E il gatto?
Mi stiracchio avvolto dal caldo delle lenzuola e delle coperte.Emetto uno
sbadiglio,lentamente e poi mi rigiro nel letto alla ricerca di qualche
attimo ancora di sonno.
Sbadiglio ancora,sono avvolto da una pigrizia adulta; l'idea di mettere
sul pavimento i piedi e le gambe,di scoprirmi perdendo contatto con questo
tepore dolce e avvolgente quasi da grembo materno, mi fa rabbrividire.
Resto ancora al caldo,rannicchiato,assumo la posizione fetale, le
ginocchia a toccarmi il petto ed il mento.
Questa è la posizione prediletta aumenta la sensazione del caldo e del
benessere, disperde meno il calore.
Dio come si sta bene.Sento che per alcuni brevi istanti mi addormento,ma
sono vigile,quasi sveglio.Penso di sognare,ma non sono sicuro.La stanza è
calda,il buio è ancora fitto.pieno.Fuori, essendo mattino questo lo
so,devono essere quasi le 7,il sole non c'è ancora,quindi è brutto
tempo;il cielo sarà coperto di nuvole grige.Chi sà se piove?Non sento però
il rumore della pioggia.Forse nevica! Siamo a dicembre.Tra poco è
Natale.Quindi considerando il silenzio che è assoluto forse nevica.Adesso
son già vestito.Sono inbacuccato dalla testa ai piedi;vesto di un giaccone
di panno pesante, è blu, quello dei marinai. o pescatori, un maglione
andracite con le trecce e sotto una camicia a quadretti di vari colori.
Sul capo tengo un cappellino di lana anchesso blu, tutto calcato a
coprirmi le orecchie a scanso di gelate.Porto pantaloni di velluto
cinquecento righe,ruggine è il colore per rompere la monotonia del
blu.Sono pantaloni pesanti e caldi.Ai piedi porto calzettoni di caldo
cotone della marina militare, dice l'etichetta;per scarpe polacchine
scamosciate ;i piedi sono al caldo e ben protetti.
Nel parco non c'è anima viva, non vedo nessuno.Ma è nètta la sensazione di
non essere solo.
Stanotte è caduta molta neve, gli alberi sono arabescati di fiocchi e
piccoli coni di ghiaccio.I vialetti sono tutti coperti di bianco candore.
Osservo le orme di piccoli uccelli, penso che appartengono ai passeri che
sono stanziali e quindi non emigrano,continuano ad abitare il parco.In
volo sopra gli alberi volteggia una colonia di cornacchie,il loro colore
grigio scuro non li distingue dal colore di questo cielo mattutino.Due
gazze,vestite di bianco e nero piumaggio,disegnano stanchi voli da un ramo
ad un albero.
Là in fondo al parco sulla sponda destra che confina con l'inizio della
collina si alza un velo di nebbia, è il fiume che lo produce continuando a
scorrere lentamente.
Da quel velo intravedo l'acqua scura che attraversa ponti e poi prima del
mare lambirà altre città.
Camminando lentamente attraverso il parco in compagnia del rumore molto
attenuato delle mie polacchine a contatto della neve.Sul manto di neve
ancora vergine lascio le mie impronte,guardandomi alle spalle posso
osservarle chiaramente;così facendo controllo il cammino sin lì compiuto.I
passi fatti sono tanti, un orma di scarpa dista dall'altra settanta
centrimetri, quindi anche se non è importante ho percorso moti
metri.Osservando le orme lasciate vedo che c'è simmetria. un ripetersi di
passi costanti a guisa di marcetta o di pentagramma musicale.
Non è un cedere lineare ,il vialetto compie delle curve e poi si inerpica
su di una piccola salita.Arrivato in cima senza il minimo sforzo continuo
ad osservare quel disegno chiaro di passi già fatti,vedo con chiarezza il
punto d'inizio e poi mi arresto dove io sto con davanti a me la neve
ancora intatta non violentata da nessuno.
Tolgo le mani dai guanti, appena svestite sento il gelo che
l'afferrano,una sesazione forte che mi provoca intensi brividi.La parte
della faccia scoperta si è abituata al freddo,le mani no e subito
diventano rosse e indirizzite.Le ricaccio nei guanti e subito sento che
cominciano a sfrigolare ridiventando calde.
Da questa piccola altura domino una bella porzione di parco.Distinguo tra
la nebbia che lentamente sale dal fiume, due ponti.Non c'è
traffico.Ammirarli così con questa luce con la neve e la nebbia, sembrano
due monumenti sospesi sull'acqua del fiume.La loro architettura,a due o a
tre arcate,con i lampioni dalla luce fioca e biancastra,con l'angelo che
sorregge l'eroe e la donna dal petto poderoso nell'atto di donarsi al
ferito,mi trasmette una grande emozione di bello e fatato.Mi sento
attratto da quella immagine sospesa,a lungo sto a guardare, osservo la
lentezza della corrente,l'acqua che cammina e i ponti che silenziosamente
si lasciano lambire.Mi stacco da quella visione, volgo lo sguardo tutto
intorno,mi avvedo di fronte a me della sagoma del castello medievale,
pocanzi non si vedeva.E' emerso dalla nebbia.E' il castello del "Borgo
Medievale".Emerge come un isola,le torri le mura,i merli e le feritoie.
Tutto è coperto di bianco.Sembra galleggiare il quel mare di nebbia che
viene su dal fiume.Fa un freddo micidiale.
Mi lacrimano gli occhi sino ad appannarmi la vista.Non trovo il coraggio
di svestire dai guanti le mie mani per essere più libero.Mi passo i guanti
sugli occhi e anzichè asciugare le lacrime da freddo ottengo il risultato
contrario:estendo il velo che si è formato sino al punto
che tutto scompare dalla mia vista.
