Due fratelli
Un'edicola all'angolo di via degli Oleandri con un gestore che,se potesse,
venderebbe ai suoi clienti solo ciò che egli reputa degno di essere
classificato come cultura o comunque qualunque cosa distante dal banale e
dal becero quotidiano che l'industria dell'editoria lo costringe a
proporre e posizionare in bella mostra nella sua minuscola edicola.
Giorgio è un edicolante diverso; quando vende riviste di gossip cerca di
liberarsi rapidamente dei clienti come a sfuggire una possibile, quanto
improbabile contaminazione, e allontanare il più sollecitamente possibile
la sofferenza che gli procura la scelta del cliente. La sua affabilità ,la
sua gentilezza, invece, si spalmano su coloro che richiedono riviste o
quotidiani di un qualsiasi argomento che abbracci la sfera dell'arte o
della cultura, e a malincuore lo vedi salutare costoro quando si
allontanano. Nemico viscerale del consumismo,è riuscito, e credo caso
quasi unico in Italia, a non farsi ammaliare dai richiami delle sirene
della telefonia mobile; incredibile, ma vero: non possiede un telefono
cellulare. Non ne fa un vanto, e quando qualcuno gli domanda il motivo
della sua anacronistica scelta, lui risponde semplicemente: << non mi
sembra uno strumento così necessario per vivere meglio! Anzi ,credo che
contribuisca a inaridire la comunicazione tra le persone>> .Non è
straordinaria la sua risposta, ma l'azione di coerenza che ne consegue,si!
Perché anche noi siamo convinti che ciò sia vero, però il cellulare è
sempre dentro la nostra tasca pronto a soddisfare le nostre, spesso
futili, necessità. Maurizio, il fratello di Giorgio di sette anni più
giovane, non è molto distante dalle posizioni di Giorgio anche se,
quest'ultimo,lo rimprovera affettuosamente di essersi fatto contaminare
dal virus del capitalismo solo perché ha un debole per le penne a sfera di
pregio e di costi non certo proletari. Maurizio sorride agli ironici
pungoli del fratello e lo guarda con i suoi grandi ,dolci occhi che
dispensano un affetto profondo che va oltre il legame di sangue. Maurizio
è impiegato come geometra nel comune di Terni ,molto stimato dai colleghi
di lavoro non solo per la sua competenza , ma soprattutto per la sua
onestà, disponibilità,educazione e una gentilezza che esprime con la
naturalezza di un gentiluomo di altri tempi; profondo conoscitore e
ricercatore autodidatta della storia d'Italia contemporanea e non solo,
affida molto del suo tempo libero a questa attività che in parte condivide
anche con il fratello. Entrambi hanno un grande amore per l'arte e per
tutte le manifestazioni culturali in cui sono presenti le persone con il
loro modo di essere, la loro storia e le proprie origini. Amano visitare
le città non solo per la ricchezza della loro storia,ma soprattutto per il
piacere di conoscere le persone che abitano queste città ,il loro modo di
vivere, di pensare, per poter ampliare,durante queste immersioni in realtà
diverse, la loro conoscenza e poterla poi utilizzare per migliorare se
stessi,per essere più utili agli altri e al mondo in cui vivono. Essendo
grandi sostenitori dei sistemi sociali a gestione pubblica si muovono nei
loro itinerari rigorosamente in treno anche se possiedono un'automobile
Ford del 1974 di cui farebbero volentieri a meno e che mantengono solo per
un motivo di affetto che li lega al loro padre morto tragicamente in modo
prematuro in seguito alle conseguenze derivate da un incidente. Vivono da
soli nella casa dove hanno sempre vissuto con i loro genitori. Con grande
rispetto e un amore smisurato hanno assistito la madre che ha cessato di
vivere dopo una lunga malattia nel 2003. Bastano a se stessi e si
compiacciono di questo legame così profondo di cui vanno orgogliosi e di
cui si ritengono fortunati. Gli unici acuti in questo semplice , per loro
soddisfacente, scorrere della vita quotidiana sono il piacere di due,tre
caffè che si concedono con evidente soddisfazione essendo,soprattutto
Maurizio, cultori e ricercatori delle sensazioni che gli aromi delle
miscele più raffinate di questa bevanda offrono. La loro frugale mondanità
è tutta racchiusa nelle sporadiche frequentazioni di un vecchio circolo
Arci meglio conosciuto come " LU BUCU",nome che deve alla sua ubicazione
