Monocuore
Precipitavano a più non posso
gli ultimi scampoli d'allegria,
come trentini tra rovine fumanti
colpi di mano, buche e ipocondria.
Rompemmo gli argini alla corrente
senza badare alla morfologia
di quel terreno fragile e pendente;
nei nostri ingorghi scivolammo via.
Ci ritrovammo dalle stelle alle stalle
tra paglia, polli e porci con le ali,
cercando l'ago della nostra bilancia
che ci indicasse chiaro il nostro domani.
Ma i nostri cuori come monolocali,
non sopportando più l'affollamento
di sentimenti sedentari e costretti
alzarono il prezzo dell'appartamento.
Non ci restò che continuare a scappare
seguendo i vortici della corrente,
che trascinava in mare a ritmo costante
le stanche membra di tant'altra gente.
Piloti ciechi di un vascello fantasma
a secco tra le secche della monotonia,
ammutinati dentro giorni a memoria
scorgemmo terra, ma era una bugia.
Cambiammo rotta, ma la tua era diversa
io me che accorsi che eri ormai già via;
adesso vivo tra marosi e monsoni
e mi son dato alla pirateria.
La bella Stagione
Le foglie sono di nuovo verdi
ed il giorno s’attarda a dismisura
sbiadendo il lembo della notte
mai così lontana dai nostri pensieri;
l'aria trabocca di polline e speranze
il suo profumo è quanto di più dolce
e di più inebriante ci è concesso di ricordare.
C’è un no so che di autolesionismo
nel pensare che tutto ciò presto finirà,
come il sole di dicembre
che non fai in tempo ad alzare lo sguardo
ed è già al di là del limitare
di questa cella a forma di città.
Il salto
Alla fine anche lui saltò, quell’ultima staccionata
La saltò che l’aria sapeva ancora di notte
Da solo, senza nessuno che potesse vederlo mentre atterrava di là
Erano giorni, ultimamente, che trascorreva ore intere ad osservarla
Diceva che per saltarla , occorreva preparazione, concentrazione, Coraggio
“Non si salta una staccionata del genere dall’oggi al domani!” – si sgolava a
dire
“Non basta una semplice rincorsa; non puoi saltarla canticchiando, né pensando
ad altro”
Forse era proprio per questo, che non smetteva più di fissarla. Stava studiando
il modo migliore per saltarla, alla ricerca di quello lo facesse sentire più
sicuro. Forse voleva evitare ogni rischio, di ricadere male, una volta di là.
Avrei voluto esserci anche io, al momento del salto. Me lo doveva. Me lo aveva
promesso.
Credo, invece, che avesse promesso a se stesso di farlo da solo. Senza nessuno.
Sicuramente non con me
E pensare che ero già sveglio, quella fredda mattina, appena arrossata da
un’aurora che non ne voleva sapere di sciogliersi nel cielo infinito di
dicembre.
Però me lo immagino, il salto. Deve essere stato un salto iperbolico,
sproporzionato, traboccante di acrobazie, esagerato come lui.
Avrebbero applaudito a scorticamani gli spettatori, se solo li avesse invitati!
“Guarda che rincorsa!” “che passi, che falcate!” “e che slancio..! “Ooooohhhh!”
“Bravo!!!” “bis!!”
Già il Bis! Fosse possibile! Volesse il cielo!
Vorrebbe dire che il cielo in persona gli avrebbe staccato il biglietto di
ritorno, per un nuovo viaggio verso una nuova staccionata
So che prima o poi anche io incontrerò il mio ultimo steccato.
Non temere. Sarà un salto degno di te. E senza nessuna paura di atterrare chissà
dove.
So che ci sarai tu, dall’altra parte, come sempre, ad aspettarmi.
Il pallone nel cielo
Di stelle e di fumo
arricciamo i nostri pensieri
con lo sguardo perso nel vetro
mentre fuori tutto scorre
e non ne abbiamo più
È quella corsa di bambino
che hai perso nel tempo
dimenticando i tramonti
rossi di vita, che si aprivano
lontano, abbaglianti di malinconia
Una vita futura, già perduta
oltre quel tratto di orizzonte
che non avresti raggiunto mai
Le grida del migliore amico
accerchiato dai bambini
si mescolavano a quelle di tua madre
dalla finestra a squarciagola
come se il cortile fosse una prateria
Il pallone calciato in alto
nell’azzurro del cielo
come satellite perenne
attorno all’universo dei sogni impossibili
le mani tese verso di lui,
folla di cuori lanciati
nel tempo che verrà
e che dividerà.
Il mio pallone è ancora lì
sospeso nell’aria
e sempre in attesa
di non cadere mai giù!
Portami a casa.
Questa notte mi ha stancato con i suoi giri di valzer che non mi divertono più
Portami a casa, anche se la strada so dov'è.
Adesso si! Non come quando guidavi sempre tu, fino al viale e poi dentro il
garage, dove mi risvegliavo a giorno ormai consumato
Una sbronza prima o poi ti ucciderà! Mi urlavi in faccia mentre vomitavo sul
catrame davanti al bar. È strano come nemmeno rimettendo l'anima si riesce a
rimettere i propri peccati.
Adesso però portami a casa, e guida ancora tu, per l'ultima volta!
Una promessa è una promessa. Anche se di promesse ho tappezzato le sudice pareti
di questa mia vita da buttare giù, come l'ennesimo gin.
L'amore è andato. L'ho salutato presto, troppo. Ancora acerbo, troppo gracile,
per le mille lune che porto in me.
Un altro amore, forse, mi aspetta all'angolo della via, giù in fondo, dove un
cartello saluta l'ospite che lascia questa fogna di città.
Dovevo scappare con lei, quel giorno d'estate. E affogarmi in un mare di grano,
seppellirci l'anima sotto due metri di terra e concime. E non tornare più su!
Il mare! Dicono sia una botta al cuore, vederlo d'inverno. Ha il suono del cuore
quando batte a cento all'ora, ha il colore del cielo quando ti parla da lassù
Portami a casa, questa notte. Sarà un viaggio chiaro, finalmente quieto. Dentro
una notte che non ho conosciuto mai, così azzurra e distesa.
Portami a casa.
E svegliami presto, domattina
Il disertore
Vivo in clandestinità.
Sento il fiato sul collo
e quasi lo imploro
in questa bonaccia d’agosto
Volti di maschera,
attorno ed ovunque,
si incrinano già alla sera.
Pane e cipolle ancora per un po’
ed acqua lucida
di fonte senza nome.
Non ho fretta di tornare
Il germoglio
Non ho pazienza
perché l’attesa
toglie il fiato
e il rantolo di un fiore
che muore,
lentamente,
grida vendetta.
