Racconti di Graziano Capparelli
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Teo (1a puntata) Una scarica di violenti pugni si abbatteva sul viso di Teo con forza e precisione La sua reazione era inesistente. Pensava solo a ripararsi agitando le braccia scompostamente davanti a se, non un solo suo colpo arrivava sul viso dell'altro che invece continuava come un pugile che si allena su di un sacco. Teo sperava che quella tortura finisse in un modo o nell'altro, sperava in un miracolo e il miracolo avvenne. Vito, frappose le sue grosse spalle tra lui e l'energumeno che lo stava picchiando e lo trascinò via, Teo ne fu contento. Rimase per un po' lì nell'angolo della classe dove era stato costretto, a toccarsi il labbro sanguinante e l'occhio tumefatto sotto gli sguardi compassionevoli dei compagni. Gli facevano male i colpi ricevuti ma alla stessa maniera gli dispiaceva la figura fatta di fronte a tutti di chi non sa difendersi nemmeno un po'. Cosa fare adesso, i compagni lo guardavano aspettando la sua reazione. -Se lo riaffronto mi massacra-, pensò Teo. Era stato già abbastanza fortunato che era intervenuto Vito, così per salvare in parte la faccia in tutti i sensi decise che era meglio ammettere la sconfitta e andare a complimentarsi col vincitore, come se lui fosse stato un grande campione battuto da uno migliore. Andò allora verso Claudio, gli tese la mano destra mentre con la sinistra si toccava il mento e disse: "Complimenti, però hai un destro che dovrebbe essere proibito". Claudio lo guardò con una faccia schifata, accennò di si con la testa gli diede la mano di sfuggita e tornò ad occuparsi delle sue cose. Era stato il primo il primo duro impatto con la nuova realtà, una realtà fatta di un grande complesso gestito da preti dove numerosi ragazzi per lo più provenienti dalla città studiavano a basso costo. Teo invece proveniva da un piccolo paese agricolo, tutto casa e chiesa, educato all'onesta e al rispetto non sopportava l'idea di essere stato derubato del giornaletto che suo padre gli aveva comperato, forse per distrarlo un po' quando lo aveva accompagnato là. Gli sembrava di avere tradito la fiducia del suo genitore essendoselo fatto portar via, era stata colpa sua, poca attenzione. Glielo avevano sfilato dalla tasca posteriore dei pantaloni, Claudio probabilmente e lui non solo non era stato capace di farselo restituire ma ci aveva preso pure le botte sopra. Ora aveva fatto sua la massima che conosceva e non aveva mai ammesso " Se non puoi vincere alleati con lui". Claudio veniva dalla grande città. Era ripetente. Completamente ateo, era cresciuto a dosi massicce di anticristogamico, scherzando dicevano di lui i compagni. Era figlio di genitori separati non sopportava nessun tipo di disciplina specie quella dei preti. Bacherozzi nullafacenti e parassiti, diceva. Bestemmiava in modo orribile e la facilità e l'abilità con la quale manovrava i pugni che Teo aveva così ben sperimentato la dicevano lunga sulla sua infanzia. Calava la sera sul S. Martino e sul viso sempre più pesto di Teo, una sera d'ottobre serena e stellata, una bella sera che accentuava in lui la malinconia per la sua casa per i suoi affetti, per qualcuno che se non fosse stato così lontano avrebbe sicuramente impedito quello scempio, per qualcuno che sicuramente avrebbe preso le sue difese. Mentre Teo si curava le ferite immaginava la sua mamma sfaccendare intorno alla stufa economica a legna, il padre che aspettava la cena, stanco del lavoro, allungato sulla sdraio mentre suo fratello più piccolo giocherellava sulle sue ginocchia. Loro si, al sicuro lontano da individui dai pugni facili. "Avanti in fila per due" disse don Matteo, era rimasto sulla porta aspettando d'essere obbedito. Costui era il prete cui il gruppo di Teo era stato assegnato. Altezza media, robusto e abbastanza giovane rispetto agli altri preti anche se una leggera canizie cominciava appena ad apparire sulle sue tempie. I capelli erano corti a spazzola con una curiosa scanalatura ricavata sul taglio che ne distingueva l'appartenenza all'ordine religioso, l'equivalente della più nota chierica. Due occhi neri attenti e indagatori denunciavano un'abitudine consolidata a scrutare l'anima del prossimo. Teo si guardò intorno spaesato. "Che succede? dove andiamo?" "Che ne so io" rispose spazientito il suo compagno di banco. "Vuoi sapere dove andiamo?" ancora Claudio, "Te lo dico io dove andiamo" "Dove?" "Andiamo a raccontare i cazzi nostri ad un altro" e così dicendo sputò in un angolo dell'aula. -I c…nostri ad un altro- Teo non pronunciava mai parolacce e nemmeno osava pensarle ma Claudio lo aveva detto così chiaro che gli riecheggiavano in testa insieme al loro oscuro significato. Dieci minuti dopo entravano in chiesa. La chiesa aveva una sola navata ma era abbastanza ampia da ospitare ai lati dell'altare maggiore altre due cappelle più piccole. Vi si poteva accedere dal portone principale ma anche da due porticine laterali che mettevano in comunicazione la zona nuova con quella vecchia ed evitavano di passare all'esterno. Sul lato sinistro era sistemata una statua del patrono del collegio, sulla destra una della madonna dalle fattezze umane molto realistiche. Era vestita di bianco e azzurro ed era raffigurata mentre con i piedi nudi schiacciava la testa di un serpente, rappresentante il peccato. Don Matteo disse che, come consuetudine, il sabato era il giorno dedicato alle confessioni e che il padre priore aveva espresso il desiderio che il giorno dopo durante la santa messa della domenica tutti facessero la comunione. Enumerò tutti i comandamenti, soffermandosi in particolare sul sesto, esortando i ragazzi a non deteriorare le loro forze giovanili con atti contrari al volere di Dio. Questi atti, disse, sarebbero stati puniti con severità essendo particolarmente odiosi agli occhi del Signore. Inveì poi contro la società senza valori e senza morale