in una posizione nascosta dietro un caseggiato sede della circoscrizione
"Cervino". Con gli amici di questo circolo partecipano a quasi tutte le
uscite di natura gastronomica che vengono organizzate,perché Maurizio e
Giorgio sono anche dei buongustai, eccellenti conoscitori di vini e
cultori del buon bere. La loro vita si svolgeva così,senza scossoni ,nella
semplicità dei piccoli e semplici piaceri che la vita sa offrire ogni
giorno per chi li sa cogliere. Poi il sette aprile del 2010 la loro
simbiotica , serena esistenza vissuta in punta di piedi è stata scossa e
lacerata dalla morte improvvisa di Maurizio stroncato da un vile infarto
durante la notte. Questa perdita inaspettata si è abbattuta su Giorgio
come lo smottamento di una montagna che trascina a valle nell'impeto della
sua forza distruttrice i resti e le testimonianze di vite di laborioso
sacrificio. Dietro i suoi occhiali scuri è riuscito a soffocare con
dignità ellenica il grido di dolore che avrebbe voluto far uscire dalle
sue viscere con un 'intensità da squarciare il petto. . Ha accolto tutti
gli amici e i parenti, che hanno voluto tributare l'ultimo saluto a
Maurizio, quasi scusandosi per il disturbo che stava arrecando. Solo in
rari momenti, non riuscendo ad essere trattenuta da occhi troppo gonfi di
angoscia, qualche lacrima è sgorgata e scesa lentamente come un rigagnolo,
lungo le sue gote appassite e inconsapevoli. La cerimonia funebre si è
svolta senza il passaggio abituale attraverso la chiesa di appartenenza
nel rispetto più coerente della loro convinta concezione atea dell'aldilà.
L'ultimo atto si è concluso con la cremazione della salma di Maurizio, per
sua espressa volontà, e la successiva cerimonia di collocazione
dell'anfora contenente le sue ceneri nel loculo ospitante le spoglie della
madre. Una cerimonia in un'assolata mattina di Maggio in cui il calore del
sole non è riuscito a sciogliere il freddo sceso dal cuore nell'anima di
noi amici presenti. La luce limpida e accecante di primavera ci ha fornito
l'alibi per poter in parte celare sotto scuri occhiali da sole le lacrime
silenziose che nessuno di noi ha potuto trattenere né voluto nascondere.
Le settimane sono trascorse, Giorgio ha riaperto l'edicola continuando a
svolgere il suo lavoro con una tranquillità fin troppo ostentata. Noi
amici del circolo passavamo spesso all'edicola fermandoci per scambiare
qualche parola o semplicemente lanciandogli un breve saluto dal finestrino
dell'auto. Ci faceva piacere riscontrare quel suo atteggiamento che
sembrava lo trasportasse quietamente verso un'accettazione del luttuoso
evento, anche se la sera ritrovandoci al circolo avevamo più di una volta
manifestato una certa perplessità per quella calma, che con scarsa
convinzione, volevamo attribuire alla sua schiva e riservata indole in cui
racchiudeva il suo dolore. La mattina del 17 maggio quando con la solita
aria assonnata stavo completando il rituale che precede la partenza per il
lavoro,il suono del telefono, in un'ora così insolita, ha invaso e rotto
l'atmosfera tranquilla e silenziosa della mia stanza; la voce di Enzo,il
presidente del nostro circolo,messaggero storico di tutti gli importanti
eventi dolorosi e lieti che hanno caratterizzato quasi mezzo secolo di
vita di questa piccola comunità , rotta dalla commozione e dal pianto mi
comunicava che Giorgio si era suicidato tagliandosi le vene. Solo il
silenzio ha continuato a dare voce alla nostra conversazione, nessuna
parola avrebbe potuto colmare il vuoto che stava risucchiando la nostra
anima in un baratro di angoscia e disperazione. Il nostro respiro aveva il
ritmo dell'impotenza. Ma nonostante tutto la nostra vita si stava
accingendo a vivere un'altra giornata. Ho guidato lentamente per andare al
lavoro transitando lentamente davanti a quell'edicola tra Viale Trieste e
Via degli Oleandri che non vedrà più sporgere il viso cortese e il
gesticolare di mani gentili di un uomo cui la vita non ha dato molto, ma
lui non l'ha mai disprezzata. Il suicidio di Giorgio può sembrare un gesto
disperato spinto dal dolore, ma io credo sia stato un meditato e
consapevole atto d'amore attuato nella convinzione di ritrovare nella
condivisione della morte una nuova vita con il fratello.
