Poesie di Giuseppe Cicozzetti


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A nulla somiglia il tuo amore
Piace al vento carezzarti
e tra i capelli rovistare
come prima alle giovani fronde,
che gli occhi socchiudi,
ora acquosi e lucidi.
Non difenderti.
Lascia che il vento tinga
una nuova bellezza.
Non smarrirti.
A nulla somiglia il tuo amore.

al principio dei giorni
Vicino sei al cuore
come un piccolo fiore alla terra.
Dolce sei come il sonno che viene
per il corpo stanco.
Come in sogno sei venuto
con piccoli passi silenziosi
nudo come la tua pelle
di mandorla intatta
nudo come i tuoi occhi
di oliva matura.
Oh, sospira vagiti di fuoco
e a te la madre stringi
come un'amante.
Sei grida e bellezza e baci
e promesse e vita profonda.
Ruba il fondo degli occhi materni
e nel tuo furto ristagni l'acqua
del tuo sguardo notturno.
Piccolo cuore vicino
come un piccolo fiore alla terra.

Tutto ciò che so di lei
Bene ti distinguono i tuoi occhi
di fulmine e acqua
e come una via in discesa sono facili
da guardare.
È bello vederli muovere
e ancora più bello è domandarsi
cosa vedono nel folto di volti
sempre uguali.

Bene ti distingue la tua bocca
che disegna un'emozione
ma muta è ancora del mio nome.
Ed è bello vederla mentre parla
e ancora più bella è quando ride
che a un arco teso somiglia
prima che scagli la sua freccia.

Sebbene il mio pensiero spesso è assente
perché io sono un poeta
non sento colpa per questo
né per le parole che trovano riparo
tra le mie labbra.
Per questo non temo di dire
che più d'una donna sei
e non soltanto l'opera di Dio
ma anche degli uomini
che sempre ti fanno bella
coi loro cuori.

Bene ti distingue il tuo viso
che smarrirvisi non fa paura
né lottare con le lacrime.
Finché l'agonia di parole non dette
lacera il sonno come una bolla
come un canto solenne
mi chiedo ogni momento
se sogni un sogno simile al mio.

Vorrei dirti le più profonde parole
trasparenti e sincere ma non oso
per timore che tu rida.
Così mi burlo di me stesso
e del mio unico segreto.
Derido il mio dolore per paura
che tu faccia lo stesso.

Il canto di una Sirena
Nei giorni miei
navigati alla deriva
ho fatto del mio meglio
per sorridere.
Prima che le tue mani
e i tuoi occhi
non mi hanno rapito
Deserto era il mio mare
e tu per me
dalla tua isola cantavi:
"Per tutta la vita ho atteso
vederti passare di qui.
Ho perle ai miei fianchi
e avorio per denti.
Sono qui, sono qui.
Approda su me".

Forse è solo un sogno
o tu è me che sogni.
Meglio è domandarsi
chi tra i due è la preda.
Ma è su te
che la mia vela fa rotta.
Però ho negli occhi
i tuoi innamorati infelici
infranti per sempre
tra i tuoi scogli.
Perché meglio
tu sai cantare:
"Domani sarà"
Ora non mi toccare".

Sono confuso e tremante
i mezzo i tuoi flutti.
Se ricordo d'essere uomo
temo di infrangermi e
con la morte giacerò
come mia sposa.
Perché meglio
tu sai cantare:
"Domani sarà"
Ora non mi toccare".
Scivola mare nelle carene
portami dove si spegne
il suo canto.
E quando un sorriso
comparirà sul mio volto
come l'onda sulla riva
paura non avrò
di ricordare il suo canto.

Domani è ieri
Nulla è più misterioso
e adorabile e proprio
delle tue parole spogliate.
Ti recludi nell'attenta veste
e abiti lontano
con la tua grazia
dove non sai chi ti raggiungerà.
Certo non io.
Chi ti vede passare
a tanta regale distanza
la vertigine lo porta via.
Nel sangue, che ha diffusioni
di fiamma sulla tua faccia,
il cosmo fa le sue risa
come nell'occhio nero della rondine.
La tua bocca è serrata.
Non sanno le mani tue bianche
il sudore umiliante dei contatti.
Pure qualcuno ti disfiorerà,
bocca di sorgiva.
Qualcuno che non lo saprà,
un pescatore di spugne,
avrà questa perla rara.
Gli sarà grazia e fortuna
l'averti cercata
e sapere chi sei
e poterti godere
con la sottile coscienza
che offende il geloso Iddio.
Ama il tempo lo scherzo
che lo seconda,
non il cauto volere che indugia.
Così la fanciullezza
fa ruzzolare il mondo
e il saggio non è che un fanciullo
che si duole di essere cresciuto.

a un'amica
Splende il corrusco rossore
come un indicibile evento di luce.
Là tinge le guance e la fronte
e obbliga gli occhi
a guardare un punto lontano.
Ritroso è il pudore e antico stupore
d'immemore tempo
assente.
Ora è che torni il corrusco rossore
a splendere ancora
tra la bocca scolpita
e il volto di donna, fiero
mancante
di mille parole di carezzevole pioggia
solo pungente di morbido affetto.

Fragile come acciaio
Ancor breve è la tua vita
già piena di vita,
e forte sei più dei forti
che hai conosciuto.

Non so dei giorni tuoi
né quanto hai riso
o pianto.
Non so quanta ai tuoi occhi
sia accorsa pena immeritevole,
tu non temere: le lacrime
d'una giovane
fan presto ad asciugare.

Non so dei tuoi pensieri
né dei tuoi ieri.
Quel che so di te lo vedo.
Bruno hai il viso
e soffice ghirlanda lo incorona.
D'un cerbiatto hai gli occhi,
svelti e allegri
come un lancio di coriandoli.

Seduta accanto alla finestra
ti confondi col viavai
d'occhi privi di speranza.
Tu non dimenticare
il mio volto o la mia voce:
vorrebbe ancora dirti tanto
lo sconosciuto della sera;
vorrebbe ascoltare tanto
lo sconosciuto della sera
dei tuoi giorni di pioggia
e dirti che solo chi ha pianto
ha rispetto delle lacrime altrui.

Ma tu, giovane donna,
sei fragile come acciaio.
Salde hai radici
come un fiore sulla roccia,
e ogni giorno sorge ansioso
soltanto per vedere
il luccicar degli occhi tuoi.

Cuore del tuo cuore mio
Non accadrà che sia trapunto dalle menzogne
né accadrà che siano verità stracariche di rabbia
a governare i giorni miei.
Entrambe lo han già fatto.

Più non crederò allo specchio,
preso ha a dirmi che son vecchio.
Io vecchio non sarò
finché di gioventù tu sei coetanea.

Ma il giorno che anche in te
i solchi vedrò del tempo,
che arrivi allora Morte
a dare pace ai giorni miei.

Indegno è il cuore mio
d'esser coperto dalla tua bellezza.
Ma se il cuor che vive in me è il tuo,
dimmi: come potrà invecchiare?

Per questo, amore, di te abbi cura
e lo stesso io farò; ma non per me, per te.
Il tuo cuore scanserò da ogni male,
dalle infide maree e dal vento rugginoso.

Sì, così farò, come balia affabile
fa col suo bambino.
Ma non contar sul cuore tuo, se il mio è ucciso:
tu me l'hai dato, perché non sia più reso.

Letale leale
Piano mi circondavi
rimanendomi di fronte
poi il colpo affondavi
ai miei occhi attenti.
Tu continuavi a parlare
io a morire.
Mentre dicevi d'essere leale
sapevi di essere letale.

Vera non sei più della primavera,
tu che mi convincevi
e mi educavi
a scegliere per te.
Declinavi, è vero,
la vita accumulata.
Adoravo le tue alzate d'ingegno
anche se non ne ho bisogno
oramai.

Il fumo si portava
ai tuoi occhi.
Non so se fossero lacrime
o un'allergia,
che importa.
Tu continuavi a parlare
io a morire.
Mentre dicevi d'essere leale
sapevi di essere letale.