dove: "I letti dei genitori si prestano ai peccati dei figli " gridò spalancando gli occhi e alzando la voce e l'indice verso il soffitto. Detto ciò stette un poco in silenzio, scrutò gli occhi di ognuno come per scoprire chi era stato a fare una cosa come quella, poi prese posto in uno dei due confessionali ai lati della navata, nell'altro prese posto un vecchio frate. Dalla parte del vecchio frate si allinearono molti ragazzi mentre don Matteo rimaneva disoccupato. Il professore di chimica era un tipo alto con gli occhi chiari e i capelli biondi tagliati cortissimi. Era sempre troppo serio. Faceva veramente paura con il suo sguardo torvo e l'espressione della faccia severa. Per di più chimica era una materia veramente ostica per tutti e lui lo sapeva. Aprì il registro in un silenzio irreale, ora scorreva i nomi con gli occhi. Il cuore di Teo si era fermato, non pulsava più ma la sua mente era ancora lucida. Pregò mentalmente -Dio, per favore, fai scomparire il mio nome dal registro-. Il professore alzò leggermente lo sguardo restando curvo con le braccia appoggiate sulla cattedra. "Io lo so" disse "che state tremando, e che sperate che non vi chiami, so anche che state pensando che forse vi salvate perché in solo quaranta minuti non posso interrogarvi tutti" Stava leggendo i pensieri di Teo. "Invece posso, non ci credete vero?" "Allora, vediamo lei" disse rivolto a quello del primo banco: "Quant'è un Angstrom?" scena muta. "Due" "Lei, quant'è un Angstrom" seconda scena muta. "Due" Terza, quarta, quinta scena muta. Teo si sforzava di ricordare qualcosa ma quel nome gli era completamente sconosciuto. Vito fece in tempo a sbirciare un testo poco prima che toccasse a Teo rispondere "Uno per dieci alla meno otto centimetri" rispose. Il professore annuì leggermente con la testa, sempre con lo sguardo torvo, aspettò qualche secondo, Teo respirò ma quello continuò proprio con lui: "Allora lei mi definisca il chetone", anche Teo ebbe il suo bel due, ora era dispiaciuto ma molto più tranquillo, l'incubo era finito, malamente ma era finito. Quell'ora lui l'avrebbe voluta cancellare, aspettava invece con ansia la successiva. C'era, infatti, inglese, non che Teo l'avesse in gran simpatia quella materia ma la prof era giovane e carina. Era anche una delle poche presenze femminili se si escludevano alcune vecchie professoresse con gli occhiali e poche donne che facevano le pulizie e che erano agli occhi di Teo, contro ogni tentazione. Anzi a volte Teo pensava che forse don Matteo le aveva scelte apposta. La professoressa d'inglese invece era anche dolce con quella voce da gattina resa ancor più miagolesca dalla quella lingua. Era una biondina deliziosa, indossava anche una discreta ma sconvolgente minigonna e aveva due gambette snelle che emergevano da un paio di stivaletti bianchi. Teo se n'era innamorato fin dal primo giorno come anche tutti gli altri e faceva fatica ad immaginarsela come gli ripeteva Claudio a gambe aperte mentre ecc. ecc. no lei no, non era possibile. Eppure non lo diceva più solo Claudio, anzi se lo diceva lui era meno credibile per via della volgarità infinita con la quale si esprimeva ma se lo dicevano anche quelli più educati ed in modo serio doveva essere vero, oppure no, lei era sempre al di sopra di quelle sozzure. "Ma guarda" gli disse Claudio una volta, "che quelle puttane, le donne, vanno cercando solo questo" Si toccò con entrambe le mani in mezzo alle gambe e continuò quasi urlando "questo è tutto nella vita, questo e la fica". Massimiliano era soprannominato "il profugo" perché era nato in Libia da genitori italiani che si erano trasferiti là ma poi il governo era stato preso da un dittatore che li aveva scacciati. Ora diceva a Teo: "Vedi com'è rosso il viso del prof di fisica" "E' allora? " rispondeva Teo "E' andato a scopare con quella d'inglese" "Ma vaa, saranno stati via mezz'ora neanche" replicava ancora Teo. " Guarda che si può farlo anche in cinque minuti" diceva ancora il profugo. -si può fare in cinque minuti? ma non ci vuole una notte intera? pensava Teo badando a non mostrarsi sorpreso -Però forse il profugo aveva ragione, cinque minuti bastavano, allora era possibile!- Però era senz'altro più bello farlo con una notte intera a disposizione, si disse Teo, che non con una sveltina come l'aveva chiamata il profugo. Le uniche esperienze di Teo in materia erano alcuni pezzetti di film visti nell'unica televisione che c'era al suo paese, si trovava alle Acli e nel cinema parrocchiale che al massimo proiettava film come "Marcellino pane e vino" o la vita di Bernardette Soubirous. Alle Acli lui ci era andato qualche volta e li aveva visti in piedi tra una testa e l'altra, in bianco e nero e con la nebbia. Spesso quando c'era qualche scena audace Teo veniva rimproverato di essere lì ed era mandato a casa. Anche nel cinema parrocchiale Teo ricordava di avere visto qualche raro film d'amore dove di solito si vedevano due adulti l'uno nelle braccia dell'altro quindi la scena sfumava spesso su un cielo notturno e poi diventava giorno, sicché Teo pensava che per fare quella cosa lì, ci volesse una notte intera. Don Gino il prete del paese gestiva la sala , ve n'era anche un' altra ma don Gino diceva che andare lì equivaleva a pagarsi il biglietto di sola andata per la littorina direttissima per l'inferno. Questa sala lui l'aveva inserita nel suo "indice" personale perché diceva che proiettava film amorali. In questo don Gino e don Matteo sarebbero andati d'accordo. Diceva che uno si sarebbe dannato l'anima per tutta l'eternità. Con la sua logica Teo si chiedeva se fosse esistita anche la mezza eternità. Una volta, ricordava, gli amici ce lo avevano trascinato, di nascosto dei genitori e lui aveva avuto paura di prendere la littorina che si sarebbe fermata solo alla stazione Satana. In questo Teo pensava che non era cambiato nulla, solo che adesso a dirgli la stessa cosa era un