Il talent scout
Ogni mattina lungo le vie del quartiere si sentiva il rauco gridare dello
strillone che annunciava con enfasi le notizie del giorno più importanti
,ma spesso le più pruriginose per indurre le persone a comprare il
giornale,anzi ,il suo giornale:la Nazione. Franco, questo il suo nome, era
ormai una istituzione nel quartiere,conosciuto da tutti più che per le sue
qualità di strillone per la sua bontà e gentilezza; in quei primi anni
sessanta le persone non leggevano molto né ancora era così diffusa la
televisione,per cui Franco con il suo modo di dare le notizie, a voce
alta, praticamente leggeva il giornale a tutto il quartiere. Singolare il
suo modo di gridare le notizie senza mai staccarsi dalla sua nazionale
senza filtro saldamente fissata ad un lato del labbro. Terminato il suo
lavoro Franco aveva una passione che lo divorava a cui dedicava gran parte
della sua vita: fare il talent scout del calcio. Aveva un soprannome con
cui era da tutti conosciuto: "Montuori", come il grande calciatore degli
anni cinquanta della sua squadra del cuore, la Fiorentina, di cui non si
stancava mai di raccontarne le gesta soprattutto quelle relativa all'anno
dello scudetto che grazie alle sue prodezze la Fiorentina conquistò nel
1956. Nessuno ha mai creduto che lui avesse la capacità e le qualità per
scoprire talenti, forse neanche lui; però credo che in quegli anni
sessanta dove la possibilità di fare un po' di sport era solo legata al
campetto dietro casa,quando non era occupato dai ragazzi più grandi, o
alla strada nelle maggior parte delle volte, la presenza di un personaggio
come Franco abbia consentito a molti ragazzi ,tra cui io, di immaginare
futuri che solo quando sei un ragazzo puoi vedere. Franco era importante
per noi perchè era anche lui un sognatore e faceva sognare anche noi con i
suoi racconti calcistici che portavano la nostra fantasia a vederci
calcare i campi degli stadi più importanti d'Italia. La sua figura
assumeva ancora più importanza ai nostri occhi anche per un altro non
trascurabile motivo, godeva della fiducia dei nostri genitori e questo ci
consentiva di andare ,accompagnati da lui,a giocare al campo dell'oratorio
del duomo di Terni dove aveva sede la società "Olimpia",la seconda squadra
più importante della città, nelle cui fila tutti noi aspiravano andare a
giocare i campionati ufficiali della federazione. Alle due e trenta del
pomeriggio a piedi Franco arrivava sotto la mia casa e prendeva in
consegna me ed altri tre ragazzi di via delle Ginestre con cui lentamente
ci avviavamo a piedi verso il villaggio "Metelli" che distava circa dieci
minuti di cammino;qui ad attenderci c'erano altri quattro ragazzi che si
aggiungevano al nostro gruppo ,con cui avevamo fatto amicizia durante
questi bisettimanali piacevoli esodi a cui Franco ci sottoponeva. L'ultima
tappa prima di giungere al campo la facevamo al villaggio "Italia" cui
arrivavamo senza fatica dopo circa altri venti minuti di cammino. Qui,
pronti per la partenza, ad aspettarci trovavamo i fratelli Sandro e
Maurizio Petrini.Poi finalmente dopo altri dieci minuti camminati tra
scherzi e sfottò, spesso bonariamente redarguiti da Franco se usavamo
parole un po' troppo spinte, si arrivava al campo ricavato dentro i ruderi
di un anfiteatro romano. Gli spogliatoi erano stati ricavati da un piccolo
anfratto all'interno delle pareti dell'anfiteatro,senza porta né luce e
con solo qualche vecchia sedia per appoggiare i nostri abiti;naturalmente
non parliamo di docce che erano rappresentate da un rubinetto alla cui
sommità era attaccato un tubo di gomma che il parroco dell'oratorio
utilizzava per innaffiare i fiori e con cui noi al termine di ogni
allenamento ci toglievamo la sete e sciacquavamo la faccia e il collo per
toglierci di dosso quel misto di polvere e sudore che si attaccava sulla
nostra pelle in quelle infinite felici corse a cui franco ci sottoponeva e
a cui noi non ci sottraevamo mai. Un altro momento indimenticabile e
rituale, si presentava al termine di ogni allenamento,quando
Franco,radunata tutta la truppa, manifestava tutto il suo affetto per noi
portandoci presso una vicina bettola frequentata da anziani signori dediti
alla carte e al vino, e lì ci offriva un bel pezzo di pizza al rosmarino e
un bicchiere di gassosa. Noi eravamo il suo mondo e lui per noi la
speranza e il sogno. Da allora sono trascorsi quasi quaranta anni; il
campetto del Duomo non esiste più ,al suo posto un bellissimo
ristrutturato anfiteatro romano; io però, ogni volta che mi trovo a
passare da quelle parti riesco solo a vedere un gruppo di ragazzi sudati
che corrono gioiosi dietro ad un pallone, e sento la commozione salirmi da
dentro. La nostalgia è più forte del ricordo. Ho incontrato anche
Franco,camminava trascinando le gambe, con le palpebre abbassate lo
sguardo assente; gli sono andato incontro con gli occhi umidi, colmi di
gratitudine, non mi ha riconosciuto. Ha proseguito nel suo lento incedere
con ancorata saldamente tra le labbra una sigaretta: ora con il filtro.