Ti ricorderò, mi viene naturale
e non scorderò l'orfano bacio
che reclamava
di non starsene solo.
C'è un che di eccezionale
nel raccogliere i frammenti
di quel che mai s'è frantumato.

Non dalle stelle
Non dalle stelle
ma dai tuoi occhi stanchi
traggo saggezza
e per amor tuo lotto con il tempo.
Dici che tempo e morte
cospirano in segreto
per tramutar la tua freschezza
in fetida carne.
Ma come essi ti lacerano
io ti risemino.
Dici che bellezza e gioventù
son doni in prestito,
ma se è come dici
la bellezza che hai in affitto
non ha scadenza.
D'un altro morente giorno
udiamo l'ubriacata salve di rintocchi
che conduce all'orrida notte
mentre le tue lacrime
da strascico nuziale
facevano a quello
che per te non rimane.
Non dalle stelle
ma dai tuoi occhi stanchi
mi viene il sapere.
Dici che come le piante
vedi crescere gli uomini,
vantarsi d'una gioventù e
al culmine calare.
Ma se è come dici
sarà cancellata la memoria
d'una rigogliosa primavera.
Amica, saresti ancora te stessa
se oltre la morte il tuo fresco viso
recasse l'aspetto
della tua dolce prole.

I giorni venturi
I miei numi e il tuo Dio
ti cingono ai fianchi
l'innocente suggello
della beatitudine.
È giusto che se ne pronunci
il merito: se opera credendo
di eludere gli dèi, l'uomo, sbaglia.
E in dono il dio dei Giorni
ti recò Grazia
che crea dolcezze ai mortali,
che infonde valore
e dona sovente credito
all'incredibile.
Ma i giorni venturi, lo so,
saranno giudici accorti.
Siamo stirpe caduca,
un passaggio di starne,
ma nessun guadagno
spetta ai blasfemi:
la vita prosegue
ben oltre il traguardo.
Tu accostami alla vittoria
incoronami il capo di spine.
Amo aver paura: il grande rischio
respinge un uomo codardo.
È questo che ora io dico
ma i giorni venturi, lo so,
saranno giudici accorti.

Giulia dalla Luce del Sole
Di foglie di mandorlo
hai gli occhi, in fiore,
scuri, di scura organza.

Giulia dalla voce di fiaba,
su noi vanti il primato
d'essere nata nel mondo
che per primo è svegliato
dalla Luce del Sole.

Di candida seta
è tessuto il tuo volto
e il tuo volto è luna
è argento,
è il narrar d'una storia.

Giulia dagli occhi di fiaba
breve è il tuo passo
ma lontano conduce
e come un compasso disegna
l'ampiezza del mondo.

Lascia che siano le tue mani
a parlare di te,
che in guanti di regale pudore
sfogliano libri e poi fiori
e poi il giorno che viene.

Giulia dalle mani di fiaba,
racconta con voce farfalla
quel che ci manca sapere.
Dicci del Sole Levante,
racconta delle ali di draghi,
di lampade accese
nel cielo d'Oriente,
del nespolo in fiore,
e ancora, ancora.

Giulia dagli occhi di fiaba,
su noi vanti il primato
d'essere nata nel mondo
che per primo è svegliato
dalla Luce del Sole.

SUn amore, ancora
Mai l'amore che mi fu narrato
m'apparve col suo vero volto.
Del posar le labbra su quelle dell'amata
e ricavarne un brivido
nulla sapevo prima di te, o amata.
O, mani senza amore
non siate ingannevoli con voi stesse,
non affrettatevi a chiamar carezza
lo sfregar di palmo su un volto;
si accorge il cuore prima d'ogni altro
di ciò che è non è vero.
Ma se pur devoto a lungo vissi
senza mai gioire del piacere
che proviene dal sentirsi amato,
ora è tempo che mi accada,
e mi accada ora,
a dispetto della gente
che mai conobbe cos'è l'amore
e nel suo nome blatera.
Così, mio amata, è l'amore,
una volta che ha versato
nel tuo cuore ogni sua malia,
è lui a pretenderti, e tu cedi.
È questa la più grande confessione
che un bellimbusto possa fare.
E a quell'amore cui solo ora
ravvedo il vero volto,
mi consegno, che mi prenda.

da Memorie di un bellimbusto, vol.I

e il pianto vi sembra poca cosa
A chi il pianto sembra ancora poca cosa, dico:
navigate nei flutti d'acqua errabonda,
dove notte non giunge ché mai è andata via.
Dell'anima adunate i lembi che il terrore rende cencio
e, come feci io, solerti sarete ad implorar
d'avere indietro magari un sol frammento
d'un giorno che credeste speso invano.
Se il pianto ancor vi sembra poca cosa,
mentre è solo luce oscura quel che vedono i vostri occhi,
riflettete come ebbi a fare io:
se l'orgoglio venne a farvi da nutrice,
paura non abbiate or che s'è disperso,
poiché è affatto disdicevole pencolar
davanti all'arroganza dell'ignoto.
Fate, allora, se il pianto ancor vi sembra poca cosa,
che siano lacrime d'argento a sgorgar dai tristi occhi;
lasciate che v'aspergano le gote d'un pallor dimentico
e timore non abbiate se
l'apparir di nostalgia dal gonfio ventre
verrà a spaginar ricordi come al campo si spaglia la semente.
Se navigate anche voi nei flutti d'acqua errabonda,
volgete al cielo una supplica devota poiché non morti siete ancor,
sebbene poco manchi, e per questo un fil di credito serbate,
benché stolti foste a trovarvi dove siete:
la vita ama il petulante che ne chiede ancora.
Ricordate, dunque, se anche voi un giorno
vi trovaste a navigar le acque dei fiumi
che dilagano nel torbido dell'oblio,
dove non è l'occhio di nessun sole a governar la vista,
non lasciate che il pianto vi sembri poca cosa,
esso è il vostro unico fardello.
da Memorie di un bellimbusto vol.I

Tu dici che non parlo mai d'amore
Tu dici che non parlo mai d'amore.
Lo dici per colpirmi in volo
e uccidermi come un'allodola.
Io, amore, non parlo altro che d'amore,
da quando ho voce, da che ho perduto
l'acerbo gemito d'infante.
Dalla scienza degli addii
e dal tuo piangere notturno
hai lasciato ruminare il cuore,
e chiusi avevi gli occhi e non capivi
che a onta di tutte le morti
non c'è parola d'amore che sfiorisca.

Tu dici che non parlo mai d'amore.
Lo dici per mietere il mio sangue
come biondo grano di pianura.
Nuda eri al cospetto di parole
più fragili di gusci di conchiglia
e adesso decidi per chi di noi è peggio.
Mai sono affiorate alla mia bocca
parole come "cigola la porta"
o, peggio, "i pesci guizzano felici".
Per te la bocca mia palpitava infuocata
e non vedevi le lame dei coltelli
sporgere dalle ferite aperte.

Tu dici che non parlo mai d'amore.
Lo dici sull'altare del rancore,
in onore al Feticcio dell'Ultima Parola,
e gli occhi che mi arrisero una sera
sostano oramai nel buio e nel dolore.
Ma io ho versi da stivare in un granaio.
Ora è ancora presto, ora son gemme ancora acerbe,
nessuno li pretende o prende.
Ma vedrai, col tempo, che per le mie parole,
come per i vini pregiati, verrà il loro turno.
Tu dài al nuovo amore da leggere i miei versi,
vedrai come sarà insostenibile il peso delle differenze.

La fantasia dell'infelice
Mai, che io ricordi, giunse ai miei orecchi
due volte uguale il suono del mio nome
come se quel che porto stesse stretto
più di un vestito preso in gioventù.
A turno mi han chiamato come più vi è piaciuto,
e alla mia buona memoria sono grato
se ancora li ricordo tutti.
A turno sono stato mestator di sogni,
venditore di bugie, temibile teppista o malandrino,
seduttore, ladro, perfino libertino.
Ma non mi lagno né mi sento offeso
Né oso obiettare il titolo che mi si vuole attagliare.
Dirò di più: mi piace, poiché quel che di me si dice
è tutto vero!