altro prete. A differenza di don Matteo, ricordava Teo, Don Gino oltre al sesso, aveva un'altra ossessione, i comunisti. Predicando dall'altare esortava i fedeli a non lasciarsi contagiare dal "cancro del materialismo comunista". Teo non comprendeva appieno il significato di quelle frasi ma riconosceva i simboli di quella terribile malattia contagiosa che erano stampati su una insegna di legno vicino ad una bandiera rossa su una porta non distante da casa sua. Teo ne era terrorizzato, se venivano quelli dicevano molti, si sarebbero presi tutto, col falcetto gli avrebbero tagliato le gambe e col martello gli avrebbero spaccato la testa per ficcarglici dentro il tarlo del materialismo comunista. Perciò quando Teo era costretto a passare davanti a quel covo passava sul lato opposto della strada e correva. Questa era stata l'infanzia di Teo. Si fece di nuovo sera al S. Martino ed i ragazzi si avviarono come al solito in fila per due verso la chiesa per il consueto rosario prima della cena. Nel primo mistero glorioso si contempla…. recitava don Matteo mentre Claudio inventava sottovoce una contemplazione erotica blasfema e sacrilega parallela a quella di don Matteo. Teo sentiva, avrebbe voluto tapparsi le orecchie ma non lo faceva per via del prete, lo avrebbe visto e avrebbe dovuto giustificarsi, domandava allora mentalmente perdono a Dio per quello che usciva dalla bocca di Claudio ed arrivava alle sue orecchie ed insisteva su questo punto per far capire bene al Signore che non era colpa sua. Poi ci ripensava, pensava alle scene che aveva sentito descrivere cercava di scacciarle dalla mente perché sapeva che erano peccato mortale e perché gli procuravano turbamento ma quelle si ripresentavano ancor più insistentemente. Il refettorio si trovava al piano interrato. I gradini per accedervi erano bisunti e logori, la luce era bassa come tutte le luci del S Martino. Mentre scendevano Teo ricevette una violenta spinta che lo costrinse a fare i gradini quattro a quattro ed a finire contro il muro per fortuna senza conseguenze. Si girò stringendo i pugni e cercando d'individuare il responsabile ma quelli passavano in gruppo ridendo e fingendo di ignorarlo. Teo dovette soffocare la sua rabbia. Il locale aveva il soffitto alto, in mezzo ad una parete vi era una specie di cattedra rialzata sulla quale prendeva posto il prete che leggeva mentre i ragazzi mangiavano, leggeva con una verga in mano. Di tanto in tanto interrompeva la lettura per invitare al silenzio, un invito perentorio. Molto più spesso abbandonava il breviario aperto in mezzo alla cattedra e scendeva con la verga nella mano destra battendosela leggermente sulla sinistra e camminando in mezzo al refettorio. Nessuno era al sicuro. Teo vide Alfio preso da dietro per il colletto della camicia mentre mangiava, fu strattonato ad alzarsi le posate caddero sul pavimento la sedia si rovesciò, Teo lo vide ricevere due sonori ceffoni, Alfio si tirava indietro e si riparava con le mani ma il prete era più grosso e forte. Picchiava duro, anche con la verga insegnando agli altri che quello è ciò che meritava chi contravveniva alle regole e andava a fumare dietro il muretto del campo di calcio. Alfio non fu la sola vittima né quella sera né le altre. -Meno male che io non fumo- pensò Teo. La sera seguente altri pugni e schiaffi a chi aveva osato farsi tagliare i capelli alla moda dal barbiere. "Stronzo bacherozzo se tocca me lo ammazzo" sibilò Claudio, estraendo dalla tasca un coltello serramanico con la lama lucida che scattava in fuori premendo un pulsante e mostrandolo agli altri sotto il tavolo. -Dio santo con chi me l'ero andata a prendere - pensò ancora Teo. - Mi è andata bene- La sera successiva un violento scapaccione si abbatté improvvisamente anche su di lui colpevole di aver scritto a casa di non potere farlo spesso per mancanza di francobolli perché la rivendita interna era quasi sempre chiusa. Il prete disse che non era vero che questa era un'accusa falsa e allungò a Teo un altro scapaccione. In effetti, il botteghino, una stanzetta di tre metri per tre con qualche cioccolata stantia, un po' di caramelle e qualche francobollo era aperto per un'ora al giorno per circa duemila ragazzi. Teo aveva voglia di piangere più per la vergogna dello scapaccione ricevuto sotto gli occhi di tutti che per il dolore ma trattenne le lacrime. Il prete leggeva la posta in entrata e in uscita. "Tu quanti ne hai trovati?" "Due" "Io tre" "ma io due in un solo fagiolo" "Guardate qua c'è tutta la famiglia" Ormai il trambusto si era sparso per tutto il refettorio. Nella minestra insieme con i fagioli galleggiavano dei vermi ormai lessati dalla cottura. "Non esagerate e state calmi", sono vermi piccoli" minimizzò il prete, "sono come quelli della pasta, non fanno male a nessuno e soprattutto è inutile che lo raccontiate ai vostri genitori". "E il formaggio rancido, e i gli spaghetti ai capelli" "Succede nelle migliori famiglie" rispose il prete. "Succederà a casa tua bacherozzo" bisbigliò ancora Claudio. Alcuni ragazzi si arrangiarono con le scatolette di carne che avevano portato loro genitori previdenti ma Teo ne era sprovvisto e quella sera saltò la cena a piedi pari. Antonio e Fabrizio sedevano vicini nel refettorio, erano amici per la pelle e spesso ignoravano gli esagerati inviti al silenzio del prete così un giorno questi decise di separarli, ordinò ad uno dei due di cambiare tavolo, Fabrizio fu costretto ad obbedire. Di mala voglia scambiò il suo posto con un altro di un tavolo a fianco, allora i suoi vecchi compagni per solidarietà si alzarono tutti per aiutarlo nel trasloco, chi portava la forchetta chi il bicchiere chi il vassoio poi Fabrizio tornò indietro abbracciò l'amico, lo baciò due volte sulle guance, baciò ed abbracciò tutti gli altri compagni di tavolo allo stesso modo, si asciugò lungamente gli occhi con il viso atteggiato ad una smorfia di autentico