Racconti di Annarosa Ceriani


Home page  Lettura   Poeti del sito   Racconti   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche

 
Annarosa Ceriani nata a Milano il 05/05/1962.
Sposata dal 1985 e madre di due figli (Giulia di 21 anni e Cristiano di 18 anni)

Titoli di studio ed esperienze lavorative
Diplomata presso l'Istituto Magistrale P.Secco Suardo nell'anno 1979
Specializzata presso l'Università Cattolica di Milano per l'insegnamento ai bambini portatori di handicap nel 1982 in particolar modo i bambini autisici.
Attualmente insegnante presso la scuola in ospedale nel reparto oncologia e trapianti pediatrici degli Ospedali Riuniti di Bergamo.

Hobby e interessi
Il principale interesse è la scrittura, sotto varie forme : dalla narrativa, alla poesia,ai diari di vita e di viaggio, ma soprattutto alla corrispondenza epistolare, vera e propria passione.
Amo quasi tutti i generi di musica, il teatro e il cinema, ma adoro anche fare shopping e uscire con gli amici.


Leggi le poesie di Annarosa

C'era una volta
Ciao,
te ne stai lì, immobile e bellissimo,coperto appena dal sottile lenzuolo bianco , reso ruvido dai ripetuti lavaggi e sterilizzazioni e pare che tu stia dormendo.
Sarebbe bello se fosse così, se tu davvero stessi sognando ed io potessi svegliarti, appoggiando delicatamente la mia mano sul tuo braccio diafano e premendo appena. Apriresti gli occhi, ancora perso nei sogni e ti gireresti su un fianco, subito assopito di nuovo, per nulla intenzionato a staccarti dalle braccia dell'oblio. Ed ancora tornerei a scuoterti, con più forza, magari chiamando il tuo nome , per entrare nel tuo sonno e costringerti a tornare nel mondo reale. Quante volte abbiamo fatto questo gioco?
Quante volte abbiamo continuato a stuzzicarci: io sempre più decisa ad interrompere quella tua lontananza improduttiva e tu sempre più ostinato nel voler rimanere ostile alla giornata che si imponeva, con le sue mille cose da fare.
Eppure sapevamo entrambi che avrei vinto io, che sarebbe arrivato il momento in cui avresti dovuto cedere, aprire gli occhi e smettere definitivamente di dormire,. Sapevamo tutti e due che ti saresti alzato,vestito, che avresti divorato la colazione fingendo di essere arrabbiato e di non avere fame, per poi uscire di casa e affrontare il mondo, con tutta l'arroganza e la spavalderia dei tuoi diciassette anni.
Ecco, sono sempre qui : aspetto che tu ti svegli.
Allungo la mano per toccarti, ma esito, perché quasi non c'è più spazio sulla pelle, tormentata da cerotti ed aghi, da cui partono lunghi fili trasparenti, quasi estensioni di te.
Chiamo piano il tuo nome, e non alzo la voce, quasi temessi di non udire più i piccoli rumori delle macchine a cui sei legato e che mi confermano ogni cinque secondi che il tuo cuore non ha smesso di battere. Allora appoggio le dita sui tuoi capelli sparsi sul cuscino, vorrei poterti udire che brontoli, come fai sempre quando ti tocco la testa, perché ti dà fastidio quel gesto di tenerezza materno e ti preoccupa il fatto che possa rovinare quel tuo look, che curi così tanto ogni giorno.
Ma solo il silenzio mi risponde, i tuoi occhi rimangono chiusi,il volto sereno ma immobile.
Vorrei tanto che ti svegliassi e buttassi giù dal letto quelle tue gambe troppo lunghe per essere aggraziate,ma ,amore mio, questa volta non sono sicura di vincere, perché, per quanto io ti scuota e gridi il tuo nome, tu non apri gli occhi.
Da mesi ormai.

Mi ha detto il medico che dovremmo provare a raccontarti qualche cosa di interessante,: magari potresti tornare da noi.
Ha detto, con la sua voce pacata e gli occhi cerchiati per le ore passate in sala operatoria,che ciascuno di noi potrebbe provare a scrivere qualcosa e poi leggertelo, o registrartelo e fartelo ascoltare con gli auricolari." qualcosa che lo interessi" mi ha detto"qualcosa che lo stimoli".
Mi è sembrata un'ottima idea : sei un ragazzo curioso e senza dubbio vorrai sapere qualcosa che non conosci ancora! Mi sono subito entusiasmata per questo suggerimento : finalmente qualcosa da fare per te, qualcosa che non sia stare qui seduta a fissare il tuo viso e modulare il mio respiro con il tuo.
L'ho detto a papà e alle tue sorelle, ho detto loro di pensare a qualcosa di "forte" da raccontarti.
Non so se anche a loro sia sembrata un'idea così sensazionale come è apparsa a me, ma non importa, so che faranno del loro meglio.
Così, mi sono seduta in corridoio, ho passato un bel po' di tempo ad osservare l'andare e venire delle infermiere, l'affaccendarsi dei parenti,la fatica delle inservienti. Ho pensato di raccontarti cosa accade fuori dalla tua stanza, così magari ti sarebbe venuta voglia di dare un'occhiata e saresti sceso dal quel letto per verificare di persona le mie parole, a cui, certamente come sempre non avresti dato tanto credito.
Avrei potuto descriverti come è fatta quell'infermiera dal passo veloce e leggero, che passa sempre a metà pomeriggio e non entra mai nella tua camera. E' molto bella ,sai? I capelli corti e scuri, gli occhi grigi e le mani lunghe e magre, sempre occupate a reggere qualcosa. A volte ho pensato di fermarla quando passa, di chiederle di entrare nella tua camera e vedere come sei bello. Ho pensato che si perde qualcosa non conoscendoti e passandoti così vicino ogni giorno. Lei cammina svelta e oltrepassa la tua porta, non sapendo quale tesoro è celato all'interno.
Ti piacerebbe conoscerla? Come fai a saperlo? Non l'hai mai vista!
Ecco, allora svegliati sciocco, svegliati e vieni sulla porta quando senti in lontananza il rumore veloce degli zoccoli.
Corri , prima che lei se vada oltre e chiamala.
Forza..., non ti ho fatto venire voglia di conoscerla?
Forza, sta arrivando.
Veloce è qui davanti.
Alzati, svegliati..
E' passata, se n'è andata e tu non l'hai fermata.

Non era questa la storia che aveva in mente il medico .
Ho sbagliato io tesoro.
Ti ho raccontato una storia che non ti interessa.
Devi essere stufo di ospedale e non hai avuto avuto proprio nessuna voglia di svegliarti per un racconto simile.
Allora mi sono ricordata che , sin da piccolo, ti piacevano le fiabe, quelle non del tutto inventate, però, quelle con un po' di verità nascosta fra le parole di fantasia.
Da bambino ti incantavi davanti ai racconti del nonno, quelli sulla guerra e sulla sua infanzia. Capivi che lui ingigantiva un po' le situazioni, intuivi che magari le cose che ti raccontava forse non erano esattamente quelle accadute nella realtà, ma sapevi che c'era molto di vero in quelle parole e ti immaginavi mondi diversi da quello a cui eri abituato. Ascoltavi in silenzio, mai fermo però dato che per te è sempre stato impossibile mantenere la stessa posizione per più di cinque minuti, e si vedeva che seguivi il racconto, disegnando nella tua mente strade mai viste, volti mai conosciuti eppure diventati reali,attraverso il racconto del nonno.
Crescendo ti sei perso nei libri di avventura prima, di fantasy poi ed infine di storia.
Leggevi avidamente pagine e pagine di romanzi storici ( guai, però a leggere un brano assegnato a scuola) e poi approfondivi ,cercando su internet altre notizie.
Alessandro Magno, Giulio Cesare, Le crociate e poi le guerre mondiali, erano per te mondi da scoprire e capire, fino a fondersi con il reale che ti circondava ogni giorno.
Ecco, allora: ho deciso cosa ti racconterò.
Ti narrerò un pezzo di me, quella parte che tu non conosci, perché si è svolta prima che tu nascessi e ancora non ti comprendeva.
Sì,la storia che ti racconterò sarà quella della tua mamma prima di essere la tua mamma ed inizierò come ogni storia che si rispetti
" C'era una volta:"

C'era una volta una ragazza con molti,molti sogni, nessuno dei quali pareva impossibile da realizzarsi.
La ragazza era incredibilmente magra, di una magrezza che la rendeva poco attraente e che gli altri non mancavano di sottolineare, definendola "sacchetto di ossa".
Aveva lunghi capelli ondulati, sempre così difficili da domare e grandi occhi di uno strano colore, che mutava con il cambiare del tempo ; grigi quando pioveva,verdi quando c'era il sole.