Chiamatemi come più vi aggrada e vi risponderò
ma lasciate che per me io tenga il nome che
fra tutti mi piace sopra ogni cosa:
Bellimbusto.
Vorrei soltanto si riconoscesse - credete
non è per vanteria - che il vostro disappunto vi ha premiati:
si sa che agli infelici scorre molta fantasia.
Ma a me, che basta un colpo d'ali
per spingermi lontano oltre ogni nuvola,
come un innamorato vi ascolto e vi contemplo,
immoto ed estasiato e regno sopra i vostri accordi
ora mugghianti ora sommessi e lenti
nello strepitare dei nomi.
Ho accanto gli astri (quale incanto!)
e il loro corruscar metallico al fianco
perché sentano con me il rombo del loro eterno andare.

Tutto è frutto d'un precoce autunno,
di un morente amore.
Ma io son pioggia che di rugiada lascia scia,
non giorni muti di lacrime o carezze senza fremiti
e non so se vivere o no fa bene al cuore,
ma a tutti ho offerto felicità senz'odio o gelosia.
Dite ora se ancor vi sembro quel che avete detto;
È questo forse il bieco autunno del Bellimbusto?
Chi fu disingannato ora è estraneo ad ogni inganno
ma ancora credo alle promesse che farò e
ancora io confido nell'amore
e posso nuovamente abbandonarmi ai sogni traditori.
Ma non portate le parole del passato,
nell'anima potete risvegliare soltanto agitazione
non amore.
da Memorie di un bellimbusto vol.I

alla sconosciuta dai capelli rossi
(l'amore al tempo degli impiegati)


Nelle giornate dentro i ristoranti
L'aria infuocata è selvatica e sorda
E governa il clamore di frasi smozzicate.
Sarà lo spirito pernicioso della primavera.

Più lontano, sulla asciutta strada
Si celebra l'anonimo di palazzi suburbani
Mentre sforna il cuciniere la sua teglia
Ed echeggia il vociare impiegatizio.

E ogni giorno per i viali
Con cravatte fuori tono
Passeggiano tra i tigli con dame sottobraccio
A tre a tre gli allegri buontemponi.

Pazienza se sull'acqua affondano gli scalmi
O echeggia la risata d'una donna
Mentre abituato ad ogni cosa
Il cielo offusca lentamente.

Ogni giorno il mio volto
Si riverbera nell'unico bicchiere
L'acqua come assenzio misterioso liquido
È come me sottomessa e stordita.

Mentre accostati ai tavoli vicini
Frettolosi mangiatori danno il meglio
Alzando un bicchiere con occhi di coniglio
Affrettandosi a gridare "alla salute".

Ma ogni giorno, all'ora stabilita -
Mi chiedo se sia un sogno - una ragazza
Di nero inguainata fa il suo ingresso
E tra i tavoli nebbiosi avanza.

Lentamente, falciando gli impiegati
Quasi sola, senza compagni quasi
Esala caligine e ricordi
E spesso siede presso la finestra.

Giuro che ho sentito il diffondersi ammiccante
Di opinioni sui quegli occhi come il vento
E sui capelli appena arsi e
La stretta mano inanellata

Vinto da una strana e antica affinità
Osservo oltre l'apparenza
E vedo l'approdare di ricordi
E un'incauta incantata vicinanza.
Cupi son gli arcani confidati
E dico che l'estraneo volto mi è vicino
Sì, può darsi che il vino acerbo abbia penetrato
Tutti i meandri della mia anima.

Il nero scialle e le sue frange
Vacillano nella mia mente
E gli occhi verdi senza fondo
Fioriscono sulla riva lontana.

Ah, sapienti son le mani e le dita ancor di più
Se srotola una carta come vela
E ne avvolge polvere di fumo
Altro è il sapore che ella si concede.

Nella mia anima, lo so, giace un tesoro
La cui chiave è affidata solo a me
Hai tutte le ragioni sconosciuta dai capelli rossi
Lo so bene: la verità si nasconde in te.

Golf !
Mulino le braccia contro il vento.
A un remigatore in affanno
ho rubato il risalire della corrente
ma fatica non sento né il luminoso gocciolar
del sudore sulla fronte m'è di noia.
Solo la trama del mio tappeto è fitta
più del fairway, ma non il profumo possiede
né il continuo smeraldo del colore.
Soltanto alla mia ombra è dato
allungarsi e giacere supina sulle brevi alture,
lievi e molli come il respiro dell'amante.
Sapeste come fin dal tee avvisto il finale pin,
meglio d'una vedetta scorgo l'ombra d'una buca
che "Terra" vien da dire come il triste marinaio
troppo a lungo sulle onde urla su dall'albero.
Swing, swing, un colpo ancora
Swing, swing, un colpo ancora
Mare sembra il rough all'ondeggio d'odalisca
e il flutto frange senza pianto all'apparire
dell'ampie dune.
Ma del mare non ha l'onde
né battima né schiuma polverosa.
Tutto arresta il bunker, immobile e guardingo.
Non è rena che mi aggrada né mi invita a riposare
che so, a stendermi sul dorso e goder del sole.
Vola palla, vola alto
fino a un punto nel lontano sole.
Guidi un nume la tua strada fino al green.
Fino al green, diritto fino al green.
Parlo una lingua da coscritto
Fino al cuore dell'allusione
Un colpo in più, due colpi in meno
Non c'è sconfitta, non c'è successo
Il golf non è come la vita.
Ho accanto il frinire dei grilli e
il gracidare delle rane ormai mi è amico
ma a farmi compagnia è il mutevole spiegarsi delle ali
e dagli uccelli - nessun può dirsi libero più di essi -
ho preso e consegnato il nome del mio gioco:
ora è Condor, se vi piace, a dipanar le fitte piume,
o piuttosto Albatross, se sul verde acceso
c'è una fitta velatura, come un'ombra rugginosa,
ma del curvo becco d'Aquila ho imparato la costanza,
la paziente disciplina dell'attesa.
Swing, swing, un colpo ancora
Swing, swing, un colpo ancora.

È durata un giorno
È durata un giorno la mia vita
è durata un giorno.
Ho abiti fatti di carta
del giornale di ieri
anche i pensieri
sono quelli di ieri.
Quando ero giovane - e
io sono stato giovane davvero -
i vecchi mi facevan da maestri.
Me stesso offrivo
alla sapienza della loro fucina
e lasciai che il fuoco venisse spento
perché fossi forgiato come metallo
fuoco intinto in un bacile.
Andavo, lo ricordo,
a lezione di Passato.
Ora che io son vecchio
Sono i giovani a farmi da maestro
Quel che ormai è impossibile
Da modellare
È facile che si spezzi
o che sia infranto.
Ma adesso le lezioni
aprono antiche ferite, ma che importa
se il passato è ormai andato,
così dai giovani maestri
vado a lezione di Futuro.
È durata un giorno la mia vita
è durata un giorno.

Un commiato
Col velluto di ogni mia parola
cucirò calzoni neri
e da tre tese di tramonto
ne verrà una blusa.
Per il Vicolo del Mondo
così abbigliato girerò
per le strade chiacchiericce
col passo del bellimbusto.

Lasciatela gridare la Terra
Nell'inferno del quieto vivere.
Vengo forse a violentare il Sole?
Sono arrogante, e la sfiderò.
Mi piace l'asfalto
reso lucido dalla pioggia,
su di esso srotolerò
il tappeto delle mie parole.

Non so se a disarmarmi
è questo azzurro cielo
o il mio amore
in quello che rimane della festa,
ma sento che ogni mio verso, oggi,
non è più utile di uno stuzzicadenti.