I ponti il parco il castello il fiume spariscono.Resto io solo
su questa piccola altura.Non riesco a percepire che tutto si è dissolto.Mi
sento come sospeso nel gelo.
Struscio più forte i guanti sugli occhi e piano piano
tutto riprende forma.Quando riesco a distinguere ciò che mi circonda mi
accorgo della presenza di un piccolo cadaverino.E' un passero morto.Ha le
zampette per aria,il corpicino mezzo sepolto dalla neve,la testolina
leggermente chinata verso la pancia.Gli occhi sono due piccoli forellini
ghiacciati.Mi intenerisco.Mi sento improvvisamente triste.Tutta la
bellezza del parco sotto la neve,alla vista di quel piccolo cadeverino
sparisce.La nebbia continua a salire in modo considerevole dal fiume.
Mi guardo intorno con più attenzione,sono sempre solo,non c'è nessuno.O
meglio ci sono io e il piccolo cadaverino.Povero passero.
Non so cosa fare.Con gesto automatico sfilo le mani dai guanti.Guardo
ancora quei sei centrimetri di piume e di ossicine.Formulo un
pensiero:"adesso lo ricopro tutto con la neve dandogli così una giusta
sepoltura".Formulo ipotesi sulle cause eventuali della sua morte.La più
banale e la più veritiera puo essere quella che è morto di freddo.La
temperatura stanotte,stando ai bollettini è scesa sotto i dieci
gradi.Povero passero non ha retto alla gelata di Natale.Mi sposto dalla
postazione in cui mi trovo Le mani ricominciano a gelarsi ma resisto:devo
seppellire il passero.Faccio un passo nella direzione del cadavere.In quel
preciso istante sento un arruffarsi di pelo
ed un miagolio cagnesco;un suono nel silenzio da paura.
E'così che mi appare un gatto uscito dal nulla.Ha occhi gialli,pelo
tigrato ritto,il posteriore compresa la coda inarcato come chi è pronto
all'assalto finale.
Sono stato preso in contropiede,non avevo osservato bene il terreno
intorno al cadaverino del passero.Adesso vedo altre impronte:sono quelle
del gatto.Orme di gatto selvatico di parco cittadino.
Ai brividi di freddo si aggiungono quelli della paura che mi ha preso alla
vista di quel pelo arruffato irto e pronto all'attacco.
Scelgo velocemente la ritirata.Il passero non è morto di freddo.E' stato
assassinato dal gatto per procurarsi la prima colazione o il pasto.Ed ora
la difende.
I buoni proposite di degna sepoltura se la danno a gambe insiene a me.
Mi sveglio con il cuore in gola, viaggia come una Ferrari sul rettilineo
di Montecarlo.Mi siedo in mezzo al letto.Precipito i piedi nelle
pantofole.Assumo la posizione eretta.Il cuore romba ancora sul
rettilineo.Tiro su la tapparella,scosto le tende di pizzo bianco,fuori
nevica dolcemente,un soriano con gli occhi gialli scivola lentamente
miagolando tra lr case e la via.Ora nona, suona suona ….
Abbiamo appena finito di cenare. Da poco sono passate le otto di sera. Mio
padre, come avviene tutte le sere, o quasi si alza da tavola per primo,
con la sua sigaretta, una "stop" e si dirige verso l'angolo della stanza
da pranzo dove c'è una poltrona, la sua poltrona, accanto al mobile radio
e grammofono.
E' un vero e proprio mobile di falegnameria d'arte; il legno è pregiato,
mogano con innesti di palissandro, lucidato a mano.
Si apre con due porte e dentro racchiude il giradischi un Phonola 75 giri
con braccio nero e puntine super sensibili. La radio una occhio magico
Bacchini è moderna in quanto racchiude in se i due altoparlanti legati al
grammofono. Radio e mobile giradischi fanno una bella coppia e rendono
piacevole quell'angolo della stanza da pranzo. La sigaretta, tirata,
accende una brace lucente e formando una nuvola di fumo azzurro accompagna
mio padre nel percorso dal tavolo alla poltrona angolo radio. La sera
continua a scendere, dalla finestra che da sulla via, si può osservare
l'avanzare del buio che ai miei occhi ha un suo fascino particolare; i
pochi lampioni emettono una fioca luce gialla che poco scalfigge la notte
buia. Non c'è vento di mare questa sera. C'è una calma che appare
inverosimile; gli stessi movimenti di mio padre verso l'angolo
radio-poltrona mi paiono strascicati e in sopportabilmente lenti.
Arrivato alla poltrona, aspira una tirata di sigaretta più lunga, la
"stop" si accorcia e grande velocità, si dimezza. Mi domando dove va tutto
quel fumo e se non si brucia la bocca e il palato con la brace così
vicina. Nuvole di fumo sempre azzurro gli escono dal naso e dalla bocca,
sembra una locomotiva che traina vagoni di treno. Il fumo ha un suo
particolare odore, tra il piacevole e il disgustoso. Non quali delle due
sensazioni scegliere, vorrei fumare anch'io e al contempo ho un forte
ripudio versa quella gestualità. Forse un giorno fumerò.
Allunga, mio padre, la mano destra e accende la radio, una luce tenue e
gialla accende quall'angolo di casa; l'occhio al centro dello schermo
radio, dove sono segnate tutte le frequenze si vitalizia e riflette di
luce propria.
I primi, sibili, rumori e suoni non si fanno attendere. Mia madre, mai
ferma, sparecchia la tavola di pentole piatti e bicchieri, non tutti i
bicchieri, quello di mio padre per usanza rimane sul tavolo nudo di
tovaglia, per un eventuale ultimo sorso di vino da bere ascoltando la
radio.
La radio viene sintonizzata su una frequenza non italiana, si sentono
chiaramente scandire, da una bella voce maschia queste due cose: "Qui
radio Praga sono le ore 8 e 30 della sera". "Qui radio Praga trasmettiamo
"la voce dei lavoratori"".