Anche i tuoi occhi sono così grandi,vero? Però hanno un bel colore nocciola, me lo ricordo benissimo ,anche se non me li fai vedere da così tanto tempo.
Mi mancano i tuoi occhi amore, se fingo di non ricordarmi più il loro colore , me li mostri? Facciamo finta che me li ricordi blu, vuoi perdere l'occasione di smentirmi? ......
Va bene, vuoi lasciarmi nell'errore. Forse è il tuo modo di farmi un dispetto.

Insomma questa ragazza era un po' particolare, l'avrai capito, era diversa dai suoi coetanei e per questo aveva una vita un po' turbolenta. Quando raccontava i suoi progetti per il futuro, come andare lontano per aiutare chi non aveva nulla tranne la sofferenza, i suoi amici ridevano e scuotevano il capo.
Se parlava di quanto fosse bello scrivere poesie su candidi fogli di quaderno, le altre ragazze annuivano e poi la ignoravano, parlando fitto fra loro di trucchi e vestiti.
Allora lei si adeguava, metteva a tacere quelle fantasie, che le parevano in realtà bellissime, e si avvicinava ai gruppi di ragazze durante l'intervallo, riusciva a farsi invitare alle feste, andava per negozi e cercava di vestirsi alla moda.
Allora gli altri la ascoltavano, chiedevano persino il suo parere su come vestirsi o quale colore usare come ombretto e la ragazza pensava che tutto questo avrebbe dovuto renderla felice, che si sarebbe dovuta sentire soddisfatta, piena di amiche e persino con qualche "fidanzato".
Ma la ragazza non era felice.
Non lo era affatto.
Le mancavano i suoi libri, con quelle magnifiche parole danzanti sulle righe. Le mancavano le conferenze i seminari, in cui udiva pensieri potenti,capaci di superare il tempo e lo spazio.
Alla ragazza mancavano i propri sogni,tesoro mio e non riusciva più a fingere di essere quella che non era.

A proposito: cosa stai sognando? Deve essere qualcosa di bellissimo se lo vuoi tenere con te per così tanto tempo! Svegliati per un momento, tesoro e raccontami di cosa stai sognando: in che luogo ti trovi?
Sei solo o in compagnia?
E com'è il tempo?
Dimmi solo qualcosa e poi potrai tornare a sognare.. solo qualche frammento del tuo mondo....un pochino.
Non ancora..?
Aspetterò.


Dunque, ti dicevo che la ragazza non era contenta e decise di cambiare vita.
In quegli anni cresceva la protesta politica fra gli studenti e quel fermento di cambiamento sociale piacque molto alla ragazza.
Ci vedeva la soluzione a tutte quelle ingiustizie che da sempre la facevano arrabbiare ed era affascinata da quei ragazzi e dai loro discorsi appassionati sull'uguaglianza,la parità,la solidarietà. Decise di scendere in piazza al loro fianco : finalmente poteva parlare per ore ,assaporando il gusto pieno dei discorsi e poteva ascoltare idee meravigliose,immaginando futuri di pace e giustizia.
Lasciava che i capelli cadessero liberi sulle spalle,fermandoli con una fascia colorata sulla fronte e si vestiva con lunghe gonne a fiori e larghe camicie di lino. Andava a braccetto con altre ragazze e ridevano per la strada, camminando spedite, i piedi avvolti in sandali di cuoio, con informi borsone di stoffa colorata lungo i fianchi.

Si sentiva contenta la ragazza.

Finalmente poteva condividere i suoi sogni per un mondo migliore con qualcuno che non ridesse di lei.
Aveva amiche che, come lei si sentivano fiere di essere donne e si confrontavano alla pari con i loro coetanei maschi. Partecipava ad assemblee in cui si parlava di progetti per migliorare la società,; manifestava in cortei di protesta accanto a giovani pieni di speranza e passava il proprio tempo libero fra scuola, volantini e volontariato.

Sì, volantini e manifestazioni. Come quelle a cui partecipi tu buttandomi in faccia le tue proteste,le tue insoddisfazioni. Quante volte mi hai detto che vi abbiamo dato un mondo che fa schifo e che era penoso il mio modo di vivere, borghese e meschino.
E' per questo che te ne sei andato dal mio mondo?
E' per questo che non vuoi tornare?

Scusa se non ho capito, scusa se non ti ho ascoltato.

Non c'è bisogno che tu te ne stia lì così immobile e lontano: ora posso capire. Parlami e raccontami cosa non ti piace di quello che ti ho offerto,possiamo trovare il modo di capirci, senza che tu debba startene così offeso.
Abbiamo litigato così tante volte per i tuoi vestiti così "alternativi" .per i tuoi capelli rasta e le tue mille opposizioni. Forse ti sei sentito solo, forse è per questo che tieni gli occhi chiusi, la bocca serrata.
Svegliati amore e ti ascolterò.
Ti ascolterò come non ho mai fatto e come tu mi hai chiesto tante volte.

Svegliati,ti prego , perché tu sei stato e sei il mio sogno più grande,quello più prezioso. L'unico a cui non potrei mai rinunciare.

Sei arrivato dopo le manifestazioni, il cui vigore si è perso nei tunnel della droga e della violenza.
Sei arrivato dopo la laurea, presa con caparbietà in quella facoltà per bambini disabili,che ho voluto fare contro il parere di tutti.
Sei arrivato grazie all'incontro con tuo padre, che ha rappresentato altri e nuovi progetti di vita,da costruire in due, da condividere ogni giorno.
Le gonne a fiori sono state riposte in un angolo del cuore,i capelli tagliati e composti in una pettinatura più pratica.

Tu non hai visto la ragazza che sono stata, amore mio, hai conosciuto la donna che ti ha tenuto fra le braccia appena sei venuto al mondo e pensi che sia sempre stata così.
Non sei ,almeno un pochino curioso ora?
Non ti ho fatto venire voglia di continuare ad ascoltare il mio racconto?
Tu che ami tanto i mondi che non conosci e che puoi soltanto immaginare: non hai voglia di esplorare il mondo misterioso ed inaspettato?
Il mio mondo ad un certo punto si è incontrato con il tuo, amore, e non è mai più stato lo stesso.
Quando sei uscito da me ho subito voluto vederti,vedere chi fosse il proprietario di quei piedi e di quei gomiti così appuntiti , che mi davano colpi poderosi e non mi avevano lasciato dormire per le ultime settimane.
Gridavi così forte!
Riempivi l'aria con la tua voce e lo spazio della culla pareva non ti bastasse tanto lo occupavi con continue capriole e calci.
Ti sei imposto al mondo, tesoro, ti sei accomodato nella vita e hai subito provato a spazzare via quel che già c'era, per disporre in bella mostra ciò che ti portavi.
Se avevo dei progetti su di te, li ho messi da parte in tutti questi anni, per far posto ai tuoi sogni.
Se avevo delle offerte da proporti le ho riposte in fondo al cuore, per lasciare che le tue fantasie trovassero luce.
Ho avuto fiducia nei tuoi "domani", anche se tutti mi dicevano che erano troppo fragili; ho seguito il filo aggrovigliato dei tuoi desideri, anche se incontravo solo dei grandi nodi che impedivano il cammino. Ho lasciato che tu fossi ciò che desideravi essere, ma tu non hai mai voluto spiccare il volo.
Sei rimasto inchiodato ai se ai forse.
Hai lasciato che i tuoi "dopo" oscurassero i tuoi "ora" e ti sei arrabbiato con il mondo , anziché con te stesso.
Ci siamo azzuffati,insultati ritrovati e a volte capiti, ma non ti ho mi visto felice.

Non con me.
Non nel mio mondo.

Ma altri mi hanno detto che sorridi in modo meraviglioso e che la tua risata risuona a lungo, piena e spensierata.
Qualcuno mi ha raccontato che parli entusiasta di un futuro da costruire e che il tuo sguardo si illumina, andando oltre il presente.
Dicono di di te che sei un amico meraviglioso, un compagno tenero e attento,persino un amante dolce e premuroso.
Quindi tu SEI amore, Tu SEI DIVENTATO, lontano da me, fuori al mio amore.

Allora ora tocca a te tesoro mio :parlami di ciò che sei e di ciò che io non ho mai conosciuto.

Il mio racconto si ferma quando tu hai chiuso gli occhi , le mie parole tacciono dal momento in cui la tua voce si è fatta silenzio e non so che altro fare se non stare qui seduta ad aspettare.
Io ti ho raccontato di me, di un mondo che non hai conosciuto, ora fai lo stesso. Raccontami di te, di ciò che hai dentro e che ti sei tenuto nascosto.
Vedi? Siamo solo noi due in questa stanza ormai buia e fredda.
Io, te .
Il rumore delle macchine che ti tengono in vita ed i nostri cuori.
Al di là di tutto, al di sopra del nulla.