O donne che amato avete i sussurri
e la mia carne.
E tu che spento il fuoco
mi guardi ormai con occhi di fratello,
vi prego, coprite il poeta che avete conosciuto
di fiori gialli e sorrisi luminosi.
Li cucirò sulla mia blusa
e me ne andrò,
col passo del bellimbusto.

da Memorie di un bellimbusto, vol.I

Sei ancora dentro me
Forse, chissà, è il colore del sole
A tagliare di netto e
A coprire ogni tinta all'incrocio
Dei miei anni
O forse, chissà, è il tempo
O qualcosa così
Ma tu sei ancora dentro me

Ma questo non è un guaio
Che mi abbatte
O che dà ai nervi
Non prego nel dire cose come
Non ti dimentico
Ancora non cammino curvo
Nel selciato
Ma tu sei ancora dentro me

Sebbene la mia mente
Sia andata in fumo
E ogni pensiero sottile è divenuto
Non è dolore quel che sento
Perché nemmeno mi interessa
Sapere con chi ti sveglierai domani
Ma tu sei ancora dentro me

Non ti ho mai chiesto
Di dire cose come
Sì o no,
ti prego di capire
non c'è posto dove andare
però non posso ancora non sussurrare
di averti preteso
Ma tu sei ancora dentro me

Però quando apri gli occhi
Al mattino
Ti prego di guardare allo specchio
Vedrai che non potrò starti vicino
Vedrai che non vorrò stare con te
Ma sono soltanto curioso di sapere
Se anche tu ci vedi chiaro
Come quel qualcuno
Che ti ha ancora dentro sé.

Timida umida
La pioggia sui tuoi occhi cadeva
leggera
come petali da un ramo di ciliegio
in fiore.
Sul tenero tappeto delle guance
rapidi
scivolavano fluenti rigagnoli.
E tu obbedivi
al desiderio di mani renitenti
a cancellare
l'umido florilegio che ti vestiva.
il volto.
Perché nessuna delle lacrime
lucenti
potesse mai mischiarsi alla pioggia.

La passante
Non a tutti è dato di vedere
la vita scorrere oltre un vetro.
Per questo carezzo le ciglia
ai buoni occhi:
troppo han visto senza mai vedere
la vita degli altri
apparire e poi passare.
Tutti ho salutato
Facendo un breve inchino
allo sconosciuto
senza sapere il nome né il destino,
curvando dal podio d'un concerto
per omaggiare i silenti suonatori.
Mi piace alla distanza
sfiorare con la mano
il loro viso, al chiuso d'una stanza.
A tutti regalo un sorriso
In cambio del piacere a loro ignoto
di scorgerne dalla finestra il volto
e carezzarne con le dita il viso.
Adoro consegnare
a ognuno il nome che mi pare
scegliendone ogni giorno uno nuovo
e fare che sia il vento
a toglierlo d'intorno,
strappandolo come fa
con un cappello.
Alla ragazza bruna a cui l'amore volò via
e vede il suo avvenire disperato
asciugo gli occhi con un dito
sussurrando al vetro che le porti via
il ricordo d'un uomo troppo cambiato.
Tra tutte quelle viste andare
solo lei mi piace ricordare
e come panni al vento
io stendo ancora il mio dolore
per quella donna che voleva esser seguita
e che invece non ha capito
perché mai al termine d'un viaggio
invece d'essere invitata a rimanere
le è detto di dovere andare.
Carezzo i suoi capelli e l'accompagno
dall'altra parte della via
laddove insieme al sole
batte forte la speranza
di vedersi un giorno amata
d'una luce incontaminata
come una bellissima giornata.

Estremista
D'aquila hai gli artigli
ticchettanti di luce,
morbidi.
Punte affilate di grafite
dardi saettanti
fulmini svettanti.
Cime sono le tue dita
diritte.
La nuvola del palmo
lasciano e corrono nell'aria
libere e ansiose.
Di porfido hai l'unghie
lucide conchiglie
che il mare han salutato
per dimorare sulle tue mani.

Donna degli estremi
donna delle punte
bello è alla vista
il minuetto delle dita.

Poggiano i tuoi piedi
sul suolo acuminato.
Ti guidano i passi
verso il tuo dovunque.
Dervisci son le dita
che ruotano nell'aria
sottili, rarefatti,
come l'alba dell'estate.

Donna degli estremi
donna delle punte
bello è alla vista
il minuetto delle dita.

Gli amanti di un giorno
A me che non capii
quando sulle mie labbra
piovve un cupo florilegio
di menzogne
non resta che cullare
una immagine sfuocata.
Due guardie metterò
ai cancelli del ricordo
perché non si dissolva
quel tanto che il mio cuore
sa ancora ricordare.

È tutto quel che ho di lei.
È tutto quel che ha di me.
È tutto quel che hanno
gli amanti di un giorno.

Ero, a quel tempo,
soltanto un'idea.
Dell'uomo che ero
io solo sapevo.
Ho atteso alla tua porta
sotto la pioggia battente
sperando soltanto che
mi aprissi il tuo cuore
senza invece sapere
che ero soltanto
il tuo errore migliore.

È tutto quel che so di lei
È tutto quel che sa di me
È tutto quel che sanno
gli amanti di un giorno.

A me il vortice di sabbia
sembrava una danza.
Con gli occhi vedevo
quel che volevo
e mi illudevo
di averlo trovato
nel folto dei pensieri tuoi.
Ma giovane ero
e l'amor non perdona
chi lo confonde e
lo chiama con un altro nome.

È tutto quel che di lei ho da dire.
È tutto quel che di me ha da dire
È tutto quel che hanno da dirsi
gli amanti di un giorno.

Lungo il fiume e la riva
Verso terra sembrò il salice
curvare i suoi rami
per scaldarsi, e poi dormire.
Alla distanza
udimmo un crepitio d'ali
disperdersi lontano.
Ci distrasse, e respirammo,
lungo il fiume e la riva.

Gli occhi avevi
dilaniati e acquosi.
Argini ti erano
gli archi delle ciglia
sull'ansa della fronte.
Tendesti la mano
per cogliere un grano di me
e tornammo a baciarci,
lungo il fiume e la riva.

Lungo il fiume e la riva,
lungo il fiume e la riva
parlavi una lingua meravigliosa
fremevi, scossa dal vento,
giunco elegante,
un abbraccio imploravi.
Lungo il fiume e la riva,
lungo il fiume e la riva.

Una lacrima vidi
dire addio ai tuoi occhi
e scendere ripida
da ogni tuo sogno.
Quel che è difficile
da ottenere è meglio che
resti nel folto dei sogni.

Una nube leggera
ci scivolò accanto e
ci mosse verso l'un l'altro.
Capimmo d'essere di sangue
e giacinti, di spirito e carne
più brevi del tempo che fugge.
Ci prendemmo là dove l'erba
è più in fretta che cresce,
lungo il fiume e la riva,
lungo il fiume e la riva.

L'amore non dà punti
Sono sospeso alle tue ciglia
come un'acrobata.
Non temo di cadere
mi hai dato forti braccia e mani.

Dimoro sulle tue labbra
come un frutto.
Maturo a ogni sospiro
e tu di me ti nutri.

Cadono su di me le tue parole
come brina lucente.
Ne berrò ogni piccola goccia
a principiar dall'alba.

Rotolo sulle tue braccia
come bruma mattutina.
Non mi asciugherà il Sole
né il vento

Cado sulle tue mani
come un triste funambolo.
Non è una sconfitta.

Non è mai una sconfitta
perdere contro te
né mai è una vittoria
vincere contro te.
l'amore non dà punti.

Scivolo sui tuoi fianchi
di cera son fatti.
Dovunque io cada va bene
paura non ho.

Sosto sulle tue rotule belle
che piazze mi paiono.
Mi fermo a guardare la vita
e bella m'appare

Adoro il tuo pudore
amo saperti ritrosa.
Per me è una scoperta
mi conquista ogni volta.

Mi piace starti a guardare
a tua insaputa.
Nel silenzio colgo il senso
d'ogni tua parola.

Non è mai una sconfitta
perdere contro te
né mai è una vittoria
vincere contro te.
L'amore non dà punti.

Ode al gusto
Che cosa mai è il gusto.
Lo assecondi la gola,
ne sia ingorda.
Si lasci che scivoli,
che accarezzi il palato,
come un amante
le guance lambisce all'amata.