Recido il germoglio
prima che l’oscena gramigna
faccia scempio
della sua innocente fragilità
L’amore nato perdente
è sublime
per quel lampo sfolgorante
d’infinità brevità
L’appuntamento
Scarto caramelle
come se piovesse
e dolciastri pensieri
s’accavallano
mentre assaporo
l’ennesimo bonbon
Nell’attesa del tuo profilo
oltre la vetrina di questo caffè
capisco come è amara
la vita
senza di te.
Riga dopo riga
Non ho risposto alle tue lettere
Osservo spesso
quelle buste ancora chiuse
sopra la mia scrivania
così,
una sopra all’altra.
Mi viene da ridere
- perché non so piangere -
all’idea di quanto inchiostro sprecato;
quella tua mano sottile, esausta.
Riga dopo riga
la mia calligrafia,
sfibrata,
si deturpa.
Senza difetti, all’avvio;
quasi illeggibile,
verso la conclusione
Come il mio amore
stanco e consumato
che non sa nemmeno più leggere
Rime per un'Apocalisse
Vortici in tempesta
da far alzar la testa
nuvoli in picchiata
tra alcioni in mal parata
fiamme all’orizzonte
verticali di lontano
ho due lire per Caronte
come massi nella mano
Musa del mio affanno
cantami se puoi
o fammi il controcanto:
son doveri tuoi
Guarda questo cielo
che si incrina ad Occidente:
la volta è ormai alla svolta
siamo Atlanti a vita corta
saccheggiati ed ingannati
prima dopo eternamente,
depennati e condannati
rispediti al gran mittente
sorpresi e già trasporti
nei nostri rivotorti,
languenti in labirinti
tra Minotauri estinti,
e dilania il bianco velo
la metereomachia
[delle correnti ascese,
scontrose in parallelo
meridiane a nostre spese
Il già detto è ora già fatto
in un’ora o poco attorno
e comunque è di contorno
il commento all’antefatto
Dall’angolo del cerchio l’Acquario a catinelle
ci si rovescia addosso, sciacquando soli e le stelle
la giara vuota appende
e al buio si distende.
Il sapore del sorriso
Annuso ancora il tuo sorriso
e l’eco dei tuoi capelli
avvolge senza fine le distanze
tra me e te
Capelli troppo lunghi
perché potessi accorgermi
che finivano lontano da qui
Mi alleno a stringere il mare:
devo essere pronto
casomai ripassassi di qua
Inquietudine
Mi sorprendo,
in questo mattino
d’alba ancora acerba,
sperduto.
Vertigini di vita
di cui non oso il limitare.
Nessundove
Dove sono?
L’eco
delirante
del mio affanno
mi scopre in nessun luogo
Il tuo nome
Ho urlato il tuo nome
a chiunque, nella via.
Mi passavano accanto,
come si costeggia
un muro muto e scalcinato
Prodigio
Di schianto,
come si spezza una vita
come si uccide un amore
come si infrange il cielo.
Di schianto,
nel fondo di un cammino
d’ombre stracolmo,
improvvisa,
una luce!
Ad ogni tramonto
Nel canto della notte
rivivo la tua voce
che mi chiama
da luoghi lontani
bagnati d’aurora,
bianca come nevi inestinguibili
sul monte più alto adagiate;
lucenti lavagne
dove scrivere il tuo nome
tra fiori senza tempo
come il mio amore,
che sboccia
ad ogni tramonto
sulle tue labbra di pesca
Il perdut'amore
L’astio del sorriso
aggiunge legna al fuoco
dei tuoi paradossi
e non si dice “t’amo”
sfogliando un giornale
o contando chicchi di caffè
né si tira dritto
se hai promesso
di fermati un po’ qui
E’ un cielo appeso per la coda
quello che ci traballa davanti
e tu che t’illudi di falo precipitare
quando voglia ne avrai
Saranno solo carcasse di nuvole
e macerie d’azzurro scolpite
a dividere i nostri passi spaiati
e mirati agli opposti
Tutto è già stato
ed il presente
senza età
diventa infinito
"adesso"
è come sussurrare
"mai"
e nel senzatempo
rincorro un divenire
perfettamente immobile
A lunghi passi d'estate
si affretta il mio cammino
verso orizzonti promessi
L'illusione
che si trattengono
oltre il suo ritardo
E' una ciurma di vigliacchi
che si affretta
al far del giorno
In un muto dondolio
d'inutili pensieri
l'inespressivo vivere
di chi dimentica
in un lampo
il sogno ancora caldo
appeso al letto
L'esecuzione
"Mi sono ucciso
cento volte,
disperando il mio imperfetto.
Il cappio è sempre pronto,
per la prossima esecuzione.
Accanto
appunti di vita
sempre più impiastricciati
per ricordarmi
ogni volta
chi nella vita fossi"
Io
"Ho inteso
il linguaggio delle stelle
la prima volta
che sono stato Io"
Di notte
Abbiamo contato le stelle
quella notte,
ci siamo inzuppati gli occhi
di notte e comete :
stridevano nel cielo
come gessetti su lavagne
a anche tu
come me
ti sei tappato le orecchie
per paura di dimenticarne
il suono siderale
E abbiamo contato i nostri passi
lungo il profilo lieve della collina
che baciava quel lembo di blu
e sul fango delle nostre lacrime
scivolavamo ancora più giù
sul crinale, tremolante
di un sogno
Finiremo ancora una volta
accovacciati nel silenzio
di un’alba sfacciata
che dimentica troppo presto
il sacrificio d’astri e pianeti
Il giorno dopo
Sono ancora lì,
dove mi hai lasciato.
Nemmeno il pensiero
s’è mosso
e l’ombra che si allunga
disperata
oltre la mia schiena
traccia profili di dolore
lungo i quali sono atteso
Samuele
Ti guardo, mentre corri, impazzito di gioia, nel verde di questo prato che ti
sembrerà infinito.
C’è aria di limoni attorno a te, quando sfrecci a cento all’ora e spargi colori
a chi ti sta accanto.
C’è vento, nei tuoi capelli, che soffia armonie di terre lontane e bisbiglia
parole di nuvole perse nel loro dirotto vagabondare
Ti guardo, e mi scopro incapace di lasciarti, un giorno, la mano.
Immagino la tua vita futura, uomo solo in mezzo ad una vita che ho imparato a
conoscere nella sua inumana indifferenza, una vita che ti ruba il tempo, che
frantuma gran parte dei tuoi sogni prima ancora che tu abbai il modo di
abbozzarne i profili.
Dal giorno che ti ho conosciuto, sfoglio veloce pagine di giornali che gridano
orrori e spengo una televisione che ha dimenticato che bisognerebbe vivere anche
di amore e di speranza
Non lo sono, non lo sono mai stato, eppure - lo vedi - divento pietosamente
vulnerabile e retorico, se ti penso o se mi abbandono nel guardare le tue lunghe
sopracciglia quando riposi la notte, non lontano da me.