Me ne starò su questa sedia per tutto il tempo che vorrai ed aspetterò, amore mio,non ti lascerò solo, coperto da quel lenzuolo bianco e ruvido.
Perché io sono la tua mamma , tu sei parte di me e ci sarò sempre, con i miei sogni di ragazza , le gonne a fiori, i sandali di cuoio e gli occhi che cambiano colore, con il mutare del tempo.



Ciao,
sono tuo padre.

In verità non so proprio cosa dirti.

Non ho mai saputo cosa dirti.

Ed infatti ci siamo parlati davvero poco io e te.
La mamma mi ha chiesto di scrivere qualcosa e così ci sto provando. Beh, sai che fosse dipeso da me non avrei scritto nulla, ma la mamma è arrivata con un sorriso, dopo tanto tempo in cui la vedevo solo piangere e mi ha parlato dell'idea del medico di raccontarti qualcosa, per vedere se poteva interessarti e farti svegliare.
Lo faccio per la mamma, dunque, anche se dubito che ne uscirà qualcosa di buono.
D'altra parte fra te e me il legame è sempre stata la mamma.
Lei è il ponte che ci permette ogni tanto di incontrarci, lei è il filo che ci mantiene legati e solo attraverso lei possiamo parlarci senza vergognarci, senza sentirci imbarazzati.

Però qualcosa è cambiato.
Quando ti ho visto in ospedale ,dopo l'incidente lei non c'era. Assurdamente il destino ha voluto che arrivassi prima io, che fossi io il primo a vederti a sentire quel dicevano i medici.
Credo che non me lo perdonerà mai.
Avrebbe dovuto essere lei la prima ad arrivare.
Lei ti ha sempre seguito e aspettato, le ha sempre fatto posto nel suo cuore per accoglierti e per capirti.

Io no.

Io ho sempre trovato difficile volerti bene.
Mi sei sempre sembrato un po' estraneo e ho sempre fatto fatica ad amarti.

Eppure ora mi pare di riuscire a comprenderti meglio di chiunque altro. Ora che sei fermo e in silenzio. Gli occhi chiusi , le braccia abbandonate lungo i fianchi .
Io sono un uomo di poche parole,un uomo che bada ai fatti. Non amo le fantasie e le parole dette al vento. Non amo i gesti scomposti,le azioni eclatanti.
Tu sei sempre stato troppo per me : troppo agitato da piccolo, troppo chiacchierone da bambino,troppo arrogante da adolescente. Eri, per me una presenza invadente, inconcludente.
Un essere che aveva travolto la mia esistenza e che si insinuava continuamente fra me e la mamma.
Da quando sei arrivato lei è stata totalmente presa da te,dalle tue scoperte ,dai tuoi fallimenti,dal tuo solo apparire in una stanza.
Ed io ho deciso di non vederti, di non sentirti, di proteggermi dalla tua invadenza .
Ho lasciato che fosse la mamma a condividere la tua vita e mi sono tenuto a distanza.
Ma la vita è strana e, non so perché fra tutti i numeri ce c'erano sul tuo cellulare ,il medico dell'ambulanza ha deciso di comporre il mio.
E sono stato io il primo ad entrare in questa stanza.
Forse ha pensato che ci volesse un uomo al tuo fianco, o forse ha pensato che avrei saputo reagire e fare coraggio alla mamma e alle tue sorelle.

Non so cosa abbia pensato, ma il fatto è che tu per me sei nato quando ho varcato quella porta.

Camminavo per il corridoio e cercavo la stanza dove mi avevano detto che ti avrei trovato.
Non avevo paura, non ero angosciato.
Come sempre ,,semplicemente, non sapevo cosa ti avrei detto, cosa tu mi avresti detto.
Mi avvicinavo alla stanza e il senso di fastidio aumentava : chissà perché quello stupido medico del 118 aveva chiamato me.

Poi sono arrivato alla tua camera e ti ho visto.

La nostra storia è iniziata in quel momento, tu sei arrivato nel mio cuore in quel momento.
Ti ho viso immobile e solo, parevi morto, eppure per me stavi nascendo.
La camera è spoglia ed io ti ho sempre visto circondato da una confusione insopportabile, di vestiti gettati a terra, libri aperti e Cd ovunque.
L'aria è silenziosa,appena attraversata dal rumore metallico delle macchine, ed io ti ho ho sempre vissuto rumoroso, avvolto da musiche psichedeliche, tenute ad un volume assordante.
IL tuo corpo è nudo sotto il lenzuolo leggero e candido, ed io ti ho sempre avuto davanti con i tuoi abiti sgargianti,fatti di lana pesante e stropicciata.
Soprattutto tu sei immobile, imprigionato in una calma forzata,senza sguardo,ne voce.
Niente mani che si muovono frenetiche per arrotolare quegli orribili rasta,ne gambe che si muovono disordinatamente, urtando ogni cosa.
Non sei più tu ,non sei quell'estraneo che mi è cresciuto accanto e che non ho mai capito.

Quando sono entrato in questa camera c'eravamo solo io e te.

Un altro io e un altro te, che nessuno all'infuori di noi due conosceva.
Sono stato il primo che ti ha visto come sei ora, sono stato il primo a prendere quella tua mano fredda e a confermare il tuo nome all'infermiere che stava compilando le carte del ricovero. C'eravamo io e te soli in questa stanza, io e te , in silenzio.
Ho capito cosa ha provato la mamma quando sei nato, perché per me sei venuto al mondo in quel momento. In quel momento c'eravamo solo tu ed io, in quel momento tu avevi bisogno di me e dipendevi da me, pur essendo altro da me. Quando sono entrato non mi sono più chiesto cosa avrei dovuto dirti,non ho più pensato cosa avrei dovuto fare. Quando ti ho visto ti ho riconosciuto come parte di me, indifeso e potente allo stesso tempo.
Sono diventato quel padre che non sono mai stato e tu quel figlio che non ho mai riconosciuto.

Poi sono arrivati gli altri e mi hanno travolto, con le parole,i pianti le domande.
Ti hanno toccato, accarezzato.
Hanno portato vestiti,creme,poster e si sono impossessati di nuovo di te.
Ma ora posso sorridere, perché io e te sappiamo che sei anche altro. Un altro che è solo nostro.
Ora so cosa ha provato la mamma in tutti questi anni: lei c'era quando tu sei nato dentro di lei ed è stata la prima a sapere che esistevi.
Ora anche io ho assistito alla tua nascita, io c'ero prima che arrivassero gli altri.

Io e te.
Da soli.

Dunque, la nostra storia inizia da qui.

La mamma conosce la tua voce, io capisco il tuo silenzio.
La mamma segue il tuo sguardo, ovunque si posi.
Io so che i tuoi occhi vedono dentro il buio delle palpebre abbassate.
La mamma percepisce ogni tuo respiro, anche il più flebile.
Io so come moduli il battito del tuo cuore al ritmo delle macchine. .La mamma sente il tuo profumo quando apre un armadio o raccoglie un vestito da terra.
Io ti sento addosso l'odore acre e penetrante del disinfettante.
Io ti conosco.


"C'era una volta un uomo che non era diventato padre, ma che ora ha trovato un figlio."
Come vedi la mia storia è come me : di poche parole.

Per questo ti devi svegliare : io questa storia non ho ancora iniziato a scriverla e ho bisogno che tu apra gli occhi ed inizi a viverla, insieme a me.
Se no non saprò cosa dire e la mamma mi sgriderà, perché ,per una volta, sarà lei a non capire e a sentirsi esclusa.



Ciao, sono tua sorella Paola.
Quella che se n'è andata a studiare in un'altra città e torna ogni fine settimana.
Hai presente?
Non so bene perché ti sto scrivendo. Anzi lo so benissimo : me l'ha chiesto la mamma ed io ,lo sai, farei ogni cosa pur di farla felice, anche solo per un po'.
Mi hanno detto che , se ti scrivo, se ti dico qualcosa di interessante,magari decidi di svegliarti e torni a casa.
Posso dirti una cosa? Magari non è interessante, ma vorrei chiarire subito cosa penso.
Io penso che non te ne importerà nulla di quello che ti diremo, come al solito.
Penso che ci stai ascoltando distrattamente, come fai sempre e che proprio non ti frega niente delle nostre parole e che farai quello che ti pare.
Come sempre.
Tu sei mio fratello minore e, pensa un po', mi ricordo ancora come ero felice quando sei venuto al mondo.
Avevo solo tre anni, ma il fatto di avere un fratello minore mi pareva un fatto straordinario una specie di privilegio, che era toccato proprio a me.
Poi sei venuto a casa.
E mi hai sconvolto la vita.
Tu sei stato come un ciclone nella mia tranquilla esistenza, ordinata ed equilibrata.
Avevo un mondo fatto di armonia, costellato da rassicuranti abitudini quotidiane,che amavo proprio per la sua quiete, per il perfetto bilanciamento di ogni cosa.
Ti avevo assegnato persino un posto tutto tuo un grande spazio solo per te , che ben si armonizzava con il resto della mia vita.
Potremmo,quindi, dire che :
"C'era una volta una sorella maggiore che non vedeva l'ora di mettere il proprio fratellino nel posto che gli aveva assegnato".
Ma tu non lo hai mai occupato.
Te ne sei assolutamente fregato di quello che ti avevo preparato e te ne sei andato in giro nel mio mondo ordinato, portando scompiglio e caos.
Tu hai sempre fato di testa tua, possibilmente ribaltando le regole, seminando confusione, scardinando punti per me fissi, ignorando le mie certezze.
Mi hai fatto così arrabbiare!