Che ci seduca,
che ci sorprenda.
Sia carezzevole
come parole
appena sussurrate,
flebile refolo
di pura passione.

Quale piacere
può dirsi più ardito
di un attimo speso
nel vortice breve
che pone la gola
al centro dei sensi.

L'amore con l'amore
vuol fare l'amore.

Un amore
Mai ho scordato, amore, mai ho scordato
il corvino dei tuoi capelli.
Non sempre allegri né leggeri
sono stati i giorni ma mai per questo
ho scordato il tuo primo profumo.

Di te potrei dire
come un lungo racconto prediletto
il muto amor silente.
M'è più facile adesso comprendere
ho un nuovo sillabario dell'amore.

Priva è la tua anima di neve
al sole devi il tuo colore e i denti
e parole senza fronde.
Saperti accanto nutre come pane
vederti intorno l'ombre scansa.

Da te ho imparato
più che su mille libri:
l'amore non ha una sola voce
ma quante sono i cuori delle donne.
Mai più vorrò scordare la tua voce.

Questo, credi, è più che confessare
d'esser stato come cieco.
I giorni spesi il vento li ha con sé
quel che verrà sapremo custodirlo.
E mai che un semplice pudore
imbavagli quello che reclama d'esser detto:
Ti amo. 

La ballata dell'angelo immobile
Ho chiuso per sempre i miei occhi
una notte di maggio.
La vita mi uscì senza avere il coraggio
di lasciarmi per sempre.
Persino le stelle, si disse,
provaron pietà,
e son diciassette gli anni che vivo
una vita neanche a metà.
Se solo potessi, dirvi vorrei
che non basta il respiro
per credersi vivi,
la vita ha il suo giro,
i suoi bivi.
A me resta solo l'affetto
d'un padre pietoso
accanto al mio letto.
A quelli che dicono
sacra è la vita!
muta rispondo,
con molte domande:
che vita è la vita
se non è pioggia
a bagnar le mie vesti,
se non è il sole
a brillare ai miei occhi,
se il cuore è condannato
a battere solo per me?
Della vita non sento il profumo.
Ho stomaco e naso
colmo del freddo rancore,
dell'ipocrita foga
di giudici privi di toga.
Ognuno parla
di quel che non sa.
Chiudete i miei occhi,
stavolta davvero,
la vita matrigna m'è stata,
m'ha consunto il sorriso.
Non merito oltre:
siate pietosi.
Lasciate che l'anima mia voli
via dal vostro mondo.
Fate dar seguito a quello che ho detto:
non nacqui per essere
carne su un letto.

Vero
Càpita
che due anime non giungano
né alle parole né ai gesti
ma restino sospese come
come foglie su di un albero.
È raro, ma càpita.

Forse
è vero solo ciò che non c'è,
vero il ricordo, vero l'oblio,
vera la vita, vero separarsi.
Tutto è forse,
invece che vero.

Insisto
nel dire parole impronunciabili
la gola ho piena di suoni e lamenti
e gli occhi velati di sillabe acre.
Ma val bene insistere.

Era o non era
la volontà di un dio che sorveglia
l'incedere dei tuoi passi e le eleganti creature
che ti accompagnano. Così mi pareva fino a ieri,
se era o non era.

Mi placa
sapere il tuo giorno, ognuno ne ha uno
buono per una carezza, un augurio, un bacio distante
a te va il ricordo di cenere arsa. Lo so,
questo mi placa.

Ignoro
se l'innocenza è una colpa oppure va colta
dentro lo spazio d'un luogo lontano. Di me tutto so,
di te posso non dirlo.
Lo ignoro.

Cos'è che han visto gli occhi miei
Cos'è che han visto gli occhi miei
Ho visto pargoli cinti appena nati
Da un destino assai maligno
Che impedì a ognun di loro
Di crescere uomini tra gli uomini
Lattanti dal candor dell'innocenza
Sottratti al beneficio di ricever le premure
Che si addicono all'età
E che in dono hanno avuto solamente
Il vagolare nell'eterno buio nero.

Ho visto madri lacerate dal dolore
Sul cui volto ancora era dipinto
L'orrore d'aver sepolto
Quanto in grembo era loro fecondato
Dei folli avevan gli occhi
Di chi mai ragione o senso trova
Nel più immane dei dolori.

Ho visto gente in là con gli anni
Che le vetuste rughe ne rivelavano l'età
Consunti da un malanno urlante
Di costoro posso dir che fortunati sono stati
Poi che l'ultimo respiro esalò
Nella quiete del giaciglio
Confortati dalle lacrime dei cari.

Ho visto giovani guerrieri che non gloria
Ma sfortuna ebbero, sul campo di battaglia
Il corpo avevan martoriato
Chi trafitto dalle punte d'una lancia
Chi squarciato dai fendenti d'una spada
Giovani nel fiore della vita:
Cercavan gloria ma trovarono la morte
Che d'ognun di loro si conservi almeno
La memoria di saperli valenti combattenti
E che l'onore conquistato
Resti acceso come fuoco sacro.
Per sempre.

Di loro ho visto ancor le spose
La cui vita senza più consorti si rese inutile e infeconda
E il segno d'una lama in petto esibivano al pari di un monile
Altre mani e polsi avevan neri
Che un taglio avevan dato a quella vita rinsecchita
Come, in genere, si taglia un ramo sterile.
Le immaginai ancora in vita
Ebbre di lacrime e pena domandarsi
Quanto triste sa essere una bocca che mai più sarà baciata
Mai più avrebbero cantato le lodi
D'una notte d'amore insonne
Né mai nessuna alba le avrebbe più sorprese
Supine sul corpo dell'amato.

Ho visto mute vergini dall'illeso fiato
Che non conobbero il grido del piacere
Mai costoro avrebbero saputo dell'esausto vigore
D'una notte d'amore.

Ho visto devote spose ancelle che s'aprono
Come si apre un petalo di seta al ronzante desiderio dello sposo
Mai più per loro suoneranno i tenui sospiri
Che abitano nel complice canto dell'amor nuziale.
Né a chi l'amore in vita lo rubò
Né a chi del talamo fece crapula
Intonerò mai un seppur lieve biasimo:
essi rubaron la vita, in fondo,
La stessa che or gli manca
Avendola immolata a quell'amore che scomparve.

Ho visto quanto è breve per gli amanti
Il transito dall'estasi all'oblio, dalla pienezza al vuoto.
Insostenibile.
Vani allora son grazia e fascino se nessun li coglie
E deserte son le guance di velluto
Se la mano dell'amante non vi scorre.
Come sterile diviene il seme della bruna bellezza
Se non potrà mai più essere fecondato
E sterpaio e l'inanellato intrico di riccioli
Quando le dita dell'amante non vi si addentrano.
A tutte queste anime va il mio conforto
E la pena di non saperle vive.
Mai più.

Leonardo
Poi che l'Angelo del Vento pietà ebbe di noi
Soffiò sui nostri occhi insegnandoci a vedere,
E imparammo a svelare ogni segreto.
Ormai ai nostri piedi
Calpestammo sabbia e vetri
E paura non avemmo di lasciar le nostre impronte
Ognuno nell'anima dell'altro.

Com'è che ti conobbi, io non so
Un messaggero ti condusse dalle mie parti.
Dell'uno e dell'altro ascoltammo le storie
E dell'ultima curva, dove lasciammo una vita.
Ti chiesi: "Sei forse sicuro di non essere me,
son troppe le cose che abbiamo in comune".
Io ti diedi una mappa e tu la chiave della tua porta.

Parlami, amico, e dimmi quel che ancora non so
Tendi le tue mani e mieti dai miei occhi
Quanto hai seminato.
Il tempo per noi è un Oceano
Ma ogni cosa, sappiamo, ha una fine.
Morimmo per rinascere ogni volta.
Ogni volta più forti, misteriosamente salvi.