dolore e si allontanò di un metro agitando il fazzoletto. Quella volta sorrisero tutti anche don Matteo. Giovanni faceva l'assistente, un ragazzo più grande che era stato investito di una piccola autorità per aiutare a mantenere la disciplina. Giovanni saltò giù dal porticato che era rialzato rispetto ad un ampio piazzale nel quale dopo lo studio i ragazzi si allineavano in fila come al solito. Quella sera si decise che il primo e l'ultimo che fossero saltati giù dal porticato per mettersi in fila sarebbero stati eletti i più stupidi della classe. Gli altri erano gia pronti mentre la prima B di Teo tergiversava sotto il porticato ignorando gli appelli di Giovanni. "Teo anche tu?" "ehmmm" "Ma che vi è preso stasera?" continuò Giovanni, "Perché non venite giù?" Nessuno voleva scendere, ma nessuno voleva allontanarsi dal ciglio del gradino perché anche l'ultimo avrebbe ricevuto l'ignominioso riconoscimento. D'un tratto apparve Don Matteo con la solita verga questa volta nascosta dritta dietro la schiena, squadrò i ragazzi ancora sotto il porticato con aria severa e disse interrogativamente: "Mbhè, Cos'è 'sta storia, perché non siete ancora in fila?" "Bacchettate in vista" fece Vito Teo voleva saltare perché le bacchettate lo terrorizzavano ma poi i compagni lo avrebbero sbeffeggiato. All'improvviso Teo vide Agostino e Pino alle spalle del prete prendere la rincorsa abbracciati e spingere violentemente Angelo giù dal gradino. Dopo di lui tutti gli altri saltarono immediatamente Teo in mezzo agli altri. Insieme ad Angelo anche Annibale era risultato il più stupido. Quella sera Agostino e Pino per cena ricevettero due sonore vergate su ogni palmo delle mani e la domenica successiva non si sarebbe usciti perché Angelo cadendo si era fatto male ad un ginocchio. Angelo era un ragazzo del sud buono e riservato, per questo aveva legato con Teo. Abituato a lavori pesanti fin da piccolo, Teo lo aveva capito quando gli aveva stretto la mano dura come un pezzo di legno. Si esprimeva nel suo dialetto e ignorava il significato di alcune parole che i "cittadini" gli rivolgevano. Guardarono insieme sul vocabolario il significato di "abulico" parola con la quale qualche saccente lo aveva definito. Teo lo rincuorò, gli disse che non era abulico era solo troppo buono. Quando Don Matteo sturava le latrine lo faceva con i puniti e con Angelo. Quando c'era bisogno di un favore si chiedeva ad Angelo. Quando c'era da buttare giù qualcuno dal porticato ovviamente si buttava giù Angelo. Quando c'era da prendere in giro qualcuno spesso per il suo dialetto, si prendeva in giro Angelo. Lui sopportava tutto e difficilmente reagiva ma un giorno il professore di fisica con il culto della personalità ed un passato da pugile gli disse in classe davanti a tutti: "Angelo, so che ti fai prendere in giro, io al posto tuo non glielo permetterei li inviterei al campo sportivo uno ad uno e lì…"fece un gesto con la mano aperta. Questa esortazione fu come la molla carica di un fucile ad aria compressa , nell'animo di Angelo, bastava premere il grilletto per far partire il proiettile. E il proiettile partì. Vi era un'ora di ricreazione tra le due ore di studio del pomeriggio e le due serali. Fu durante quest'ora mentre Teo e Angelo giocavano a scacchi che la molla scattò. Si avvicinò Agostino, uno dei responsabili del suo ginocchio ancora malconcio. "E allora quand'è che ci vediamo al campo sportivo"disse sghignazzando "Cuor di leone" e con una spinta alla scacchiera rovesciò tutti gli scacchi. Teo vide una cosa che non aveva mai visto, un lampo di furore negli occhi di Angelo, vide esplodere le energie represse di angherie subite chissà per quanto tempo, vide una belva scavalcare agilmente il banco e lanciarsi come una furia su Agostino il quale cadde sotto il peso di Angelo. Agostino aveva fama di duro ma in quel momento sorpreso dalla inaspettata reazione subiva sdraiato con le spalle sul pavimento ed Angelo sopra di lui. Intervennero i compagni a separarli. Naturalmente Agostino lo minacciò che la cosa non sarebbe finita lì ma Angelo fin quando restò in collegio non fu preso in giro mai più. Tra i tanti ragazzi che animavano la vita collegiale ve n'era uno che chiamavano l'Atomico, correva voce che fosse un mezzo scienziato pazzo. Il suo orologio segnava sempre un'ora diversa da quella vera per conoscere la quale bisognava eseguire un complicatissimo calcolo mentale. Dunque, gli spiegò una volta l'Atomico, si prendeva la stramba ora che segnava il suo orologio, si moltiplicava per due elevato alla meno qualcosa che sapeva solo lui, se ne estraeva la radice quadrata si correggeva il risultato per tenere conto della variazione dell'inclinazione dell'asse terrestre moltiplicandolo per …e poi Teo non lo aveva seguito più. -Costui è da ricovero- pensò L'atomico però era bravo a scuola, in elettronica poi non aveva rivali. Gli piacevano due cose, tutta la scienza e le ragazze. Il suo grido di battaglia era: "Femina scopanda est" che con quel poco di latino che aveva masticato alle medie, lui aveva parafrasato da "Cartago delenda est". Erano tutti fissati col sesso, pensò Teo quando lo conobbe la prima volta, anche lo scienziato pazzo. Era un individuo molto particolare. Raccontava agli altri, che lo ascoltavano affascinati, di come a casa sua avesse costruito una radio a valvole ricetrasmittente che si collegava con amici dell'etere, era radioamatore ma non registrato bensì libero. Diceva che le ragazze nel linguaggio Q dei radioamatori si chiamavano I grecoL. Nella vigna di casa sua aveva lanciato un missile che si era autocostruito e che aveva raggiunto la quota di mille metri e stava facendo esperimenti per un carburante più potente. Aveva anche costruito delle piccole bombe non per fare del male, ma solo per la curiosità di sapere come funzionavano certe reazioni chimiche. Un giorno dimostrò la sua abilità. Chiese agli altri di reperire un