Poesie di Giuseppe Dabalà


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Ragazzi di Santa Marta
Trasfigurati, nel mite bagliore della nostra fanciullezza
Correvamo attorno a palazzoni anonimi, sbrecciati
In quel rione chiuso, insaccato contro le mura del porto
Oltre il quale si snodavano, intrecciandosi
Arruginiti binari, vagoni sgangherati mezzi vuoti
E attonite gru immobili, contro il cielo.
Lontano, il cuore della città non aveva palpiti
Per la nostra, ilare, spensierata povertà
Ma noi giocavamo ignari, nei nostri abiti lisi
Indifferenti ad ogni altra, diversa realtà
Fieri del nostro complice appartenere a quel mondo
Che rinasceva, faticosamente, dalle macerie della guerra
Con l'avido desiderio di trovare nella comune appartenenza
La solidarietà che ambiva ad una dignità nuova

In quel rione diverso, di larghe calli dissestate
Senza canali, senza barche che si specchiano mute
Nell'acqua verdastra
In quel angolo di Venezia chiuso come un pugno
Solido come un cuore venoso e pulsante
Siamo cresciuti con la furbesca umiltà
Di ragazzi liberi e scanzonati
Capaci di cogliere con sguardi attenti, maliziosi
Ciò che, indispensabile, dell'umana esperienza traspare
Dai gesti consueti, dai sorrisi furbi od innocenti
E l'ambizioso, diurno scrutare ci aiutava
A sfogliare i petali di quel fiore che cresceva
Bisognoso di soli e di rugiade
Nel prato della nostra esistenza.

Semplice, disincantata nostra fanciullezza
Nell'odore salmastro che il vento raccoglieva
Dalla laguna, dall'ondoso Canale della Giudecca
E trasportava sino ai campielli dove giocavamo spensierati
Sino a sera, quando dal porto tornavano
Inpolverati e stanchi, gli scaricatori.
Santa Marta : In quella scuola operosa, aperta
Senza pareti, affacciata sui cortili della vita
Noi ragazzi attenti, scaltri, con ingenuità e malizia
Abbiamo appreso la lezione fondamentale
Che l'amaro sapore delle privazioni
Il sottile dolore delle infantili sopraffazioni
Sanno recitare con voce aspra, disinvolta
Priva d'ogni indulgente flessuosità.
Ci siamo nutriti di piccole umiliazioni
D'ironia, del bonario sarcasmo delle risate sfottenti
Di gioiosa incoscienza e matura consapevolezza
E nel quotidiano confronto imparato
Ad assimilare con naturale semplicità
Il valore, inossidabile, dell'amicizia
Della rivalità leale ed onesta.

In quel rione chiuso, insaccato contro le mura del porto
Il vento salmastro, ora, circonda i palazzoni
Imbellettati di coloni nuovi, vivaci
Quasi alteri nella loro modesta, popolare silhouette
E sfiora ragazzini che passano frettolosi
Assorti nei giochi dei loro telefonini, degli smartphone
E svaniscono veloci in un silenzio radente, senz'anima
Estraneo a chi nelle voci, nei suoni, nelle grida
Sapeva riconoscere le sonorità, gli stridori, le armonie
D'una comunità che partecipava con pietosa umanità
Al dipanarsi d'un comune destino.
Ma ogni generazione intona con proprie vocalità
L'inno che canta l'umana vicenda
Nell'applauso delle gioie
Nello smarrimento del dolore.

Caro Carlo,

Oggi è stata una bella giornata
Ho ammirato preziosi gioielli
Ho pure fatto una scorpacciata
Di vera poesia, di versi assai belli

I gioielli si vede così chiaramente
hanno la luce di gemme perbene
Con quei colori che limpidamente
Emana chi ha avuto un cesellatore

Che limpido ha il cuore ed il pensiero
Un grande poeta e un uomo vero.

Tepido profumo d'estate
Scaglie d'argentei bagliori
Si posavano sui rami, tra le foglie
Di alberi incantati
Dal sorriso della luna
Diafani sguardi d'assorte stelle
Intenerivano ombre timorose
Celate nel buio tra i cespugli
Tra gl'irti rovi, ai margini
Del sentiero che moriva
Dove s'ergevano, scapigliate
Dune di sabbia ed erba secca
E, oltre i cancelli corrosi
Gialli prati di rena correvano
Liberi, incontro al mare

Bianche lingue di spume
Rincorrevano sino all'orizzonte
Il respiro profondo delle onde
Ed erano fioche luci
Di lontane lampare
Tremuli palpiti della notte
Nell'aria e nel silenzio che sfiorava
Le vele di barche assopite
Vagava un tepido profumo d'estate

La sua voce... un sussurro
Miele per l'arnie del cuore
Febbre al mio sangue inquieto
Il suo corpo
Conchiglia di madreperla
Quella notte liberò tutti i suoni
Le voci, le musiche del mare
Commosse, si nascosero le stelle
Col drappo rosa di un'alba gentile.

Vorrei incontrarti
Vorrei incontrarti, oltre
La soglia del dolore
Dove l'acqua dei fiumi impetuosi
S'acquieta
E negli aperti spazi ricompone
Azzurri laghi di quiete
Dove il sibilo del vento
Che turbina le parole amare
Si fa docile brezza tra le foglie
Tra il grano ridente nell'estate

Vorrei incontrarti, oltre
Il fragore delle cascate
Delle fredde acque fruscianti
Che scavano sulle rocce nude
Dolorosi canti
Oltre i torbidi acquitrini
Le cupe acque stagnanti
Dove la follia dei temporali
Abbandona, con le piogge,
Trepida, l'eco dei pianti

Vorrei incontrarti, oltre
Le vorticose correnti
Degli sguardi ostili
Che disegnano sui verdi prati
Inverni nevosi e desolati
Oltre la fredda voce dei silenzi
Che risuona, nelle stanze
Vuote, con cupi accenti

Vorrei incontrarti
Negli alti pianori assolati
Dove i verdi pensieri
Odorano d'aranci
E raccontano di tenere estati
Innamorate di soli ardenti.

Essere o non Esse
(Sono Sempre Stato Sognatore)

Quando il sangue più non potrà
Nelle mie vene
Sorridere ed accarezzare il cuore
Raccoglierò i miei sogni, le mie pene
E attenderò quel rintoccare d'ore

Le pene, mi sarà facile trovare
Nascoste nell'ombra del dolore
Ai sogni, tra le nuvole a parlare
Dirò ch'è giunta l'ora di partire

E' vero, sono stato un sognatore
I sogni miei han sempre avuto l'ali
Al buio scrivevano nei cieli
Sui muri della notte, madrigali

Andrò lassù, con loro, per cercare
Un angolo tranquillo tra le stelle
Dove poter agli astri raccontare
Della nostra vita, le storie più belle

Carpe Diem
Quando ti vidi, era la prima volta
I capelli raccolti da un rosso nastrino
Camminavi tranquilla, la faccia rivolta
Al tepido sole di un dolce mattino

Tra mille ragazze che avevo incontrato
Baciate dal sole, nei lieti mattini
Solo il tuo bel volto mi aveva donato
Un fremito al cuore, passando vicini

Non t'ho più incontrata; la strada è la stessa
Meno tepido è il sole, e gli allegri mattini
Son lontani ricordi, e la mia promessa

Di cercati, ho scordata nei bui vicolini
Della vita, ove spesso, incauti, perdiamo
Gli amici, gli amori, ciò che più amiamo.

Coronavirus
( 2° pensierino in versi )

Io non ho tante certezze
Che esista un Dio, un Signore
Ma ho certezza, che non muore,
Delle umane nefandezze

C'è chi dice, e lo rispetto :
" E' un castigo del Signore "
Che davanti a tanto orrore
Manifesta il suo dispetto

Io, invece, che non ho fede
Penso che un Dio, un Signore
Ch'è bontà, che tutto vede
Non può dare un tal dolore

Se noi siamo sue creature
Che Lui ama teneramente
Non inventa certe sciagure
Per punirci, orribilmente

Vuoi che dopo aver creato
L'universo e le sue stelle
Come un dardo infuocato
Lanci un virus sulla pelle

Degli umani peccatori
Che, comunque, gli son figli
Anche se son traditori
Del suo Verbo, dei consigli ?

Io non credo, anzi son certo
Sia l'uomo ad aver creato
Col suo viver sciagurato
Tutto il male. E lo sconcerto

Di chi ha fede, sia consolato
Da una certezza, mica male :
Chi ha vissuto nel peccato
Avrà una eternità " Infernale "

Coronavirus ( pensierino in rime )

Quanto accaduto al Paese intero
E', forse, un castigo della natura ?
Che si ribelli, non è un mistero
Se la si ferisce, se non la si cura

Oppure, la colpa, è dell'inadeguato
Sistema sociale della Sanità
Alla quale, i politici, hanno rubato
Per anni risorse, in gran quantità ?

Rubato risorse, chiuso ospedali
Dei territori hanno fatto deserti
E per gestire tutti i nostri mali
Ogni Regione ha propri esperti

Infatti, ognuna, segue la sua strada
Ognuna applica il proprio sistema
Se non Ti va bene, male che vada
Chiama il privato... è forse un problema?

Tagli alla Ricerca, alla Sanità
Tagli alla Scuola, a chi meno ha
Poi spendono il triplo per rimediare
Dimenticando chi, intanto, muore

Muore la " gente " ; ma la coscienza
Di chi maneggia questa Sanità
Non sente rimorso per la sofferenza
Le, colpevoli, morti, per il male che fa ?

Le leggi son fatte non per " risparmiare"
Ma perchè il popolo ne possa gioire
La vita, di tutti, possa migliorare
Per un vivere degno, e...un degno morire.

P.S. :
Voliamo su Marte, ma esiste ancora
Chi pratica, orribili, usanze tribali
Il giro del mondo si fa in qualche ora;
Sarà un lampo infettarsi di certi mali
(oppure No ?)

Venezia al tempo del Corona Virus
Scivola una gondola, e l'elegante andare
Nell'insolito silenzio, muove allo stupore
Mentre nell'aria s'ode, nitido, un frusciare
Smuovere l'acqua un remo, con pudore

Risuonano le calli di antichi mormorii
Ed echi si rincorrono velati di timore
Svaniti per incanto rumori e strepitii
Solo pulsar si sente un battito di cuore

E quel soffrir della carne, di ogni amore
Ormai scordato tra le pieghe della storia
Che il nuovo morbo ridona alla memoria
E l'anima sorprende, e ammanta di dolore.

