Racconti di Arcangela Contessa
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Rendez-vous Una donna ben vestita e gradevole era seduta in uno di quei piccoli bar del centro storico. Io la osservavo furtivamente, temendo di infastidirla qualora se ne fosse accorta. Ho sempre amato essere discreta ed a maggior ragione nelle giornate tristi come quella , in cui avevo scelto quel bar per la leggerezza dello stile con cui lo stesso era arredato: un discreto liberty che poteva fungere da contrappeso alla pesantezza dei miei stessi pensieri. La donna , aveva con se una di quelle borse sufficientemente grandi per contenere molte cose e da essa ogni tanto prendeva fuori fogli scritti, li leggeva, ne prendeva altri; pareva ci affogasse ora il viso ora l'anima. Dopo averne tirati fuori tanti da aver presumibilmente vuotato la borsa, li riguardava e sistemava come a dargli un suo ordine cronologico. Mentre faceva ciò alternava momenti in cui era seduta con le spalle adagiate allo schienale della sedia, come si preparasse ad un metafisico decollo; a momenti in cui quasi a denunciare avversità per i sogni , poggiava appena il suo fondo schiena e con la gamba sinistra radicata a terra sembrava pronta ad alzarsi di scatto. Intanto dal suo sacco, aveva tirato fuori due agende di cui una professionale ma un po' lisa e disfatta, l'altra quasi nuova, di quello spessore consistente che può armoniosamente contenere sogni e realtà. Le sfogliava, ora l'una ora l'altra e lo faceva con una sobrietà, con una gestualità cosi lieve attenta amorosa, da sembrare un rito. A me appariva come se le stesse confrontando, come se attraverso quelle pagine guardasse la sua stessa vita. Ciononostante, era come se al suo bel viso fosse stato applicato un sottile strato di carta pesta che non lasciava tradire né con un aggrottamento di ciglio, né con un sorriso, i suoi pensieri. Beata , pensavo. Forse le riesce bene indossare maschere oppure è così centrata su se stessa che solo poche cose la sfiorano? Ne ero comunque incuriosita , pur riconoscendo che ciò scaturiva solamente da ciò che di Lei, io immaginavo. Una sola cosa ci accomunava a ben guardare: due grosse rughe poste in verticale tra le arcate sopraciliari. Così pensai che anche a me, soprattutto se fuori dalla città in cui vivo, piaceva sedermi in un bar, scrivere ciò che sentivo, osservare i volti delle persone, fantasticare cosa quelle persone facessero. Ma lì in quel bar del mezzogiorno non riconosciuto tale, quella donna non stava scrivendo. Poggiava in modo quasi pesante la penna su fogli scritti, come ad apportare piccoli ritocchi, non alzava la testa, non fantasticava. Mentre Lei era così rapita dalle sue cose da non aver spazio per guardare chi le era intorno, io mi sentivo sola e vanesia , come se all'improvviso non sapessi più fantasticare. Il fatto che l'altra non avvertisse neanche il disagio per essere comunque osservata, mi fece pensare per un attimo che stessi sognando. Come per svegliarmi da quella sorta di torpore, accesi una sigaretta; la prima di quel lungo tempo che la mia amica mi aveva costretta in quel bar ad attenderla. Iniziavo ad innervosirmi per quell'inconsueto ritardo. Al mio primo soffio di fumo, mentre con gli occhi lusingati seguivo il cerchio che nel formarsi mi faceva credere che qualcuno mi stesse pensando, la donna era in piedi davanti a me. Con tono garbato, mi rammentava che quella sala non era per fumatori. Scusandomi per la distrazione aggiunsi : "questo poco amore verso noi stessi, ogni tanto ci assale " e spensi subito la sigaretta. A quel punto Lei sorrise ed in modo cortese , come chi ama essere rispettata ed è disposta a rispettare rispose " Sa anche io ho fumato molto, ma vedrà