Serro le mani ed ingoio l’ennesimo boccone eppure mi trattengo dal toglierti la
possibilità di farcela da solo e ti racconto che la vita è bella e va vissuto
con coraggio, fino in fondo, e che forse in certi giorni bastardo è meglio che
buono, che a volte l’ egoismo è preferibile alla sensibilità e che voltarsi
indietro spesso non conviene.
Però…a volte, in certi giorni, spesso. Poi, c’e dell’altro! Non dimenticarlo!
Forse - senza di te - non avrei offerto alloggio a così tante paure.
Forse - senza di te - sarei un altro uomo, non so se peggiore, di certo più
vuoto e solo.
Corri! impazzito di gioia, nel verde di questo prato che ti sembrerà infinito,
figlio mio!
L'addio
Non voltarti
È di schiena
che s’abbandonano gli amori
Sicuro l’incedere,
altrimenti bugiardo
se poi ha in testa
la fretta del fuggiasco
Perché ti guardo?
L’ultimo desiderio
è sempre del condannato
Perché non inverti i tuoi passi?
Sarebbe meraviglioso
se tu li riaggiustassi verso di me
Sarebbe spietato
se poi tu guardassi
oltre la mia testa
abbassata
per un attimo di distrazione
Lama di rasoio
Non è stato il morso
a stupirmi
Né l’affilata lama
che affondata, veloce,
nel mio petto
ma il sorriso, innocente
che mi hai svenduto,
prima che il rasoio riflettesse la luce
dell’ultimo giorno
l’ho visto balenare
assassino
dietro la tua schiena
Nessun dolore:
l’addio truccato
con il rimmel dell’ipocrisia
aveva ormai ingolfato i miei polmoni
ero un uomo già morto
quando hai infierito, invano
Rimani
Rimani!
Rimani,
ancora,
con le mani tra le mie mani.
Rimani,
perché domani sarà ancora.
e l'ora sarà per sempre,
ed ancora.
Ma oltre non sarà
se di te -
su di me -
non rimane
che scia dissolvente
d’ombra
ed eco di rimpianto inestinguibile ,
nel sempre per sempre di queste mura,
d’improvviso sconfinate
Rimani,
come io rimango
Qui, nello sterminato
ad aspettare -
di un tuo bacio -
il rosso presagio
La vita è cattiva
La vita è cattiva
quando vuole esserlo
la vita è cattiva
con chi ha deciso di esserlo
Sono fiamme di rogo e dolore
per molti
quelle che avvampano
all’alba della propria vita
è cielo di tormento
e finto azzurro
quello che si stende
bugiardo
sopra l’esistenza di troppi
è notte senza stelle
d’inchiostro pesto
quella che attende
a volte troppo presto troppi cuori
alla fine del loro martoriato cammino
Solo una preghiera,
- io che non riesco più
a trovare più spazio di fiato
da quel giorno
e che troppo mediocre
affermo che la vita è cattiva
a volte, troppo spesso, come adesso:
che il buio della morte
misericordioso
vi abbia avvolto in un momento
a Ciccio e Tore
martiri di una vita cattiva
Tramonto
Il tramonto è il luminoso
ricettacolo
dove adagiamo i nostri sogni
non ancora infranti
in attesa che sia di nuovo giorno.
Rivelazione
Ho consumato il mio imbarazzo
(velocemente, prima che facesse troppo male)
con frasi sbriciolate
lasciate cadere come pesi morti
oltre le mie labbra indecise e semichiuse
Nemmeno io le ho ascoltate!
Com’è insopportabile il suono della discolpa
a chi la colpa la conduce per mano
E’ macigno l’ incapacità di perfezionare;
pesante come il non dar peso
alla propria superficialità
Lo sguardo,
curvo sul nulla,
barcolla,
mentre le parole fanno silenzio
o quando inventi le tue ripetizioni
E’ intollerabile riconoscere un amore
Galassie cannibali
Galassie cannibali, noi
Lontane un tempo,
milioni di distanze.
Catturate, un giorno
di transito siderale
e da qual giorno
ci scambiamo soli e stelle
precipitevolissimevolmente!
Se poi davvero esco...
Di tedio ammaccato
in lividi esco
Nel centro del centro
del nulla, mi mostro
Bisbigli e sbadigli
sbadato intercetto
tra portici ed angoli
annuso il già detto
Io, sotto il fuoco
dei dirimpettai:
Sguardi bugiardi
Siluri dai muri
schivo d’istinto
e distinto costeggio
Un cielo, dal cielo,
mi diluvia addosso
chili di gocce
goccianti e ripiene
di rumoroso liquidio
Squadro, bilioso,
rigagnoli irrequieti
e smaniosi:
esili filamenti, ancora
lungo l’asfalto
di questa catramosa città;
a breve fiumi in piena
in fragorosa rincorsa
verso il mare interminabile
Meraviglia
La luce al tramonto
di luna si tinge:
sentiero tra arazzi
di nuvole eteree
Negli occhi d'azzurro
amore ti adorna.
Gli estremi confondi
e quel di me che tu nutri
Sul mondo mio plani
meteora ed incanto;
del suono più terso
t'annunzia il fragore
Primordi ancestrali
d'istinto e dolcezza
tra campi d'autunno
e tormente di stelle
Natura 6. (Haiku)
Verdi sussurri
risvegliano il bosco
Alba d’aprile
Esiliando
Sognai sapori che non so
bevvi tramonti a fiumi
nuotai silenzi altissimi
sfiorai le vesti di un addio
Tra boschi in canto naufragai
sopra deserti grandinai
quando il pensiero, il limite
del consentito, abbandonò
Perdutamente mi trovai
sorrisi in lacrime sgorgai
pianure eterne riposai
sfuggendo il vento che era in me
Raccolsi un bacio che mai avrò
su ciglia d’ombra trasvolai
quando il pensiero, il limite
dell’ordinario, abbandonò
la festa de' Borg
Berci di fanciulli riecheggiano argentini
sul chiostro ormai abbuiato dal vecchio campanile
e sul nel ciel rincorrono, a mo’ di rondinini
i tocchi che dall’alto si posan nel cortile.
Nel fondo ciottoloso si affrettan quasi in coro
i passi delle donne chiamate al vespertino
ritrovo di preghiera, e con gentil decoro
traversano la soglia col capo cheto e chino.
Si allungano le ombre sui muri tinti a festa
e paiono giocar coi volti della storia
che in variopinte strofe ci cantano le gesta
che il Borgo han fatto insigne e di lunga memoria.
Nell’aria freme e frigge un’impaziente attesa:
un ultimo ritocco, quell’altro non si trova…
Speriam che il tempo tenga , sennò sai che sorpresa!
Lo stesso batticuore, che sempre si rinnova!