Immediatamente dopo arriva la musica che conosco bene e pur controllandomi
mi trasmette dei grandi brividi, è "L'INNO DEI LAVORATORI", che oramai
conosco a memoria.
Mia madre sempre più in silenzio continua ad accudire la stanza e la
cucina. A volte per giornate intere non sento la sua voce, non sono
preoccupato so che è così, è tanto dolce e anche un po' timida; poi parte
dal principio fermo che vi sono delle cose che bisogna assolutamente fare
e che vanno fatte senza perdersi in inutili chiacchiere. C'è una precisa
divisione dei compiti da rispettare: mio padre lavora fuori, lei, mia
madre, lavora in casa. Quindi quando c'è da fare c'è da fare.
Ascolto seppure un po' disattendo le notizie di radio Praga. Parla di
lotte di lavoratori in città lontane, dell'Italia del nord: Torino,
Milano. Una notizia particolare attira la mia attenzione e parla di una
zona del Veneto dove i contadini poveri, quelli senza terra, quindi
braccianti, che vendono le loro braccia, per poter campare, stanno
effettuando un durissimo sciopero al contrario. Non capisco bene cosa
significa "sciopero al contrario" per capire di più mi avvicino all'angolo
radio-poltrona di mio padre. Ma la voce di radio Praga cambia argomento e
annuncia un duro intervento alla Camera dei deputati in Roma dell'On.
Giuseppe Di Vittorio Segretario Generale della CGIL sulla povertà in
Italia, sulla condizione della classe operaia e dei contadini e braccianti
tra i più poveri tra i poveri.
Peccato, non sono riuscito a comprendere cosa significa fare uno sciopero
al contrario. Prendo il dizionario Giotto, ma trovo solo sciopero.
"Smettere di lavorare, lottare per qualcosa". Sciopero al contrario non è
menzionato. Resto con la mia ignoranza, e a dire il vero non ne faccio una
malattia. E' solo curiosità.
La testa comincia a mettermi dinnanzi un altro pensiero. Alle 9 di questa
sera, riesco a vedere Rodolfa che in Chiesa sta seguendo un corso serale
per insegnare catechismo. Non mi piace, molto questa cosa, ma non gliel'ho
detto, mi interessa molto di più il fatto che ci si può vedere, seppure
per pochi minuti, di sera, una volta alla settima per tutta la durata del
corso. Speriamo che duri a lungo!!!
Devo adesso convincere mia madre a farmi uscire; le nove si stanno
avvicinando velocemente e non voglio perdere neppure un minuto lontano da
Rodolfa. Radio Praga neppure la sento più. Non so cosa inventarmi per
uscire. L'unica è dire la verità; mamma queste cose le capisce, non mi
dirà di no. A passi lenti vado verso la cucina dove sta lavando i piatti e
tutto il resto. Faccio un respiro profondo e metto su la faccia della
domenica innocente e determinata. Senza respirare, tiro fuori un "mamma
vado incontro a Rodolfa che esce dal corso di catechismo. Non ti
preoccupare non ci metto molto".
"A quest'ora vuoi uscire e mi dici che Rodolfa alla sua età va ancora a
catechismo? Ouè bello a chi la vuoi dare a bere?"
Non so se sta scherzando o fa sul serio. Certo quel tono non è il suo è
troppo duro. Vado in panico e le nove avanzano inesorabilmente.
"Mamma non sto scherzando, Rodolfa non va a catechismo per fare la prima
comunione, non ti avrei mai raccontato una bugia che non sta ne in cielo
ne in terra. Fa un corso di catechismo per insegnarlo agli altri e finisce
alle 9. Visto che è tardi ed è già tanto buio l'accompagno a casa. Tutto
qui!, Ti prego fammi uscire mamma!!". "Ma guarda questo, è diventato tutto
rosso trema pure!! Dai non esagerare ho capito vai pure e mi raccomando
torna presto".
Avuto il permesso mi dirigo a capicollo verso la porta d'uscita. Scendo le
scale a precipizio, non c'è un secondo da perdere. La voce della radio mi
accompagna verso il portone d'uscita.
Ora il programma è cambiato, non più Radio Praga di casa mia ma un
programma serale di canzoni italiane con l'orchestra di Cinico Angelini.
Canzoni italiane contrapposte ad un altro programma radiofonico che
trasmette canzoni napoletane. L'annunciatrice comunica che la prossima
canzone sarà "Borgo Antico" cantata da Claudio Villa. Sono all'uscita,
sento ancora la voce del "reuccio" . "Ora nona suona suona". I rintocchi
dell'orologio collocato sul campanile segnano le 9: prima dell'ultimo
rintocco sarò alla porta d'uscita della chiesa.
Solo un
sogno?
Lentamente il sole si è inabissato, le ombre della sera coprono tutto,
alberi, case; le nuvole in cielo la fanno da padrone e sono nere e piene
di pioggia. Qualche goccia comincia a cadere, bagnando qua e là il
selciato.
Gli alberi d'arancio del viale si muovono con un sincronismo inaspettato,
il movimento è ora rotatorio ora inclinato, stendono tutt'intorno ombre
da paura: non c'è anima viva per tutta la strada.
Il silenzio copre tutto. Arriva ogni tanto alle mie orecchie il rumore
delle onde che si infrangono sugli scogli.
Una voce, una canzone esce da una finestra probabilmente lasciata aperta
per distrazione. Questa voce la conosco è Sergio Bruni, la "voce di
Napoli". Canta "ciel e Surrient ncopp a stu vend d'o mare, nu brigantino
ca fa servizio a Gaeta" ….
"Me sonn e nuttat d'argient" ….
E' proprio la canzone adatta per questa serata da lupi.
Non so dove andare. Ho solo voglia di andare, camminare, scaricare a
terra tutte le tensioni che ho dentro. Vorrei spaccare il mondo, ho una
rabbia repressa che non so come sfogare. E cammino, continuo a camminare
senza una meta, senza un obbiettivo preciso.
