età d’oro,
nemica dell’amarezza e di coloro
che la loro infanzia vorrebber rinnegare.
Voglio le dita tenere
che scompigliavano i mucchetti di tufo
sulle case delle formiche
e che la mano grande del nonno
stringeva affettuosa.
Che sfida agli incubi dei miei sogni di bimba!
Voglio il nasino delicato
che le mani lunghe della nonna
afferravano monelle
fingendo di strapparlo
e che io affondavo nel suo scialle fatto di lana blu.
Che profumo di saponetta e di pulito!
Ricordare mi procura dolore:
quel tempoè ormai andato.
E’ eterna l’assenza del passato,
ma io ho ancora nelle nari quell’odore.

Giuda
Giuda.
Inferno, Purgatorio o Paradiso…
Che importa?
Io vedo solo quel Viso
che si porse al suo bacio con Amore.
Giuda.
Quanto di lui s’è detto!
Obbedì a un disegno sovrumano
invece l’umanità l’ha maledetto
e lo condanna per l’errore commesso.
Giuda.
Se non si fosse appeso ad una corda
il Maestro l’avrebbe perdonato;
Chi ama a tal punto non si scorda
persino di colui che l’ha tradito.
Giuda.
Attirò su di sé il disprezzo
degli amici di quel Cristo abbandonato
che egli vendette per un prezzo
e che per mezzo di lui a noi S’è dato.

Incubo
(Sognando le nuvole)

Ghiacci
statuari e informi
gessi
duri e compatti,
si stagliano
contro di me.
Impugno
un pezzo di diamante
appuntito
e nettamente
ne squarcio il cuore.
Sangue
scarlatto e caldo
stilla
dalla mia mano,
mentre rimane
madida d’acqua,
asciutta d’Amore.

Il mio Dio libero
Sono stanca
di incensi fumanti
davanti ai feticci
della paranoia,
di sottane lunghe e nere
che sanno
del bene e del male,
di dogmi stalattitici
di riti monotoni
di comandamenti abusati
di abluzioni endemiche
di donnicciole
oblunghe o grasse
coi talloni consumati
dai marmi di luoghi ottusi
di confessionali temuti
di altari enfatici
di sorrisi repressi
dalla sacralità elefantiaca
amante dei lutti di iuta
da tabù formulati e imposti
che sanno far tacere
le armonie
di ipocrisie palesate
o appena appena taciute.
Io voglio
il mio Dio di Amore,
il mio Dio Libero!

Il sogno infranto
Che stupore
passeggiare tra la neonata
erba del parco affollato,
quando tenerissimi
si piegavano a sorridermi
i salici piangenti
e sparite le fiabe
mi raccontavo leggende
lungi ancora
dalla verità crudele
e pur piagata l’anima
ancora protetta
ignorava le atrocità umane
cercando le tue carezze giovani
e il viso s’imporporava tutto.
Adesso i fiori della tua pianta
ti circondano
dischiudendosi lentamente
e io mastico remoti
i tempi che furono
avviandomi quasi nascostamente
a una maturità più piena .
Ah! T’avessi trattenuto
nel mio castello di sabbia!
Forse l’avremmo costruito
in pietra.

Alla mia guida
(A Biagio, mio nonno amatissimo)

Tu non abiti
oltre questa casa,
oltre il tempo
che ti ha visto qui
esisti.
Edè straordinario
esserci ancora
senza piangere
né soffrire.
Vedi,
siamo riusciti a ingannare
la morte stessa
che non può sbrindellare
legami di corda
e roccia adesso
mi sei dentro.
Piangerti
dinanzi a ossa umide
che non t’appartengono
non ha senso alcuno,
il tuo Amore
libero
si propaga all’infinito.
Ti invidio quasi
per esserti guadagnata così
l’Eternità.

Solipsismo
Aggrappandomi ancora
incerta
a una consumata speranza
mi allontano
salutandoti semplice in apparenza
alla tua sortita,
s’è sciolto l’incantesimo
e in me persistono
i perché del solipsismo
che nemmeno l’abitudine
più sopporta.
Verde acquoso di una sera
l’iride che ambisce a carpire
io rivedo,
invece l’apparizione recente
la memoria ha gettato
in una gora
pur compiacendomi di me stessa
per non averti ignorato
la finzione ignorando.
Poche ore ancora
e poi Eros famelico
ti si dà
come te ellittico a chi
sebbene ruotandole intorno
non incontrerai mai
e tradendo ti tradisci.
Capelli da demonio
intrigante
che si burla di putti stupidi
noiosi suonatori
di ottavini purpurei
si scompigliano lunghi
durante il viaggio
dell’auto puttana
che contemplo
ferita e sardonica
da fuori.
All’amo di un pescatore ignoto
ha abboccato il pesce goloso
che dibattendosi muore
mentre il mare sorride
sarcastico
perché sa cosa perde
quel misero.