po' di zucchero e una scatolina di pastiglie per il mal di gola, "quelle al clorato di potassio" disse, il primo che usciva le poteva comperare in farmacia, unica avvertenza fingere un vero mal di gola altrimenti i farmacisti si sarebbero rifiutati di venderle immaginando l'uso diverso che se ne poteva fare. Così mescolò i due elementi finemente tritati e poi gli diede fuoco in classe da una certa distanza. I ragazzi osservavano incuriositi. Vi fu una violenta fiammata, l'Atomico stesso fece un balzo all'indietro, il muro si era annerito. La stima per la pazzia dell'atomico aumentò. Ora tutti sapevano come costruire una piccola bomba. Un'altra volta diede appuntamento a tutti dietro il campo sportivo là dove molti, sfidando le ire del prete, andavano a fumare. C'era un terreno sabbioso e cretoso leggermente scosceso. L'atomico disse di procurare una scatoletta di carne vuota, un chiodo ed una bottiglia d'acqua, incuriositi i compagni procurarono il necessario per l'esperimento. Giunsero sul posto convenuto l'atomico scelse il punto giusto poi scavò una piccola buca aiutandosi con un coltello da contadino che aveva sempre con se. Versò l'acqua nella piccola buca più volte fino a quando la terra stessa ne fu pregna e non l'assorbì più. Prese poi la scatoletta vi fece un buco sul fondo servendosi del chiodo ed di un sasso, poi la rovesciò sulla buca piena d'acqua ma prima vi fece cadere dentro un pezzo di quello che a Teo sembrava sapone che aveva estratto da una tasca. Ne pressò bene i bordi con altra creta per ottenere una tenuta stagna ma lasciò libero il foro. Prese poi la lunga canna che aveva strappato da un vicino canneto ne aprì l'estremità più sottile e vi incastrò un foglio di giornale appallottolato. Prese poi l'accendino a benzina che faceva parte, come il coltello, della sua attrezzatura portatile, gli diede fuoco, fece allontanare gli altri e lui si avvicinò carponi allungando la canna con la fiamma fin quando non fu sul foro. I ragazzi guardavano sempre più incuriositi, dopo qualche secondo che sembrava che non accadesse niente si udì un bel botto secco, la scatoletta di carme partì a razzo con una traiettoria leggermente inclinata, raggiunse una decina di metri d'altezza e ricadde in mezzo all'erba. I ragazzi erano stupefatti, era vero allora che aveva lanciato missili. L'atomico spiegò poi che quello che a loro sembrava sapone era carburo di calcio, una sostanza che si poteva trovare anche dal droghiere e che mescolata con l'acqua formava acetilene la quale poi esplodeva a contatto col fuoco. - Ma davvero? Questa roba si poteva trovare dal droghiere, le bombe dal farmacista. Teo stava scoprendo un mondo di cose interessanti mai conosciute ed ora vedeva con occhi diversi il professore di chimica , sicuramente lui tutte quelle cose le conosceva. Però se li avesse visti don Matteo ci avrebbe pensato lui a spedirli in orbita come la scatoletta senza carburo ma a furia di calci nel sedere. Si affrettarono a rientrare. Il meglio però doveva ancora venire. l'Atomico pur con gli scarsi mezzi a disposizione era riuscito a modificare due radio a transistor, ne aveva ricavato una trasmittente ed una ricevente, con una portata di qualche metro. I ragazzi ne approfittarono subito per prendere in giro i più ingenui. Con una scusa portavano il malcapitato in un 'aula mentre c'era la radio accesa, dall'aula vicina poi interrompevano la musica e trasmettevano un finto giornale radio dove di solito in un episodio di cronaca nera inserivano nome e cognome della vittima e poi dicevano che era ricercato dai carabinieri. Molti furono coloro che caddero nel tranello con tutte le scarpe prima che l'abilità dell'Atomico fosse nota a tutti, nessuno pensava possibile manomettere le radio a quel modo, ma l'Atomico non per nulla era l'Atomico. Conoscendo queste capacità Teo gli chiese allora come fosse possibile imprimere il proprio nome sul calibro che usavano nelle lavorazioni meccaniche, come quello del professore, affinché potesse riconoscerlo e non potesse essere cancellato. L'Atomico disse che non era niente di più facile bastavano due fili da collegare ad una presa di corrente. Teo procurò i due fili facendoseli portare da casa e si mise al lavoro insieme a lui. All'inizio sembrava possibile fin quando una fiammata più forte delle altre fece scomparire la luce da mezzo collegio. L'Atomico e Teo si spaventarono, tutti cercavano il motivo del corto circuito anche il prete. Fecero sparire l'attrezzatura ma qualcun altro li aveva visti se avesse parlato quella sera avrebbero assaggiato la terribile verga don Matteo. Dopo circa due mesi di scuola, l'Atomico scomparve. A chi lo cercava fu risposto che sarebbe tornato presto. Teo se ne stava in ginocchio su una seggiola appoggiato con i gomiti sul banco a lavorare ad un problema di matematica con quello davanti quando all'improvviso avvertì qualcuno alle sue spalle che cercava di infilare un dito nel suo ano. Scattò in piedi ma quello scappò rimando e scimmiottando i cinesi: "Geloso di culo, flocio di siculo". Teo era preso dallo scoramento e dalla voglia di tornare a casa sua. Aveva cercato di capire tutte le motivazioni con le quali il padre lo aveva indotto ad accettare quella sistemazione ma episodi come questo gli facevano pensare che forse non ne valeva la pena e non era giusto, -cosa poi?- Perché non poteva stare a casa come sua fratello, come sua sorella, perché doveva stare lì. -Per studiare è ovvio- si rispondeva da solo. La riservatezza di Teo era fonte di grande disagio e di vera e propria sofferenza fisica. La mattina durante le lezioni quando Teo chiedeva di uscire per andare in quello che il professore di fisica chiamava "quel luogo là" rifiutandosi di chiamarlo bagno, Teo non ne trovava mai uno frequentabile Le tazze erano alla turca, ce n'erano otto ma quattro o cinque erano solitamente piene fino all'orlo di acqua putrida, nauseabonda con cartacce galleggianti, schifose persino da guardare. Qualche altra era vuota ma aveva residui di sterco umano attaccati fin sulle pareti. L'unica possibile a patto di tenersi abilmente equidistante dalle pareti e dalla porta aveva il chiavistello rotto. C' erano altri bagni nello stabile ma tutti nelle stesse condizioni se non peggiori. Il pavimento antistante a mosaico era perennemente bagnato e tappezzato ci cicche di sigaretta. L'ambiente tutto era pieno di fumo. -Aveva ragione il professore a chiamarlo "quel luogo là".