Il vento aumenta a vista d'occhio, gli alberi oramai si piegano sino
all'inverosimile, non mi spiego come fanno a ritornare nella posizione
originale per poi sotto la furia della tempesta ripiegarsi ancora.
Le ombre aumentano e corrono come impazzite; come da pazzi mi pare la
corsa della luna piena che ogni tanto fa capolino dalle nuvole nere.
Ormai piove a dirotto, sono bagnato sino alle ossa e le scarpe fanno
rumorosamente ciach ciach, ed è questo rumore l'unica mia compagnia.
Non sento più la voce di Sergio Bruni, il disco deve essere arrivato alla
fine oppure hanno chiuso le finestre visto che piove forte e a stravento.
Devo aver camminato molto, sono in discesa e vado verso il porto. Guardo
verso l'alto le insegne dei grandi alberghi e delle case, sono fredde e
viola, tra i grandi scroscii d'acqua formano strani giochi e sembrano
fantasmi. Un traghetto è in difficoltà, non pare intenzionato a
raggiungere le acque che non sono sicure del porto; cavalloni alti metri
si abbattono sull'unica banchina.
La sirena della capitaneria di porto suona a singhiozzo e sembra un anima
in pena; è straziante come l'urlo di una gatta in calore.
Questo suono annuncia l'impraticabilità del porto, il traghetto deve
trovare acque più sicure se ve ne sono. Penso che forse farà rotta su
Castellamare porto più grande e meglio attrezzato. Si deve ballare molto
a bordo del traghetto, chi sà i pendolari a bordo cosa pensano e come
stanno. Dove passeranno la nottata? Oramai zuppo d'acqua dalla testa ai
piedi sono arrivato al porto, le mareggiate sono forti e incazzate, una
mi raggiunge in pieno ma non noto nessuna differenza se non che quella
del mare è una acqua più pesante.
Ho il cuore in gola. Il battito è irregolare e precipitato. Mi sento
soffocare ma so che questo non accadrà, sono ben cosciente di poter
controllare tutto.
Un solo pensiero nella testa, un interrogativo: perché? perché?
Mi martella, sempre più forte: è il classico chiodo fisso.
Lo so ho sbagliato io, non dovevo reagire così per una cazzata. Ma anche
tu alla prima critica cosa fai ti alzi e te ne vai? "Non mi puoi trattare
così". "Non c'è ragione per una reazione così esagerata".
Sbatti la porta. Lasci vuoto e freddo dietro di te. Mai sono rimasto così
solo.
Non mi posso perdonare di non averti impedito di allontanarmi, non averti
rincorso chiedendoti umilmente scusa per poi abbracciarti e baciarti
teneramente tenendoti stretta a me e poi dopo magari chiarito l'equivoco
abbracciarti ancora e fare l'amore. Tu, io, come sempre noi.
Non ho fatto quello che dovevo, sono un vigliacco, uno stronzo. Ed ora?
Dove sei ora?
L'acqua continua a scendere di rinforzo, il vento aumenta, il traghetto
balla maledettamente come balla il cuore nel mio petto.
Sono angosciato, ho paura, tu non sei neanche vestita adeguatamente.
Dove sei! Come stai? Sto cercando sono solo, nessuno mi sente.
Il vento urla, la sirena urla, io urlo, il mare urla. Dove sei? Dove sei?
Un gatto nero corre veloce, cerca una casa, una sicurezza, una mano che
lo asciughi; i gatti non amano l'acqua e quello è un peluche senza
centrifuga.
Un'onda più alta delle altre mi colpisce in pieno, vengo spinto a terra,
vedo tanta acqua da riempire un otre, finalmente, mi dico, è venuta la
mia ora, volgo lo sguardo al cielo ma non vedo niente, sento solo acqua
da tutti i lati. E' questo morire?
Una voce mi chiama, la sento lontana, tenera e dolce, mi chiama per nome
e mi passa dolcemente una mano sulla fronte bagnata sì, ma di sudore. La
voce ora è più vicina, la distinguo, è sicura mi tranquillizza: "amore
mio sei qui, hai fatto un brutto sogno, è tutto passato: guarda fuori che
bel sole che c'è!" …..
La baita
Il sentiero che porta alla baita, diventata punto di appoggio della 3°
Brigata Garibaldi si fa sempre più rapido e stretto. Il bosco di abeti e
qualche pino sempre verde è fittissimo. Chi non conosce il pascolo alto
non sa dell'esistenza della baita con annessa stalla. L'alpeggio viene
ancora sfruttato da Marghè che arrivano in estate con le loro mucche
dalla bassa valle. A volte dicono arrivano quassù anche dalla provincia
granda, da Cuneo. Un ruscello a disegnare volute d'acqua, scorre
lentamente; l'acqua è fredda, da ghiacciaio, ed ha un colore verde
intenso. I Marghè, vicino alla baita hanno costruito, utilizzando un
tronco d'albero, scavato con l'accetta, un abbeveratoio con la cannella
che da acqua da bere e serve alla brigata per lavarsi loro e i panni che
portano addosso. La baita e la stalla sono stati trasformati alla
bisogna. Il gruppo di uomini comandati da Battista Bantia, molti di loro
ex soldati, sbandati dopo l'8 settembre 1943, hanno lavorato per rendere
agibile la struttura, pulendola alla meglio e attrezzandola per viverci,
cioè dormire e mangiare. Al centro della baita è stato ripristinato un
vecchio camino e funziona a pieno regime, bruciando tronchi di legna
recuperata per scaldare e cucinare. A turno si fanno guardie armate. Una
sentinella è posta in basso a 20 minuti di cammino, sacrificio necessario
e condiviso da tutti allo scopo di evitare brutte sorprese e
rastrellamenti tedeschi e delle camicie nere. Dall'angolo destro del
pianoro, verso là dove finisce la stalla, ad occhio nudo si possono
vedere le luci di Susa.Di giorno con un po' di vento arrivano quassù i
rintocchi del campanile del duomo.