Tu sei nato pieno di talenti.
Ma non ne hai usato neppure uno, andando a cercare le uniche cose non potevi avere.
Magari anche calpestando il prossimo, colpevole, ai tuoi occhi, di "non capire"...
Io ho sempre apprezzato capacità che possiedo, le ho coltivate, fatte crescere, per costruirmi una vita che mi piacesse.
Senza rovinare quella degli altri..
Tu non sei nato bello ma sei cresciuto con un fascino innato, dato dalla tua stranezza, dalla imprevedibilità delle tue azioni, dal distacco con cui guardi tutto e tutti.
Io cerco di farmi apprezzare facendo il mio dovere, ogni giorno con fatica ed umiltà, stando attenta a non rompere niente , a disturbare il meno possibile.
Tu provi ogni cosa, per il gusto di conoscere nuove sensazioni, entrare in nuovi mondi, correndo veloce fra le esperienze della vita, anche quelle proibite, con la più totale indifferenza a quello che travolgi.
Io avanzo prudente nella vita, osservando attentamente il mondo che mi circonda , cercando di evitare i pericoli e di scegliere sempre le strade più sicure.

Tu provochi il mondo.

Io lo rispetto.

Cerco di trovare il mio posto, senza disturbare nessuno.

Tu ti accomodi dove ti pare e ,se c'è già qualcuno, trovi naturale che si scansi e ti lasci spazio.

Insomma, tu hai avuto tutto e lo getti continuamente al vento, con disprezzo e leggerezza, cercando qualcosa che non hai, sempre annoiato, sempre arruffato.
Io mi tengo stretto ciò che possiedo, difendendo le mie conquiste, senza volere cose impossibili, forse con un po' di paura dell'ignoto, ma veramente con un grande rispetto per le persone e le cose che incontro.

Allora,secondo le mie regole, secondo quello che mi hanno insegnato io dovrei essere quella "brava" e tu quello "cattivo".

Potremmo quindi dire :
" C' erano una volta due bambini. La sorella maggiore era una tosta e davvero in gamba, il fratello minore un perdigiorno e piuttosto antipatico."


Eppure non è così.
Il tuo essere una persona impossibile ti rende "speciale" e crea un alone di interesse attorno alla tua esistenza.
Anche se , alla fine, la gente finisce con il non sopportarti più e cede, sfinita dalla lotta continua che è stare con te, tutti ti girano attorno, spendono ore e ore a parlarti, fingendo di criticarti, pretendendo di cambiarti, ma in realtà rimanendo affascinati dal tuo essere così svagato e lontano da tutto.
Io spendo intere giornate ad ascoltare le persone, a lavorare secondo quanto mi è stato detto ed ottengo un consenso scontato, un apprezzamento veloce, logico.
Tu passi il tempo a scompigliare le vite degli altri, indirizzi tutti tuoi sforzi verso la disgressione continua, eppure basta un tuo gesto che per una volta sia "allineato" e tutti ti lodano,ti sommergono di complimenti.
Io sono una presenza stabile e rassicurante, su cui molti fanno affidamento, per poi andare oltre,veloci e soddisfatti.
Tu sei qualcuno da cui allontanarsi, per non essere inghiottiti dall'esasperazione di non riuscire a contenerti.
Ma sei anche una persona da conquistare, in qualche modo da affascinare, per sentirsi speciali.
E le tue stravaganze sono "genialità", scomode, magari, pericolose spesso , ma ammirate e considerate una forma incomprensibile di intelligenza.

Ero felicissima di avere un fratello minore, ma, mi dispiace dirtelo, non lo volevo come te.
Potremmo ora dire, a questo punto :
"C'era una volta una sorella maggiore che ti voleva bene, ma che ha finito con il non sopportarti"

Quindi, mentre crescevi e mi sconvolgevi la vita, me ne sono andata, lontano anche dalla mamma, che amo più di ogni altra cosa, per non averti più accanto.
Ma no, tu hai dovuto rientrare nella mia esistenza,prepotentemente, inevitabilmente al centro dell'attenzione.
Cosa hai voluto dimostrare con questo stupido incidente?
Hai voluto che tornassi a casa?
Hai voluto che mi occupassi ancora di te?
Hai voluto passare ancora una volta come un ciclone per sconvolgere il mio equilibrio?
Me ne sono andata per non soffrire più per te.
Me ne sono andata per non vederti sempre in pericolo, in bilico sul ciglio di quel burrone che è la tua vita.
Me ne sono andata perché sono arrabbiata con te, che te ne vai in giro per il mondo come un incosciente arrogante.
Questo te l'ho detto prima di partire e tu mi hai sorriso, rispondendomi che se così stavo meglio facevo bene a farlo.
E poi mi fai questo.
Butti la tua vita nel buio, la tieni appesa a un filo e mi costringi a tornare.
Allora va bene, hai vinto tu.
Ti dirò la verità.


Me ne sono andata perché ti voglio troppo bene e non posso sopportare che tu viva sempre al limite del possibile.
Me ne sono andata perché la paura, quella paura che tu non provi mai, attanaglia il mio cuore, ogni volta che esci e non so se tornerai.
Me ne sono andata perché la vergogna che tu non conosci, si impadronisce del mio cuore, ogni volta che qualcuno viene a chiedere il conto dei tuoi disastri.
Me ne sono andata perché il mio amore per te mi stava uccidendo, caricandomi di angoscia e rabbia.
E perché tu ti ami così poco.
Sei contento ora?
Te ne importa qualcosa?
Lo so che tutto questo è molto "banale" per te , noioso, scontato, ma per una vola ascoltami.
Svegliati e torna ad essere insopportabilmente egocentrico.
Non vedi che ti stanno manipolando tutti i giorni in questo ospedale?
Ti girano nel letto.
Ti tagliano le unghie.
Ti strofinano con lozioni nauseanti.
Come fai a sopportare tutto senza dire niente?
Non ti riconosco più.
Non ti accorgi che stai perdendo la tua libertà?
Non posso capire come tu possa sopportare di essere in balia degli altri.
Ti stanno fregando, non te ne accorgi?
Svegliati e togliti tutti quei tubi orrendi,
Appena l'infermiera di turno, che sicuramente ti adorerà già lo so, entrerà da quella porta per cambiarti una di quelle boccette misteriose che ti entrano nel corpo con la flebo, sconvolgile la vita : alzati , salutala e avviati in corridoio.
Magari falle anche un bel sorriso di compatimento, di quelli che riservi al prossimo quando lo lasci sgomento e abbandona questa stupida espressione neutra.
E' una faccia troppo conformista.
Una camera che fa sbadigliare.
Una finestra con una vista noiosissima...
Strappati quella ridicola cuffietta con cui hanno imprigionato e tuoi orribili capelli.
Non sei tu a condurre il gioco, non sei tu il centro del mondo, ma l'attenzione è puntata sul ronzio monotono delle macchine che ti hanno attaccato.
Non ci sono i tuoi nauseanti incensi a riempire la stanza di fumo, ma solo il pungente odore di sterilizzazione con cui ti tengono prigioniero.
E il letto dove sei inchiodato è troppo ordinato e pulito perché tu davvero ti senta a tuo agio
Devi svegliarti, se no avrai perso e avranno vinto loro.
Devi alzarti e andartene in giro completamente nudo per l'ospedale, per dimostrare che le loro teorie e la loro scienza è tutta una buffonata.



Alla fine te l'ho scritta una storia.
Eccola qui.

"C'era una volta una bambina di tre anni che era incredibilmente felice di avere un fratello minore da accudire e a cui insegnare la vita.
Ora è qui, accanto al tuo letto.
Ora sono qui : alzati e prendimi per mano .
Portami in giro per questo stupido ospedale e insegnami quella vita che tieni nascosta nel tuo cuore e che io non ho mai voluto conoscere.
Sono scappata per te ed ora sono tornata per te, non vedi?
Svegliati e stupiscimi.
Ancora.