Uno strano Natale
Quando mio padre fu richiamato
Scoppiata la guerra, a fare il soldato
Prima di partire ci volle portare
In un paesino lontano dal mare

Dove, fanciulla, mia madre abitava
Verde campagna sulle rive del Sile
Un piccolo borgo che circondava
La bella chiesa e il suo campanile

Il rumor della guerra non si sentiva
Eppure la vita sembrava sospesa
D’angoscia, di fame la gente soffriva
L’imponderabile era sempre in attesa

Venne l’inverno e nelle notti stellate
Luceva il candore dei campi innevati
Nei loro letti, alle donne sposate
Lucevan, nel buio, gli occhi bagnati

E l’acqua del Sile spesso gelava
Attorno le barche a riva ancorate
Dove la corrente si riposava
Sognando arrivasse presto l’estate

La campagna deserta, abbandonata
Velata di brina, sembrava ferita
Un certo rintocco della campana
Era un tonfo nel cuore, persa una vita

E gli alberi spogli tendevano braccia
Offrendo al cielo la loro preghiera
Le donne sole col dolore in faccia
Dentro alle stalle a pregare ogni sera

Nell’aria il silenzio, tacendo, ispirava
Un triste presagio che ci ricordava
Quanto la guerra fosse maledetta
Figlia dell’odio, della vendetta

Così la stradina vestita d’inverno
Un freddo mattino divenne l’inferno
Piena di camion, di motociclette
Di cupi soldati con le mitragliette

Soldati tedeschi in rastrellamento
Di giovani uomini da deportare
Tentarono tutti con grande sgomento
Di salvare la vita, cercar di scappare
Ma zio Agostino restò intrappolato
Nella sua stanza al primo piano
Sentendo il passo, salir, d’un soldato
Mamma lanciò un grido disumano

Mi mise accanto a quella stanza
Mentr’io tremavo dalla paura
Che lui credesse, era la speranza,
Fosse la stanza di quella creatura

Infatti, il soldato mi passò accanto
Pose una mano sulla mia testa
Lanciò un breve sguardo soltanto
Sorrise… e il sorriso ancora resta

Dentro al mio cuore, e sono sicuro
Che quel soldato aveva capito
D’entrar nella stanza non ha voluto
Di far del male non s’è sentito

Forse era un uomo che aveva lasciato
Lontano, lontano per andare in guerra
Un bel bambino da lui tanto amato
Come tutti i padri di questa terra

Certo qualcosa di strano è accaduto
Quella vigilia del giorno di Natale
Umano è il cuore che non resta muto
Ma sceglie il bene e rigetta il male

Fu quella notte che la stella cometa
Un po’ s’è fermata sopra quel paesino
Per poi ripartire verso la sua meta
Dove l’aspettava Gesù Bambino.

Nelle ore di pietra

Nelle ore di pietra
Vagano silenziosi, nei deserti dell’anima,
I miraggi di amori perduti
Fantasmi che cercano oasi d’ombra
Dove le verità, nascoste, si mostrano
Nella loro candida veste
Ornata di ricordi, di rimpianto,
Di dolore

Lo so, tu non puoi sentire
Nei gemiti della notte
Quel grido, acerbo, che sboccia
Tra i fiori del silenzio
Quella dolente nenia, che culla
L’inesausto mio cuore;
Ne ricordare il fiume scorrere lento
Sotto i salici ombrosi
E il fruscio delle parole scivolare
Nel vortice dei baci

Ora, tu sei un’ombra inquieta
Immemore e inconsapevole
Ma se solo tu potessi
Con dita sapienti, accarezzare
Quella veste bianca e pura,
Nelle ore di pietra,
Di dolente meraviglia il tuo sguardo
Si poserebbe
Come un unguento sulle mie ferite
E con i fiori del silenzio, una rosa
Di purpureo amore, sboccerebbe
Nel tuo cuore appassito.

Sogno celeste
Una notte la luna
Stanca di stare
Immobile in cielo
S’è messa a ballare

Ha invitato le stelle
A cantare in coro
Nel mondo s’è sparsa
Una musica d’oro

Gli angeli in cielo
Da quel canto sorpresi
Con cetre e violini
Volando son scesi

Sui mari e sui monti
Fu tale l’incanto
Che aurore e tramonti
Si sciolsero in pianto

Una tenera lacrima
Dal colore di giada
Si posò sopra un fiore
E divenne rugiada

Nel mondo fu pace
Fu musica e amore
Cessò ogni guerra
Fuggì ogni dolore.

*

Mi sono svegliato
Era un sogno… soltanto
Già spuntava l’aurora
Insieme abbiamo pianto
 

Sogno
La notte era chiara
La luna era bianca

Alta nel cielo, pallida, stanca
Vagava cercando un luogo ove stare
Da sola, in silenzio, a meditare

Voleva capire la vera ragione
Del solitario suo vagabondare

Il senso profondo di sorgere
Splendere, e poi tramontare

*

Nell’ali era nera
Nel petto era bianca

Alta nel cielo, volava stanca
Una rondine sola, verso il suo nido
Al sole lontano lanciò un grido :

Tu che domini il mondo, mi sai spiegare
La vera ragione del mio volare

Il senso profondo di dover migrare
Di ritornare, e ancora migrare ?

*

Ho sognato una rondine
E una luna bianca

Allo specchio ho veduto una figura stanca
Un uomo vecchio che non sa capire
Perché lui sia nato e perché deve morire.
 

Tu sei …
Ancora mille volte
E mille volte ancora
Cercherò tra le stelle
Negli spazi dell’aurora
La dolce voce tua
Che mi parla d’amore
Cercherò il tuo profumo
Nei sogni di un fiore
Sei la mia forza, sei
La mia malinconia
Sei vento, io sono foglia
Mi raccogli e volo via
Nell’ansa del tuo fiume
Mi riposerò
Nel volo il tuo pensiero
Per sempre inseguirò
Sei come le cascate
Mi empi di fragore
Parli come la neve
Con pudico candore
Nel silenzio delle notti
Accendi le parole
Di un fuoco che sa ardere
Con la forza di un sole
Tu danzi nel vento
Coi boschi e le foreste
Sei luce del tramonto
Che di rosso si veste
Sei l’onda che ha viaggiato
Nei mari senza posa
E coperta di schiuma
Sulla spiaggia si riposa
Sei salice e accarezzi
Il fiume che scappa via

Non so però il tuo nome
E’, forse : Poesia ?

Rimpianto
Senza rumore
Le foglie morte si posano sui prati
Così i rimpianti, senza rumore
Si adagiano nel cuore

*

Come farfalla
Che va di fiore in fiore, disegnando
Nell’aria il ricamo del suo esile volo
Tu correvi nei prati del tuo, verde, aprile
Sorridendo al vivido sole
Della tua ardente primavera
E nell’eleganza dei tuoi passi, avevi
La, fatata, leggerezza dei sogni
E nello sguardo la dolcezza
E l’ingenuità, della luce delle aurore.

Mia farfalla, tu non sai
Che nel cielo delle mie notti
Tu disegni ancora
Il ricamo di quel volo appassionato
E nel buio, sento il frullio del tuo battito d’ali
Suonare nitido e struggente
E, roca, la voce del rimpianto
Per non aver saputo cogliere
Nell’apparente fragilità di quel volo
Tutta la sua, soave, lievità.

Una mattina…un cavaliere
( canzone )

Una mattina giunse al villaggio
Un cavaliere senza armatura
Aveva solo tanto coraggio
Gli occhi neri, la pelle scura

Sopravvissuto dopo aver sofferto
Là nel deserto la grande calura
E su un relitto nel mare aperto
Tutte le angosce della paura

Lui non aveva cappa, ne spada
Un lasciapassare, un salvacondotto
E non potendo viver per strada
Fu in un “rifugio “ presto condotto

Dopo due anni e molte lune
Alte nel cielo di quel “ rifugio”
Pensando : questa è una prigione
Fuggi di notte aprendo un pertugio

Lasciò un biglietto sulla recinzione
Quasi volesse chiedere scusa
Il ritornello d’una triste canzone
Dentro al suo cuore sempre richiusa

“ Fugge ogni vita velocemente
Fugge più in fretta se non hai niente
La disperazione ti prende per mano
Ti dice : Vieni, ti porto lontano

Fugge chi ha pena della sua vita
Cercando il fiore della libertà
Dalla miseria e per quell’infinita
Voglia di vivere con dignità “

Colori d’autunno
L’autunno, tenuamente, già colora
Le foglie stordite dall’estate
Dei prati, dei boschi s’innamora
Ai tramonti dona vesti delicate

Emozioni, alle anime portate
A coglier della natura la dolcezza
E dell’aria, la dolce mitezza
Che stempera l’ardore dell’estate

Avesse il nostro autunno quei colori
Accesi, nei ricordi, avessero i pensieri
Quella sua pace, delicata, che ristora

E al giunger dell’inverno che scolora
Gli anni, ormai, stremati come foglie
Fosse, leggero, il vento che le raccoglie.

Emozioni autunnali
Le sue pupille, da uno spiraglio
Delle palpebre richiuse,
Offrirono all’abbaglio
Della luce autunnale
Due gocce di colore.

Danzò un’onda
Turchina, nel riverbero del sole

Nei suoi occhi di mare.

Diversità

Se, dell’umano, creato ha la natura
“ Diversa”, una sua versione
E’ accaduto per sua scarsa cura
O per sua propria, voluta, decisione ?

Cambiando nel gioco d’attrazione
Lo stimolo che induce al piacere
Sviluppata s’è un po’ di confusione
Che, alcuni, stupisce nel vedere;

Quel ,”diverso”, intendere l’amare

Ma ognuno dovrebbe al fin capire
Ch’è un dovere il non essere di parte
E lasciare che, libera, ogni arte
Si esprima col suo, intimo, sentire.

La collera… il furore
Quando, a sua natura si ribella
L’indole, che il quieto viver brama
Irata, nella mente, una procella
Il dipanar della ragione strama

Il saggio dissertar del senno avvolge
In cupe spire, tra vorticose bolgie.