Bantia quel giorno chiama a rapporto i suoi uomini. Deve comunicare
informazioni ricevute da una staffetta inviata direttamente dal C.L.N. di
Torino. Le notizie non sono proprio buone. D'altra parte si dice tra se
Bantia, "alla macchia e in questa guerra notizie buone chissà quando ci
saranno"! Tutti gli uomini disponibili saranno una ventina, lasciando gli
altri ai compiti precedentemente assegnati, sono a rapporto. Senza mezzi
termini Bantia arriva al sodo immediatamente " Il CLN di Torino ci
informa che una parte consistente dell'esercito tedesco di stanza a
Torino salirà la Valle Susa per tentare un passaggio in Svizzera e
tornare in Germania per rafforzare il fronte interno contro l'avanzata
dell'armata Rossa. Tutte le Brigate Partigiane presenti in Valle Susa e
Chisone hanno l'ordine di bloccare con ogni mezzo, ripeto con ogni mezzo
questo trasferimento.E' inutile che io spiego a voi quello che questo
significa. Non ci mancherà di certo l'orgoglio e il coraggio. Ma non
dobbiamo commettere errori. Proveremo, anche se è complicato e difficile
a coordinarci con altre formazioni partigiane operanti in zona, sappiamo
che chi si troverà più vicino al nemico dovrà agire all'istante senza
attendere alcunché." Bantia disse tutto questo con uno sforzo immane,
sapeva di essere soprattutto un uomo d'azione, parlare non era il suo
forte, ma in una occasione straordinaria come quella scopriva le sue non
indifferenti doti oratorie. Amava ripetersi "qui si vede l'operaio
metalmeccanico specializzato". Cacciò immediatamente questi sciocchi e
narcisisti pensieri dalla testa per tornare al rapporto con i sui uomini.
Momenti di distrazione come questi erano imperdonabili. Riprese il filo
del discorso, affermando di seguito che "il tempo a disposizione che
abbiamo non è molto il passaggio dei tedeschi che viaggeranno su camion e
treni, scortati dai repubblichini di Salò, è previsto per i prossimi tre
o quattro giorni. In questo lasso di tempo dobbiamo fare 3 cose secondo
me: studiare bene il terreno dell'azione facendo leva sulla sorpresa;
guardare bene a ferrovia e la strada provinciale, studiare i ponti sulla
Dora Riparia; armarci come si deve e recuperare armi ad effetto, bombe a
mano, candelotti di dinamite, qualche arma pesante; e per ultimo avere
sempre una via di fuga aperta e sicura per limitare, con obbiettivo zero,
le eventuali perdite".
L'attesa
Ave Maria piena di grazia………
Prega per noi peccatori adesso e nell'ora della nostra morte e così sia.
Padre nostro che sei nei cieli ……….
Rimetti a noi i nostri debiti come li rimettiamo ai nostri debitori ………..
La voce delle donne, avanti negli anni, echeggiano sotto la volta della
grande chiesa gotica che domina la città. A volte cerco rifugio nella pace
che questo luogo dona. L'odore dell'incenso, il silenzio e la preghiera
sono ristoratrici. I rumori restano fuori, il vocio delle genti, il rumore
meccanico del traffico restano lontani.
Qui, tra l'odore dell'incenso e il raccoglimento aiutano a riflettere e ad
aspettare. Non so se tutti quelli che vanno in chiesa provano quello che
io provo ma mi sento più libero e leggero.
Dalle grandi vetrate gotiche, che raccontano la vita di Gesù a sinistra e
quella di Santa Chiara a destra vedo il sole tramontare.
Un sole già di fine estate, siamo a settembre, che ci lascia prima, e lo
immagino da qui, morire lentamente a mare, lasciando dolcemente gli ultimi
raggi, soffermarsi sulle case e sul castello adagiato sul mare.
Il sole che tramonta e le preghiere che s' involano nella cattedrale sono
un fatto difficile da cancellare.
Aspetto che arrivi Rodolfa. Abbiamo appuntamento qui come ogni giorno,
usciti da scuola, oppure appena chiusi i libri, lasciando casa, per la
nostra ora di libertà. E' la nostra ora di aria libera.
Questo è più vero per Rodolfa che per me. La madre di Rodolfa come tutte
le madri delle ragazze, è particolarmente apprensiva e limitante. "Ma
mamma esco". La mamma chiede "Dove vai"? "lo sai vado in chiesa! Mi devo
trovare con le mie amiche e partecipare al rosario. Sai quanto don Antonio
ci tiene". "Si tu vai in chiesa, non me la conti giusta"! "Chissà con chi
ti vedi?".
"Mamma ti prego, ho 16 anni non sono più una bambina sono al Ginnasio,
vado in chiesa per il rosario con le mie amiche"! " Va bè Rodo, torna
presto! Se no chi lo sente tuo padre se non ti trova a casa". "Torno
appena finito il rosario e prima che torni papà-sta tranquilla mamma".
Mi distraggo non seguo più le preghiere e l'avanzare delle ombre man mano
che il sole muore a mare, guardo verso il portale centrale della grande
chiesa sovrastato da un enorme organo a canne. Non vedo niente che avanza
dal fondo della chiesa.
L'appuntamento è per le 5 e sono già le 5 e 5 minuti.
Mentre le voci delle preganti continuano a salire verso l'alto del
soffitto della chiesa, come per magia inizia a suonare l'organo.
All'inizio i suoni si diffondono dolcemente; l'organista muove le mani
sulla tastiera sfiorandola appena. Accarezza lievemente i tasti. Man mano
tra un accordo e l'altro l'intensità dei suoni aumenta. La partitura
sacra, mi avvolge a tal punto che non mi accorgo e sono atterito, che
Rodolfa è seduta accanto a me e mi guarda con occhi azzurri e lucenti.