Ciao Mocho,
sono Agnese, la tua sorellina più piccola.
Oggi pomeriggio stavo disegnando sul mio album e la mamma è entrata nella mia camera.
Volevo chiederle di che colore fare la barca che avevo messo proprio nel mezzo del mare,ma lei si è seduta sul letto e mi ha detto che tu stavi male.
Ancora più male di ieri.
Io l'avevo capito che c'era qualcosa che non andava tanto bene : tutti piangono, poi si consolano, vanno ,vengono, telefonano e anche Paola è tornata, senza che fosse sabato.
Mi hanno portata all'ospedale, ma non quello tutto colorato, con i Puffi sui muri e le infermiere con il naso da pagliaccio dove sono stata io quando mi faceva male la pancia.
Il tuo ospedale è molto, ma molto più brutto : i muri sono grigi e la luce è quasi blu.
C'è un gran silenzio, e tu sei da solo nella stanza.
Cioè, non è che ci starebbe qualcun altro nella tua stanza : è piena di macchine che ronzano, soffiano, ogni tanto suonano.
C'è solo una sedia, brutta anche quella, dove a turno, mi hanno detto, si può sedere qualcuno e farti compagnia.
Uno alla volta però!
Fa anche un gran freddo nella tua brutta camera.
E' un peccato, perché mentre tu eri qui è arrivata la primavera e c'è un bel sole tiepido che sta facendo crescere i fiori in giardino.
Tu eri disteso, con gli occhi chiusi e papà mi ha spiegato che ti sei addormentato quando hai fatto l'incidente e non riesci più a svegliarti.
Beh,per prima cosa volevo avvertirti di non spaventarti troppo se ti svegli all'improvviso, perché il tuo ospedale è davvero tanto brutto!
Poi ti porterò a vedere il mio, così non ti rimane un ricordo troppo spaventoso e ,se dovessi tornare qui, non avrai paura.

Comunque, la mamma mi ha chiesto di scriverti una storia, proprio una storia vera perché i dottori che ti curano pensano che la mia storia ti farà stare meglio e che forse ti aiuterà a svegliarti.
Mi è piaciuta questa idea e ho lasciato da parte la mia barca (tanto la posso colorare quando torni) per pensare alla tua storia.

Mi sono sdraiata per terra, ho preso i fogli dalla cartella ed ho iniziato a scrivere.


"C'era una volta una bella bambina, piccola ma molto sveglia che abitava in una bella casa in mezzo a un bosco, vicino a un lago Magico.."
Però mentre scrivevo, mi è venuta in mente una cosa " E se tu non volessi svegliarti?"
Magari noi stiamo qui tutti a pensare che non riesci a svegliarti e che ti dobbiamo aiutare, ma in realtà tu stai benissimo così addormentato e non ti va di essere disturbato.
Ho pensato che forse stai facendo dei sogni bellissimi non hai né fame né sete e non apri gli occhi, perché quello che stai vedendo ti piace troppo.
Ho lasciato il foglio, con la storia appena iniziata e sono andata a raccontare alla mamma quello che mi era venuto in mente.
Lei, però, non era convinta.
Mi ha detto che nessun sogno può essere bello come la nostra vita e che sicuramente tu ti sveglieresti se potessi.
Mi ha fatto una carezza e ha fatto un sorriso (un po' triste, però), poi mi ha detto di tornare in camera mia e continuare la storia.
C'era anche Paola in salotto e lei non ha detto niente, anzi adesso che ci penso mi ha ascoltato attenta e mi pareva un po' meno sicura della mamma sul fatto che avessi sbagliato.

Così adesso non capisco più niente.
Ti ricordi quando è morta la nonna?
Io piangevo tantissimo e la mamma mi ha detto che non dovevo piangere, che , anche se in quel momento la nonna mi mancava, lei era felice, in posto bellissimo e stava certamente bene.
Anche quando il papà della mia amica Martina è morto le maestre ci hanno detto che il dolore sarebbe passato e lui, il papà di Martina, era andato in un luogo meraviglioso ed era felice.
E la stessa cosa mi hai detto tu, quando è morta Uga, la mia tartaruga.
Ti ricordi? Ero tristissima e la tenevo in mano, sperando che aprisse gli occhi ed iniziasse a zampettare per la stanza, come aveva fatto tante volte.
Tu ti sei seduto accanto a me, hai iniziato ad accarezzare il guscio di Uga e mi hai detto che dovevo lasciarla andare, che lei non voleva più stare in questo mondo, perché ne aveva conosciuto uno molto più bello, dove sarebbe stata meglio.
Io piangevo lo stesso e ti dicevo che doveva stare con me, che le volevo bene e non volevo che se ne andasse via, che non mi importava niente se aveva trovato un posto più bello dove stare e che doveva tornare, anche se non aveva voglia.
Allora tu mi hai guardato dritto negli occhi e ti sei dovuto sdraiare per farlo, perché io avevo la testa bassa, per guardare bene se Uga si fosse svegliata.
Mi hai sorriso e mi hai detto che non dovevo costringere Uga a far una cosa che non voleva fare, che dovevo lasciarla libera e che anche lei mi voleva bene, ma aveva bisogno di andare in un altro posto.
Mi hai detto che non mi avrebbe mai dimenticata, che sarei sempre stata nel suo cuore, ma che il nostro viaggio insieme era finito e non potevo rinchiuderla, anche se lo facevo perché le volevo bene.
Non è che mi piaceva tanto il tuo discorso, però, piano piano, mi sono calmata.
Ho capito che avevi ragione , che se la mia tartaruga aveva deciso di andare in un mondo meraviglioso, magari fatto proprio per le tartarughe, io non dovevo farla sentire in colpa,non dovevo costringerla ad aprire gli occhi e tornare con me.
Se le volevo davvero bene, dovevo salutarla e lasciarla andare.

Quindi io adesso penso questo.
Magari anche tu sei come Uga o come la nonna o come il papà di Martina.
Magari quando hai chiuso gli occhi, dopo l'inciderne, hai visto n mondo bellissimo, con persone bellissime e non ti va di svegliarti.
Magari, non vuoi proprio aprire gli occhi e non vuoi tornare da noi, perché lì dove sei hai trovato un mondo fatto apposta per te e ti trovi benissimo.
Mi sento come quando dovevo lasciare andar Uga e io non volevo, ma lei era ostinata.
Allora cercherò di ricordarmi quel sorriso che mi hai fatto, per convincermi a smetterla di farla star male e il tono della tua voce, mentre mi spiegavi che il nostro viaggio insieme era finito e che lei era partita per un posto dove io non potevo andare.

Ho anche ripensato alle fiabe, quelle che il papà mi leggeva da piccola, seduti sul divano.

C'era una volta Biancaneve .... che si era addormentata e stava benissimo.
Si vede perché nei disegni sorride sempre quando è nella teca di cristallo.
Ma si è dovuta svegliare perché il principe azzurro l'ha baciata.
E vissero felici e contenti..

C'era una volta un ragazzo che si era addormentato e rimaneva sempre giovane e bello , perché il tempo si era fermato quando aveva chiuso gli occhi e lui si sentiva felice.
Ma che si è dovuto svegliare, perché gli hanno fato annusare un profumo magico , preparato dalla sua fidanzata che non poteva stare senza di lui.
E lui ha aperto gli occhi ed è diventato vecchio tutto d'un colpo.
E visse felice e contento, anche se era vecchio.

Però questo lo dice chi ha scritto la storia.
Anzi lo dice chi non era addormentato ed era troppo triste al pensiero che non avrebbe sposato Biancaneve o che sarebbe diventata vecchia senza il suo fidanzato.

Forse è vero, forse qualcuno sta meglio se si addormenta e non si sveglia più, come la Piccola Fiammiferaia, per esempio.
Lei aveva visto la sua mamma in quel posto dove forse sei anche tu e ha proprio chiesto al Signore di farla addormentare e di non svegliarsi più.
Nessuno l'ha costretta a tornare,l'hanno lasciata andare, perché aveva un sorriso troppo bello per svegliarla.
E visse felice e contenta.
Addormentata.


Allora anche io non ti sveglierò fratellone. Ti lascio fare quello che vuoi.

Però voglio dirti che mi mancherai se deciderai di andare in quel tuo mondo lontano.

E piangerò un po', anzi forse piangerò tanto.

Tu te ne andrai in un posto bellissimo, sarai felice e io non ti racconterò una storia per farti rimanere.
Però una piccola storia te la voglio dire :"Cera una volta una bambina di nome Agnese, che aveva una nonna. Una nonna vecchia e u po' sorda, ma la nonna più dolce del mondo, che le faceva le sciarpe per le bambole e la consolava in segreto,se la mamma la sgridava . Poi la nonna ha chiuso gli occhi, ha visto un posto più bello dove stare e non si è più svegliata.

C'era una volta una bambina che si chiamava Agnese e che aveva un'amica che si chiamava Martina. Il papà di Martina era proprio simpatico, scherzava sempre e le portava in piscina alle lezioni di nuoto, con la radio a tutto volume.
Poi il papà di Martina ha chiuso gli occhi,ha visto anche lui un posto più bello dove stare e non è più tornato.