- Teo tornava in classe senza essersi potuto liberare e così aspettava la sera per andare nei bagni della camerata più puliti ma la sera era ancora molto lontana. Così Teo sopportava, sopportava. Faceva freddissimo quella mattina di Gennaio, in terra stazionava neve e ghiaccio I ragazzi si recavano a colazione come al solito in fila per due, ridevano e scherzavano, ci sarebbe stata lezione tra poco e Teo ben preparato contava di prendere un bel voto per poterlo raccontare ai suoi la domenica quando sarebbero venuti a trovarlo, sarebbero stati contenti, perciò era allegro e saltellava come tutti per scaldarsi un po', nemmeno gli sembrava di essere più in un collegio. La neve aveva alterato l'estetica del luogo e ne aveva ovattato i rumori. L'assistente maggiore, un prete senza tonaca pazzo, un signore che in cambio di quel lavoro riceveva vitto e alloggio, non era mai allegro e di ciò si vantava. All'improvviso colpì con un sonoro schiaffo il primo che capitò, senza un motivo apparente, forse perché era stata lanciata una palla di neve, poi lo colpì ancora con pugni e calci, senza più controllarsi perché quello aveva osato accennare ad un gesto di reazione, gli torse un braccio dietro la schiena e lo trascinò via intimando loro di stare zitti e fermi in fila " Senza battere i piedi" urlò congestionato. Tutti si guardarono in faccia allibiti qualcuno bisbigliò un'imprecazione al suo indirizzo, per sua fortuna così piano da non poter essere udita da lui. Teo aveva perduto l'allegria ed era rientrato in collegio. "Avanti spogliatevi e preparatevi per la doccia " disse il prete aprendo la camerata. Si spogliarono indossarono il pigiama come facevano una volta alla settimana. Teo si coprì con l'asciugamano anche la testa e con le ciabatte ai piedi insieme agli altri uscì all'esterno incontro all'inverno gelido. Fecero un ampio giro sotto il porticato cercando di affrettare il passo per via del freddo. Le docce infatti si trovavano nell'altro lato dello stabile, anch'esse come la mensa in un piano seminterrato. Vi si accedeva attraverso una stretta e sudicia scala. Li , se era il caso, e lo era spesso, si aspettava che finisse il turno precedente. Il vapore che saliva dalle docce creava una specie di nebbia che insieme agli schiamazzi dei più irrequieti rendeva l'ambiente infernale. Teo badava che non gli pestassero i piedi praticamente nudi come era successo l'ultima volta, che non lo colpissero con l'asciugamano usato a mo' di frusta come la volta precedente ancora, che non… Teo sognava il bagno di casa sua. L'ultima volta che avevano fatto la doccia si era dovuto prima prosciugare il locale intero dall'allagamento che ci era stato la notte a causa di un temporale. A questo avevano provveduto gli stessi ragazzi e don Matteo. Questi si era rimboccata la tonaca e con un secchio raccoglieva l'acqua che i ragazzi con un passa mano gettavano all'esterno. Teo ricordava che il secchio con l'acqua dopo le prime volte era diventato pesantissimo. Questa volta l'allagamento non c'era. Era il loro turno. Su una panca di legno i ragazzi lasciavano la biancheria. Teo era imbarazzato ogni volta perché lì doveva liberarsi completamente del pigiama e anche delle mutandine come facevano tutti gli altri per di più davanti al prete. Teo stava attento ad approfittare del fatto che almeno il prete voltasse le spalle ma anche a non tergiversare troppo e a fingere noncuranza altrimenti i compagni lo avrebbero schernito. Il prete intanto manovrava i rubinetti delle docce e guardava divertito. Claudio, Vito erano perfettamente a loro agio nudi come vermi. Teo nudo si sbrigò ad entrare nella prima cabina vuota. Ve ne erano una decina, tutte senza porta. Dal soffitto pendeva una cipolla e sotto i piedi vi era una pedana di legno resa viscida dall'uso e dal tempo. Mentre il primo si scottava, l'ultimo della fila urlava "è gelata", il prete all'esterno s'ingegnava per regolare il flusso dell'acqua ma dopo un po' gli urli s'invertivano. Il percorso di ritorno, se possibile, era peggiore di quello di andata perché ora i ragazzi avevano anche i capelli bagnati ed era possibile asciugarli soltanto in camerata. Enrico era ripetente due volte e perciò ben più grande degli altri, in più aveva un fisico alto asciutto, faceva molto sport ed era muscoloso, insomma non arrivava a diciott'anni ma ne dimostrava ben di più, era pure biondo e belloccio benché la sue movenze fossero giudicate da tutti un po' effeminate, ma forse era solo invidia nei suoi confronti. Dunque si era giunti agli inizi della primavera e di tanto in tanto il prete faceva pulire a fondo le aule della scuola. Si portavamo fuori tutti i banchi, la cattedra, gli armadietti e poi si spazzavano i pavimenti e si lavavano. Quel giorno Teo era addetto alle pulizie interne, tutti gli altri pulivano i banchi nel cortile era una specie di piccola festa. Enrico entrò in aula, erano soli, cominciò a fargli i complimenti per come scopava bene, disse che gli pareva proprio una brava donnicciola di casa. Teo fece finta di nulla e continuò a spazzare. Enrico gli si avvicinò gli diede un buffetto e gli disse: "E dai, non si può scherzare". Teo non disse nulla e lui continuò con una piccola spinta. "E dai" continuava "E sorridi" . Oltre le spintine adesso si erano aggiunti anche dei piccoli gesti di solletico su tutto il corpo , Teo si difendeva dal solletico con le sue braccine