A distanza aspettammo che il Fante di Picche
Sbucasse dall'angolo in alto, ma senza crederci troppo.
La vita non sta in una mano.
E come debole nuvola preda del vento ci appare
La fredda lusinga della Donna di Cuori.
Ormai sappiam bene dove è meglio cercare
Qualcuno che sani le nostre ferite.

Non siamo pentiti di niente, siam gente così
Ma abbiamo ricordi che si legano al dito
E un guinzaglio per gli anni.
Ma a chi dice che siamo cambiati diciamo
Che solo la vita ha il governo su noi.
Chi ha visto senza vedere mai più rinuncia ad esser curioso.
Lo sai anche tu.

Parlami, amico, e dimmi quel che ancora non so
Tendi le tue mani e raccogli dai miei pensieri
Quanto hai seminato.
Il tempo per noi è un Oceano
Ma ogni cosa, sappiamo, ha una fine.
Morimmo per rinascere ogni volta.
Ogni volta più forti, misteriosamente salvi.

Lutto
Vorrei che mi credeste.
Non tingo di corvino i miei capelli
Per gabbar quel che mi resta
E consegnarmi ancora ai vizi
Che anch'essi, ammetto, mi furon dolci
Come dolci furon gli anni ancora acerbi.
No, non è per questo.
Colui che è saggio sa
Che un frutto morso in gioventù
Giammai col tempo avrà lo stesso gusto.
Lasciate allora che confessi
Che non tingo di corvino i miei capelli
Per apparir quello che fui.
Il mio è color di lutto
Per gli anni andati, e che mai più ritorneranno.

Un grande piccolo tempo
Ho visto il sole farsi arcigno alitar sull'aria il suo bollore
e tingere di biondo anche i campi più feraci.
Struggente è la sua forza
che rimedio non c'e alcuno all'apparir copioso del sudore sulle membra.
Ah, gentili acquose perle, che in tenacia nessun vi è pari
impunite riapparite poi che il gesto della mano presto giunse ad asciugarvi.
Lucide compagne di fatica e diletto
ogni fronte conoscete, e del sole siete complici gradite.
Poi uva ha colto la mia mano, dal filare genuflesso.
Rigogliose perle di lucido alabastro, s'offron seducenti sol per essere raccolte
turgide e ferme appaiono alla luce dell'ultimo sole
ma dentro un fiume vi scorre di sapido nettare gioioso
che all'uomo allieta il giorno.
Del sole ho scorto il mesto suo congedo, e delle brume l'apparir silente.
Dolce è adesso esser dolenti.
Che il cantore sia in ascolto e sappia egli più d'ogni altro
parlar come conviene, per offrir a ognun menzione
del lamento inascoltato d'una foglia che dal ramo s'è disgiunta.
Mai l'uomo scordi il sottile crepitio d'una foglia
quando il passo ne fa tritume inconsistente.
Al cielo piacque aggrovigliarsi con grigie nuvole
gravide
che sul mio capo scelsero di partorire quanto tenevano in grembo.
E venne pioggia a bagnar le vesti.
Fina, prima, come a chieder d'esser tollerata, e smarrito infine ogni indugio
cura non pone nello sgomitare affannoso il suo insistente pungolio.
Leggera come piuma o dura come ago d'acacia, non dà scampo.
Su tutto ripone il suo lucido velo: un ultimo umido grido di vita
prima che la terra si adagi per il lungo sonno.
Il freddo giunse senza indugi, tracotante
e s'impose sopra ogni cosa
con l'arroganza di chi per nulla è avvezzo a chieder se gradita è la presenza.
Nessun si meravigli: ha forse costumanza il prepotente?
No di certo,
per cui dabbene si rivela chi nel cuore serba ancora la speranza in un ravvedimento
più saggio sarebbe rubare alle api miele in mare.
Infido si rivela l'incedere del freddo
poiché a un ladro ha sottratto ogni segreto: arriva e dei colori fa bottino.
E a colui che come me
che dentro gli occhi ha ancora impresso il cangiante scintillio del mare
è cosa, questa, che non si perdona.

mani
Ah, le mani dell'uomo
ne ho viste lisce come sassi di torrente
svettar nell'aria come il vento del mattino
e altre assai nocchiute e assenti d'ogni grazia
divenir sapienti nel dominar la dura ronca.
Ne ho viste di spedite posarsi su ogni cosa
e con dotta furberia degli altrui beni far man bassa.
Ne ho viste altre intinte dentro la perfidia
scorrere mendaci lungo il corpo dell'amata
spogliar del senso ogni parola e farsi messaggere dell'amor bugiardo
e altre invece torcersi nel tormento d'un amore riluttante a rivelarsi.
Ne ho viste di brutali, intrise di dolore,
dar morte e poi stagliarsi vittoriose sul rivale
mentre altre, assai virtuose, le ho viste entrar nel grembo gravido materno
senza indugi, per consegnare al sole il trillo lieve d'una vita nuova.
Ne ho viste ancora d'ubbidienti al solo istinto
di causar dolenze senza fine, e poi voltarsi incredule sui palmi
perché l'aria le mondasse d'ogni colpa.
Invano.
Ne ho viste alzate metter freno a intere schiere
e altre con un solo gesto dar la stura alla ferocia.
Eppure benché io ne abbia viste d'ogni forma
- che ancor fatico a credere come riescano ad esser differenti -
dirò che tutte, a proprio modo, sia che dispensino afflizioni
o elargiscano dolcezze, agiscono nel segno d'una nuda verità,
urgenti di scolpir nel tempo il loro segno.
Qui e ora.
Subito.

L'amor fortuito
Ah, l'amor fortuito
rivolta i sensi come gli aratri
arano gli innumerevoli campi
e solchi lascia
senza costumanza.
Non ha vergogna l'amor fortuito
né ha tempo per le guance degli amanti
né concede gustar vino e sonno
nulla gli è d'ostacolo.
Ah, l'amor fortuito
non ha tempo per le vesti
né le ama
e nemmeno vuol che affiori resistenza.
L'amor fortuito ama chi nella lotta
non mostra desiderio di vittoria.

a mio padre (sempre e per sempre)
Tutto ha inizio quando è finito
Quando è ormai tardi
Ed è saggio colui che ha capito
Che la vita non ama che ci si attardi
A svelarsi l'un l'altro, a chiarire le cose,
Le più faticose,
Prima che il tempo venga a rubare le parole.
Sempre e per sempre.

Padre, le nostre bocche non seppero capirsi
E s'intesero soltanto nel veleno
Lasciammo all'astio il tempo d'accanirsi
E al rancore non provammo a metter freno.
Poi fu polvere negli occhi e tutto intorno
Che nemmeno avemmo il tempo di vederci
Per scongiurare il grave scorno
Di non dirsi arrivederci.
Sempre e per sempre.

Sempre e per sempre
Ritorna alla mente quel giovane uomo
Che forte stringeva le mani ai miei fianchi
E fiero all'aria esibiva il trofeo dei suoi lombi
Bello era il mondo visto dalle braccia di mio padre
Bello era il mondo visto da lassù.

Che accadde che volle tenerci distanti, non so
Nessuno tra noi lo ha mai chiesto a se stesso
So solo che orgoglio e livore, ci mettono un po'
A starsene insieme
Ma quando han deciso di unirsi, ti portano diritto all'abisso.
Tardi è ora per dire che avrei preferito vedere il mio orgoglio
sommerso dalle potenti maree
invece di scoprire alla fine che è tutto un imbroglio.
La coerenza, l'ho scoperto a mie spese, uccide le idee.
Sempre e per sempre.

Padre, son così numerosi i ricordi che nemmeno ricordo
Se mai ci scambiammo una rude carezza
La vita è una strada senza raccordo
Io l'ho percorsa da cieco, con leggerezza
Scordando, perdona l'azzardo,
Che lasciando l'andata alle spalle
Ho smarrito la via del ritorno
Sempre e per sempre.