La sediolina
(A mio nonno)

La sediolina
di paglia consunta
sulla quale sedevo da bambina
ad ascoltar parole
di dolcezza
che la favola più bella
non eguaglia.
Ora nonè che oggetto
da buttare,
dimenticato nella cantina buia;
ma per te,
se ancora qui,
io la riprenderei
te la farei vedere e…
“Sei contento?
Ricordi quando la usavamo insieme?”
Non dirmi:
ho già capito tutto.
Sorridi
e teneramente non rispondi.

Uomini come noi
(la tragedia nel sud-est asiatico - dicembre 2004))

Uomini come noi…
quelli,
attori di un film dell'orrore
protagonisti di un incubo
senza la parola "Fine"
né risveglio,
sbranati dalla sorte
che capricciosa li ha scelti
e noi ha risparmiato
lasciandoci sulla bocca
perché errabondi,
e piange il Neonato
lacrime che non cancellano;
Uomini come noi…
quelli,
divi diventati senza sforzo alcuno
quale fio pagano chi può dirlo
quando il male lacera le loro carni
che si mischiano a quelle maleodoranti
degli andati.
Sullo schermo
da telecamere beffarde
facce e macerie
che con un pulsante
abbiamo il potere di cacciare,
noi
che domani ci alzeremo
ancora più megalomani
per aver dato il qualcosa (quello in più),
e sempre più onnipotenti credendoci
non ci chiederemo
perché non a noi
Uomini come loro.   

Postriboli
Notti deste
ai lampioni di città
assistono a orgasmi venduti
che si ripetono quasi fosse
un rituale.
I postriboli
hanno anch’essi una storia e un’età,
ma il godimento effimero
è sempre uguale;
così il denaro sporco
come ai tempi della Maddalena.
Urlano le donne sfruttate
che non meritano
tale sorte feroce
un riso di iena.   

Fato infame
Il geco
si aggrappa al muro
come l’uomo ai suoi sogni
e centinaia di foglie
cedono al vento potente
come l’uomo a un fato infame
e la nave sprofonda nell’oceano
come l’uomo nella tomba.  

Notte di San Silvestro
Colme le coppe,
come lo sdegno
si scontrano
frizzanti
in un carnevale
di scintillii opachi
e scollature voraci.
Risa, fracassi e spari
da Caos primordiale
paradossalmente però
lo contaminano,
scenografie mostruose
indegne
intrise di follia
e stordenti
più dello champagne
che anche spruzzato addosso
non lava le sozzure,
mentre un ronzio
nel cervello va.
Stupro per l’orecchio
immolate alla mondanità
rintoccano le campane
da cui esce la brace
dei giorni venturi
scottanti
pallidi
vogliosi.
E sia:
illudiamoci
che un tappo di bottiglia
scoppi
annientando
il sofferto
proiettandoci verso
un futuro aperto
a ogni possibilità.   

Tramonto
Tramonto:
ampollosa
erubescenza
astrale.  

Agosto
Gelide aritmie
di giorni infuocati.
Tedio quotidiano.
Scorrere di notti
vane e profonde.
Sogni assassini.
Eppure Morfeo mi vuole bene:
che pace tra le sue braccia!   

La madre
E quando tra cent’anni
(o anche meno!?)
vagherai lontano col pensiero
vedrai la madre
che correva alla culla
ad ogni accenno di pianto
che di fare attenzione ti raccomandava
che presto o tardi che fosse
sveglia ti aspettava;
tu la vedrai
lasciarsi alle spalle
la giovinezza.
E la cercherai. Oh sì che cercherai
tra le profonde fosse
il ventre che ti nutrì
e che ora giace nella nudità;
le carni ti faranno male
e ti avvolgerà assurdo il riflettere
che il Cielo non le concesse
l’immortalità.  