Tra i tetti arruffa e sbuffa un pingue fumo bianco
e sale, sale, e con se porta sapore e odor di brace.
Tra i vicoli silenti s’aggira, pigro e stanco,
un cane vagabondo, cercando un po’ di pace.
Dal serpeggiante mantice saltellano le note:
son prilli melodiosi e dolci piroette
[di danze romagnole;
risponde una grancassa che, là, si ripercuote.
Al limitar del parco s’avvampa, e muore, il sole
Rigurgita la calca tra i vicoli addobbati
e pare un rivo in piena che ruzzola nel mare.
Di sé fan bella mostra gli arredi assai agghindati:
dagli antri delle ville si lasciano ammirare.
Nel cielo di pervinca si compie il gran finale:
mirabolanti fiamme e roghi sfavillanti
tra solchi di comete come divin segnale
lambiscono corolle di fiori scintillanti.
Un guizzo luccicante, un oooohhh di meraviglia;
il bimbo sulle spalle che indica il tripudio
di luci e di colori che in alto s’aggroviglia:
che sia del suo futuro lo splendido preludio.
Vivificazione
Amo il cielo sereno e limpido
quando appare ai miei occhi -
di trasparenza e abbandono assetati -
come uno sconfinato lago capovolto
le cui rive non distinguo
lungo i perfetti margini
di azzurra luce accecante
Eppure di più amo
gli spumeggianti, chiari pertugi
di celeste radioso
che s’affaccia tra i profili consunti
di un’ormai dissolto acquazzone
e come vernice che sa di aria
d’alta quota ed eterei bisbigli
si versa e si distende
– graduale –
tra gli incavi ed i vuoti
di un cielo vivificato
dal buio frastuono di mille lampi fa
Il canto di Odino
Il bianco, spaventoso destriero
tre volte tre notti cavalcai furioso
allorché il tronco senza fine
in otto possenti arti tramutò
le sue abissali, ferrigne radici.
Da altrettante lune nel vuoto
oscillavano al gelido vento
le digiune mie membra, di sete
e di fame straziate, di lancia trafitte
e di conforto spoglie.
Lo sguardo ancor illeso in basso gettai.
Il mio grido squarciò la siderale quiete.
Dunque, a terra caddi!
Di saggezza gli arcani segni afferrai
per comprenderne il profetico sussurro.
Orbo mi fece il pegno in cambio del potere
quando a Mimir chiesi di saziare la mia sete.
Nove canti di magia dal suo capo appresi
e le rune intinsi dappresso la sua fonte
ove il sapere zampilla e la memoria sgorga
In bramosi sorsi bevvi il prezioso sidro
perché fluisse in me senno e conoscenza.
Della natura gli oscuri segreti intesi
e come tuono assordante
la sapienza al mondo consegnai
in canti e parole vibranti nel nulla
Nauseabonde sensazioni d’oblio
Nauseabonde sensazioni d'oblio;
malinconici pellegrinaggi
tra i santuari della mediocrità
che non ha vette né abissi
né crepuscoli od aurore
e per i cui stanchi sentieri
solo l’inerzia mena la via.
Gruppi di spauriti eroi
consumano stagioni a ragionar
di gesta andate e mai vissute;
in cerchio riposano le membra
che mai fatica o privazione
ebbero a sapere
cantando i dì a venire
tra cimiteri di mulini a vento.
Nuance
Non cercare di capire
ciò che è difficile sentire;
Tu vorresti dare
un senso ad ogni cosa
e intanto tutto passa,
inesorabile,
davanti ai tuoi occhi.
Sequenze interminabili
di immagini sfuocate
miriadi di colori
che si rincorrono l’un l’altro
ma che assieme danno solo
una fredda, luce bianca.
E tu lì, che vorresti, invece,
catturarne almeno uno:
il verde, magari l’azzurro o l’arancione
Tutto ciò non ti è concesso ancora!
Eppure sei nel giusto!
Il sentiero è quello buono!
La sfumatura è il senso della vita.
Dicono che il profilo di Gesù
assomigli alle curve del cuore
Ora come allora
Ora come allora
tra le braci palpitanti del tramonto
che rischiarano d’infinita meraviglia
e luce incandescente l’orlo del mondo
dissemino i miei sogni in mirabolanti
e caleidoscopici frammenti
come tizzoni ardenti di mai sopita attesa
avvampano nel fondo terso del cielo
che balugina estremo in faccia
al buio inchiostro della notte
in esili refoli profumati
di chimeriche fragranze
si disperderanno oltre il confine
al di là del quale altri cieli
li accoglieranno tra le proprie
inesplorate, imperscrutabili rotte
e sconosciuti riflessi di inviolate stelle
ne illumineranno l’incerta scia
ora come allora
accanto all’ombra incerta del mio pensiero,
che tra le onde smeraldo di questo prato
il tormentato divampare affresca,
il barbaglio sfavillante
di pupille sempre accese
Boscosità
Parole resinose
e sospiri in sottobosco
Brusio di muschio
e ciarle di fogliame
Diatribe tra radici
barbose e allampanate
Sparate di virgulti
e germogli fanfaroni
Mormorii di quercia
nell'ombra rimbombanti
L'azzurro gocciolio del cielo,
su stille di rugiada
Il chiacchiericcio cupo delle bacche,
tra i gomitoli di rovi asserragliate
Il rintocco del silenzio
Il sonno denso delle pietre
Il limpido sciacquio della sorgente
L'inerzia, acquosa dello stagno
Il giallo sorriso delle corolle spensierate
Il verde profumo della quiete silvestre
Mai più dolci stagioni
Mai più dolci stagioni
Solo inverni, ed infiniti ancora.
Liberi, oramai
sono del despota i giannizzeri
e quali belve feroci
per i sentieri delle anime serene
infuriano
e gli ultimi fuochi a spegner vanno
Addio Luce!
Non filtra più il benigno sole!
I suoi raggi,
respinti dall’ ignobile matassa,
precipitano - sterili dardi -
negli abissi senza fondo della notte
che tutto inghiotte
Mai più dolci colori
a dilettare gli spiriti
mai più terse parole
a dissetare le menti
né musiche sublimi
suonate al Creatore.
L’ultima fortezza è gia caduta
sotto i colpi del fiero condottiero.
Sprezzante ed altero
dalle vette del Suo Mondo
osa schernire l’Altissimo!
Cuore mio, rassegnati!
E tu, Dio!
Se vorrai, un giorno
squarciare quest’empio cielo
Perdonami!
per aver chinato il capo troppo presto.
La faloppa
Scolora la notte
i lembi dello stagno
allorché il giorno
consumato
volge altrove
lo svigorito sguardo.
L’ultimo fiato
d’aria putrefatta
lambisce spiccio
il fradicio falasco;
dovunque
annega e sprofonda
tra onde oscure d’ombra
la fosca malafitta
Qual falbo baco
la vita mi appare.