Parlarti di me vorrei adesso, e dirti quel che non sai
Che più non potesti vedere
Ma ovunque tu sia nel cielo, nel mare, mai si dica: è tardi oramai
Per far che sia detta una sola preghiera
Che varchi lo spazio, lo spazio profondo,
E che giunga diritta, forte, fiera
A dirti che stupido è stato, non lo nascondo
Provare ad amarsi mentre ancora si è in tempo
E non struggersi adesso che non ci sei più.
Sempre e per sempre.

Sempre e per sempre
Ritorna alla mente quel giovane uomo
Che forte stringeva le mani ai miei fianchi
E fiero all'aria esibiva il trofeo dei suoi lombi.
Bello era il mondo visto dalle braccia di mio padre
Bello era il mondo visto da lassù.

Senza te
Sanguina il mio cuore
Per la pena d'esserti lontano.
Ma supera il dolore
La gioia di sapere
Che è per te che peno.
Così ogni notte
Prima che si serrino
I miei occhi, dico:
"O Signore, se è così che mi sento
per esserle distante,
Come sarebbe unirsi a lei?"

a Nicolò
Per l'età che ha è saggio
E dalla madre ha preso gli occhi
Giovane ha il cuore, tenero e selvaggio.
Non molto ho da chiedere
Ma quando non potrò più stargli a fianco
La mia sola preghiera è
Signore, proteggi mio figlio.

Non molte sono le cose
Che oltre lui ritengo degne, dico il vero
E nella sua gioventù colgo i segni del passato
Non ho cura di quel che mi accadrà
Non importa il mio destino
La mia sola preghiera è
Signore, proteggi mio figlio.

Cresci pure nella luce,
E forti siano le tue mani
Che il sogno ti conduca
Dove meglio non puoi stare.
Possa vivere senza sosta
E senza sosta possa amare.

È giovane e scalpita
Pieno ha il volto di speranza
Sebbene questo mondo non ne offra.
Ma se cadessi lungo la mia via
Da non veder più un altro giorno
La mia sola preghiera è
Signore, proteggi mio figlio.

Sento dire da più parti
Che un tempo verrà a sistemare tutto
E ad amarsi torneranno Dio e l'uomo
Ma se questo non si disfa d'ogni singola catena
E largo non farà all'onestà, fino allora
Signore, proteggi mio figlio.

alle donne, tutte.
Ho colpa se m'è cara la bellezza?
Ho occhi che scorgono ben oltre
Dove gli altri vedon poco.
Ho colpa se ancor mi lascio tramortire
dall'incanto irragionevole
Che risiede in ogni donna?
Ho amato, lo confesso, e molto
E pronto sarei ad amare ancora.
V'è cosa al mondo come questa
Per cui valga vivere o morire?
Dell'amore io porto addosso
Ogni segno d'onesta.
Lasciate che sia messo alla prova.
Chiedetevi tra voi come son stato
E dite dov'è che ho inciampato.
Se grande v'ho recato delusione
Cadrò sulle ginocchia e il petto
Aprirò alle frecce del rancore.
Ma se l'avervi amato è colpa
Vorrei sempre macchiarmi d'un misfatto
Che porti ancor le labbra mia alle vostre.
Lasciate che io affidi a un bacio
Il più accorto patrocinio
Per dir che nulla di ciò che è stato
Vorrà mai essere scordato.
Guardate dentro voi e ditemi
Se mai qualcuna ebbe difetto
Dall'esser stata resa amante
Non solo di me stesso, ma dell'amor
Che al vento affida ognun dei propri semi
Perché bersaglio ne sia il cuore.
Al pari di quegli amor longevi
Che ardon senza mai bruciare
Caro m'è il ricordo dell'amor fugace
Che più d'ogni altro al sogno consacrò
L'audacia di fermare il tempo.
Sì, ancor mi scorre in ogni vena,
Come un fiume privo d'argini,
La certezza, grazie a voi, che se mai esiste
Ciò che ognun s'affretta a chiamare Paradiso
Non dissimile sarebbe dall'aver vostre fattezze.
Non profumo v'è che sia scomparso
Dopo un rapido mutar di vento
Né dimentico d'ognuna il color
Dei cento occhi e dei capelli.
O dei fianchi l'incavo sinuoso
Colme stive di beltà e purezza
D'un veliero che fa rotta nell'alcova
Ancora le mie mani sian timone.
Ah, di quale enigma siete tutta circonfuse
Che mai s'è dipanata per intero
Quella coltre che custodia è del più oscuro dei misteri.
Vi ho amato senza lesinare
Né chiedermi se onesto fosse darmi all'abbandono.
Mai c'è un briciolo d'ingiusto nello sguardo d'una donna.
Che ricca tavola ho imbandito
All'ostinato nume dell'amore.
Vi ho dato tanto, non si nega
Ma poiché buona misura ho avuto
Di che gioire a fianco a voi
Lasciate che vi dica del vantaggio
D'un uomo che s'è speso nell'amore:
Voi non sapete quanto belli avete gli occhi
Quando pronte son le rosse labbra
A ricevere un sol bacio.
È il preludio della vita.
Da voi tanto ho preso, è vero
Ma in misura uguale ho dato
Perché possa rammentar che d'un successo
Non s'è paghi se non va riconosciuto
Che nessuno espugna il cuore altrui
Se questo non è pronto a schiudersi.
Ho colpa, allora, s'è m'è cara la bellezza?
Ma se debole v'è parsa la mia arringa
Sappiate che l'amor gradisce la quiete.
E quindi prima del giudizio
Lasciate che io sia prosciolto
Dall'accusa d'aver sparso qua e là
I frammenti del mio cuore.
Non è questo che rivendico con forza
Vogliate solo custodirli
Come io ho in custodia i vostri.

Previsioni d'amore
Parlami pure del tempo che fa
E dimmi se nuvole in quota
Minacciano pioggia
Non porterò l'ombrello
Lascerò che mi bagni
Una pioggia d'amore.

Parlami pure del tempo che fa
E dimmi se il vento che soffia dall'Est
Vuole solcare il mio viso
Non mi parerò
Lascerò che mi sfregi
Un vento d'amore.

Riparo non voglio
Per quello che cerco
Appari al mattino e
Paura non fai per quello che dici.

Parlami pure del tempo che fa
E dimmi se neve cadrà
Fin dentro le case
Non la scanserò
Lascerò che tumulo sia
Una neve d'amore.

Parlami pure del tempo che fa
E dimmi se il mare
Gonfia i suoi fianchi
Nave sarò che in rada non entra
Lascerò che mi squassi
Un mare d'amore

Riparo non voglio
Per quello che cerco
Appari al mattino e
Paura non fai per quello che dici.

Lei appare con le stelle
Lei appare con le stelle
E là dove è buio presto c'è luce.
Ha dieci sottili comete per dita
E due ceste colme di raggi di luna.
Se le vien chiesto d'averne
State certi, ne avrete.
Se le vien chiesto d'averne
State certi, ne avrete.

Lei appare con le stelle
E subito zebre, farfalle, aironi eleganti
E arcieri celesti in vena d'ossequio
Le vengono a reggere il passo.
Se le vien chiesto uno sguardo
State certi, lo avrete
Se le vien chiesto uno sguardo
State certi, lo avrete.

Ma se vi passa accanto non cercate di seguirla
Se non volete dire: Ahimé!
Nessuno sa del modo che ha di farsi libera
Nessuno sa come le è facile parlare senza dire una parola.
Lasciate che lo dica uno che ha provato.

Lei appare con le stelle
Nessuno si stupisca se al mattino
Lei vi dice che è con gli angeli che mangia
Sul tavolo ha caffé e stelle marine
Se le vien chiesto un assaggio
State certi, ne avrete
Se le vien chiesto un assaggio
State certi, ne avrete.

Lei appare con le stelle
Silenziose meraviglie d'ogni luogo.
Ne ha in custodia la bellezza
E ne scrive con passione.
Se le vien chiesto di vederle
State certi, le vedrete
Se le vien chiesto di vederle
State certi, le vedrete.