Morte a Venessia                                        Morte a Venezia
(Mann, no ghè centra)                                (Thomas Mann non centra)

Me ricordo come                                         Mi ricordo come
Quando gero puteo                                     Quando era pischello
Viver a Venessia                                         Vivere a Venezia
Géra tanto béo                                           Fosse tanto bello

Na vita serena                                             Una vita serena
Serena ma vivace                                         Serena ma vivace
Co’ tanti bei turisti                                       Con molti turisti
Se viveva in pase                                         Ma si viveva in pace

I primi i rivava                                              I primi arrivavano
Col venteseo de marso                                  Col venticello a marzo
Coe nebie de novembre                                 Nelle nebbie di novembre
L’ultimo géra scomparso                                L’ultimo era scomparso

Cussì per sinque mesi                                   Così per cinque mesi
Vissin ai campanii                                         Vicino ai campanili
E cese  indormensae                                      Le chiese addormentate                                    
I canai géra tranquii                                       I canali eran tranquilli

D’istà invesse géra                                        L’estate invece era                                       
Na festa e se avorava                                    Festa, si lavorava
De sera in canalasso                                      Di sera in Gran Canale
In gondola i cantava                                      In gondola si cantava                                    

I cantava e serenate                                      Si cantavano serenate
Se impissava i fanai                                       Sotto lampioni illuminati
Tutti a boca verta                                          Tutti a bocca aperta                                        
Restavimo incantai                                        Restavano incantati

In Piassa i faseva                                           In Piazza si faceva
El solito liston                                               Lo struscio detto: listone
Su e so per i masegni                                     Su e giù sopra le pietre
A cacia de un bocon                                        A caccia d’un boccone

Na bea turista zovane                                    Una giovane turistica
Da farghe compagnia                                     Da farle compagnia
In cambio de un regalo (?)                              Sperando in un regalo (?)
Prima chea’ndasse via                                    Prima che andasse via

Ghè géra mie boteghe                                    C’erano mille botteghe
Paradiso de artigiani                                       Paradiso di artigiani
I géra veri artisti                                            Erano veri artisti
E tuti venessiani                                            Tutti veneziani

Nissun gaveva pressa                                     Nessuno aveva fretta
Se godevimo eà cità                                       Ci godevamo la città
Rialto sensa ressa                                          Rialto senza ressa         
Géra proprio nà beltà                                      Era proprio una beltà

 Nei campiei, sigando                                     Giocavano i bambini
I boce zogava                                                 Nei campielli, vociando
Sentae su na banchetta                                   Sedute su una panchina
E mame seà contava                                      Le mamme chiacchierando

Rivava anca el postin                                     Arrivava il postino
El sonava un campaneo                                  Suonava un campanello
Dal quarto pian calava                                    Dal quarto piano calava
Dondolando, un cesteo                                   Dondolando, un cestello

Nei rii rimbalsava                                           Nei rii riecheggiavano
I “Oeee” dei gondolieri                                    Gli “ Oeee” dei gondolieri
Soni e romori cari                                           Suoni e rumori cari
Ai venessiani veri                                           Ai veneziani veri

Ancùo quel mondo béo                                   Oggi quel mondo bello
El sé proprio spario                                        E’ proprio sparito
L’atomosfera magica                                      L’atmosfera magica
Negada dentro un rio                                      Annegata… tutto è finito

Quea atmosfera dolce                                     Quell’atmosfera dolce
Pacada ed elegante                                         Pacata ed elegante
De nà città gentile                                          Di una città gentile
Discreta ed acogliente                                     Discreta ed accogliente                    

Ze deventada eà fiera                                      La fiera è diventata
De la stupidità                                                Della stupidità
Ghe basta farse un selfi                                   Basta farsi un Selfie
E dir : Mi ghe so stà                                        Per dir : Io sono qua

Perché arte e beleza                                        Perché arte e bellezza
Sé par brava gente                                          Sono per brava gente
A sti novi barbari                                            A questi nuovi barbari
No ghé interessa gnente                                  Non interessa niente

A Rialto sé rivai                                              A Rialto sono arrivati                                     
Anca i Benetton                                              Ora i Benetton
Par eà fiera del lusso                                       Per la fiera del lusso
Dove ghé vol un milion                                     Dove serve un milion

Una sola borseta                                             Solo per una borsetta
Te costa na fortuna                                         Ci vuole una fortuna
Ma a Venessia i vende                                     Però a Venezia vendono
Anca el ciaro de luna                                       Anche il chiaro di luna

Mandrie de bisonti                                           Mandrie di bisonti
Camina  par e cai                                            Invadono le arcate
Sui scaini dei ponti                                          Sui gradini dei ponti
I  riposa,distirai                                              Si riposano sbracate

Miére de persone                                            Migliaia di persone
Sui archi dee cese                                           Sotto archi di chiese
Col pan e mortadea                                         Con pane e mortadella
I magna sensa pretese                                     A mangiar senza pretese

Sensa rispetto o amor                                     Senza rispetto o amore
Per questa deicata                                          Per questa delicata
Beleza che ogni giorno                                    Bellezza che ogni giorno
Eà vien oltragiada                                           Viene oltraggiata

I pissa dapartuto                                             Pisciano dappertutto                                                 
I fa i sò bisogni                                               Fanno i loro bisogni
Po’ i dise che Venessia                                     Poi dicono: Venezia
Se na cità da sogni                                          E’ la città dei sogni

I se buta dai ponti                                          Si lanciano dai ponti
Come dai trampoini                                         Come da trampolini
Sue rive i ava tuto                                           Sulle rive si lavano
E gambe e i calzini                                          Le gambe ed i calzini

Mi me domando dove                                    Io mi chiedo dove
Voemo arivar                                                 Si vuole arrivare
Se no pensemo come                                     Se non pensiamo come
Finir de soportar                                             Finir di sopportare

Che co eà scusa dei schei                              Con la scusa che i soldi
Che ne porta el turismo                                  Li porta il turismo
De acetar ogni  sfregio                                   Accettassimo ogni sfregio
Un viver de serviismo                                    Viver di servilismo.

Intanto sora eà colona                                   Dalla sua colonna
Todaro varda incassà                                     Todaro guarda arabbiato
Mentre el leon coe ae                                     Ed il leone con le ali
El pianse disperà                                           Piange disperato

Eà gloria de Venessia                                     La gloria di Venezia
Eà sé finia da un toco                                     Da molto è finita
Ma eà so dignità                                             Ma la sua dignità
Non eà va messa in gioco                                Non sia mai scalfita

Ghè vol un bel miracolo                                   Ci vuole un miracolo
Per cambiar e cose                                          Per cambiar le cose
A l’assessora Paola                                          Alla assessora Paola
Ghe ofriremo e rose                                         Offriremo le rose

Seà  gavarà un’idea                                          Se avrà una bella idea
Una  idea genial                                               Un’ idea geniale
Perché eà nostra cità                                        Perché questa città
Eà torna a esser normal,                                   Torni ad essere normale..                                         

Il precario
Si alzò quella mattina
Sempre controvoglia
Pensando alla sua vita
Come a una morta foglia

Che si stacca dal ramo
E scende lentamente
Cade tra l'erba secca
Dove non cresce niente

E sapeva di amaro
Pure la tazza di caffè
Come amara è la vita
Se nell'animo non c'è

Quel filo di speranza
Di vivere i tuoi anni
Come dovrebbe un uomo
Pur tra gioie ed affanni

Lui s'era laureato
Nei beni culturali
Ma nei musei turnavano
Impiegati comunali

Trovare un posto fisso
Era un sogno proibito
Più facile toccare
Il cielo con un dito

Così a quarant'anni
Era ancora precario
L'unica soluzione
Per sbarcare il lunario

Suo padre gli diceva
Il lavoro è dignità
Per lui era soltanto
Vivere in povertà

Ferito nell'orgoglio
Abbandonò anche il sogno
Di avere una famiglia
Per non viver nel bisogno

E nel vasto deserto
Del suo futuro ignoto
Vide solo miraggi
Attorno un grande vuoto
E quando non hai nulla
Di certo nella vita
Può esser che ti frulla
Di farla anche finita

Guardò dalla finestra
Vide che pioveva
Come dentro il suo cuore
Anche il cielo piangeva

Si mise a sedere
Finì quel caffè amaro
La pioggia, poi, confuse
Il rumore d'uno sparo.

Primavera non ritorna
Hai visto… Nella ?
Primavera non è tornata

Sugli orti di Sant’ Erasmo
La terra riposa ancora, muta,
Imprigionata
Sotto una, bianca, lingua di neve

E’ plumbeo il cielo
E l’onda che si adagia, stanca,
Sulle labbra, fangose,delle barene,
Posa un bacio distratto
E tra i canneti nasconde
La sua malinconia.
Stridule grida di gabbiani
Lacerano il sospiro del vento.
S’increspa la laguna, come in un lamento
E un lungo brivido, d’onde minute,
Corre lontano, verso il mare aperto

Una vela solitaria
Attraversa, curva, l’orizzonte.
Sembra sostenere, la tela rigonfia,
Tutto il grigiore di quest’inverno
Che non vuol morire, e inquieta
Le folaghe e l’anatra selvatica
Che girovagano, annoiate, tra i canneti
Mentre le gemme, affacciate sui rami
Nudi, di giardini pallidi e assonnati
Attendono, ansiose, di mostrare,
Come bimbe vanitose,
Le nuove vesti colorate, al sole.

Tu lo sai… Nella
Primavera non tornerà più.

Non torneranno le rondini
A rincorrere nel cielo, terso e puro,
I nostri sogni
Ne il vento, scherzoso, d’aprile solleverà
Ancora, la tua gonna fiorita
Non sentiremo più il profumo dell’erba nuova
Nei prati, ombrosi, di maggio, sussurrare
Ai nostri sensi rapiti.
I passeri del tempo, ormai, si son nutriti
Di tutti i nostri desideri, sorvolando
Le spiagge, assolate, delle nostre estati
E i boschi, silenti,
Dei nostri autunni, tenui e delicati.
Ora sono posati sui cipressi
Nell’isola che guarda verso il mare infinito
E osservano le folaghe e l’anatra selvatica
Che girovagano, inquiete,
E l’onda che si adagia, stanca,
Sulle labbra, fangose, delle barene
E nasconde, tra i canneti,
la sua malinconia

Io so… Nella
Che, un giorno, voleranno via
Verso, un’improbabile, primavera.

Amor sacro, amor profano
Amor, è sentimento in cui ognuno crede
Di qual natura sia, niuno mai s’avvede

Niuno, poi che amor in noi accede
Quale un frullio d’ali di colomba
Muovendo l’aria intorno, lieve, lieve
Nell’animo si posa in forma d’ombra

Quell’ombra che ristora, ove fiorisce
Il desiderio, che spiritualità poi spoglia
E muta il sacro, in profana, lieta voglia.