Agnese, aveva anche una bella tartaruga, che si chiamava Aga. Giocavano spesso insieme, a rincorrersi sul pavimento o a farsi il solletico.
Poi, un giorno, anche Aga ha chiuso gli occhi, anche lei ha visto un posto bellissimo, fatto apposta per le tartarughe e non è più tornata.

E c'era una volta una bambina che si chiamava Agnese e aveva un fratello maggiore, bellissimo e simpaticissimo. Era un tipo un po' strano (questo lo dice sempre Paola e mi pare sia una cosa che devi sapere), ma era il fratello più meraviglioso del mondo. Agnese lo aspettava alla sera, per fare la lotta e lui la faceva ridere un sacco. Lui aveva dei capelli stranissimi, come tanti spaghi, una voce che a volte pareva acuta altre volte suonava come un trombone. Questo fratello maggiore era anche un po' stupido delle volte (scusa se te lo dico) perché faceva arrabbiare papà e piangere la mamma.
Ma era un tipo unico e Agnese, la bambina della storia, gli voleva bene più che alla nonna, persino più che a Aga e, certo più che al papà di Martina.
Ma anche lui un giorno ha chiuso gli occhi e deve aver visto un posto così fantastico, che forse non vuole più tornare.
Niente più lotte con i cuscini, né solletico sotto i piedi.
Niente più litigate in casa, né abbracci mozzafiato con quelle braccia forti quasi quanto quelle di papà.
La bambina vorrebbe tanto che suo fratello riaprisse gli occhi e tornasse a casa, perché le manca tanto,così tanto da star male.
Questa bambina della storia pensa che il viaggio con suo fratello è forse appena iniziato e che se finisse ora sarebbe stato tropo corto!
Vorrebbe avere altri cuscini da lanciare e altri momenti di risate da fare insieme.
Vorrebbe vedere le scarpe da ginnastica di suo fratello ancora fuori dalla porta e sentire la musica che esce dalla sua stanza.
Vorrebbe farsi prendere in braccio, dargli tanti baci e stringersi al suo cuore.
Ma ha capito cosa deve fare, perché è stato proprio suo fratello a raccontarle quel segreto.
Forse sapeva che un giorno anche lui avrebbe voluto chiudere gli occhi e andarsene via.

Però questa favola è troppo lunga, non mi sembri il tipo che sta lì a leggerla tutta!
Non è che non mi sia uscita bene, anzi mi piace proprio, ma "conoscendo il tipo" ( questa frase la dice sempre la mia maestra, quando parla del preside) mi sa che ti stuferesti prima di finirla.


Allora la mia storia alla fine l'ho scritta di nuovo.
E' proprio corta ed è questa:
"C'era una volta una bambina che si chiamava Agnese, che aveva questo fratello meraviglioso, il fratello più meraviglioso del mondo e voleva stare con lui per tanto tempo, fino a che sarebbe diventato vecchio.
Un giorno, però, lui ha fatto un brutto incidente e ha chiuso gli occhi.
Si è addormentato.
La bambina adesso è molto, molto triste , ma ci ha pensato tanto, e ha deciso di lasciarlo andare se vuole andare lontano e non aprire più gli occhi.

Così, magari, lui vive in un altro posto.

Felice e contento."


Marco è morto il dodici aprile duemilaundici.
Aveva 17 anni.
Stava tornando a casa con la sua bicicletta ed è stato investito da una moto.
E' rimasto in coma tre mesi, prima di smettere di respirare per sempre.

E queste sono le lettere che gli abbiamo scritto.
Lui non le ha mai lette, ma le ha ascoltate mentre ciascuno di noi le leggeva, nella luce blu di quella sua camera fredda.
Non sono bastate.

Io sono la sua mamma e rileggo ogni riga tutte le sere.
Per capire.
Per accettare.
Ma non ci riesco.

Non tutte le storie hanno come finale "E vissero felici e contenti" .

Maria
Quando Maria vide i fari gialli dell'autobus avvicinarsi dal fondo della strada, provò un senso di vero sollievo. La serata di fine novembre era davvero fedda e la nebbia stava scendendo sulla città, preannunciando una notte umida e scura.
Poco dopo, seduta in fondo alla vettura,si tolse i guanti di lana neri e allentò la pesante sciarpa, che le aveva tenuto caldo durante l'attesa. L'autobus era quasi vuoto, cosa insolita a quell'ora del sabato sera e Maria lasciò vagare lo sguardo all'interno della vettura.
I sedili ricoperti di velluto a righe blu e nero, i corrimano gialli, alcune piccole pubblicità sulle pareti della vettura.
Due ragazze trafficavano con i cellulari, ridendo ogni tanto e bisbigliando di continuo.
Qualche posto vuoto .
Una signora dagli abiti eleganti e dal trucco curato era vicino al finestrino, da dove pareva osservare, senza vederla, la città sfilare nel buio della sera.
Ed infine un uomo, di mezza età, che se ne stava in piedi, reggendo con una mano l'edizione serale del giornale.
"Un piccolo esempio di umanità" pensò Maria, ed ecco, che all'improvviso, dalla memoria riemersero altre immagini della stessa umanità, volti , voci, colori e suoni, che Maria aveva visto forse sullo stesso autobus, o forse su un altro o magari sulla metropolitana….

Si rivide piccolissima, ben salda alla mano della mamma, mentre arrancava su quei gradini che a lei parevano enormi, per salire sull'autobus, al ritorno dal parco.
Allora, proprio accanto alla porta d'entrata c'era il Bigliettaio: un signore con una bella divisa blu ed un importante cappello con la visiera, il quale "faceva i biglietti", attività che impressionava molto Maria e che le dava sempre un senso di soggezione. Ma un giorno sotto quel berretto con la visiera comparve il viso sorridente di un signore con i baffi, il quale le propose" Vuoi farlo tu il biglietto per te e per la tua mamma?"
Maria quasi non respirava per l'emozione, ma si fece coraggio e prese il blocchetto dei biglietti che l'uomo le porgeva, poi mise le monetine della mamma ordinatamente nei cassettini posti sotto il piccolo banco e fece due minuscoli buchi sui primi due biglietti, staccandoli dagli altri.
Come si era sentita importante quando era avanzata nel corridoio dell'autobus, certa che tutti i passeggeri la guardassero ammirati e decise in quel momento che da grande avrebbe fatto la "bigliettaia".

Era orgogliosa di sè, Maria, quel giorno, quasi quanto la prima volta che l'autobus lo aveva preso da sola, per raggiungere papà in centro e prendere un gelato insieme.
Era sabato pomeriggio e la mamma le aveva detto"Papà ti aspetta in centro: ti va di prendere l'autobus da sola?"
Se le andava? Aveva 10 anni, per Bacco, certo che le andava!
Ascoltò attentamente le spiegazioni della mamma e,quando salì sull'autobus , si sedette accanto alla porta d'uscita, per contare meglio tutte le fermate e scendere a quella giusta.
Il bigliettaio, già non c'era più a quell'epoca, ma lei era certa che molti su quell'autobus la guardassero stupiti e si dicessero che , certo, quella doveva essere una bambina proprio in gamba, per fare il viaggio da sola. Ed era così, lo era di certo, visto come l'aveva guardata ammirato il papà, mentre scendeva sorridendo,esattamente alla fermata giusta ed in perfetto orario.Maria si era voltata a guardarlo, quell'autobus e si era impressa la sua immagine, mentre ripartiva, un poco più vuoto, ora che lei era scesa.