"Scusami non ti ho sentito. Sai l'organo" " Si l'organo, chi sa a chi
pensavi ?" " Ma no, credimi mi sono appena girato per vedere se arrivavi,
ma la musica mi ha rapito e distratto."
"Non peggiorare le cose, la musica ti rapisce e ti scordi di me?" "Bel
tipo che sei!"
"Ma dai Rodò credimi, scusami perdonami - Aspettavo te e solo te!"
La dolcezza e l'amore di Rodolfa sono unici. Mi guarda con gli occhi più
belli che mai, un gran sorriso gli echeggia sul viso, mettendo in mostra
lo smalto bianchissimo dei denti. Ora sì rapito e incredulo la guardo, mi
perdo in quegli occhi e quel sorriso mentre la sento bisbigliare" Mi vuoi
sempre bene?." L'emozione è tanta che ho paura di mettermi a piangere;
oddio trattengo a forza due lacrime che senza sentire ragioni vogliono
uscire e segnarmi il viso. Mi urlo dentro, non deve avvenire sarebbe
un'imperdonabile debolezza, una tempesta di sentimenti mi squarcia l'anima
e il corpo, trattengo, lotto, trattengo ancora. Poi mi decido:" Rodolfa,
amore mio, ti amo!" Lo dico in un sol fiato con lo strozzo in gola
accostandomi a lei scivolando sullo scranno. Vorrei fare mille cose ma non
faccio niente tranne che stringergli la mano nella mia nascondendo il mio
tremore. Le ombre oramai hanno abbracciato tutte e tre le navate della
grande chiesa gotica, i ceri oscillando danno un po' di luce e fanno
muovere le ombre, le voci delle donne che pregano recitando il rosario si
sono attenuate. Il tempo passa velocemente e con Rodolfa non ci siamo
detti ancora molto. Il silenzio è amico della tempesta. Oggi dovevamo
parlare, raccontarci di noi, e forse dopo scambiarci una carezza e un
bacio. Ma in chiesa no! In chiesa non si può guardiamo l'altare centrale
rapiti dal silenzio e dalle ombre. L'organo diffonde la musica sacra di
Bach, le note si adagiano sui ceri che coronano le nicchie con i santi.
Seguito dallo struscio della veste lunga con un passo leggero si avvicina
al nostro scranno Don Antonio priore della parrocchia " ei voi due sempre
insieme"! " Sia lodato Gesù Cristo don Antonio diciamo insieme Rodolfa ed
io"! " Sempre sia lodato" ". Ci risponde. " Lo sapete bene, che mi fa
piacere vedervi qui". " Va tutto bene ? anche a casa? Mi raccomando
vogliatevi bene e non fate tardi. Onorate sempre il Padre e la Madre, non
fateli mai arrabbiare. L'armonia è il sale della vita e tiene insieme le
famiglia e la comunità." Con queste ultime parole Don Antonio si allontana
da noi dirigendosi verso la sacrestia, accompagnato dallo struscio della
sua veste lunga e nera, sempre con passo leggero e spirituale.
L'ora avanza, usciamo dalla chiesa, la strada è poco illuminata, i negozi
di frutta e verdura cominciano a ritirare la loro mercanzia tenuta esposta
per tutto il giorno.
La panetteria - salumeria ha già tirato giù una delle due serrande, alcuni
clienti sono ancora dentro per comprare il necessario per la cena.
Camminiamo mano nella mano, sentiamo una energia positiva che
reciprocamente ci trasmettiamo.
Rallentiamo il passo scambiandoci affettuosi e casti baci d'amore.
L'età, l'amore, l'attrazione fisica vorrebbe altro, ma non si può.
Una grande luna splende nel cielo, dal mare arrivano grandi nuvoloni neri,
il tempo qui da noi cambia in fretta, colpa delle correnti del golfo.
Non ci lasceremmo mai, ma si è fatto tardi, bisogna andare a casa.
Onorare il padre e la madre ha detto Don Antonio. E poi quella cosa
sull'armonia che fa stare bene tutti.
E noi che adesso ci lasciamo e stiamo male quale armonia esiste per noi?
Questo è l'interrogativo della notte?
"A domani Rodò", dico sfiorandogli le labbra dolcissime. "Ciao," mi
sussurra sotto voce e adesso sia la sua che la mia mano tremano".
Rodolfa entra nel portone volgendomi ancora uno sguardo, poi sparisce.
Resto solo, il buio è totale. La luna piena a gran velocità rincorre le
nuvole nere; prime gocce di pioggia bagnano i basoli annunciando
l'autunno.
La vita nuova
L'afa dei primi giorni di Luglio attanagliava Torino.
Le case avevano tutte le finestre aperte allo scopo di provocare quel
tanto di brezza per rinfrescare le lenzuola del letto e le persone che
tentavano di dormire. Queste notti torinesi sono pesanti in particolare
per tutti quelli che avevano ripreso a lavorare nella normalità o quasi e
si avvicendavano nei turni di lavoro. Il primo turno alla FIAT e nella
stragrande maggioranza dell'industria cominciava alle 6 del mattino con
bollatura della cartolina.
Di solito, con i primi tram o con i camion messi a disposizione
dall'esercito americano per arrivare nei luoghi di lavoro, almeno 20
minuti prima dell'inizio del turno bisognava alzarsi alle 4,30 e in quelle
notti afose si dormiva veramente poco.
Bastia abitava in Barriera di Milano, in una casa con ringhiera, il cesso
sul ballatoio in comune, ma aveva l'acqua corrente in casa. Due stanze e
un cucinino abitabile. Arredato alla bello e meglio con quello che si era
salvato dalla guerra. La moglie, Maria Alliodo molto graziosa e gracile,
capelli castano chiaro, con occhi verdi molto intensi, espressione
determinata e forte faceva la sartina in casa e aiutava il gruppo della
costituente Unione Donne Italiane sezione di Torino.