Che, di fatica vinto,
nel putrido pertugio
silenzioso spira.
E stride accanto
di pietoso stropiccio
la faloppa abbandonata.
Sogno d’ali infranto.Il pescatore d’onde
Non solcherò il tempo, questa notte
ma nelle secche dell’inquietudine
incaglierò l’appiccicoso legno
e lì dissiperò i miei talenti insonni
Su rivoli di comete che svaporano in cielo
getterò, indolente, le mie reti
pescatore d’onde e di correnti polverose
e gusterò il silenzio che stride oltre il giaciglio
eco già lontana di palpebre socchiuse.
Agonia
D’ algoso scialacquio
fermenta la risacca
Afona e lorda
l’onda
tra rantoli di spume
si accascia
Fino a dove…l’orizzonte
Fin dove arriva il mio sguardo di pietra
carico di sogni fracassati
che sparpaglio lungo quel cammino di pensiero
che dal centro dei miei occhi
centra il centro esatto del profilo lucente
di un orizzonte consumato e liso
dal troppo immaginare
fin dove arrivano le mie parole
mai pronunciate e per sempre serbate
che rimbombano di tuono
nel fondo dei miei abissi
che un giorno, forse, scandaglierò
fino a là, fin dove giunge ancora
seppure stremata e consunta
la mia fame di illusione
la notte è sempre colma di luce d’astro
di silenzi e melodie d’infinito
e sorgenti di calma stellare
là, tra le sue accecanti ombre siderali
trovano asilo quei miei sogni infranti;
li attendono cure e carezze
premure e bisbigli di speranza
prima del nuovo viaggio
forse l’ultimo dei tanti
od il primo d’infiniti ancora
Samuele
(a mio figlio, con profondo amore)
C’è vento nei tuoi capelli
che soffia armonie di terre lontane
e bisbiglia parole di nuvole
perse nel loro dirotto vagabondare
C’e rubino nelle tue labbra
dall’abisso del pianeta
più lontano trasportato
sulla scia della cometa
custode dei tuoi scrigni;
abbaglia spazio e stelle
d’infiniti andate e ritorni
lungo i sentieri dei tuoi sogni.
C’è lampo di sole
che grida fiamme di gioia
nella luce dei tuoi occhi.
Rosa d’alba s’accende
onde d’arancio e tramonto
vi sbocciano
e s’infrangono
sull’orlo del tuo sguardo.
C’è suono d’amore
e profumo di limoni
quando sfrecci a perdifiato
e spargi colori
tra chi ti sta accanto:
il verde di bosco;
il bianco del latte di neve
e della schiuma effervescente
di cavalloni in festa;
l’argento scintillante
delle stelle pullulanti
all’estremità del mondo;
il giallo avvolgente del grano
tra torride folate in festa
su distese a perdifiato;
l’azzurro trasparente e profondo
del mare sconfinato.
L'amore pensato
L'amore pensato....cos'é?
due sguardi che in eterno si mancano
frasi a memoria ricacciate per sempre nel cuore
percorsi consumati fino al penultimo metro
granai zeppi di lettere mai spedite
e fiori d’estate appassiti giù in fondo.
è il troppo presto o il troppo tardi
è l'angoscia del salto nel vuoto
la paura per quel che potrebbe...
è l'attimo esatto in cui
finalmente
hai deciso ed alzi i tuoi occhi.
Ma il vento è passato e ci sei soltanto tu!
Un nuovo giorno
Sul vento che odo soffiare dal mare
mi arriva il profumo di onde a me care
Ad ovest la luce mai prende commiato:
è come un sottile lucente loggiato
Oh cuore mio!….Esulta e canta alla gioia!
S’avvampan le stelle perché tu non muoia.
Ardete di nuovo….oh torce sospese!
Le brezze dei sogni vi tengono accese.
Intanto da oriente la luce s’ espande
Su grigi declivi e brumose lande
Un nuovo domani s’appresta alla soglia;
di un mondo migliore già il seme germoglia
Le stanze di Morfeo
M'accampo ogni notte al margine del sogno.
Attendo il solco luccicante dei tuoi occhi
sgusciare via dall'ombra, oltre le stanze di Morfeo.
Avvolta tra crespe di sete stellate ti porterò con me
la prima notte che destarmi vorrai
Quiete
D'improvviso
la trasparenza serena di stagni stellati.
Fresche crepe, tra nubi cemento,
di limpido buio sgorganti.
Attimi di quiete cristallina lampano in petto!
Ambulacri siderali ove l'anima,ammorbata,
rianimare dopo tanto dirotto gocciolame.
Non Domani,
ma a Breve dal Già,
la luce di luna che staglia la notte
e la ingombra di macerie gassose
L’acero
Lo incontrai l’ acero ancora acerbo,
di buccia bigia e chioma espansa,
al margine del corso.
Verde lucente, ancora,
la fronda al biondo estivo sole
presto ocra od arancio, all’autunno immolata.
Allora, presso di te, fiaccola arborea,
tornerò a scaldarmi
quando avvamperai di foglie fiammeggianti
contro un cielo zaffiro
tra accesi crepuscoli di malinconia palpitanti
Sinfonia d’autunno
Le note del piano accarezzano la nebbia
immobile, oltre la finestra.
Dita sottili su gradini d’avorio
arrampicate e filari d’acciaio
in morbida melodia, vibranti.
Risuona di velluto, accanto, la bruna viola;
il caldo, suo, respiro versa tra le stanze
e accende polverose memorie in bella mostra.
S’agita la bruma e rimestano i vapori
Si aprono pertugi. Si sfrangiano,
in languide parabole, gli evanescenti drappi.
Stilla, l’aria, di lacrime umidose;
si accendono di luce al palpito del sole
La vampa
Brilla e favilla la fiamma che avvampa
Arde e corrode contorce e divampa
Si avvolge e avviluppa sul canto del vento
Si scuote e si sfascia in rovente lamento
Di bragia e tizzone si strugge incessante
Si sfila in garbugli di fumo accecante
Che sale e che scende in gomitoli opachi
E appanna la fiamma con bigi ricami
Nebbiosa e odorosa che intorbida e imbratta
Incendia la carta e attorciglia la latta
Tra sbuffi di zaffiro frigge lo zolfo
E ingombra il camino di torbido ingolfo
Smargiassa e sbruffona dell’ombra si burla:
appresso a lei prilla si avvita e le chiurla!
In crepiti e schiocchi s’avvinghia col ciocco
Che sia di castagno, di quercia o albicocco
Di bianco o di rosso, gialletto o celeste
tra smorfie e sberleffi s’agghinda la veste
Tra dune fumose di cenere, giace
qual gemma lucente di fulgida brace.