La scelta
Il portone della comunità di recupero si era chiuso alle sue spalle dopo
diciotto mesi di soggiorno trascorso per tentare di riuscire ad essere di
nuovo un uomo padrone del suo vivere, dei suoi sentimenti, delle sue
emozioni,senza il bisogno di tutta quella "roba" che per cinque anni aveva
devastato il suo fisico e la sua mente facendolo sentire simile a poco più
di "un'ombra inanimata",come si definiva, allora, nei rari momenti di
lucidità. S'incamminò verso la stazione degli autobus distante solo
qualche centinaio di metri. Si sentiva bene,allontanò con una smorfia del
viso i pensieri dubbiosi sulla sua nuova condizione che lentamente già si
stavano insinuando nella sua mente, non che li avrebbe potuti scacciare,
ma voleva godere del tepore del sole di quella mattina di settembre che
gli infondeva uno strano miscuglio di emozioni : voglia di vivere e paura
di osare. Man mano che si allontanava dalla struttura che lo aveva
ospitato vedeva il mondo rappresentato dal brulicare di attività in
movimento della stazione avvicinarsi inesorabilmente e la paura di
sentirsi inadeguato salire dallo stomaco fino alla gola costringendolo a
deglutire ripetutamente per vincere quella sensazione. Camminava con gli
occhi bassi, nessuno lo guardava, ma aveva l'impressione che ogni passante
posasse su di lui il suo sguardo con pietà riluttante. Alzò lo sguardo,
nessuno badava a lui, così realizzò che non sentirsi in colpa era il primo
ostacolo da superare, il primo dubbio da sciogliere. Comprò il biglietto e
aspettò seduto alla fermata i venti minuti che mancavano alla partenza del
suo autobus. Ancora due ore poi sarebbe arrivato al suo paese dove
l'attendeva sua moglie Caterina e il figlio Gabriele nato durante la sua
permanenza in comunità e che non aveva ancora visto e che non lo avrebbe
certo chiamato papà. I venti minuti trascorsero più in fretta di quanto
avrebbe voluto,il pullman si fermò davanti a lui con un rumore di frenata
che lo distolse dai pensieri che rapidamente si susseguivano nella sua
mente senza però essere riuscito a fermarne nessuno. Roberto,questo era il
suo nome, salì e si accomodò,dopo aver sistemato la valigia, su un sedile
vicino al finestrino. L'autobus dopo una trentina di chilometri di
superstrada imboccò il bivio che lo avrebbe portato attraverso una strada
tortuosa e impervia a Rocca Carlea ,un paese di poco più di tremila anime
orgogliosamente arroccato su un colle dell'entroterra abruzzese. I
tornanti che si succedevano facevano rallentare in modo sensibile
l'autobus così da permettere a Roberto di contemplare e respirare dal
finestrino aperto le bellezze di quel territorio aspro e duro da
vivere,che ogni giorno ti poneva nuove sfide. Questo, lo aveva sempre
affascinato perché era un territorio in sintonia con il suo carattere
schivo,caparbio,irascibile mai disposto al compromesso. Mentre osservava i
colori cadenti dell'estate che inneggiavano all'autunno, la sua mente andò
a Caterina e alla sua ultima lettera del 28 Luglio. L'aveva nella valigia
come tutte la altre che a cadenza regolare,ogni quindici giorni, lei gli
spediva in risposta alle sue. In quella lettera lei gli annunciava che al
suo ritorno avrebbe trovato dei cambiamenti che forse non gli sarebbero
piaciuti, che comunque lei auspicava che lui avrebbe compreso e
giustificato. Quando lui era entrato in comunità accompagnato da Caterina
si erano lasciati sul portone con un bacio e con la promessa di non
telefonarsi, ma solo di scriversi ,anche perché la regole della comunità
erano abbastanza rigide in quel senso. Lui dopo la lettera di quel 28
Luglio, le aveva riscritto altre due volte per avere maggiore chiarezza
senza ,però,ricevere risposta. Quel silenzio lo aveva un po' preoccupato