Era quasi l'alba quando Bastia si svegliò di soprassalto più sudato del
dovuto. Il fiato grosso e gli occhi spalancati. L'urlo aveva lacerato la
stanza svegliando malamente Maria che prima di capire cosa stava
succedendo ci mise non poco tempo. Seduti entrambi in mezzo al letto si
guardarono con espressione preoccupata. Ci fu un lungo attimo di silenzio.
Bantia continuava a respirare con affanno, grosse gocce di sudore freddo
gli imperlavano la fronte e il viso; la canottiera si poteva strizzare
tanto era bagnata. Fu Maria che cominciò a parlare. Lo fece con molta
lentezza e tanta dolcezza. Bantia è stato nuovamente quel brutto sogno?
Adesso calmati, prova a respirare lentamente, scendo e vado a prenderti un
bicchiere d'acqua fresca. L'acqua qui in barriera è buona lo sai. Dicono
che arriva dalla Pian della Mussa. Continuava a parlare anche se era
consapevole di dire qualche cavolata. L'obbiettivo che aveva era del tutto
chiaro, distrarre i pensieri di Bantia, in quanto era l'unico vero rimedio
per farlo riprendere, per rasserenarlo.
Tornò verso il letto con un bicchiere colmo d'acqua che per effetto della
calura persistente sembrava trasudasse. Si accostò con fare dolce, quasi
materno verso il letto, e porse al suo uomo il bicchiere tenendogli la
mano e sollecitandolo a portarsi il bicchiere alla bocca. Bantia bevve
lentamente, aveva qualche timore che l'acqua potesse non essere
trangugiata; un sorso piccolo per volta sempre accudito amorevolmente da
Maria. L'acqua fece l'effetto desiderato, insieme alla presenza
tranquillizzante di Maria. Il respiro di Bantia tornò normale, il colorito
del viso riprese tonalità più rosee rispetto al pallore che si era
intravisto qualche attimo prima. Bantia con occhi amorevoli guardava
adesso Maria. Ci fu ancora silenzio fra i due. Poi Battista Bantia prese
delicatamente, tra le sue grandi mani, mani di partigiano combattente,
comandante della Brigata Garibaldi operante in Val di Susa e Chisone, le
piccole delicate e diafane mani di Mari. Quel contatto, trasmise sicurezza
e amore. I due corpi si cercarono con tenerezza ed anche con naturalezza.
Si amavano da molti anni anche se si erano da poco messi a vivere insieme
senza essere sposati ne in chiesa, ne con il rito civile. L'abbraccio fu
intenso e anche commovente, ogni volta Maria scopriva in quell'uomo
dall'apparente durezza, tanta dolcezza e tanto amore. In quei momenti
Maria si sentiva felice e timida, non aveva il coraggio di guardare Bantia
negli occhi, si preoccupava che nell'infinita dolcezza dell'uomo potesse
chi sà scoprire qualche lacrima. Una simile eventuale scoperta, pensava,
avrebbe ridotto l'importanza e la virilità del comandante Bantia.
Il tempo scorreva lento, un tempo afoso e lento gli alberi del viale erano
pietrificati, non si muoveva foglia; un merlo cominciò a fischiettare.
Molti passeri in coro fecero anch'essi sentire il loro cinguettio. Erano
tutti segnali che annunciavano la prima estate libera, Maria e Battista lo
capivano bene e la gustavano a tutto cuore. La guerra prima e la guerra di
liberazione poi aveva interrotto qualsiasi legame con la natura. Il
ritorno alla libertà, seppure non ancora consolidato, significava anche
riscoprire la bellezza di vivente un canto d'uccello in un'alba limpida a
Torino.
Si strinsero ancora di più, entrambi con gli stessi pensieri e fecero
l'amore, intensamente con grande trasporto e delicatezza. Si amavano,
avevano bisogno l'uno dell'altro e lo dimostravano sempre con semplicità
in ogni momento."Ora mi devo sbrigare, fece con voce sostenuta Bantia,
dando ancora un bacio caldo e appassionato, sulle labbra di Maria.
Maria non lo rifiutò, anzi con quella malizia tutta femminile, con addosso
solo la camicia leggerissima e trasparente, il seno ancora caldo e turgido
premuto appositamente sul petto di Bantia, premette le sue labbra su
quelle del suo uomo. Le bocche si strinsero al desiderio ancora forte,
dell'una e dell'altro. "Maria ti prego, devo andare," sussurrò debolmente
Bantia. "Adesso lasciami lavare, se no a Mirafiori arrivo domani. Lo sai
in ufficio ho molto da fare. Ho la riunione del Comitato di gestione sul
reintegro in Fiat dei Compagni partigiani. La Fiat resiste. Devo essere
forte e deciso. Teniamoci qualche cartuccia per stasera. Scusami Maria ma
devo proprio andare".
Seppure con malavoglia, ma sempre con dolcezza e con il verde degli occhi
intrinsi di pagliuzze d'oro, Maria mollò la presa. Diede ancora un bacio a
Bantia ripetendo con voce canzonatoria
" Vabbè teniamoci qualche cartuccia per questa sera". In quello stesso
momento un lampo si fa strada nella mente di Bantia, una sferzata
inaspettata che lo fa rabbrividire in quanto assolutamente inaspettata.
Una voce lo assale, chiedendogli, "Bantia non godere troppo di questa
nuova e tranquilla realtà con la tua Maria, a casa tua a Torino, con il
lavoro alla FIAT; potresti dimenticare tutti coloro che hanno sacrificato
la vita per permettere tutto questo e tu non devi dimenticare". Il sogno,
anche da sveglio l'incubo ritorna.