Ombra
Danza d’ombra
e rimandi di luce
l’antico muro ingombra
tra gli aspri pruni induce
il tuo corpo, dal meriggio accennato
profilo sinuoso, ondeggia
lieve, sul verdiccio prato.
Di beltà, armoniosa scheggia
Il cielo dentro
Perché nel cielo che ho dentro
possano per sempre volare i coriandoli
[della mia fantasia
tra nuvole raminghe soffiate oltre
nel valzer dei venti
dove aquile dalle piume d'argento
gridano la mia gioia
nei barbagli di un tramonto
che si scioglie dentro il mare
Il dolce far niente
Che è dolce, il far niente...lo dite voi!
Sappiate che è un'arte, un arduo mestiere
volar con le rondini restando a sedere
o sol con la mente sconfigger gli eroi!
far muovere l'ombra col cenno del capo
piegare la luce con gli occhi socchiusi
mutare il banale in archetipi astrusi
contar fino a cento e rifarlo daccapo
Viaggiar col pensiero fin in capo al mondo
ragionare sul pianeta, se è piatto o se è tondo
sbranarsi le unghie con sommo talento.
tracciare nel cielo un cerchio perfetto
Potrei continuare fin oltre il tramonto
son tanti gli impieghi del dolce far nulla
e se attentamente vi guardaste attorno
vedreste un esercito che si trastulla!
In te
Senza tempo qui
Mi immergo nel tuo già.
Di luce vivo
"Perchè
Perché è luce che arde
il vento che muovi
Perché è sussurro di viola
l’alfabeto del tuo respiro
Perché è profilo di mare
lo sguardo che posi
Perché è rosso d’alba
il sorriso che schiudi
Perché è cascata di stupore
l’onda dei tuoi capelli
Perché è fruscio d’assenza
tutto ciò che indugia
quando non sei con me"
Solo
Giorni d'inverno.
Nuvole di fiato
raccontano di te
Natura 1
Voce del mare
Azzurro mormorio
dell’orizzonte
Stagioni 1.
Cielo d'Orione
tra nuvole in corsa
laghi di stelle
Stagioni 2.
Il bianco silenzio
d'istanti innevati
Quiete d'inverno
Stagioni .3
Giallo di foglie
rifulge tra i viali
Luce d’autunno
L’attesa
S’agita il pioppo, scosso nell’aria:
ogni suo ramo pare sconvolto
e geme battuto dai crolli del vento.
Nubi ricolme rabbruzzano l’aia;
mormora il bosco che oscilla contorto.
Dal campanile rintocca un lamento.
Gorghi di foglie frusciano in cerchio
l’anatra, inquieta, pencola appresso.
Lungi dal monte s’ode un rimbombo.
Cigola, freddo, su la fune il secchio;
oltre il profilo del nero cipresso
frulla, nel buio, un bianco colombo
Alba
Quando l’aurora si affaccia arrossendo
e la rugiada stilla in rintocchi,
nell'immoto silenzio che indugia nell'aria
l'ultima stanca, flebile stella s’attarda in scintille
e come inghiottita dall'alba si scioglie nel cielo.
Battiti d'ali esplodono in frulli;
lungi, le nubi, complottano in crocchi.
Fine
Hai lasciato una scia di pensieri
camminando via da me
Ritagli taglienti di emozioni
sparsi dietro i tuoi passi
briciole di amore frantumato
pesanti come massi di dolore
e macerie scomposte
del tempo nostro, insieme
consumato senza fiato
in un battito, interminabile, di ciglia
Lontano da me si estingue
in refoli sempre più indecifrabili
l’intenso rosa del tuo odore
E' cielo di pervinca
che brucia in fondo al giorno:
rogo di rimpianto
sul quale il mio amore s’immola
tra fiamme che scintillano lamenti
Suono di cenere si disperde
nell’orizzonte opaco e lacrimante
dove sfuma il tuo profilo
troppo distante, oramai
per udire il mio “ti amo”
gridato per sempre
ed ancora
oltre ed al di là
della fine di un amore
La prima stella
Prilla il barbaglio della prima stella
che appesa a ponente incanta la volta
Si scioglie il tramonto in un pallido rosa
che tinge ed imbratta la fine del giorno;
appresso, tra poco, uno sciame di astri.
S'accende la notte di tremule fiamme
e luna si mostra qual esile tratto
che incrina la tela del cielo profondo:
pare una coltre appoggiata sul tempo
celante una luce che, immensa, là regna
Cobalto
Rischiara ancora in bocca
il gusto del cobalto
di questo cielo disteso
come lucida tappezzeria
di trasparenze densa e trasudante
D’azzurro palpitante
ho pieni i polmoni
Respiro il silenzio
che si trattiene, morbido
oltre il sublime tracciato
di montagne cristalline
È l’eco del mio cuore
che tratteggia chiaro
sull’orizzonte zaffiro
il riverbero del suo battito:
silenzioso grido di vita
sussurrato tra campi di luce
e gocce d’anima in tormenta.
Settembre
Vaio,
come l'uva settembrina
che ciondola
vanesia
in sugosi grappoli,
ci parla il cielo
dal suo covo
d'orizzonte
Tra le oblique schiere
di marziali filari
la gioia scolora.
Svapora in cirri
di malinconica trama
la nostra allegria
Briciole di schegge
Frantumo oltre il davanzale
questo mio pensiero
rabberciato alla meglio
sul sentito e sul vissuto
Se ne udranno
solo quisquilie incompiute
dissonanze afone
ruvide come graffi
su alabastri
a tratti squillanti
come stelle in caduta libera
esalando il loro ultimo
accecante respiro.
Non turberanno affatto!
la sacra quiete dei non udenti
Infrango la mia angoscia
oltre il vetro
intatto della finestra
briciole di schegge
precipitanti
pesano come coriandoli
nella grigia mezz’aria
dell’aria di città.
Si ricompongo
impercettibili arabe fenici
sull’altare pericolante
innalzato al mio cuore
Attendo ancora
il freddo tifone di cristallo!
per un tempo
le mie foschie disperderà
facendone eccentrici garbugli;
in fantasie nebbiose dilatanti
potranno, finalmente
al suolo sfracellarsi.