ma l'avvicinarsi del termine di permanenza nella comunità era ciò che
maggiormente lo assorbiva nella sua esistenza quotidiana. Le domande
ricorrenti che lo assillavano giornalmente, a cui non aveva ancora dato
una risposta, erano su come avrebbe affrontato l'incontro con il figlio,
se ce l'avrebbe fatta a tornare a camminare a testa alta, se Caterina lo
avrebbe amato come prima. Non aveva comunicato il giorno in cui avrebbe
lasciato la comunità perché voleva cominciare questa parte nuova della sua
vita con una sorpresa, quasi ad esorcizzare la paura che ora sentiva
salire dentro di sé man mano che l'autobus, nel suo lento inerpicarsi, si
avvicinava alla piazza del paese. Paura di rimanere lui sorpreso da
qualche evento inaspettato e di non avere un comportamento adeguato alla
situazione che gli si fosse presentata. L'autobus si fermò sulla piazza
che conosceva bene e che notò essere stata rinnovata con un elegante
pavimento di porfido. Aspettò che i cinque sconosciuti passeggeri con cui
aveva condiviso il viaggio scendessero,poi quando fu il suo turno lo fece
senza fretta con un atteggiamento quasi di costrizione. L'orologio del
municipio segnava le 14.30 dei pochi presenti in quel momento nella piazza
non riconobbe nessuno e nessuno riconobbe lui, questo non gli fece
dispiacere. I suoi occhi spaziarono su tutta la superficie della piazza e
notò dall'altra parte,seduti sul muretto che circondava la fontana, un
uomo e una donna in tenero atteggiamento ,lui con una mano le cingeva la
vita e con l'altra le accarezzava i capelli ;lei gli teneva teneramente
appoggiata la guancia sulla spalla. Ebbe un sussulto perché conosceva bene
quei capelli neri sciolti, ondulati e morbidi come seta con cui tante
volte aveva giocato dopo aver fatto l'amore. I capelli di Caterina: non si
poteva sbagliare. Non attese che si voltasse per qualche motivo per
riconoscerne il viso ,anzi fu lui a voltarsi per paura di essere
riconosciuto.. Si stupì della sua reazione; non provava rabbia ,né si
sentiva tradito non provava nemmeno rassegnazione quasi fosse l'epilogo di
un film già visto il cui finale non ti sorprende più. Forse era proprio
quello che voleva ma non aveva avuto il coraggio di confessarlo nemmeno a
sé stesso. Forse in quel momento aveva preso consapevolezza di non
sentirsi ancora pronto per affrontare la responsabilità che comporta
l'avere un figlio e una moglie, l'essere un padre e un marito, l'essere il
sostegno costante di una famiglia. Quello che aveva visto forse era la
soluzione che sicuramente lui vigliaccamente non avrebbe saputo scegliere
e avrebbe trascinato così dentro questa sua inadeguatezza le persone che
da lui cercavano protezione e sicurezza. Mentre lentamente la nebbia
cominciava a diradarsi nella sua mente e i pensieri apparivano più chiari,
senza accorgersene si ritrovò davanti all'ingresso della biglietteria
della stazione degli autobus; quel giorno sembrava che tutte le soluzioni
ai suoi quesiti li risolvesse il caso, ma che fosse lui a guidarlo con una
sorta di forza telepatica. Entrò e fece la scelta che gli era sembrata più
onesta :chiese un biglietto di sola andata per la località per cui partiva
il primo pullman del pomeriggio. Si sedette nella piccola sala d'attesa ad
aspettare l'ora di partenza fissata per le 15.30.Ebbe il tempo di
riflettere su alcuni aspetti dell'esistenza umana su cui non si era mai
soffermato molto; gli sembrava di aver compreso che in fondo non dobbiamo
affrontare la vita come fosse un ostacolo da superare, ma dobbiamo viverla
per quello che è e quello che ci offre ed essere consapevoli che la scelte
sono le conseguenze del nostro vivere quotidiano e che nulla ci è dato
tranne ciò che vogliamo. |