che quando deciderà di smettere, ce la farà". Sorridendo le risposi : " dovrei e vorrei capire perchè di fatto , non amo molto la mia stessa pelle". Guardandomi dritta negli occhi,la donna scostò una sedia del mio tavolo e con molta sicurezza ed incurante di cosa io stessi facendo o attendessi, mi si sedette accanto. Non dissi nulla, accettai la cosa con piacere e come chi si sente se pur senza apparente motivo lusingata, contraccambiai l'attenzione rammentandole la sua borsa, i suoi scritti, forse i suoi stessi pensieri lasciati sul tavolo accanto al quale prima sedeva. Lei si alzò, con fare molto femminile si chinò per raccogliere le sue cose e con il corpo eretto ed un passo sicuro, tornò verso di me. Mi disse che negli ultimi anni aveva conosciuto molte persone e che aveva capito che raccontarsi, come gesto di onestà intellettuale per dire " io sono questo" non era stato utile. " Raccontava di aver costatato a volte, che ciò piuttosto. aveva contribuito ad innalzare tra Lei e gli altri un muro di gomma. Mi venne così spontaneo chiederle:" l'ha rintracciato questo, sia negli uomini che nelle donne?" . "Più negli uomini, in verità . Con ciò non e' che sto' dicendo che noi siamo migliori" "Migliori, peggiori non ha senso. Siamo complementari. Amo molto credere che se ci rendessimo conto della dualità insita in ogni cosa e reciprocamente ci rispettassimo e sostenessimo in questa accettazione, faremmo dei grossi passi avanti." Era interessata a questo mio dire e continuai."Circa il filo rosa , io ritengo che noi siamo portatrici di differenze e valori che nella loro complessità provata, vanno sistematizzati e assunti tra quelli universali, così come sono convinta però che questo deve ancora passare, essere interiorizzato da molte di noi, poiché troppe hanno scelto di avere ragione con la forza (scimmiottando i maschi) e non la forza della ragione (scegliendo di vivere la dualità armonizzandola con il cuore)." "Femminista?"mi chiese, ed io " Non di quelle fanatiche. Diciamo che adoro la consonanza tra diversi equilibri." Durante il mio parlare, il suo volto sembrava avesse perso quella sottile maschera che l'aveva resa fino ad un attimo prima fredda ed impenetrabile. Con un luccichio negli occhi disse "vedi,tu forse inconsapevolmente ma, mi hai detto io sono questo, no scusa anche questo. Non capita spesso, oggi tendiamo tutti a nasconderci,a lasciare l'anima fuori da noi stessi, per timore che ciò ci renda più vulnerabili. Conosciamo il mondo, l'universo, ma poco di autentico conosciamo degli esseri umani che ci sono più vicini." "Condivido, è come volare sul mare,senza mai immergersi . Chissà? Forse e' paura di annegare?" " Ma l'annegare non scaturisce dall'immersione, caso mai dal tempo in cui restiamo sott'acqua, non trovi?" " Sai cosa mi richiama alla mente questo tuo dire? Il modo con cui molta gente, si pavoneggia di aver viaggiato molto. Io un po' ho viaggiato, ma ho sempre ritenuto che prevalentemente esso e' servito a verificare l'assemblaggio delle notizie che avevo di quei luoghi. Poiché per il resto, vale a dire la conoscenza di un popolo, le sue autentiche abitudini, molto poco o nulla si prende dai viaggi che sono in grado di fare le persone che come me dispongono di tempi limitati e percorrono itinerari turistici. Sai se potessi scegliere tra un viaggio, o la conoscenza a cuore aperto di una persona, io sceglierei quest'ultimo" Scoppiando in una bella risata Lei incalzò:" Ti contenti di poco:io vorrei una bella persona, che in un bel viaggio ha voglia di raccontare di se, in modo autentico, senza falsità e mistificazioni." Mentre il suo dire,mi rammentava il mio contentarmi, Lei chiamava il cameriere per l'ordinazione che fu due