Il dolore di te
Ho velato l’orizzonte
con mano abbacinata
dalle scaglie palpitanti
di un quasi tramonto
in un giorno da disimparare.
indugiano le dita
come tapparelle socchiuse
si insinuano, alacri,
nastri di luce irrequieta
come lance tra feritoie
putride dal troppo diluviare
Hai velato il mio cuore
d’organza e parole
trascurate non appena forgiate
o sussurrate;
o taciute e poi cristallizzate
come stalattiti
di tormento e di rimpianto
che il lacrimoso gocciolare
mio sagoma ed eterna
nell’antro invisibile
e sconfinato
del dolore di te
Umbria
Ondulanti profili
leggiadri, di verde
ammantati
ove note antiche
risuonano ancora
nell’aria silvestre
e tra i filari
di grappoli al sole
d’autunno fiammeggianti
Già di santa condotta
preziose cornici
e di sacri silenzi
fedeli astanti
e custodi
Dal lontano
e discosto mare
l’arido vento si affretta
d’ombra assetato
tra fitti e tormentosi
anfratti di collina
e fauce boscose
di melodiose sommità
e sul terso gorgoglio
di ruscelli sereni
s’ appressa a placare
la straziante sete
Anniversario
Nel bagliore bollente
di un pomeriggio
di piena estate
tra le svanenti
accecanti
parabole di sabbia
ed il suono dell’onda
che rinfresca l’arido spazio
stremato
oltre la risacca
io nella mente
e nel tempo dell’oggi
ti rincontro
ancora una volta
come quel tempo lì
e come allora di nuovo
sei nuova venere
che dall’acqua appare
e sbiadisce d’incanto
il mondo
ed i suoni
le voci e i pensieri
d’intorno
Tale a quel giorno
porta con se
negli occhi
di verde miniati
l’eco del mare
e l'azzurra meraviglia
e l'incantato mistero
dei suoi profondi abissi
che affiorano
dal suo sguardo
lievi
come dolce sussurro
L’umido rintocco
L’umido rintocco
sul davanzale bianco
s’infrange in millesimi
e ricade tra rosai
di pulviscole gocce
e’ come un sudario
d’insopportabile pesantezza
l’aria che ingoio
sotto un branco denso
di nubi gravide e fuligginose
pronte a straboccare
fatica il pensiero
s’attarda e si perde
da subito
negli umori viziati
della torbida terra,
di oleose paure
tracimante
abbasso le palpebre
come saracinesche
sulla vista che soffoca
ed in fretta scolora
immobile esausto
attendo diluvi
e rovesci
come panno da lavare
Mimma
Dal fondo delle tue discese
di capelli a perpendicolo
di tempra e lucentezza bronzee
come gomene di vascello
scruto altezze e sentieri
intrecciati o mossi
da parole e sorrisi d'alisei
abbaglio arrampicate
e salite a sorpresa
su fenditure pulsanti
di cuore o fra tornanti
e rapide di arterie
come autostrade scagliate
verso il tuo cuore
inforco svolte alla cieca
di gomiti marmorei
e ginocchia che Fidia
in visione estatica sognò
di rosa tinti o paonazzi
da fiaccole d'alba
o accarezzamenti di rosai
o trasvolate di organze
di malve fiammanti intessute
su labbra di porpora
come terrazze coralline
nel vuoto sospese
mi sollevo e respiro
aria azzurra di cielo ed annego
l'ultima scaglia di senno
nel verde lago dei tuoi occhi
l'eco del mio amore dissennato
mi torna appresso in cerchi perfetti
Amore come mare
Lungo le rive
del tuo pensiero
scorre trasparenza
di profondo fluire
Fronde odorose
dissetano le verdi sporgenze
su quel tiepido
e sereno fluire
Solo intermittenti
gorghi di candida schiuma
s’accendono vivaci
come acquatiche girandole
dalla tua inesauribile energia
nutrite e provocate
T’aspetta il mare.
Madre oceanica
grembo che tutto placa
e tutto agita
con marose carezze
e grida di frangenti;
Mare che accoglie mare
madre che accoglie madre
vastità
di inesauribile mistero
attende vastità
di inestinguibile virtù
Dalla spiaggia
del tuo mare
amore verso
e d’amore mi immergo
e mai vedo il fondo
della tua abissale bellezza.
Ciò che siete per
me
(A Mimma e Samuele, con profondo amore)
Acqua che bagna e disseta
i miei più aridi sentieri
e le ombre assetate
di umidi pensieri
vento che asciuga
i rivoli contorti e sospirosi
di chiare lacrime precipitanti
verso abissi di memoria immobile
tiepido fiato di sole
che scioglie barricate di ghiaccio rapprese
innalzate a strapiombo su profili di labbra e
tendini
come versanti di vette irraggiungibili
dove bufere assordano l’aria
con fragori di grigio silenzio
Questo siete per me
Amore da abissi primordiali generato
e tra gli spazi siderali
instillato su rotte e meridiani
da tenerezza ed affetto tracciati
chiarore che si schiude
dal fondo di una notte fonda d’estate
ed accende il cielo d’orizzonte;
lunga luce che non muore mai.
Tricolore
Stille di pioggia
Su declivi bruciati
arsi dal fuoco
di cento battaglie
spazzati dal vento
di mille lamenti
scendono
grondano
scivolano
adagio
adagio
a mescolarsi
scambiarsi
e confondersi
con gocce di sangue
ancora stillante
dalle crepe
di martoriati pendici
e straziati altopiani.
Linfa vermiglia
di giovani cuori
nati già eroi
imporpora l’erba
di verde rigoglio
dall’altra parte del prato
oltre la bianca rena di collina
Di lontano, da quassù
quel lembo di terra
appare ai nostri occhi
velati da un pianto
di dolorosa e fiera memoria
quale immacolato tricolore.
Il cielo dentro
Perché nel cielo
che ho dentro
possano
per sempre
volare i coriandoli
della mia fantasia
tra nuvole raminghe
soffiate oltre
nel valzer dei venti
dove aquile
dalle piume d'argento
gridano la mia gioia
nei barbagli di un tramonto
che si scioglie dentro il mare
Il mistero della
vita
Cicli di vita
fugaci
brevi
come battiti di ciglia
Ferite aperte nel cuore
che avvampano per sempre
Amori sussurrati
impalpabili e fumosi
sospinti via
da vento sordo
inesorabile
Lacrime stillanti
per gioia
o per tormento
battono
controsole
e le nostre persiane
in sferzante
luccichio
Grigi silenzi,
vasti come mare,
di anime sospese.