Il vento ci aiuterà
(canzone)

Il racconto di una vita
Ha bisogno di parole
Profonde, appassionate
Piene di calore
Di musica e armonie
Di idee illuminate
Di scordar l’inverni
E vivere le estati
L’anima per i prati
A cogliere fiori
Petali colorati
A profumar pensieri
Agili come velieri
Che sanno navigare
Evitare le scogliere
Le insidie del mare
Dove naviga il potere
Pensieri marinai
Che nelle notti scure
Le notti senza stelle
Dentro ai loro cuori
Accendono fiammelle
E ritrovano il sentiero
Verso un porto sicuro
Anche se il mare è nero
Anche se il mare è scuro

…e il vento lo sa

Quando nasce un racconto
Un racconto bambino
Ha bisogno di un sole
Che illumini il mattino
Di braccia ove trovare
Un rifugio e del tepore
Di un petto ove sentire
Battere forte un cuore
E di vaste pianure
Dove nei fiumi scorre
L’acqua del sapere
L’acqua limpida e pura
Che scioglie l’ignoranza
Che vince ogni paura
E di montagne vere
Dure da scalare
La fatica ed il sudore
La voglia d’arrivare

Ha bisogno di sapere
Che tra il vivere e il morire
C’è un mondo da scoprire
Un viaggio da affrontare
E se il deserto appare
Una vuota immensità
Nell’oasi del cuore
Cercare amore e serenità

…e il vento lo sa

Un racconto vero
Non un raccontino
Ha bisogno di parole
Incise nel destino
Con la forza delle mani
Ogni alba, ogni domani
Aver voglia di lottare
Contro chi non ha amore
Contro chi vuole sfruttare
Natura e umanità
Chi nel vuoto del cuore
Cela rancore e malvagità
Scriviamo ogni racconto
Con nobili parole
La forza del pensiero
Gonfierà le vele
Con occhi di speranza
Guardiamo verso il sole
Nello sguardo un sorriso
Anche se il cuore duole

… il vento ci aiuterà

Poco impegno, niente poesia
Solo un po' di fantasia

Ti ricordi quando un prato
O i giardini alla riviera
Ci accoglievano, sognanti
Nell'incanto della sera

Ti ricordi quante stelle
Su nel cielo a palpitare
Il gracchiar di raganelle
Nel fossato a litigare

Io ricordo il tuo arrossire
Quando un bacio ti chiedevo
E nel nostro eterno amore
Tu giuravi, io ci credevo

Io credevo ingenuamente
Che l'amore fosse eterno
Non pensavo che potesse
Trasformarsi in un inferno

Si, perché ci sian sposati
Fu la festa assai elegante
Con duecento e più invitati
L'avvenire era raggiante

Ma durò poco il candore
Di sposina innamorata
Come il sole sorge e muore
Durò solo una giornata

E cambiò la nostra vita
Ricca dei tuoi tradimenti
Storia amara, immiserita
Da litigi e patimenti

Per vendetta ho poi deciso
Di avere anch'io l'amante
Con intento assai preciso
L'ho cercata assai elegante

E un giorno ci sian trovati
Per caso in un ristorante
E ci siamo presentati
Tu il tuo, io la mia amante

Ma la cosa più eclatante
Fu che i due si son piaciuti
Ed in men che non si dica
Or siamo soli, abbandonati.

Sono tornato su quel prato
Poche stelle quella sera
Mute eran le raganelle
E l'incanto più non c'era.
G;D;

* * *
Questa storia inventata
Per rubarvi una risata
In fondo non è poi male
Ha una piccola morale :

" Il tradimento e la vendetta
per uccidere l'amore
usano l'arma più abietta :
La viltà, il disonore "

Sia chiaro che la risata
Non è certo obbligatoria
Pianga pure anche a dirotto
Chi non ama questa storia.
Giuseppe Dabalà (versione cantastorie)

Nitido e struggente
Lassù, tra l’indaco del cielo,
si rincorrevano i cirri,
spinti dal vento oltre il crinale dei monti.
L’aria, fredda, scendeva dai canaloni
a spettinare le chiome delle conifere,
nel bosco ancora addormentato.
Poi, tra la sella di pareti rocciose
apparve, all’improvviso, il sole.
L’aria s’addolcì, e la bruma
dal sottobosco iniziò a salire,
bianca e silente verso il cielo;
come una muta preghiera.
All’inizio del pendio che s’inerpicava
sinuoso, verso la vetta,
tu prendesti, tra le tue, la mia mano,
senza volgere lo sguardo,
continuando a salire, senza parlare.
Udivo solo il tuo lieve ansimare
e nel mio petto, il battito del cuore.
Ci sono, rari, momenti della vita
che cambiano, dentro di noi,
la percezione delle cose intorno,
e ci donano quella lieve beatitudine
che ha lo sguardo ed il sorriso
della felicità
Dopo tanti anni vissuti lontano,
in luoghi dove su campi, aridi, dell’anima
ho seminato i miei giorni,
e nascosto tra la rugiada della lontananza
le lacrime del rimpianto,
sono tornato lassù, di prima mattina,
quando l’aria pungente colora
i cristalli ossidati della memoria
e il ricordo appare, nitido e struggente,
come il suono di un violino nella notte.

Mentre il cielo si tingeva d’azzurro,
sono certo d’aver sentito, in un refolo di vento,
lieve, un ansimare. .

La ballata infame
Ogni mattino alla televisione
Ci dicono quanti hanno fatto morire
Stipati dentro un vecchio barcone
Ma non quando possa l’orrore finire

Eran trecento su quel barcone
Non erano sacchi da trasportare
Erano uomini, donne… persone
Senza pietà mandate a morire

Ora seicento occhi sbarrati
Guardano, fissi, il mare profondo
Cercavano aiuto, solo negli abissi
Hanno trovato asilo nel mondo

Umana pietà se tu esisti, ora
In qualche luogo di questa terra
Urla più forte, poi urla ancora :
“ Presto finisca, questa è una guerra”

Urla “ aguzzino “ al trafficante
Che mostra un cuore di belva feroce
Urla “ assassino “ al politicante
Non usa il potere, non alza la voce

A noi che guardiamo la televisione
E, indifferenti, cambiamo canale
Grida più forte : “ Le oneste persone
Non fanno silenzio quando vince il male”

Ma già l’onde, pietose, tutto hanno cancellato
In TV c’è Sanremo, tutto è presto scordato.

Forse è soltanto …
Tra i fiori che non ti ho mai dato
Te ne ho già parlato in una poesia
Oggi per miracolo è spuntato
Un nuovo fiore, come per magia

Forse è l’acqua fresca che ogni giorno
Cambio per poterli conservare
Freschi e profumati al tuo ritorno
Che da quarant’anni sto ad aspettare

In ogni petalo ho scritto una parola
Perché tu possa leggere e capire
Quanto per amor si può soffrire
Quanto nella vita si può amare

Ma quel nuovo fior non so che sia
Forse è soltanto… il fior d’una follia.

Speranza nel futuro
Per scrivere, dei giorni miei, il racconto
E chiedere al domani ciò che spera
Osserverò, dal colle ove son giunto,
Qual colore avrà il cielo della sera

La speme è di veder prima che annotti
Tra i neri lembi dal giorno accumulati
Correre, leggeri, nel ciel come leprotti
Greggi di cirri, di rosa e rosso colorati

Vorrei che almeno l’ombre della sera
Scendessero senza incutere timore
Udir dell’armonia nel battito del cuore

E nell’anima ogni dubbio che s’acquieta
Poi profumar, nell’aria fresca e cheta,
L’ultimi miei pensieri, come un fiore.

Buon Natale…clochard
Era tanto tempo che non lo incontravo
Lungo le mura della caserma abbandonata
L’ho salutato e mentre m’avvicinavo
Mi ha sorriso con la sua bocca sdentata

La folta barba scura s’era fatta bianca
Sulle spalle portava il solito fagotto
Camminava piano, con l’andatura stanca
Di chi, del mondo, s’era proprio rotto

E quel clochard con la sua barba bianca
Con quel fagotto portato sulla schiena
Mi sembrò Babbo Natale di chi arranca
Di chi, dal natale, in dono ha un’altra pena

La pena di chi è solo quella sera
Quando tutti si ritrovano a cenare
Tra le luci, nella calda atmosfera
Gioiosa e lieta del proprio focolare

Ci siam guardati, ci siam stretti la mano
Buon Natale ci siamo detti sorridendo
Nel petto ho provato un dolore strano
Mentre lui era sincero, io stavo mentendo.

Un giorno… che non sai (canzoncina)

Corre il tempo, scappa via
Corre in fretta, non si ferma
E qualcuno spera che
Ci sia, poi, “ La vita eterna”

Lungo è il giorno, lungo assai
Nella sua monotonia
Ma un giorno…che non sai
Tutto si porterà via

Un giorno ti scopri anziano
Senza aver capito, ancora,
Che seppur campi cent’anni
E’ come se campassi un’ora

Capirai d’aver sprecato
La tua unica occasione
Hai vissuto pigramente,
Senza amor, senza passione

Mentre avevi dentro al petto
Un galoppo di destrieri
Che in un, piccolo, recinto
Hai tenuto prigionieri

Che non hai, mai, liberato
Nella grande prateria
Correndo a perdifiato
Con coraggio e fantasia

Non hai, mai, partecipato
Nei tornei non ti sei spinto
Ogni agone hai evitato
E, così, non hai mai vinto

Hai guardato e non hai visto
Quanto è vasto l’orizzonte
Il tuo sguardo s’è fermato
Su quel muro lì…di fronte

E non hai avuto voglia
Di salire, su, a vedere:
C’era molto da capire
C’era molto da sapere

Soprattutto, oltre quel muro
C’era… azzurro, immenso, il mare

Corre il tempo, scappa via
Corre in fretta, non si ferma
Ora spera che non sia
“ La vita eterna”, una bugia

Ora spera che non sia
“ La vita eterna”, una bugia..

Gioia e Tristezza
Quando incontrerò la Gioia
Le parlerò della mia Tristezza
E sul suo grembo verserò
Tutte le mie lacrime
Lei, accarezzandomi, mi sorriderà
E volerà via
Con ali di Felicità.

Ora…prima che il silenzio
Il fumo dai casolari sale
Abbracciato all’ultima bava di vento,
Mentre la luce d’un incendio divampa
Sulla pura aridità della campagna desolata.
Riverbera il colore del sogno
Nel tramonto esangue e appare,
Nitido, tepore di primavera.
Già l’orma del piede scompare
Nel vortice di polvere e foglie
Che il tempo, mischiando le stagioni, posa
Sul sentiero che s’insinua
Tra diafani paesaggi, dipinti
Sulla tela colorata degli anni

Ora, vorrei sentire,
Prima che il silenzio incida
Un segno indelebile
Sui confini che si coprono di neve,
La canzone che il sole intonava
Sulle rive dello stagno d’estate,
Quando, ai fiori increduli, la rondine
Raccontava di cieli ed orizzonti infiniti.

Ora, prima che l’ombra amica
Dei grigi pomeriggi autunnali, trascini
L’intreccio fecondo dei rami,
Nell’impalpabile oscurità
Del bosco pietrificato.
 