"Chissà", pensò Maria sorridendo e accomodandosi meglio sul sedile, " chissà forse era proprio la stessa vettura sulla quale sto viaggiando ora. O forse questa è quella che prendevo anni dopo, ogni mattina alle 7,15, per andare a scuola":
L'autobus della scuola! Che tempi meravigliosi!
Ogni mattina arrivava stracolmo di studenti ed era una vera impresa riuscire a salire.
Maria aveva imparato che non esistevano regole su quell'autobus: qualsiasi porta poteva essere usata indifferentemente per salire o per scendere, spinte,gomiti nelle costole, pestate di piedi, tutto era lecito pur di salire.
E il guidatore che , ogni tanto, esasperato per tutto quel chiasso e quella confusione, frenava d'improvviso gridando " Allora, la smettiamo lì in mezzo?" otteneva come unico risultato di far cadere tutti quanti l'uno sull'altro e di aumentare il putiferio, Sembrava quasi che tutti gli studenti avessero una gran voglia di arrivare puntuali a scuola e fossero disposti a tutto, pur di non perdere neppure un minuto di lezione!
In realtà la voglia era tutt'altra: quella di vedere gli amici e raccontar loro le ultime novità o di intravedere il volto del " bello" del momento e magari fare di tutto per "finirgli addosso" con la scusa della gran ressa.
Anche Maria aveva I ipropri amici da incontrare, prima fra tutte Sonia, la sua migliore amica, colei alla quale raccontava tutto e dalla quale riceveva le più belle confidenze.
Sonia abitava qualche fermata prima di Maria ( si individuavano così le case, per "fermate") e quindi era già sull'autobus ad aspettarla quando lei saliva. Doveva, perciò, prendere sempre lo stesso e, superato il momento tragico della salita, intraprendere la "risalita" fino a raggiungere l'amica, che si sbracciava poco più avanti, per farsi vedere.
Iniziava così un fitto parlarsi, fatto di risatine, ansie per le interrogazioni, consigli per le scelte importanti, consolazioni per i litigi in famiglia.
Mano a mano che le fermate si susseguivano arrivavano altre amiche e quell'autobus diventava il piccolo mondo di quel gruppo di ragazze, che si isolavano da tutto e da tutti, per raccontarsi le proprie vite, le ansie e le paure, i sogni e le speranze.
Quell'autobus rumoroso e fremente diventava un universo di microcosmi, dove tante piccole galassie palpitavano e si preparavano a vivere.
E naturalmente ci fu l'anno in cui sull'autobus apparve "Lui" e Maria fu convinta di aver trovato l'amore.
Lui era un ragazzo poco più grande, che saliva alla stessa fermata di Sonia, con un gruppo di amici.
Era alto, un po' magrolino, ma incredibilmente bello! Maria lo notò un mattino di dicembre: stava piovendo, ma , naturalmente nessuno degli studenti aveva preso l'ombrello, anche perchè, con quella ressa, sarebbe stato comunque impossibile aprirlo.Di conseguenza tutti quanti erano bagnati fradici e forse fu per quello che gli apprve così bello (lui) : i capelli scuri luccicanti di pioggia ed il giubbotto nero tempestato di mille goccioline scintillanti.
Rideva,senza tenersi al corrimano e, quando la urtò per una frenata, si girò, il sorriso ancora sulle labbra e le disse un "scusa" così allegro che le parve una melodia. Raccontò subito tutto a Sonia, naturalmente.
La sua amica, che certo non era tipo da perdersi d'animo, individuato il soggetto, iniziò una serie di indagini, pedinamenti,osservazioni, puntualmente riferite ogni giorno, via telefono.
Arrivarono a saper molto su quel tipo: si chiamava Giulio, aveva due anni più di loro e frequentava una scuola tecnica in centro.Al mattino Sonia si metteva proprio accanto a lui e, non appena Maria saliva, la chiamava ( tanto per facilitare le eventuali presentazioni) e, una volta arrivata le due ragazze si mettevano a chiacchierare a voce alta, cercando di attirare l'attenzione del gruppo di Giulio. Magari Sonia dava qualche spinta a Maria, per farla cadere proprio addossso a lui. Il risultato fu che dopo alcune settimane un amico di Giulio attaccò discorso con Sonia, furono strette nuove amicizie e si venne a saper che Giulio aveva una ragazza di nome Alessandra e che Maria piaceva molto ad un suo amico, di nome Alberto.
Maria divenne tristissima, pensò addirittura di prendere l'autobus delle 7,21 per non vedere più Giulio ( e tanto meno Alberto): Sonia, però, si fidanzò con Luca (quello che aveva attaccato discorso) e non voleva cambiare autobus, per cui la cosa andò avanti per un po', fra lacrimoni e telefonate sempre più lunghe: Fino a che la scuola finì, arrivarono le vacanze estive e cambiarono gli orari per tutti.
Maria incontrò un certo Maurizio al mare e l'anno dopo, quando rivide Giulio nella ressa del mattino, potè salutarlo frettolosamente, passandogli accanto solo per raggiungere Sonia e farle leggere l'ultima lettera ricevuta da Maurizio che abitava in un'altra città.