tazze di cioccolato amaro. Le gustammo dicendoci i nostri nomi e i nostri anni. Mentre con fare certosino ripulivo con il cucchiaino la mia tazza ,lei riprese a parlare . "Anche se sono pochi minuti che conosco il tuo nome, ho scelto di fare un dono a quella parte del tuo essere, così felice di conoscere e sapere degli individui." Mentre con la sua mano destra quasi accarezzandosi la fronte , raccoglieva dietro l'orecchio un ciuffo di capelli sceso sul viso, fece un profondo respiro e il suo sguardo incupì dietro un orizzonte lontano. " Non ti avevo neanche vista, prima che il tuo fumo arrivasse sotto il mio naso. Stavo provando a trarre alcune conclusioni sulla mia esistenza, sui miei ideali, sui miei amori, perno di tutta la mia stessa vita. Ora te la riassumo, affinché ti possa essere d'aiuto se, e ti auguro mai, tu ne dovessi aver bisogno" D'improvviso io ero come tornata bambina e sentivo in me la stessa gioia che ebbi un sei gennaio in cui dalla Befana non avevo ricevuto caramelle e lenzuola ma un gioco, uno strumento per fantasticare : un piccolo pianoforte. Una cosa che non sarebbe servita, futile quindi, ma che gustandola non sarebbe neanche finita. Quel pianoforte aveva rappresentato per me la possibilità di giocarmi tra i personaggi che via via sceglievo: una allieva di una scuola di pianoforte, la componente di una ipotetica orchestra, la maestra di musica, una concertista. Intanto, con gli occhi spalancati e forse la bocca aperta continuavo ad ascoltare. "L'amore incondizionato è stato tra i più forti elementi della mia continuità storico-esistenziale. Amore per mia madre, per il gruppo dei pari, per lo studio, per l'uomo che sceglievo ed ancora per mio figlio,per il lavoro, per i fogli bianchi per gli impegni scelti. Impegno amore, dolcezza dedizione piccoli e grandi pensieri che sovente hanno avuto come risposta, tradimenti, amarezze, sottrazioni, incurie, apatia . Da qui la necessità di sperimentarsi in cose altre nuove, non sazia ancora di donare e donarmi. Un nuovo impegno, nuova dedizione, sacrifici, nottate senza sonno passate a studiare o scrivere interventi.. Il bisogno di triplicare il tempo per dividermi tra famiglia, lavoro e sociale. Progetti, idee, cose da fare. Note di spesa fatte su fogli di puntuali relazioni. Anni legati alle mie agende, dove annotavo di tutto: dagli impegni ai soldi spesi, dalle feste di compleanno dei compagni di mio figlio al regalo che io o qualcuno per me doveva comperare per l'occasione. In una di quelle agende che avevo poco fa tra le mani, quella un po' rovinata, era colma di numeri telefonici di conoscenti, colleghe, amici, di associazioni e sedi di partiti, di sedi e persone della mia stessa organizzazione sindacale da Trento a Messina. Al suo interno, come se non bastasse, fogli aggiuntivi sui quali avevo scritto probabili articoli, spunti , relazioni o interventi. Ed ancora , articoli ritagliati di giornali, conservati nella speranza di trovare magari viaggiando in treno, il tempo per una articolata riflessione. Vivevo questi ritmi e l'intensità di questo impegno, quando la consapevolezza di un profondo bisogno di amore anche verso me stessa fa scaturire,nuove scelte. Nei ruoli che sceglievo di vivere volevo sentirmi legittimata,riconosciuta. Ogni ruolo ha il suo statuto etico, morale ed intellettuale ed io volevo difendere sia esso che me stessa. Esigevo dagli altri rispetto, né più ne meno di come io rispettavo loro, le loro idee e le loro fedi. Non più mediazioni quindi, ma con un po' di saggezza del tipo chi non mi vuole non mi merita, spade lucenti ed affilate iniziarono a far saltare molte teste che mi erano accanto. Le teste di chi tradiva con falsità le amicizie, quelle dei