(Non è una poesia, e non è una canzone. E’ solo un invito a non perdere mai la speranza)

Voce di speranza
Tra il sussurrar del vento
L’eco delle parole
Ripete che l’inverno
Si scioglierà nel sole
Parole di dolcezza
Che mi fanno volare
Come una vela bianca
Sull’azzurro del mare

Dicono che nell’aria
Danza la primavera
Se nel giardino aleggia
Il profumo d’un fiore
Che sarà più sereno
Il cielo della sera
Oh, voce di speranza
Dolce mia capinera

“ Cantami, cantami
La tua canzone
Portami, portami
Sempre con te
La tua melodia
Non è illusione
Ma la promessa
Che lotti con me “

Con te cammino
Nella cupa foresta
Mi tieni la mano
Mentre colgo un fiore
Mi sorridi dicendo
Che la gioia e il dolore
Son figli della vita
Che bisogna amare

Che la notte sembra
Paurosa ed oscura
Ma al buio s’impara
A non avere paura
Puoi nel cielo vedere
Più splendenti le stelle
Puoi capire il valore
Delle cose più belle

Voce di speranza
Dolce mia capinera
La tua bella canzone
Sarà la mia preghiera.

Canzone per un viaggiatore
La vita ha un binario di sola andata
Ed a ciascuno, assegnato, è il vagone
Chi ha la valigia di pelle pregiata
Chi legata con spago, una di cartone

Chi viaggia attraverso, ridenti, pianure
Chi trova salite sempre più dure
Dove non esiste alcuna stazione
Per fare una sosta, mangiare un boccone

Chi corre ammirando paesaggi di mare
Chi da gallerie non riesce ad uscire
Con la paura che il controllore
Ritenga il biglietto, tuo, senza valore
E nell’ Officina nessun vuol costruire
Moderne vetture per poter ospitare
Molta più gente che possa viaggiare
Ammirando pianure, paesaggi di mare

Perchè i dirigenti dell’ Officina
Viaggiano comodi seduti in poltrona
Che siano molti quelli a godere
Di miti paesaggi, a loro non dona

Così si viaggia nella ferrovia
In classi diverse, per categoria
Rimane soltanto la consolazione
Che, tutti, si arriva alla stessa stazione.

Profumo d’infanzia
Profumo d’infanzia che aleggi nel mio cuore
come l’aria pura sui monti del Zoldano.,
e tingi di rosa i miei ricordi
come la primavera, colora, i rami dei ciliegi
sulle colline di Monfumo.

Sei il profumo del pane appena sfornato,
caldo e fragrante, in quel casolare di campagna
dove c’eravamo rifugiati durante la guerra.
Sei il profumo dei panni lavati in riva al Sile,
su tavole di legno,dalle lavandaie che cantavano,
e sorridevano ai barcari,
che sfilavano, ritti, sulla tolda di silenziosi barconi.
Sei l’odore, aspro, dell’erba dopo il temporale
e del fango sulle rive dei fossi,
che correvano lungo i campi coltivati,
dove a notte cantavano i rospi le loro serenate.
Sei l’odore del grano nei campi assolati,
di quei torridi meriggi d’estate
quando il tempo restava sospeso,
incatenato ai raggi del sole,
mentre il silenzio riposava nel torpore,
e si ridestava al suono delle campane
che chiamavano al vespro.
Sei l’odore delle cantine in penombra,
della frescura che vigilava sul riposo del vino,
addormentato nelle botti di rovere.
E del profumo dell’uva pigiata nei tini,
che troneggiavano sull’aia, quando settembre dipingeva
i boschetti di betulle, e i platani del viale della chiesa.
Sei il profumo delle notti stellate, di gelidi inverni,
quando, dalle stalle fumanti, uscivamo rabbrividendo
nel buio della notte e guardavamo, incantati,
firmamenti colmi di lune e di stelle.
Poi, l’odore delle braci infuocate, sotto le coperte,
per riscaldare le lenzuola gelide,
e il profumo e l’odore del corpo di mia madre
che mi teneva stretto al suo petto,
stretto, da sentire battere il suo cuore.
Come batte, forte, questo mio fragile cuore,
che il pensiero di te, teneramente profuma.

Sulla neve della mia solitudine

Tremavi.
Come tremano le spighe del grano
Nelle notti senza luna.
Quando, nell’alito del vento, danzano lievi
Per astri freddi e lontani.
Tra le mie braccia cercavi il tepore
Che hanno i soli dei sentimenti d’amore,
Ma io non ho saputo fare
Delle mie braccia un trono
Per il tuo profilo di regina,
Ne ho capito quanta dolcezza avesse
La melodia, del tuo canto accorato.
Dall’alta rupe della mia alterigia
Ho osservato scorrere il fiume
Della tua, innocente, passione,
Senza sapere, che le acque di quei fiumi cercano
Sponde di morbida terra che le assorba,
E amano il vasto respiro di anse accoglienti,
Ove riposare.
Sei scivolata via da quell’ abbraccio
Nel fruscio della tua veste regale,
Lasciando sulla neve della mia solitudine,
Profonde, le orme del tuo dolore.

La noia
Quando la noia nelle sue spire crasse
Lo spirto mio e la ragion sopisce
D’agir la voglia nell’animo svanisce
E di torpor, le membra, si fan lasse

Avviluppato nell’inerzia del tedio
Nel nulla vago, senza trovar rimedio.

Laggiù tra gli ulivi

Salivano su quel treno tutti i giorni
Studenti, operai, gente dei dintorni
Col sole, la pioggia, in quel mare d’ulivi
Nel cuor le speranze, le ansie dei vivi

Il treno correva, si leggeva il giornale
Dell’economia che andava assai male
Dei prezzi al mercato in continua salita
Si parlava di quanto fosse dura la vita

C’era chi diceva : “ Così non va bene”
Qualcuno rideva , ragazzi tra le pene
D’un esame di greco o del primo amore
Con molte speranze e qualche dolore

Il treno correva, era ogni vagone
Un piccolo mondo che univa persone
Ognuno una storia sua da raccontare
Un sogno, un segreto, chiusi nel cuore

Un solo binario, nell’altra direzione
Un mondo, uguale, univa persone
Qualcuno rideva, altri tra le pene
Per il lavoro che non va bene

Improvviso lo schianto, laggiù tra gli ulivi
Il silenzio dei morti, le urla dei vivi
Non dite “ E’ il destino” , “ E’ colpa del fato”
La colpa è di questo Paese malato

Dove ogni male può sempre accadere
Perché chi dovrebbe non fa il suo dovere
Perché regna la frode e la corruzione
Così un mattino non giunge in stazione

Un treno, e tra i campi, laggiù tra gli ulivi
Si fa tomba dei morti, strazio dei vivi.

Prestami le tue pupille d’oro
Ci sono giorni, gelidi, come inverni
Ed ore come cumuli di neve, che si scioglie
Nei rigagnoli dell’esistenza.
Giorni attraversati da malinconie,
Nomadi, nella vastità che la solitudine deforma.
Giorni con il tormento che ha il vento
Quando mulina la sabbia nei deserti,
Ed il colore degli uragani
Che squarciano il cielo, e i loro boati
Coprono l’urlo di dolore delle foreste,
Ed il pianto delle giovani palme
Piegate dal vento.
Giorni naufragati nel fiume del dolore,
Nel torbido spumeggiare
Che trascina i fragili amori e le illusioni,
Ed abbandona, su anse deserte,
I relitti di sogni e ingenue speranze.

. “ Spirito di poesia
Prestami le tue pupille d’oro,
E la tua voce coronata d’argento,
Ch’io veda le lucciole danzare
Quando, di Te, s’illumina la sera
E con gli uccelli possa io cantare
Ogni alba, di questa nuova primavera.
Fammi veder la luna, nelle notti chiare
Splendere nuda, ed incantare il mare.
E fammi bere, dalla tua coppa
Di gemme incastonata,
Il nettare che possa lenire,
Nel mio fragile cuore,
Il tormento dei giorni del dolore. “

In qualche luogo ci ritroveremo
Quando non avrò più voce per chiamarti
Ne parole per raccontare il dolore,
I miei occhi saranno laghi prosciugati,
Le mie mani, farfalle senza voli.
Ma i pensieri saranno fioche lanterne
Che oscillano nel dedalo dei ricordi,
Illuminando i frammenti, dorati,
Del nostro amore.

In qualche luogo ci ritroveremo :
Nelle foreste, intricate, della mente
O nelle spiagge , assolate, del cuore
Negli echi, che la notte feconda,
O nel bagliore dei sorrisi
Che abbiamo dimenticati
Lungo gli argini dei fiumi,
Negli angoli nascosti dei sentieri..

In qualche luogo ci ritroveremo
Quando la pioggia avrà lavato ogni ferita
E coglieremo, dalle radici,
Il fiore che germoglia, ostinato,
Nei nostri petti esausti :
Petali colorati di rimpianto.

L’Alba di un nuovo giorno
Fluttuò nell’aria una sensazione
E un brivido corse sulla schiena della notte,
Sulle mani del buio vibrò un tremore.
E l’immobilità di silenzi sospesi,
D’impercettibili rumori oltre le siepi,
Di intimi bisbiglii tra le rose.
Poi, un vivido chiarore s’insinuò tra le crepe
Delle mura protettrici del sonno e dell’oblio;
Un pulviscolo dorato che penetrò profondo,
Illuminando il volto alle coscienze.

Si animarono i fili d’erba,
All’unisono, ondeggiando, in una danza cadenzata,
Mentre,al sole, i loro pallidi volti volsero i girasoli,
Risvegliati dal canto delle api.
Dai campi e dai giardini i fiori mostrarono,
Al cielo stupito, i loro vividi colori
E dalle sponde dei ruscelli si udirono, argentine,
Giungere le voci di giovani acque
Che scendevano gioiose, sorridendo
Agli alberi abbracciati alle nuove brezze,
Protendendo i rami, colmi di foglie,
Verso l’orizzonte liberato dalla bruma.

Stanati dalla luce, fuggirono i roditori,
Le volpi venditrici di menzogne,
I serpenti incantatori d’uomini.
Abbandonarono le foreste di acciaio e di pietra
Gli gnomi abitatori di tane dorate,
E gli uccelli rapaci lasciarono i loro nidi.
Seguendo, in volo, i tori fuggiti dai recinti,
Gli orsi dai boschi, e moltitudini di iene
E di sciacalli dalle savane.
S’aprì il cielo ed un profondo respiro
Di giovani alisei e tepide brezze
Liberò i raggi del sole
Dalle nubi secolari che avevano impedito,
Alla luce, di nutrire le menti assopite.