"Scusi" la voce di un uomo la riscosse dai suoi pensieri. " Come?" chiese Maria "Scusi, l ho urtata con la mia valigia "disse l'uomo sorridendo e sedendosi accanto a lei.
"Di niente, si figuri" Maria non si era accorta di nulla, assorta com'era nei ricordi. "Magari è Giulio!" pensò in un lampo e si voltò verso il suo vicino di viaggio. Cercò nei suoi linementi gli zigomi ossuti e la bocca sottile del ragazzo per il quale aveva versato tante lacrime, gli occhi scuri, le ciglia folte..no, proprio non pareva lui.
Forse era Sandro!
Di nuovo osservò il volto dell'uomo: il naso aquilino, le guance scavate…forse..Sandro.
L'uomo si girò e le sorrise. Maria si rese conto di apparire sfacciata e con un live movimento del capo ritornò il sorriso e si rimise decisa a guardare fuori dal finestrino.
Ma ormai la sua mente correva dietro ad altri ricordi, ad altri anni, sulla metropolitana..
Erano gli anni dell'Università. Maria frequentava psicologia a Milano ed ogni mattina prendeva il treno per raggiungere la città e dalla stazione la metropolitana per arrivare In facoltà.
Sullo stesso treno e sulla stessa metropolitana viaggiava Sandro, di un anno più grande ed iscritto al Politecnico. Ben presto lei e Sandro fecero conoscenza ed il loro viaggio divenne un piacevole appuntamento, durante il quale discutere di ogni argomento. Erano gli anni della contestazione e gli argomenti certo non mancavano: la società da rifare, la scuola da cambiare, la famiglia da reinventare..tutto era oggetto di grandi discorsi e ancor più grandi progetti. Sandro era un ragazzo intelligente e piacevole e Maria si sentiva bene in sua compagnia. Divenne il suo confidente: gli raccontava ogni cosa e gli chiedeva mille consigli su ogni argomento. I loro discorsi potevano spaziare dalla guerra , all'esistenza degli UFO, dalla festa più recente alla quale avevano partecipato, alla paura per l'esame da dare quella mattina. Avolte parlavano meno, un poco assonnati per le ore di studio, o per aver trascorso la notte fuori, ma erano contenti lo stesso. Maria ricordava con grande piacere il senso di famigliare calore che le trasmetteva il caracollare del treno e, al contrario ricordava l'ansia e la sensazione di claustrofobia ed inquietudine che le procurava il viaggio in metropolitana. Sandro la prendeva in giro per questo, ma affrettava il passo, per uscire al più presto all'aria aperta e farle passare quello strano disagio.
Imparò molto in quei viaggi: imparò a decidere quale partito votare, dopo mille aspre discussioni con Sandro che era di idee opposte alle sue, imparò molto sugli uomini, l'amore, la filosofia , l'architettura, perchè oltre a Sandro conobbe altri studenti, di varie facoltà e la sua mente si aprì a diverse discipline. Imparò anche ad ascoltare, perchè molti avevano qualcosa da raccontare e le ore di viaggio erano propizie per lasciar scorrere le parole.
Imparò anche cosa voleva dire andare ad una manifestazione e dover fuggire, per non essere picchiati, o al contrario dover lottare per non aderire ad uno sciopero che non si condivideva. Imparò che vi sono le droghe, l'acool a minare la gioventù degli uomini, ma anche che vi è la solidarietà, la comprensione, l'amore ad aprire la strada verso un futuro da adulti.
Ed incontrò Paolo.
Lo incontrò proprio in metropolitana, una mattina in cui Sandro non c'era.
Lei stava per salire sulla carrozza e come sempre, anche se si sforzava di non farlo, esitava.Aveva mille strane paure: le porte che la schiacciavano, la carrozza che partiva mentre lei stava per salire, in black out improvviso.Così era lì, con un'aria evidentemente poco intelligente.
"Problemi?" si era sentita chiedere e, voltandosi aveva visto, un giovane uomo, vestito casual, ma non troppo, con una ventiquattr'ore in mano che la fissava .Doveva avere proprio un'aria patetica e si sentì mancare dalla vergogna.
"No,no" rispose "sto solo.."
"Paura?" chiese lui, con un sorriso un po' da prendere in giro.
Che razza di figura.
Naturalmente la metropolitana se n'era andata da un pezzo e la lezione all'Università sarebbe saltata.
Maria avrebbe voluto sprofondare: aveva 23 anni, stava per laurearsi in psicologia e non sapeva neanche salire su una metropolitana senza morire di paura. Grandioso!
Comunque non tutto il male vien per nuocere, come dice il proverbio, e quel giorno non fu poi così disastroso.
Quel giovane uomo si rivelò essere un neo avvocato di nome Paolo che stava facendo praticandato in uno studio lì vicino.
"Magari si potrebbe prendere un caffè insieme" propose.
Dopo sette mesi andarono a convivere nel monolocale di lui e dopo due anni si sposarono.Sandro fece da testimone e poi partì per l'Africa, dove avrebbe lavorato per Medici senza Frontiere.
Maria trovò lavoro presso uno studio medico che si occupava di bambini difficili e Paolo fu assunto dallo stesso studio dove aveva fatto pratica.
Comunque Maria evitava sempre di usare la metropolitana, "Oltre tutto so per esperienza che si possono incontrare tipi strani!" ripeteva sempre, anche ad Anna e Valerio, I suoi due splendidi figli.
Aveva preso poche altre volte il treno e per la verità anche l'autobus.
La sua vita scorreva su ritmi veloci: il lavoro, la casa, I figli da accompagnare di qua e di là, le spese, le vacanze. Certamente l'auto era diventata il mezzo di trasporto più comodo, anzi si sarebbe potuto dire che , nel tempo, fosse quasi diventata un'appendice del suo corpo.
Ed infatti, all'interno della sua auto si potevano leggere, come fosse un diario, I diversi avvenimenti della giornata, anzi delle diverse giornate!
Quando Anna e Valerio erano piccoli si scoprivano, incastrati fra I sedili dietro, minuscoli calzini, svariati giochini di plastica e ,a cercar bene, non era improbabile che saltasse fuori qualche ciuccio.
Più avanti era stata la volta di resti di merendine,succhi di frutta,carte di figurine e vestitini di minuscole bambole.
Per un certo periodo, poi, Maria aveva collezionato vari tipi di guanti, maglioni, sciarpe,persino interi zaini, scordati spesso anche dagli amici dei figli.
La sua auto e tutto ciò che conteneva era diventata uno degli argomenti preferiti di tutta la famiglia per prenderla in giro, ma in fondo era anche un piccolo scrigno, dove ognuno poteva sperare di ritrovare qualcosa che aveva perso.
Paolo si rifiutava categoricamente di pulirla, sostenendo che si sarebbe preso senza dubbio qualche gravissima malattia ( lei e I figli ,diceva, erano ormai immuni, visto il tempo che avevano trascorso" l dentro" senza contaminarsi).
Così le toccava dedicare un intero pomeriggio all'operazione "disinfestazione auto" e al termine, aveva riempito un sacco intero con oggetti quasi dimenticati, che ridistribuiva ai legittimi propietari. Una volta che Anna e Valerio erano cresciuti, il compito di ripulire l'auto della mamma era stato affidato a loro, dietro un equo compenso, s'intende, ed essi facevano una gran scena, munendosi di grembiuli impermeabili, guanti e stivali di gomma, persino le mascherine sul viso,per affrontare la pericolosa missione. La sua auto fu soprannominata" arma chimica", ma tutti furono un po' tristi quando fu venduta e ne venne acquistata una nuova, troppo pulita, troppo in ordine. Per fortuna, in poco tempo anche il nuovo acquisto essunse un aspetto da misero bivacco e la famiglia ritrovò l'usuale caos, nel quale ciscuno, compresa Maria stessa, si riconosceva.
Ora la stessa auto era diventata di Anna, che la usava per andare a lavorare ogni mattina e che l'aveva ridotta nello stesso identico stato: l'unica differenza era per la natura degli oggetti che vi si potevano reperire. Dato che Anna non era ancora sposata, niente merendine, calzini o giornalini,piuttosto,sotto i sedili spuntavano piccoli orecchini, fotocopie stroppiciate o tappi di rossetti. Certamente l'auto di Maria aveva cambiato proprietario, ma era comunque rimasta la famigerata arma chimica di una volta.
Valerio, invece, era andato lontano, subito dopo la laurea. Aveva trovato un impiego negli Stati Uniti che doveva durare sei mesi, ma che si era poi rivelato definitivo. Così, il suo " bambino" si era stabilito sulla costa del Pacifico; là aveva trovato una deliziosa piccola casetta, si era sposato con una ragazza del luogo che lavorava nello stesso ufficio ed aveva una bella famiglia: quattro bellissimi bambini, I gemelli Thomas e William, di sette anni, il biondissimo Paul, di quattro anni e , da poco, la piccola Mary, che aveva pappena due mesi.
Già, i suoi nipoti. Paolo, purtroppo non aveva potuto neppure conoscerli: era morto anni prima, in un incidente terribile , uno scontro fra due treni, di cui avevano parlato tutti i giornali. Maria era rimasta sola, non soltanto in senso materiale, ma soprattutto nel cuore. Anna e Valerio erano adolescenti, ma non le avevano dato grossi problemi, o perlomeno non se ne rammentava più, la casa , troppo grande per loro era stata venduta ed una più piccola, ma con un bel giardino era stata acquistata. In fondo la vita era stata benevola, ma la morte di Paolo aveva scavato una profonda ferita nel cuore di Maria. Per molto, molto tempo lei si era recata lungo quei binari e se ne stava lì, ad aspettarei treni che sfrecciavano, scompigliandole i capelli, sconvolgendole gli abiti. Sentiva il rumore delle ruoete sui bianri, percepiva lo spostamento dell'aria e vedeva arrivare la locomotiva che si avvicinava sempre più. Il rumore assordante delle carrozze che passavano velocemente, una dopo l'altra la stordivano, ma lei se ne stava lì, fino a che l'ultimo vagone non era scomparso all'orizzonte, e poi si voltava lentamente, per tornare a casa. Era come se Paolo fosse stato su quel treno e fosse passato da lì, ma non l'avesse vista, non l'avesse neppure salutata dal finestrino, con quell'aria sfrontata da prendere in giro, che non aveva mai perduto, neppure negli anni.
Se ne tornava a casa, Maria, il cuore gonfio di pianto, ma le labbra strette, la mente ferma, per andare avanti, giorno dopo giorno, da sola.

Un sospiro triste le uscì dal petto ed una lacrima scese lenta, lungo la guancia di quella donna, seduta in fondo all'autobus. Forse le due ragazze con il telefonino la videro e si chiesero cosa avesse la signora da piangere o forse la vide l'uomo con il giornale o la donna ben truccata. Forse non la vide nessuno, ma certo Maria non vide loro, negli occhi l'immagine di quei treni che sfrecciavano, uno dopo l'altro, fino a che il dolore si era trovato un posto nel suo cuore e lei aveva imparato a conviverci, senza più sentirsi straziare ed aveva smesso di andare a guardare le rotaie, giorno dopo giorno.I treni passavano lo stesso, ma Paolo non era più a bordo e a lei non interessava più: lo aveva nell'anima, come un quieto compagno di viaggio, in attesa di potersi incontrare in chissà quale stazione.
Così, gli anni erano trascorsi. Ora viveva da sola, si spostava di nuovo con gli autobus, ma evitava quelli degli studenti troppo affollati e rumorosi: non era più il caso!
Era appena stata Negli Stati Uniti , aveva incontrato i suoi nipoti e visto la piccola Mary per la prima volta.
Aveva viaggiato in aereo ed era rimasta affascinata dalla vista mozzafiato della Terra che scorreva sotto di lei, con i paesaggi coperti di neve o l'immensa distesa dell'Oceano. Si era sentita coccolata dalle premure delle hostess e le era piaciuta la calda voce del pilota, mentre descriveva le varie procedure.Certo, aveva meno apprezzato i vuoti d'aria che l'avevano sballotta per circa una mezz'ora e ancor meno le era piaciuto il russare del suo vicino di sedile, ma tutto faceva parte della nuova esperienza.
Giunta all'aereoporto Valerio era venuto a prenderla e, per un attimo le aveva fatto credere che dovessero prendere la metropolitana, cosa che per tutti quegli anni Maria aveva accuratamente eviatato, per poi dirle che non ce n'era affatto bisogno e condurla a casa sua, in auto.
Aveva passato dei giorni bellissimi, con il figlio, la nuora, ma soprattutto i quattro nipoti.
Il momento del ritorno era arrivato in un lampo, così come in un lampo si era ritrovata su quell'autobus che la stava riportando a casa.
Era proprio arrivata: quella era la sua fermata. Maria si alzo, si rimise i guanti e riannodò la sciarpa sul collo. Nello scendere si rese conto che aveva viaggiato non solo lungo le strade della sua città, ma lungo tutta la sua vita. Sorrise e si voltò: alzò la mano per salutare il conducente, come se salutasse i suoi ricordi, che si allontanavano racchiusi fra quelle pareti illuminate da luci al neon.
Poi si avviò verso casa, mentre il guidatore, dallo specchietto retrovisore le restituì il saluto, chiedendosi chi fosse quella signora che si allontanava nella nebbia: non l'aveva mai vista, o forse sì, si disse, saliva talmente tanta gente sugli autobus e lui faceva quel lavoro da tanto tempo….magari potesse ricordarsi di tutti.



Home page  Lettura   Poeti del sito   Racconti   Narratori del sito   Antologia   Autori   Biografie  Guida   Metrica   Figure retoriche