Un momento di smarrimento totale avvolge Bantia e pur, senza nulla far
capire a Maria, avviandosi al lavoro comincia a ricordare di quando era in
montagna a combattere per la pace e la libertà.
Il primo appuntamento
Rosetta si convinse ad accettare l'invito di Giovannino Guerra ad andare
alla festa del "fronte della gioventù" che si svolgeva alla sera nel Parco
Michelotti lungo il Po.
Per poter partecipare alla festa " della nostra gioventù " come sosteneva
il commissario Capo del C.V.L. Battista BANTIA Rosetta, CHIESE DI POTER
USCIRE alle 17, un'ora prima. Voleva farsi carina. Voleva lavarsi i
capelli asciugarli e stirarsi il vestitino di cotone leggero confezionato
dalla mamma, sarta provetta del quartiere. Il permesso gli fu concesso;
alle 17 e pochi minuti consegno il foglio al guardiano della porta
centrale di Mirafiori. Non vedeva l'ora di arrivare a casa. Era in preda
ad una piacevole agitazione. Il cuore gli batteva a mille. Lo sentiva
battere così forte che si preoccupava che potessero sentirlo anche gli
altri. Gli occhi di Rosetta brillavano più del solito. I pomelli della
faccia erano di un vivace rosso fuoco. Il viaggio in tram fu molto lento
ma finalmente arrivò. Salì le scale di casa in fretta. La madre aveva già
preparato l'acqua calda per il bagno totale. Al centro della stanza, che
serviva anche da cucina, faceva bella mostra di se, una tinozza colma
d'acqua calda.
Rosetta un po' si vergognava di quella condizione; l'abitazione era senza
servizi. Il cesso era sul ballatoio in un angolo della ringhiera e in
comune. Ma poi pensando, si riteneva fortunata. Altre persone stavano
peggio. Molto peggio. I disastri dei bombardamenti su Torino si vedevano,
si toccavano con mano. Mentre si spogliava per immergersi nella tinozza,
affinché l'acqua non diventasse troppo tiepida, pensò che era meglio non
lamentarsi. " Mamma comincia a lavorare e a cucire qualche vestito, io un
posto a Mirafiori c'è l'ho. Altri invece non hanno lavoro e non hanno
casa. "E allora Rosetta"; "basta con la malinconia e la tristezza".
Stasera si balla alla festa della gioventù. Riacquistò sicurezza in se e
nell'avvenire. La guerra era finita. Torino è libera come l'Italia.
L'avvenire è dei giovani. L'avvenire è di Rosetta.
La madre l'aiutò a lavarsi. Si commosse nel vedere la figlia così
cresciuta e bella. Un corpo ben fatto, non molto alta, ma neppure bassa;
il seno di misura giusta, sodo. I capezzoli rossi e turgidi. Il vitino
stretto anticipava le curve del sedere. Di sottecchi la madre guardò il
ventre piatto e liscio e insaponando la schiena della figlia fissò lo
sguardo sul pube, perfetto a suo dire. " Anch'io a vent'anni ero bella
come te", pensò fra sé, senza comunicarlo alla figlia.
Il bagno caldo, seppure in quelle condizioni, calmò Rosetta, le diede
sollievo e la rese più sicura. Si asciugò ben bene. Un ferro caldo venne
utile per stirare i e asciugare i capelli. Finita la toilette Rosetta si
mirò allo specchio dell'armadio di noce nazionale, 5 ante situate nella
camera da letto della mamma. Si meravigliò essa stessa del risultato
ottenuto, poteva dirsi bella, cosa che fece esibendo uno smagliante
sorriso. Un ultimo tocco, qualche goccia di acqua di colonia "gallet" , un
bacio frettoloso alla mamma e poi via di filato per le scale.
" Mamma non ti preoccupare - non stare sveglia ad aspettarmi, non faccio
tardi. Sono alla festa della gioventù. Omise il fronte della gioventù.
Troppo complicato per la mamma e poi non c'era tempo per spiegare.
Il sole calava dolcemente dietro i monti della Valle di Lanzo. L'aria
primaverile era frizzante non faceva più tanto caldo. Gli ultimi raggi si
inoltravano tra gli alberi, disegnando sulle case, toccate dalla guerra,
figure strambe e armoniose al tempo stesso.
Il cielo rimaneva fortemente azzurro. Sui grandi viali della città,
cominciavano a vedersi i primi tram carichi di persone che tornavano a
casa. Qualche automobile privata già circolava. Camion militari e jeep
americane o del CLN (Comitato Liberazione Nazionale) costituivano il
traffico maggiore. Le panetterie erano aperte e vendevano il primo pane
bianco senza tessera, dopo molti anni di rinuncia. La città era ancora
ferita, ma le ferite si rimarginano. Non sanguinare più è già una buona
notizia. Un primo concreto risultato della pace. Giovannino Guerra con la
macchina FIAT 1100 in uso per il C.V.L. (Corpo volontario liberazione).
Mirafiori era già in attesa posteggiato sul viale Vigevano. Stava seduto
al volante con i due finestrini aperti, fumava una "torcia" confezionata a
mano : cartina e trinciato forte, una fortuna averli. Rosetta sbucò dal
portone guardandosi intorno; nel vederla così bella a Giovannino gli andò
storto una boccata di fumo si strozzò quasi; tossì fortemente per
recuperare il respiro, la faccia divenne un carboncino acceso, rosso da
far paura.
Rosetta si avvicinava alla macchina mentre Giovannino scendeva. Nel
vederlo in quello stato chiese : "ti senti bene Giovanni?" "Te lo dico io
di non fumare quelle schifezze di torce che ti fai ad solo."
La portinaia dello stabile donna grezza e impicciona, piccola d'altezza ma
larga di fianchi fece capolino sul portone abbandonando la guardiola e per
non perdere il vizio si mise a spiare Rosetta, non si mosse dal portone se
non quando al macchina della FIAT, sbuffando, partì dolcemente. |