L’alba di un nuovo giorno
Illuminò il mare
E giovani vele salparono
Verso isole inesplorate,

Il grido
Improvviso, un grido di dolore incise l’aria
Ferendo il silenzio,
Come un taglio verticale ferisce
E strappa la vela percossa dal vento,
O un rasoio lacera,
In un gesto immediato e deciso,
La bianca tela indifesa.
Come nebbia, un’angoscia sottile
Avvolse la mia voce e, fuggendo,
Le parole implorarono i tuoi sguardi
Ormai indifferenti e lontani.
*
Hai ascoltato le voci che si nutrono
Di quell’erba amara che nasconde
La serpe maligna,
E abbandonato i campi che celavano,
sotto la terra fertile,
Il seme del mio amore.
Non saprai mai quale dolcezza,
Nelle arnie del mio cuore,
Avesse il miele dei pensieri,
Ne quanta ebbrezza il vino,
Delle vigne del mio puro sentimento,
Avrebbe donato alla tua danza.
*
Così, ogni notte quel grido,
Come vento impetuoso,
Strappa le vele della mia solitudine
E attraverso gli squarci scorgo lontana,
Oltre il mare tempestoso,
La mia Itaca immaginaria

Lontana e irraggiungibile.

La coperta di cartone
C’era un uomo, solitario, che arrivava
Puntuale a mezzanotte alla stazione
Non aveva la valigia ma portava
Sottobraccio, un foglio di cartone

Non pagava il biglietto perchè il posto
Che cercava come sua destinazione
Era un angolo assai buio e nascosto
Dentro un vuoto, squallido vagone

Il pavimento era il letto ove posava
Quel cartone, che serviva da coperta,
S’avvolgeva e in silenzio aspettava
Che la porta dei sogni fosse aperta

E nel sogno si scordava della vita,
Ritrovando, di sé stesso, la ragione
E sperava che non fosse già finita,
La sua storia, in un pezzo di cartone

Ma l’inverno fu il nemico più crudele
Gelò i campi, le strade, le stazioni
Gelò i sogni che servivano da vele
Per navigare nel mar delle illusioni

E un agente di controllo, una mattina,
Trovò l’uomo nel vagone, inanimato
E notò l’orme di un sogno sulla brina
Che da quell’uomo s’era allontanato

Era volato nel regno dove i sogni
Degli uomini che non hanno fortuna
Che non trovano aiuto nei bisogni
Si fanno stelle, accanto alla luna

E quelle stelle più vive nel brillare
Sono i sogni di tutta quella gente
Che dalla vita non ha avuto niente
E quel brillio lo vuole ricordare

Come le scie delle stelle cadenti
Sono la luce dei loro sogni erranti.

Senza perdono
Quando sei partito da un paese lontano,
In braccio alla mamma, con la piccola mano
La accarezzavi , ti sembrava più bella
Nell’alba già chiara, di quell’ultima stella

Che, solitaria, nel cielo aspettava
Sorgere il giorno che tutto cambiava
Della tua vita, ma per te quel fuggire
Era forse un gioco, non potevi capire

Perciò sei salito senza alcun timore
Su quella barca, e ascoltando il rumore
Dell’onda sui fianchi farsi minacciosa,
Guardasti la mamma, lei gridò qualcosa

Ti strinse al suo petto, mentre piangeva,
Sentivi tuo padre che ti chiamava
L’acqua gelata che ti sommergeva
Gli artigli del drago che ti ghermiva

Come una ninfea che galleggiava
La spuma del mare sulla rena posava
Un corpo piccino, sembrava dormire,
Su un letto di sabbia si può pure morire

Si può morire come muore un bambino
Con le ali spezzate, come un uccellino,
Dal fucile dell’odio a morte colpito,
mentre vola, felice, nel suo cielo infinito

Ci sono più lacrime che gocce nel mare
In questo mondo che non sa vedere
Nell’innocenza d’un bimbo che muore
Della sua malvagità, tutto l’orrore.

Girotondo Rubamondo
I risparmi sono spariti
In banca l’han mangiati
Centomila rovinati
Non sanno cosa far

La gente è disperata
I risparmi di una vita
La banca s’è ingoiata
Per male trafficar

Ed il Governo tace
Salva solo i ladroni
Tu hai perso la pace
Lui nulla vuole far

Ed il Ministro dice
“ Non son stati prudenti “
Un pugno in mezzo ai denti
Ci potrebbe star

Non è stata prudente
La povera vecchierella
E pure sua sorella
A farsi ingannar ?

Non è stato prudente
Il vecchio pensionato
Che mai avrebbe pensato
La banca fosse un bazar ?

Un covo di farabutti
Che davano i denari
Ai loro amici cari
Senza farseli ridar

Vendendo in mala fede
Soltanto carta straccia
Con sorridente faccia
Per bene simular

Ora tutto è perduto
Chi ha dato non ha avuto
La banca che ha rubato
Invece è da salvar

Andate brava gente
Non è successo niente
Se siete rovinati
Buttatevi nel mar

Sempre la stessa storia
Puniti son gli onesti
Premiati quelli lesti
Esperti nel rubar

Ma attenti amici cari
Se rubate ancor denari
Saranno cazzi amari
Ci potete contar

Speriamo non succeda
Che ognuno si ricreda
Ed in futuro veda
Di mai più rubar.

DI MAI PIU RUBAR
A. D.
(Anonimo Derubato)

Natale
Natale è una speranza
Che l’uomo s’inventa
Perché sia contenta
Tutta l’umanità

E segue la cometa
Sperando di trovare
Raggiunta quella meta
La luce dell’amore

L’amor rappresentato
Da un bue e un asinello
Da un bimbo appena nato
Nella greppia, poverello

L’amor vero è profondo
E’ la cosa che più vale
Lo cerchiamo nel mondo
Sperando sia nel Natale.

La matassa
La notte passo le ore a srotolare
Una matassa di gioie e di pene
Negli anni lentamente accumulate
Tra musiche, stridori, canti di sirene

Ritrovo i sogni rimasti a volare
Lontano, nel cielo volto all’imbrunire
Segrete voci che vogliono parlare
Di volti amati che abitano il cuore

Ricordi amari, che fanno soffrire
Relitti naufragati in fondo al mare
Rimorsi, tendono braccia per tornare
A stringere le mani intorno al cuore

Giorni ed istanti colmi di stupore
Quando la gioventù ci sa donare
Incanti e voci che parlano d’amore
E calde lacrime d’intimo sentire

Srotolo ferite mai rimarginate
Luoghi dell’anima dove sono partite
Con le illusioni, le persone amate
Luci di porti dove non son tornate

Stelle lucenti che avevo lasciate
Appese al cielo d’una bella estate
Volavano farfalle ed erano parole
Sulle sue labbra, baciate dal sole

I suoi occhi erano fiori della notte
Cercavano del piacere la rugiada
La prima luce che illumina ogni strada
Era un’alba di speranza, che sorgeva

Nel buio passo le ore a srotolare
I ricordi, con grande tenerezza
Cercando con la mente ritrovare
Profumi e palpiti della giovinezza.

Nell’aria dolce
Scaglie lucenti danzavano
Tra gli azzurri palpiti del mare.
Incontro al bianco spumeggiare
Alti, volavano gli uccelli
Del vento risalivano i crinali,
Senza un grido,
Senza un battito d’ali.
Tornavano, poi, virando,
Del volo disegnando le spirali
E planavano tra i fiori di barena,
Tra le case di Burano, assopite,
Nel torpore d’un cielo senza pena.
Nel tardo meriggio,
Che avvampava
Nei rossori della prima sera,
Nell’aria dolce che odorava,
Già, di primavera.

Il dolore
Il dolore è il nodo d’una corda
Che, veloce, come un battito di ciglia
Intorno al cuor, stringendo, s’attorciglia
Di sciogliersi, poi, sempre si scorda

Quello del corpo è un dolor che passa
Usando una pomata o un’aspirina
Ma del dolor che l’anima trapassa
Non s’è trovata, ancor, la medicina

Invisibile è il dolore che ferisce
Solo l’anima, e lascia il corpo intatto
Quando piangi la gente non capisce
E pensa che tu sia un poco matto

Dolore doloroso, addolorato
D’esser motivo, ognor, di sofferenza
Chiaro il tuo provenir, dove sei nato
Oscura, del tuo partir, la conoscenza

Quando il dolore con lacrime si lava
Pulisce il volto suo per dimostrare
Quanto il soffrir nel cuore dilagava
E cerca un petto dove riposare

Se d’amor, è il dolore che colpisce
Bisogna aprir le porte e le finestre
Entrando l’aria, la stanza ripulisce
E caccia l’odor di baci e di minestre

Ci son dolori grandi e doloretti
Tutti fan male, ma il dolor più forte
E’ veder, seduta sopra i letti
Sorridere di noi, signora Morte

C’era un uomo seduto sulla riva
Di un fiume, e una barca passava
Piena d’uomini, ed ognun soffriva
C’era il dolore, a poppa, che vogava

La vita, è vero, è piena di dolori
Che ci conducono per aspri sentieri
Dobbiamo mettere nel sacco i colori
Per colorare i giorni ed i pensieri.

Se non esistesse “ Poesia “

La luce d’aurora non avrebbe colore
Non spunterebbe nei prati alcun fiore
Ogni tramonto non potrebbe avere
Un sole, maestoso, che scivola in mare

La neve, leggera, che scende lenta
Perché ogni ramo vuole accarezzare
Impazzirebbe, sola, nella tormenta
Più non potrebbe coi bimbi giocare

Il gabbiano che sale i dorsali del vento
Non volerebbe senza battere l’ali
Sarebbe di stelle vuoto il firmamento
Senza tristezza l’autunno nei viali

Colline dipinte dai peschi in fiore
Greggi, sui monti, a pascolare
Tra i sassi la voce dell’acqua cantare
In ogni ruscello che cerca il suo mare

Questo la natura non potrebbe mostrare
Se non esistesse ciò ch’è “ poesia “
Ed ogni uomo per poterne godere
La coltivi nell’anima, la faccia sua

E’ forse questo l’immenso “ bisogno “
Che il mondo intero dovrebbe sentire
Poesia negli occhi, nel cuore, nel sogno
Poesia nel vivere, per meglio capire.

Tango…tànguero
Un suono di chitarra invita alla danza
Sul palcoscenico, agile, avanza
Con passo sicuro e lo sguardo fiero
E’ il primo tango del bel tànguero

Bella e flessuosa è pur la ballerina
La sfiora, la cinge a sé…più vicina
E danzano, avvinti, con gesto sensuale
L’antico tango del bene e del male

Come due piume portate dal vento
Volteggian perduti nello stordimento
Tra suoni e parole di quella canzone
Profumo nell’aria della “bella stagione”

Poi la ballerina con meno passione
All’improvviso nella sua evoluzione
Fa una piroetta e per la prima volta
Da lui si separa con una giravolta

E’ triste il tànguero e nel suo ballare
Traspare, struggente, un intenso dolore
La musica brucia come una ferita
Quando la sua mano sfugge alle sue dita

Si spengon le luci, la chitarra tace
Lei lascia la scena senza una voce
La gente applaude, ma non capisce
La sofferenza…quando il tango finisce

E degli applausi resta solo il rumore
Del tango il ricordo
Di ogni nota…il dolore.