Ma se vi passa accanto non cercate di seguirla
Se non volete dire: Ahimé!
Nessuno sa com'è scoscesa la strada del suo cuore
Nessuno sa com'è difficile avere una speranza.
Lasciate che lo dica uno che ha provato.

Quaranta mesi
Ora che il vento ha ripreso il suo soffio
Riaccesa è la stella del mio destino
Seppur da poco.
Parlo del tuo cuore indulgente
Che non volle trovare in me
Le colpe che ognuno scorgeva.
Sapevi del mio dolore
E non esitasti a dividerlo con me.
Quaranta mesi mi ci vollero per ridere
E fosti tu a farlo.

Del mare io so dire d'ogni suo colore
E divertito colgo le acquose bizzarrie
Di trine disinvolte.
Il suo odore gusto, salso e amabile,
E il suo grido nell'offendere gli scogli
Mi pare melodia.
Ora a piedi uniti sono dentro al mio giorno
E sanate sono ormai le ferite.
Quaranta mesi mi ci vollero per ridere
E fosti tu a farlo.

Così il mio intorno mi sorride
E il suo ultimo respiro respira dentro me.
Non temo più gli inganni, ho deposto le paure
Ma se manco di vederti
Ho ancora un lieve turbamento
Un brivido che ormai mi è amico.
La vita è un dato numero di giorni
Ti uccide lentamente lo stesso che ti tiene in piedi.
Quaranta mesi mi ci vollero per ridere
E fosti tu a farlo.

L'abisso ho conosciuto
Nel vedere la mia anima scalzata
Derisa e dileggiata o, peggio, ignorata.
Tra tutti solo tu sembravi scorgere che
Fuoco ancora c'era tra la cenere
Soffiasti con la fantasia
Puntando una scommessa che vincesti
L'amore ignora il calcolo
Quaranta mesi mi ci vollero per ridere
E fosti tu a farlo.

Le braccia mi porgesti e una parola
Fu tutto quel che ci voleva
E piano presi credere in me stesso
Dicesti: Vieni, non dar peso,
Ho un riparo per la pioggia.
Adesso brucia la mia anima
Che nemmeno se piovesse in tutto il mondo
Potrebbe mai estinguersi il fuoco che è in me.
Quaranta mesi mi ci vollero per ridere
E fosti tu a farlo.

Non parlerò altro che bene
Seppure avverso è divenuto il mio amore
Che maldicente di me riempie i vicoli
Non una sola smorfia mi tingerà di pena il volto
Di lei non parlerò altro che bene
Non parlerò altro che bene.

Seppure ostile è divenuto il mio amore
Che muscolo inservibile ha reso il cuore mio
Non una sola smorfia mi tingerà di pena il volto
Di lei non parlerò altro che bene
Non parlerò altro che bene.

Cadrò sulle ginocchia e morderò la terra
Che ha visto i nostri passi calpestarla
Con lacrime brillanti la renderò feconda
E un tempio innalzerò all'amor che non c'è più.

Seppure straniero è divenuto il mio amore
Che lingua ormai per tutti ha fuorché per me
Non una sola smorfia mi tingerà di pena il volto
Di lei non parlerò altro che bene
Non parlerò altro che bene.

Seppure cieco è divenuto il mio amore
Che occhi ha che non mi scorgono
Non una sola smorfia mi tingerà di pena il volto
Di lei non parlerò altro che bene
Non parlerò altro che bene.
Perché noi due si possa apparir bugiardi

Un addio inquieto
Ora che ci penso la mia vita è come
Il denaro che ho speso
Giusto o sbagliato, ho lasciato che scivolasse
Tra le mani degli amici
Per costringere il tempo a fermarsi.
Ma ora che vino e pane sono finiti
È tempo di concludere
Io dirò addio e andrò per la mia strada.

Ogni ragazza che ho avuto tra le braccia
Non l'ho mai ferita
E ogni ragazza che io abbia mai ferito
Non mi è parso di farlo apposta
Ma se per restare amici occorre fare ammenda
Allora è il tempo a dire di rimanere indietro.
Veloce ora sono i miei passi
E dal passato prendono rincorsa
Io dirò addio e andrò per la mia strada.

A ognuno che mi è stato nemico dico:
La ragione era lì prima d'affrontarci.
E per ogni causa io abbia mai combattuto ripeto:
Né pentimento né vergogna è mai affiorata.
Ma per me il buio sparirà
Non appena il sipario sarà chiuso
E gli occhi di qualcuno si schiuderanno all'alba.
Ma se vedrò il giorno capirò che potrò restare, se no
Io dirò addio e andrò per la mia strada.

Se ogni pensiero che si annoda nella mente
Non avessi saputo scioglierlo, sarei già divenuto folle
E scrivo versi non per stare nudo di fronte ad occhi sconosciuti
È per me che canto le mie storie e pochi altri
Ma il tempo non è molto e da lui dipendiamo
E dalle parole scivolose degli amici
Ma se la rima cade non è grave, ancora una volta
Io dirò addio e andrò per la mia strada.

Non credo agli orologi che dicono di fermare il tempo
O a distrarmi, a seccarmi
Ho ancora il fango del pettegolo appiccicato in volto
E la polvere delle inutili parole mi soffia in faccia
Ma ho buoni occhi e buona vita
E non importa quanta polvere o fango ho addosso
Così dirò anch'io quanto ho in serbo
E resterò quel che sono
E dirò addio, per davvero, e andrò per la mia strada.

Il cuore ho spesso maltrattato credendolo mio amico
E il mio nome l'ho lasciato qua e là
Non è così forse che si fa con chi si ha cura?
Ma se un giorno pensi vada bene
Non si esiti a pensare: Sia per sempre!
È così che il tempo resta giovane
Ma di renderti triste io non ho voglia
Non è pianto ma risa che voglio vedere
E se a farti felice vuoi che sia un altro
Io dirò addio, stavolta per sempre, e andrò per la mia strada.

Occhi scuri
So bene d'aver vissuto bevendo e passeggiando
dove la luna, alta a mezzanotte, insolente brillava
sui miei occhi.
Dissi: questo per me è il momento di scivolare via,
io vivo altrove, dove la vita ama la voce,
dove la terra ama chi l'ama.
E tutto quello che vedo sono due occhi scuri.

Sentir le voci a una distanza davvero mi consola appena
ma entrar fugace in quella porta non so se mi conviene.
Lascerò che il canto mi sorprenda seduto a mendicare
le cose che ho già avuto.
Poi molto non mi manca, e ai ricordi devo tutto
quel che sono.
E tutto quel che vedo sono due occhi scuri.

Dicono che è meglio esser prudente
per lo scopo che si ha in mente e da dove viene detto
sono certo che è dolce la vendetta.
Chi è al sicuro mai potrà sentire il tamburo
che batte per la festa, è così.
E tutto quel che vedo sono due occhi scuri.

Qui ogni cosa è capovolta, il folle è al comando
e il saggio è al volante, ma io aspetto seduto che
il vento cambi il soffio.
La passione guiderà ogni mia freccia e il tempo è breve.
Ho un milione di facce intorno a me.
Ma tutto quel che vedo sono due occhi scuri.

Parlo col suono che la storia mi ha dato
e ogni parola profuma di me.
Se le ascolti col cuore t'accorgi di tanto
e ci trovi persino ciò che non sei.
Lascia che un detto valichi pure
la cerchia dei denti
e sentori di timo scorgerai,
d'olive e frumento, il veloce passare
di rapide nubi, di vento e di miele.
Ho voce io che l'arte di dette
e muovo i miei passi nel bello,
come quel tale delle mie parti
Francesco, che
con lo stesso mio accento
parlava agli uccelli.
Sai dirmi, per quanto non cerchi,
chi altri tra te ha voce così?
Parlo col suono che la storia mi ha dato
s'increspa e poi cala come i crinali
e dopo riprende con rara schiettezza,
che dalle colline hanno preso lezione.
Ho voce io che l'arte di dette
e ovale ho il volto che fin dal Trecento
ciascun dei pittori amò disegnare.
Parlo col suono che la storia mi dette.
Io parlo con tutta me stessa.


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