esili, ma lui era più veloce e adesso non si limitava alle parti superiori del corpo, adesso, ogni tanto qualche solletico arrivava anche alle parti basse del corpo anzi a Teo non sembrava più nemmeno tanto solletico. Fece per sgusciare ma lui lo costrinse in un angolo, e bloccò ogni suo tentativo di fuga con un braccio intorno alla vita. Lo aveva preso da dietro. Teo si divincolava, Enrico gli alitava forte sul collo, un alito caldo, respirava affannosamente, ogni tentativo di Teo di sottrarsi alla sua poderosa stretta era vano, il suo braccio robusto e nerboruto era enormemente più forte di Teo, lo sollevava da terra. Teo avvertì chiaramente il suo suo sesso duro contro il fondo della sua schiena , non strillava, non ne era mai stato capace, e poi cercava di battersi come un uomo, non come un bambino che chiama la mamma. Ora sentiva il suo dito medio che tentava di penetrarlo attraverso la stoffa dei pantaloni e delle mutandine, e c'era anche riuscito per un po', avrebbe sicuramente lacerato la stoffa se alcuni rumori di voci e passi che si avvicinavano non lo avessero fatto desistere dall'insano proposito. Enrico era rosso in faccia, respirava forte e lo guardava. Teo vedeva una specie di animale insoddisfatto con gli occhi rossi e lucidi. Abbassò il capo per nascondere le lacrime mentre Enrico gli diceva: "mica ti sarai offeso?" Teo non rispose scappò all'esterno a lavare i banchi con gli altri. In seguito Teo evitò sempre qualsiasi rapporto con lui. Avrebbe voluto raccontare a qualcuno la sua avventura ma a chi? Al prete? Enrico si sarebbe difeso dicendo magari che era stata colpa sua, col risultato alquanto probabile che avrebbe castigato, magari anche con la verga, tutti e due perché avevano offeso Dio con il loro comportamento. Ai suoi compagni sicuramente no, perché aveva paura che lo prendessero in giro col solito ritornello col quale lo avevano già canzonato. Ai suoi genitori? Neanche a pensarci , a casa sua non era mai volata nemmeno una parola sconveniente, era più facile sentir parlare il prete in chiesa di sesso che suo padre a casa, così Teo si tenne il suo segreto. Ben presto però il vizietto di Enrico era sulla bocca di tutti, evidentemente qualche altra vittima era stata più loquace di Teo. "Se la fa anche coi preti" era una frase ricorrente. Nessuno sapeva se fosse vero o no ma Enrico era il solo che avesse sempre soldi in tasca. Venne la domenica, vennero i suoi genitori come quelli di molti altri. La mamma lo baciò e lo accarezzò a lungo ripetendogli "come stai" Teo rispondeva sempre "bene" E lei "ma ti sei smagrito" "ma no, è l'impressione, sono questi pantaloni larghi". " Ma ti fanno mangiare?" " Certo" "E' buono? " " Si ma', è buonissimo" "E gli amici" disse il padre, "ti sei fatto degli amici "Certo sono tutti molto buoni con me". Teo pensò che anche se dette a fin di bene queste bugie andavano confessate il prossimo sabato. Suo fratello correva per il prato antistante il collegio mentre sua sorella lo inseguiva allegramente, Teo li osservò si divertivano spensieratamente, poi loro non sarebbero dovuti rientrare tra quelle mura, lui si. Prima di lasciarlo presero la sua biancheria sporca gliene lasciarono di pulita insieme ad una torta, un salame, alcune scatolette di carne, e una grossa busta di fave "per te ed i tuoi amici" dissero. Poi si salutarono la mamma lo baciò di nuovo più volte, poi baciò il fratello piccolo, la sorella ed infine il padre. Teo aveva le lacrime agli occhi ma non voleva farsi notare così mentre il padre si avvicinava lui finse di stringere i lacci delle scarpe, prima una poi l'altra ma poi doveva alzare il viso, tornò sulla prima quando il padre commentò "Questi antipatici lacci eh." Teo deglutì e lo abbracciò rapidamente gettando il viso oltre la sua spalla. Lui disse "E' già maggio tra poco la scuola finisce e torni a casa". "Certo" La vecchia seicento stentò un poco a partire quasi interpretando i pensieri di Teo ma poi si mise in moto. Teo la guardò allontanarsi, vide suo fratello e sua sorella agitare la manine dal vetro posteriore, al sicuro protetti da quell'involucro di lamiera e vicini ai loro affetti. La seguì con lo sguardo fin quando diventò piccola e poi scomparve dietro una curva. Teo restò ancora un po' a guardare la scia di fumo che aveva lasciato. L'aula di scuola fungeva anche da soggiorno, da luogo di ritrovo e così Teo portò le fave e le altre cose in classe le appoggiò sul banco le avrebbe divise con i compagni di tavolo quella sera stessa a cena. Dunque era iniziato il mese di maggio. La novità era che quel mese, diceva don Matteo era dedicato alla madonna, era detto il mese Mariano appunto. Oltre il solito rosario ed il tantum ergo serale adesso si era aggiunta una preghiera particolare alla madonna. Prima di questa però don Matteo leggeva sempre una piccola storia diversa ogni sera, era un racconto che a Teo piaceva. Una volta lesse che in un villaggio senza luogo e senza tempo, un uomo dissoluto che stava molto male aveva presagito di morire, preso dal rimorso per i suoi peccati si era raccomandato alla madonna e costei gli aveva dato la forza per alzarsi e andare a confessarsi. Il prete del villaggio svegliato in piena notte non voleva acconsentire diceva all'uomo di aspettare l'indomani che sarebbe stato lo stesso ma l'uomo aveva insistito e così il prete indossata la sacra stola l'aveva confessato. L'uomo era morto appena tornato a casa ma si era presentato al cospetto di Dio con l'anima pulita Grazie alla madonna. Altre volte erano storie di santi che avevano combattuto un bruttissimo mostro che poi era il demonio e avevano vinto la battaglia con l'aiuto della madre celeste e del crocefisso che tenevano nella mano. Il prete insisteva poi sul fatto che il diavolo non sempre si presentava sotto forma di orribile mostro ma a volte anche con sembianze molto aggraziate per far cadere facilmente in tentazione. Teo pensò