Breve, come un respiro
Quando il raggio della luna
Si affacciò alla sua finestra
Il suo corpo ancora acerbo
S’adornò per la sua festa

E sbocciarono due fiori
Sui suoi seni addormentati
Due boccioli coi colori
E il turgore delle estati

Scivolò via dai suoi fianchi
Tutto il gelo degli inverni
Arse il fuoco nel suo petto
Dei peccati e degli inferni

Come l’acqua d’un torrente
Impetuosi e freschi i baci
E perduta la sua mente
Nel sognar carezze audaci

Dolce e chiara fu la notte
Durò tutta una stagione
Ma sembrò solo un respiro
Quando l’alba ebbe ragione

E cacciò via dal suo cielo
Tutti i sogni e le comete
E restò a vagar nell’aria
Di quei baci, solo la sete

Durò tutta una stagione
Ma sembrò solo un respiro
La terra guarda la luna
E poi fa un altro giro.

Il cavaliere errante
Il cavaliere errante col suo cavallo bianco
Attraversato il bosco era triste e stanco

Non aveva la spada, nemmeno un pugnale
Ma nel cuore un dolore che faceva male

Aveva errato tanto cercando la fortuna
Ma spesso aveva pianto, solo, al chiar di luna

Da un borgo era partito di povera gente
Del mondo conosceva molto poco o niente

Pensava di trovare rispetto e comprensione
L'amicizia vera, ma fu grande illusione

Nei borghi attraversati la gente si scontrava
Per nulla e del denaro solo gl'importava

Cercavano il successo, il denaro ed il potere
Eran disposti a tutto, volevano ottenere

Molto più degli altri, spesso con l'imbroglio
Essere disonesti era quasi un orgoglio

Facevano le lotte per poter governare
Pensando, poi, soltanto al modo di rubare

La fama e la ricchezza erano gli unici valori
Quelli che l'ottenevano li chiamavano " signori "

Ma tutti quei denari non crescevano nei prati
Molti erano il frutto d'imbrogli o di reati

Così di borgo in borgo, errando il cavaliere
Vide svanire i sogni, volar via le chimere

Alla fine del bosco, raggiunta una radura
Lo colse un pensiero : " Così il mondo non dura

Vi è troppa ineguaglianza, troppa disparità
Chi ha vuota la " panza " di certo cercherà

Un vivere migliore, rischiando anche la vita
Che la storia dei regni è pur sempre finita

Quando la gran protervia di certi " signori "
Della vita degli altri si chiama sempre fuori.

Meglio cambiare il vivere, il modo di pensare
Se si vorrà convivere in pace, e con amore "

Con questo pensiero riprese la sua strada
Sapendo che vicina era l'ultima contrada..

Azzurro Nino
C’è un azzurro che si nutre di Silenzi
Dove cogliere puoi il fiore dei pensieri
Che dai prati dell’anima coi più intensi
Colori fioriscono : I più vividi e sinceri.

Quando a frotte giungono le stelle
Al declinar del dì spesso m’assale
Quando a frotte giungono le stelle
Profondo, quel sentire che fa male
Muto pensiero che vive tra quelle

Voci di dentro, e parla di destino
E innanzi al cielo limpido e stellato
Appare il viver tuo così piccino
E oscura la ragion per cui sei nato

Di polvere e di fior questo creato
Mostra di sua bellezza ogni natura
E alfine con tremor, ma affascinato

Tu vivi con delizia e con paura
Poi che nulla, mai, sarà spiegato
E sol saprai d’essere fango e creatura.

Il piccolo partigiano
La notte stendeva la sua nera coperta
E vedevo uscire col fucile in mano
Nella città già buia e deserta
Il mio papà ch’era partigiano

Mia madre posava sulla mia testa
La mano dicendo di non far rumore
Poi si baciavano, ma non per far festa
Nel petto più forte mi batteva il cuore

Guardinghi si apriva la parta d’uscita
Lui come un fantasma nel buio spariva
Mentr’io pensavo che se moriva
Non m’importava più della mia vita

Anch’io sono stato piccolo partigiano
Con i pensieri e il dolor d’un bambino
Pur senza avere un fucile in mano
Ho partecipato col mio cuore piccino

Ed ho imparato da che parte stare
Che per un ideale si può soffrire
Per la libertà e così per l’amore
Si deve vivere e si può morire

La libertà è poter cogliere il vento
Volare leggeri tra ogni turbamento
E’ saper lottare come un partigiano
Per la verità… col fucile in mano.

Il fiume
Ricordo un fiume, l’erbose sue sponde
In gorghi l’acqua, lento, trascinare
Un canto muto la voce dell’onde
E un giovinetto assorto nel pescare

Grida d’uccelli e anatre ammarare
Solcar coi petti l’acqua, come prore
Donne ricurve su tavole a lavare
E il rintoccar d’una campana, l’ore

Cavalli a riva, in coppia, trainare
Le barche nel risalire la corrente
Echi lontani del vociar di gente
Dai campi arati, intenta a seminare

Mansueto, ancor scorre quel fiume
Coi gorghi gioca, ilare, la corrente
Or malinconico è il rintoccar dell’ore
Muto, dai campi, quel vociar di gente.

Ironia
Ironico sarà il pensiero mio
Se all’improvviso mi dirai addio

Perché eri tu, non lo puoi negare
Che dicevi : Amor non mi lasciare

Ed in tal caso usare l’ironia
Sarà per me cercar l’unica via

Per evitare con un modo di dire
Di grande dolor, il dover morire.

Fanciulla dalla veste fiorita
Tu vieni e canti
Fanciulla dalla veste fiorita
La dolce canzone d’aprile,
Quando le brezze scherzose
Scompigliano le bianche chiome dei cirri
E s’inseguono, felici, nei cieli tersi
Come bimbi che si rincorrono nei cortili,
E negli sguardi delle gemme mostri
Il vivido colore dei tuoi occhi
E sorridi dai rami ridestati,
Che hanno atteso, pazienti, sotto la neve
Di udire le voci degli usignoli cantare,
Inebriate, i loro giovani amori.

Vieni e cammini nei giardini
Dove passeggiano le rose
E corri nei prati con le giovani margherite
E con loro, di nascosto ridi
Della timidezza dei tulipani.
Rincorri, di fiore in fiore, le api
E ti abbandoni al vento, spensierata,
Volando con gli uccelli che disegnano,
Negli spazi infiniti, inconsapevole,
La loro felicità.
Poi, sulle sponde dei fiumi ti riposi
E all’ombra dei salici guardi scorrere
Le giovani acque che odorano di neve
E scintillano al sole sognando
L’abbraccio appassionato del mare.

Tu vieni e canti,
E io so che un giorno mi mancherai,
Perché del mio inverno non scioglierai la neve
E sulla mia terra non spunterà l’erba nuova.
Il vento spazzerà via le bianche chiome
Di nuvole che avranno un colore di malinconia.
Ma tu ritornerai
E canterai con voce nuova i nuovi amori
Dei fauni nei boschi e degli uccelli
E i fiori appena nati ascolteranno
La voce impercettibile del tempo
Scorrere, come l’acqua che scintilla,
tacita ed immutabile.

Storia di un numero
Battezzato da quattro preti
Ha vissuto tra quattro mura
Ora riposa tra quattro lumi
Di cera dura.

*
Le vele
Dal vento
D’un inquieto maestrale
Giovani vele
Si lasciano portare
Trepide ed ignare

*
Gemme sui rami
Bocche stupite
Sbocciano al sole
Labbra fiorite

*
Spunta la luna
Fiore argentato
Rugiada stilla
Lacrima prato

*
Sole riscalda
Rapida mano
Spighe accarezza
Sorride il grano

*
Albero bianco
Gioca bambino
Fiori di pesco
Neve di giardino

Meriggio d’estate
Muti, di canti d’uccelli
E voci di foglie,
Alti filari d’alberi posavano sui prati
Giganti d’ombra.
Una bruma sottile e lontana
Vagava nell’orizzonte tremulo,
Giallo di sole,
Dove il silenzio s’inerpicava sui campanili
E le torri sorvegliavano, materne,
il riposo delle rondini.
Solo l’acqua dei fossati bisbigliava
Con le rive fangose,
E un rospo solitario si lanciava
Riecheggiando nell’aria un tonfo,
Sonoro come un bacio.
Nei campi, messi dorate s’offrivano al cielo,
Ondeggiando sinuose, danzando
Tra le braccia d’un alito di vento.
Tutto era torpore.
Immota l’aria e il battito del cuore,
Come in attesa d’un suono, un richiamo,
Che risvegliasse le membra appagate,
Inerti, nel silenzio
Di quegli attimi che seguono l’abbandono,
Quando nelle nostre mani racchiuse
Custodiamo per pochi istanti,
Rari fiori di felicità

Tu raccogliesti la veste abbandonata sull’erba
Ed il fruscio della seta si confuse
Col rumore della vita.
Lontana, la bruma si espandeva,
Nascondendo ai nostri occhi lucenti
Le torri e gli esili campanili.

Ventisette Gennaio
Per non dimenticare
Il sangue, il dolore
La ferocia insensata
L'abisso ove l'orrore

Precipita e dissolve
Ogni umana sembianza,
E del crimine si assolve
Un'orribile coscienza

Per non dimenticare
Quelle vite rubate
A tenere creature
Nel tempo delle fate

E gli occhi sbarrati
Nei carri bestiame,
Nei vagoni stipati
Di lacrime e fame

Nel biancore di neve
In quel soffice manto
La vita alla morte
Donava il suo pianto

Le montagne di ossa
Erano sguardi e respiri
Ammucchiati in una fossa
Con gli affetti, gli amori

L'umanità non si scordi
Che bisogna serbare
Questi folli ricordi,
Che dobbiamo lottare

Contro chi vuole
Negare o mentire,
E le nostre parole
Siano ferme nel dire :

La Shoah è stata
La barbarie vera,
Vita martoriata,
Inferno sulla terra

Chieda perdono
Del sangue, del dolore
Chi, ora, nega o tace,
Anna, giovane fiore,
Riposerà in pace.