Caducità
Mi ubriacano le stelle
che giocano l’acqua
nella notte silenziosa.

Domani
io non avrò che l’eco di un momento;
e della vita il nulla
scivolerà tra le mie dita fragili
come polvere avara di profumi.  

Il mio Natale
Accecanti vetrine
frastuono di lussi e stranezze
e clacson impazziti
che gridano insolenti
la fretta
diabolica spirale
di un marasma fatiscente,
si consuma così la gioia di carta
stracciata dopo la festa
che lascia dopo il dunque.
Quietamente raccolgo
in un fazzoletto di carta stampata
il presepe desueto
con luci docili
e la capanna semplice,
spoglia
di misfatti e tragedie
del disgustoso obbligo dei regali
che qui sono poveri
portati dai pupi:
pianeta di fogli stellati
iato col mondo.   

Visitando i loculi
Uomini vigorosi
profumati di lavanda
e seni prosperosi
di donne alla veranda
che sguardi acuti e maschi
cercavan di carpir.
Nei vuoti stretti e lunghi
il buio li riveste
non mostran più i vestiti
di tanto attese feste
ma solo una roccia lucida
e un lume fioco fioco.
Un nome ben inciso
legge nei vari visi
a volte certo mesti,
ma spesso indifferenti;
muto esso non giudica,
ma se potesse parlar!  

Incidenti
Tregende
con bacini ondeggianti
come nelle rumbe da sballo
volteggiano
agli angoli schivi
tacendo il quando
e il dove,
ascoso
o forse inesistente
il perché.
Una forza
non scibile
ci trascina vessatoria,
strappando via
le parole dalle labbra
che la paura serra.
Frasi stantie
accompagnano
ceste di gesti pietosi
innati e senza remore.
Non raramente
presentimenti taciuti
e insondabili
precedono vivi
gli accadimenti con un nome,
ma perpetuamente senza volto.
Andiamo verso
un ignoto;
Volontà Divina o Caso
Egli sa
e non dice.   

Amica mia selvaggia
Tra gli scogli
una buca profonda,
e la evitai;
e
all'orizzonte
il cerchio dell'Ovest
arancio carico
si dileguò poco dopo
senza che me ne accorgessi.
Così ti elusi
"amica mia" selvaggia
e venni via da te
d'un tratto,
ma come un temporale
dopo essersi espresso
con i suoi tuoni .
Chi ora prenderà
il tuo incendio
per farne una cascata?   

Obnubilato ricordo
Obnubilato ricordo
mi si distende accanto
e con esso i riflessi argentei
dei fari delle strade la sera.
Un pianoforte con sordina:
il feltro dei martelletti
copre soffocante il suono
che stento a captare.
Non così tu
che comprendevi lesto
le brame del mio cuore
preso a calci.
Ora più dubbi
non lo macerano
e solo l’intelletto
pudico rinvia
a quegli incontri
travagliati e attesi,
la tua camicia leggera e semiaperta
su un petto cinico e villoso.   

Noi
Noi. Un abisso.
Il dispiacere del non dire
la distanza da te voluta
le risate che andavano a morire.
Noi. Logorìo.
Superficialità. Incomprensioni.
Menefreghismo.
Vietato sapere le tue opinioni.
Noi.
Cosa dire? Un segreto mai saputo.
D’altronde nulla mi era dovuto.
Cosa fare? Niente.
Ormai sei scivolato dalla mente.
Noi? Ma perché?
Semplicemente io e…mai te.   

Attimo
Attimo. Respiro.
Lo afferro:è mio!
Lo inspiro
fino a riempirmene i polmoni
e lo lascio battere
in isocronismo
col mio muscolo cardiaco.
Lo amo sempre
e lui mi trasporta ovunque.
Attimo: Vita.
Attimo: Eternità.    

Mezzanotte e mezza
Domani.
Domani sfiorerò col medio
l’ala del gabbiano
e prenderò una manciata di stelle
e le butterò sul capo di mia madre;
sarò libera e pur sempre figlia.
Domani.
Domani ruberò con la mente
il mistero del sole
e raccoglierò goccioline di pioggia
e le porgerò a un chicco di spiga;
sarò sapiente e pur sempre umile.
Domani.
Domani mi innamorerò di me
e mi concederò un ballo sgargiante
e suonerò i colori della Terra
e canterò il pianto del neonato.
Mezzanotte e mezza…..Domaniè già!


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