alla prof d'inglese, che fosse il diavolo mascherato? Una di quelle storie raccontava di tal Domenico un ragazzo santo che pur nel gioco non dimenticava mai di salutare la sua amica Madonna. Di quando in quando diceva dunque don Matteo, passava in chiesa e si rivolgeva alla statua , parlava con lei e poi la salutava solitamente con "ave Maria". Così avvenne che una sera Domenico, avendo salutato Maria al solito modo, fece per uscire dalla chiesa quando la statua rispose :"Ave Domenico". Don Matteo aveva spalancato gli occhi e fatto una pausa. Un brivido aveva percorso la schiena di Teo. Poi tutti erano andati a cena. Pioveva a dirotto. "Teo, e le fave?" era Giovanni "Le ho lasciate in classe" "Bravo!" "E adesso?" "Valle a prender fa svelto" " E se mi vede don Matteo?" "Non ti preoccupare ti copro io,passa all'interno, fuori piove." Teo Salì la bisunta scala del refettorio, due gradini alla volta, imboccò un corridoio semibuio poi una porticina e cominciò a trasalire, il suo passo si faceva meno certo, il suo cuore accelerava, non si vedeva anima viva, e già stavano tutti a mangiare, preti compresi. I lampi illuminavano sinistramente il lungo corridoio dalle finestre semiovali e le distorte e rapide proiezioni delle inferriate sulla parete opposta erano stimoli formidabili alla sua fantasia per creare orrendi mostri infernali evocati dai racconti di don Matteo. Lì vincevano sempre i santi ma Teo non si sentiva un santo tuttavia si fece il segno della croce più volte. Al rumore che ne seguiva , Teo chiudeva gli occhi e si raccomandava l'anima. Proseguì ma d'un tratto un pensiero lo fulminò come uno di quei lampi, avrebbe dovuto attraversare la chiesa, no, la chiesa no, basta voleva tornare indietro, ma poi cosa avrebbe raccontato ai compagni che aspettavano? all'assistente, a Claudio, che aveva avuto paura? Lo avrebbero deriso per l'eternità. -Accidenti alle fave- pensò, -accidenti a loro, ma perché me le hanno le portate!- Ci doveva andare, si fece animo. Quando però la fioca illuminazione delle rare lampade ad incandescenza sparì del tutto in seguito ad un fortissimo tuono, si appoggiò al muro, aspettando che tornasse la luce o di morire. -Se passa qualcuno che come me per qualche altra ragione sta andando da qualche altra parte e mi sfiora- pensò- ci resto secco e forse anche lui-. Provò a chiamare un nome insensato, uscì solo una specie di rantolo che peggiorò la situazione. Non morì, quando gli occhi si furono abituati al buio pesto si accorse che proprio così non era. Da una porta chiusa filtrava un sottile e debole filo di luce così guidato si diresse verso di essa la aprì era in chiesa. Quattro candele spandevano una tenue luce rossastra e tremolante, tremavano le ombre dei banchi per terra, tremava l'ombra della madonna sul muro, tremava lui senza potersi controllare. Sarebbe stato un grave peccato di superbia, come don Matteo non si dimenticava mai di ripetere, attraversare la chiesa senza genuflettersi e salutare con devozione, ma in quel momento ricordando il racconto di Domenico, Teo pensò: "E se la Madonna mi risponde?, se mi risponde?" -Ma poi se anche dovesse accadere, perché averne paura,- si disse, - in fin dei conti è la madonna, mica il diavolo e lei è buona. -Si però.._ Pregò ancora una volta Dio ma poi pensò che forse era inutile, Lei, la Madonna, faceva parte della famiglia e se avesse voluto parlargli l'avrebbe spuntata Lei non certo Teo con la sua preghiera. -Pensieri ridicoli- si disse. Fece una rapida mezza genuflessione evitando di guardare la statua e sgattaiolò via. Era adesso dall'altro lato della costruzione, la luce per fortuna, era tornata. Quella era la parte più nuova del S. Martino, le lampade erano al neon, le finestre non sapevano di convento, tornò al tavolo, passando all'esterno, non pioveva più, non sapevano i suoi compagni quanto gli era costato andare a prender le fave, ma Giovanni scherzò sul suo colorito pallido. Le orecchie di Teo non erano proprio aderenti alla testa e le loro dimensioni non passavano inosservate. Con il taglio di capelli imposto poi… Così erano spesso prese di mira dai compagni che nell'intervallo tra l'ingresso di un professore e l'altro non trovavano di meglio per ingannare il tempo che schioccargli dei colpi secchi con il dito medio della mano caricato a mo' di molla contro il pollice. Teo quindi si girò di scatto con una mano sull'orecchio colpito ma come al solito il responsabile si nascondeva abilmente tra gli altri fingendo indifferenza.. Teo dopo la lezione ricevuta da Claudio aveva paura di sbagliare prendendosela magari con chi non c'entrava niente così rivolto a tutti disse "cretini", ma quelli continuarono a sghignazzare tra di loro e allora Teo gridò "Stronzi". Si sorprese, Teo aveva detto una parolaccia, Teo. Era venuta spontanea. Ora si sarebbe dovuto confessare altrimenti se fosse morto improvvisamente, come quello del racconto, sarebbe andato all'inferno. Forse proprio all'inferno no, perché una parolaccia era un peccato veniale ma comunque due o trecento anni di purgatorio non glieli avrebbe tolti nessuno. Teo era angosciato. Poi prese a ragionare: -Ma se io vado in purgatorio per una parolaccia Claudio dove andrà?- -Oppure quanti secoli di purgatorio dovrà scontare?- Però continuava la riflessione questi grandi peccatori spesso si pentivano e alla fine diventavano pure santi come era accaduto a Jacopone da Todi che oltretutto, gli aveva raccontato il prete, aveva anche scritto un bellissimo "stabat mater". Teo non si sentiva cattivo ma nemmeno tanto buono. Gli sembrò allora che anche nella grande cattiveria c'era però il segno di un carattere deciso, allo stesso modo che in una grande bontà. Lui non era né l'uno né l'altro. -Chi sarò mai io-si disse. -Un padre Cristoforo o un don Abbondio- a rifletterci bene si sentiva più simile a quest'ultimo anche se faticava ad ammetterlo.
Teo (2a puntata)
Il quinto metacarpo |