mistificatori di ideali, quelle di chi finge di lavorare per un disegno comune, mentre cerca prevalentemente di realizzare i propri scopi. Quelle delle donne che conoscono solo lo strumento più vecchio del mondo per rendersi uguali agli uomini, quelle che dichiarano di ricercare la parità ma rinnegano la loro diversità, quelle che per non soffrire hanno deciso di essere stolte, quelle che amano incondizionatamente, senza esigere rispetto, rinnegando quindi se stesse. Da ciò puoi capire perché confrontavo le agende. La più nuova non conteneva più i vecchi numeri ma altri: quello di un fioraio per rallegrare la casa,di una rosticceria per poter ordinare gli gnocchi che solo io mangiavo,ed ancora il numero del signore per le faccende pesanti, dell'idraulico del falegname;di tutte quelle cose insomma che per più di dieci anni avevo delegato ad altre, ricercando come una trapezista di mantenermi in equilibrio tra tempi diversificati ed assorbenti, per non produrre disagi con le mie assenze. Il numero dell'estetista e tutti gli altri che servono ad una donna che per libera scelta e con consapevolezze nuove rientra nelle file della non delega della gestione di una parte del proprio privato. Poi ancora gli indirizzi di quel me nuovo in cerca di esplorarsi:conoscenti e nuove persone disposte ad ascoltare le mie poesie. Un numero nuovo importante tra i tanti;quello del nuovo studio del padre di mio figlio, dove non c'era più la segretaria che incarnava un fastidioso vecchio modello: l'essere multiuso. Prima era come se tra tutti quei numeri, cercassi la consistenza valoriale del mio errore: l'incondizionato amare. Per esso, avevo perso il filo del mio stesso essere e solo ora forse conosco che potrei ancora donarmi, a condizione però che sappia dosarmi. Ho compreso che il troppo, rovina forse più nel bene, che può essere coinvolgente, che nel male che può allontanare. Così oggi non so bene ancora chi io sia, conosco da dove vengo ma non mi è chiara la strada che ho di fronte. Non so se sceglierò di camminare o correre, se sarò rispettosa o me ne infischierò del mondo, se dovrò ancora svuotare la mia macchina che riduco a pattumiera o sporcherò le strade. Non so se sceglierò amicizie o compagnie, se lavorerò per lo stipendio o perché credo ancora che sia bene essere onesta. Sono confusa insomma, ma disponibile e pronta a donarmi ed a prendere da chi vede la vita come quella grande cosa che và vissuta, nel realismo della sua quotidianità. Troppe amarezze per credere ancora nelle utopie, nell'onestà dei pochi che sceglierò, voglio sperare. Che poi io cercando, ne trovi un folto gruppo che accresca la forza per educare ancora mio figlio in modo sano, senza temere di farne un emarginato, questo mi piacerebbe proprio. Come puoi capire, stò rivoluzionando la mia vita e questo si dice sia il momento ideale per fare amicizia. Ora è tardi, debbo salutarti, ma se vuoi sarei felice di conoscerti e raccontarti ancora di me" Si alzava e mi porgeva la sua mano. Scambiandoci i numeri telefonici per risentirci e rincontrarci , ci salutammo Mentre Francesca, con una frettolosa andatura stava uscendo, Laura entrava. Raggiunse il mio tavolo e non terminava di scusarsi per il lungo ritardo, come a voler far svanire le mie ire. Io che non ero affatto infastidita, la tranquillizzai sorridendo dicendo:" amo dilatare i tempi, l'attesa non intesa come modus vivendi, ma come imprevisto può essere un dono. Abbiamo tanti di quei tempi stretti, che non controllare l'orologio mi rende felice. Del resto, amica mia è già così breve la vita che se non si avesse mai l'opportunità di gustarla lentamente, sarebbe solo una vergognosa abbuffata o un ingiusto digiuno. Lettere antiche - 1995 Voilà |