Su piane nere
"Su piane nere
di macerie incenerite
dalla polvere ardente
che guerra
ovunque
sparge
nasce
e fiorisce
ancora
d'infinito ritorno
la fenice di vita
Vele di speranza
e di amore
sorridono
increspate
dal soffio della Fede
sul mare del riscatto
Alito d'uragano
che grida e purifica
Schiuma di flutti
Che scroscia
impetuosa
e disseta
le ombre
aride
dei nostri loggiati
a picco sulla vergogna
dove paura e peccato
stridono e sporcano
il bianco suono di campane
di primigenia pace
Pasqua di vita
Rimbomba il dolore
buio ed assordante
tra le macerie del Golgota
Tracima sul mondo
lo sguardo vuoto
e folle dell'oblio
Terra riarsa e calpestata
spazzata verso il fondo
da turbini e lamenti
Soffoca e scolora
la piana dei peccati
Sferza
l'urlo di morte
quel mare naufragato
Poi
luce dalla pietra
(sepolcro di carne)
Irrompe, grida
La notte muta
e deserta
squarcia
Ombre quasi di alba
tremano
al pallido alito
di stelle assopite
Luce
che si increspa
in mormorio
tra le rapide
Diventa cascata
di suoni
Coro di luce
Canto di fede
Voce di vita
che umilia la morte
Ovunque
di infinito
abbaglia
risplende
riempie
rischiara
risuona
consola
Ti veste
di amore
e di salvezza
eterni
La colpa
Ti ha trafitto
il vento
quando l’anima
al sole
denudasti
Stremato e consunto
dal forsennato tuo
delirio
di scorie malvagie
Ad uno ad uno caddero
pesanti
i bianchi suoi petali
pezze nere ormai
di catrame appiccicose
Ti ha dilaniato
la luce
quando sbucasti
dal buio
ed insano
pertugio vitale
dove nutrivi
di stenti nocivi
e molliche viziate
la coscienza degradata
e di bagliori spoglia
Ti ha crocefisso
il grido
della terra torturata
intrisa e germogliante
di anime straziate
Steli cagionevoli
penduli e stanchi
dall’acciaio sordo
del tuo grigio respiro
d’alito ferroso
e senz’anima
Ti ha accolto
un lampo
di pietà abbagliante.
Bianco lenzuolo
di fresche pieghe
increspato
avvolge il tuo cuore
malato e vuoto
come canna di palude
di melma incrostata
e trasudante.
Dall’amore avviluppato
strangolato, spremuto
si scioglie
e gocciola lacrimoso
nel fondo
Si perde tra gli scoli
in mormorii
e tormentati rivoli
di vergogna e pentimento
A Tommy [per non dimenticare]
Stella diventerai
nuvola di panna
che si culla nel cielo
sarai vento
che freme tra le fronde
sarai mare
che bagna
l'infinito orizzonte
sarai luce
che illumina l'eterno
sarai amore
che donerai
dal principio
all'infinito!
Il tuo domani
"[a Samu]
Un tiepido sole
tinge, da breve,
l’aurora del tuo cielo.
Come fulgida peonia,
all’orizzonte
di quest’alba fantolina,
appare.
Di carezze,
calendole,
le fresche guance
sfiora.
Pennellate di rosa
stillanti
che accendono
affettuose
l’irrequieto sorriso.
Oltre la fulgente,
lieta soglia
del tuo
venturo
corso
danza il cielo,
in onde di giacinti,
d’azzurra allegria.
A distese
vi brillano
sciami luccicanti
d’ardenti girasoli:
sfavillante roteare
di bionde girandole.
Gioia degli occhi tuoi.
Lanterne sempre accese
sul sereno,
tuo,
domani"
La verde età
"Rivivo sensazioni
Illumino particolari
Malinconico resisto
al tempo - mio - Domani"
Lungi
"Ma, così!
Voglio essere:
Lungi
dal rombo del chip
che tuona
di silicio
silenzioso
e sgrana
in rantoli
lividi
sussurri virtuali.
D’inchiostro
sbafferò
i miei T’amo
stilografici
per Te
serbandoli
allo stremo
da colpi sordi
di pallide tastiere;
e sposserò
i sensi
d’inesprimibili silenzi
annegando
tendini ed umori
nel poltiglioso pantano
di chiare e disperse
vastità silvane. "
La faloppa
"Scolora
la notte
i lembi dello stagno
allorché
il giorno
consumato
altrove
volge
lo svigorito sguardo.
L’ultimo fiato
d’aria
putrefatta
lambisce spiccio
il fradicio falasco;
dovunque
annega e sprofonda
tra onde oscure
d’ombra
la fosca malafitta
Qual falbo baco
la vita
m’appare.
Che, di fatica
vinto,
nel putrido pertugio
silenzioso
spira.
E stride
accanto
di pietoso stropiccio
la faloppa abbandonata.
Sogno
d’ali
infranto"
Il cerchio d’oro
"Lungo il fiume guizzano fiammelle
e nell’onde si riflettono, di smania
sfavillando in inquieto luccichio.
Gente dell’acqua che traversa
il germogliato manto e di profumi
avvolge le eburnee vesti, a stento
increspate dal bisbiglio del vespro
e mute nel guazzo intingono le membra;
Della superba Mani, le gote indorate
danzano in gorghi sul ritmo vetusto
di arcane parole forgiate in suo nome.
Ancelle sinuose ondeggian leggiadre,
tra asprezze di scoglio, sul letto del fiume.
Auree custodi del cerchio d’orato
ne veglian la dote da intenti malvagi.
Incantevole suono, chiaro si espande
nel cupo fondale, tra arborei giacigli,
su rive grondanti di stille fatate
in anfore argentee raccolte e serbate"
La caccia
"Gelido buio d' inverno
Sull' altopiano stellato m'intingo
Il Gran Cacciatore già affiora,
felino, tra fronde celesti,
appresso alle taurine Iadi
Commossa, la volta, trasuda
di stille accecanti
Tremule braci appaiono
agli occhi miei, lacrimanti"
Ultima Venere
Strali di numinosa invidia
t'abbagliano il corso
rendendo eterno
ciò che elessero all'oblio.
Il pescatore d’onde
Non solcherò il tempo, questa notte
ma nelle secche dell’inquietudine
incaglierò l’appiccicoso legno
e lì dissiperò i miei talenti insonni.
Su rivoli di comete che svaporano in cielo
getterò, indolente, le mie reti
pescatore d’onde e di correnti polverose.
Beccheggerò, svagato
tra le crespe ipocrite di un livido miraggio
e gusterò il silenzio che stride oltre il giaciglio
eco già lontana di palpebre socchiuse.
L'Apprendista
S’increspa il mio dispetto
tale e quale a questo mare
che in faccia mi schiaffa
la vastità, sua, invincibile
ed il buonsenso di primigeni abissi
Potessi, candido apprendista
comprenderne l’imperturbabile inquietudine;
giungere al midollo del suo oceanico distacco
e dal filone d’aureo abisso
estirparne ciò che basta per forgiare
una corazza d’inespugnabile difesa.
Nulla t’inquieta
Istigatore di maree.
né del tuo respiro, il flusso, muta;
neppure gli spasimi del mondo, che al tuo orizzonte accorre
per versare le sue affannose lacrime.
Credulo della tua quiete
gli occhi velo
il pensiero infiacchisco
e le membra,
sulla zattera salmastra,
sciolgo.
Ed è allora che ti sollevi, caino!
in giogaie spumeggianti ed assassine;
vertiginose rupi di cupe azzurrità
che crollano, su di me, con sapida crudeltà. |