Senza amore
Seguiva curiosa quel ragazzo passare
Sotto alla finestra… e sorrideva
Sentiva nel petto qualcosa tremare
Una flebile voce che le diceva

Nina stanotte guarda la luna
Mentre colora le nubi d'argento
Guarda l'incanto che ad una ad una
Le stelle disegnano nel firmamento

Quando a primavera fiorì la ginestra
A quel ragazzo lanciò un bel sorriso
Chiuse per sempre la sua finestra
Una luce nuova le illuminò il viso

Fremeva nel corpo come i fili d'erba
Fremono al soffice soffio del vento
Mentre gli donava la mela acerba
Corpi intrecciati in dolce lamento

Con la dolcezza che ha l'onda del mare
Quando lambisce le spiagge dorate
Quel bel ragazzo ha voluto amare
Mentre primavera si faceva estate

Ma ci sono uomini ingannatori
La natura violenta tengon nascosta
Si mostrano teneri, dolci amatori
Sembrano buoni ma fanno apposta

Nel cielo di Nina stelle cadenti
Tracciarono lunghe scie di dolore
Divennero i baci pianti e lamenti
Si tinse la notte d'un rosso colore

Un triste giorno da una finestra
Quell'uomo feroce la fece volare
E una farfalla sopra una ginestra
Nell'ultimo volo si andò a posare

Deserti senz'acqua, rovi di spine
Siete senz'anima e senza amore
La vostra violenza è scopo e fine
Vivete nell'odio e nel disonore

Alle finestre lasciate affacciate
Non sorridete a quelle donne
Perché sono il sole della nostra estate
Scaldano il cuore, vanno solo amate

Perché sono madri, compagne e sorelle
Perché sono donne e sono tutte belle.

La ferrovia
C’era una ragazza alla stazione
Saliva nel treno che stava partendo
C’era un uomo che per l’emozione
Sul marciapiede stava piangendo

Restava immobile ad osservare
Il lungo convoglio nel buio sparire
Era metafora di quel suo amore
Che nel buio dei giorni doveva finire

Quanti treni, da diverse stazioni,
Durante una vita vediamo partire
Quanti sogni , quante illusioni,
Quanti amori vediamo morire

C’era un uomo alla stazione
Che rincorreva il treno…partito
Al finestrino c’era una ragazza
Ma il treno correva ed è sparito

E molti treni, da diverse stazioni,
Continueranno sempre a partire
Correndo di notte attraverso sogni
Molti uomini faranno soffrire

Corrono i treni e vanno via
Corrono uomini, ma troppo tardi,
Restano immobili sulla ferrovia
Hanno di lacrime pieni gli sguardi

Corrono i treni e il loro rumore
Si unisce al battito del nostro cuore
Corron veloci mostrando paesaggi
Corre la vita mostrando miraggi

Corrono i treni e vanno via
Lungo i binari della ferrovia.

Quando vedrò piangere le stelle
Quando vedrò piangere le stelle
E la falce della luna insanguinata
Raccoglierò le aurore più belle
Ed i bagliori d’ogni lieta giornata

Sarà il momento, giusto, per capire
Nella mia vita quel che sono stato
Per chieder scusa se ho fatto soffrire
Ed abbracciare quelli che ho amato

Come albero che la bufera spoglia
Il nudo intreccio mostrerò dei rami
Volerà il palpito mio con ogni foglia
Ma tornerà, nel vento, se mi chiami.

Voci di foglie
Nel parco secolare ombrose fronde
Al soffiar del vento fanno l'inchino,
Dalla finestra osservo e più vicino
Vociar sento, di foglie, il mare d'onde

Dolce stormire, e rimembro un canto
D'allodole sui rami, al vasto cielo,
In quell'età che muove al puro incanto
D'ogni beltà che toglie il bianco velo

E quell'incanto disciolto dal gelo,
Splende nel mio ricordo come sole,
Che riscaldava i fiori sullo stelo,
Sui verdi rami, di foglie le parole

Riposa il vento, l'allodole sui rami
Più non cantano la loro melodia,
Una chimera posa sulle mie mani
Una lacrima… e lesta fugge via.

Destini
Il fiore di campo spunta solitario
Dalla terra brulla non nel giardino
Ha semplici petali, il gambo piccino
Parla con l’erba non col biancospino

Il piccolo passero che vuole salire
Alto nel cielo e guardare lontano
Ha piccole ali non può volare
Oltre il confine che traccia la mano

Quella invisibile del suo destino
Dove c’è scritto : Qui ti devi fermare
Quasi uno scherzo, un tiro mancino
E contro il destino non si può andare

Fiore di campo, profumo selvaggio
Odore di pena che non svanisce
Nascondi il dolore, mostri il coraggio
Se il vento ti piega e la pioggia ferisce

Uccello che voli con piccole ali
Per costruire il tuo nido sui rami
Quanta fatica mentre scendi e sali
Stordito dall’eco di mille richiami

Se la terra fosse un solo giardino
Uguali di uccelli le ali infinite
Sarebbe per molti migliore il destino
Più vere davvero, più giuste le vite

Ma i campi son pieni d’ali spezzate
I petali volano strappati dal vento
Solo nei giardini rose profumate
Si scaldano al sole, baciate dal vento

Dai loro giardini rose profumate
Del piccolo fiore non odon il lamento.

L’attesa
Era l’ora vagabonda,
Quella che anima di mille desideri
L’addio del giorno,
Che sfugge, schiva, l’abbraccio del buio
E si mostra seducente
Sotto la luce dei lampioni.
Mentre altre s’accendono, improvvise,
Su vetrine luccicanti, abitate da attoniti manichini
Che osservano, curiosi, l’incessante andirivieni
Con il freddo stupore dei loro occhi immobili,

Quando dai tavoli dei bar, giovani eccitati
Davanti a bicchieri colmi di speranze,
Lanciano nell’aria risa scoppiettanti ;
Minuti fuochi d’artificio,
Che si spengono tra lo stridore dei tram,
Nella risacca della marea vociante
Che si disperde e allaga ogni via,
Rapita da futili incantesimi.

Così, scorreva la vita, puntuale e indifferente,
Mentre attendevo di vederti avanzare,
Tra le luci e le voci,
Con il passo soffice e silenzioso che hanno i sogni
Quando sorridono,
E accendono nei nostri occhi, luminosa,
la luce che dissipa ogni timore.

Ma, ora, so che un’attesa
Può essere l’orrido abisso d’un addio.
Dove può precipitare il nostro muto incanto
E turbinare un vortice crudele
Che strappa i sogni,
Come il vento strappa l’aquilone
E lo abbandona, inanimato, nella polvere.

Ora so che la felicità è una farfalla leggiadra
Che vola nell’aria profumata,
Tra i fiori che nei giardini segreti
Il nostro anelito d’amore coltiva.
E so che le sue ali, fragili e leggere,
Può la brezza d’una tepida sera d’aprile
Farle svanire in quella densa oscurità
Che ottenebra il cielo e il nostro cuore,
E che rimane ferma, impenetrabile,
Trafitta, soltanto, dallo sguardo delle stelle.

Storia di Ljuba
Eri ancora una bambina
E volevi essere donna
Il corpo ancora acerbo
Il volto di madonna

Nel tuo villaggio il tempo
Si era addormentato
Tu rincorrevi un sogno
Che ti avrebbe portato

Lontano, dove pensavi
Fosse il mondo migliore
Che gli uomini donassero
Ad ogni donna un fiore

E quando quel ragazzo
A cavallo d'un sorriso
Ti portò via, lontano,
Toccasti il paradiso

Eri una margherita
E volevi essere rosa
Una rosa bianca
Vestita da sposa

Ma il principe azzurro
Che ti portò via
Mutò il canto in sussurro
Di dolore e nostalgia

Di lacrime e di botte
Fu piena la tua la vita
Eri " bella di notte"
Con l'anima appassita

E mentre aspettavi
Sotto ad un lampione
Le stelle ti sembravano
Grate d'una prigione

Eri ancora bambina
Sedici anni appena
Lo specchio guardavi
E ti facevi pena

La pena che priva
Di libertà ed onore
Come serpe saliva
A mordere il tuo cuore
E una notte stellata
Mentre il treno correva
Ti sei a terra sdraiata
E la luna piangeva

Ed un fischio lontano
Avvisò tutte le stelle
Che scesero a raccogliere
Le tue cose più belle

E tra le loro braccia
Ti portarono lontano
Ti sfiorò il vento la faccia
E ti prese per mano

Poi sopra al tuo villaggio
Ancora addormentato
Caddero petali dei sogni
Che con te avevi portato.

Fantasia
Se non ci fossi tu, mia fantasia,
A colorare i sogni e le speranze
A porgermi l’ali per volare via
Oltre le, vuote, pareti delle stanze

A guidarmi negli spazi infiniti,
Le stelle nel palmo delle mani,
Per seminare di pensieri arditi
Le zolle dove spuntano i “domani”

Tu colori le vesti alla speranza
Doni calore e riscaldi la tristezza
Sulle grigie pareti della mia stanza
Disegni, verdi, panorami di gaiezza

Sei l’isola dove naufrago approdo
Trasportato dai marosi della vita
Sulla tua amaca, felice, mi riposo
E sogno, sia ogni strada infinita

Che la luce scenda da ogni stella
Per parlare alle ombre della sera
Sei tra le fate, forse, la più bella
Quando racconti : “ una volta c’era “

Se non ci fossi tu, sarei soltanto
Un uomo scialbo, di grigio vestito,
D’umore triste, facile al rimpianto
Ma tu sorridi, e il cielo con un dito
Accarezzo, e dispiego il mio canto.

Nostalgica
Il vento che soffia da lontano
Spoglia il ramo
E macchia il cielo di foglie
Azzurri spazi ritornano
Alla mia memoria
Puntuali, come le rondini ad Aprile.
Come la lucente ala del gabbiano,
Che nel riverbero rivedo
Adagiarsi sicura,
Sul respiro della brezza gentile
E odo ancora,
Le grida e i richiami infrangersi
Con rumore di cristalli
Nell’aria distratta e innocente.

Respiro l’odore salmastro di barene
Dove nel tardo autunno albergano
Gli uccelli migratori
E solitari fiori di palude
Dal tenue colore violaceo rivedo,
Fremere con pudore,
Nell’andirivieni, perpetuo, dell’onde

Il vento sospinge un chiarore
D’ alba dolente
Che indaga il cielo e lo spoglia
Dei turbamenti che la notte trascina
E illumina la rotondità delle forme,
Le cose antiche a me care,
E un inquieto dolore m’invade
Mi penetra e ferisce, e scruta
Con sguardo severo,
Ove nascoste le cose che ho amato
Riposano, nella loro veste d’argento.
*
Si rifugia la tristezza nell’eclissi di luna
E le lucciole smarrite cercano
L’antico sentiero che conduceva alle stelle.

La nostalgia
La nostalgia è il dolore d’una foglia
Che il vento strappa e fa volare via
Danza nel volo e sembra che voglia
Restar sospesa, come per magia

E’ come rosa che il bocciolo reclina
Quando a sera, mesta, l’aria imbruna
Poi sotto il freddo manto della brina
Riscalda i petali coi raggi della luna

La nostalgia è quel tenero sguardo
Che segue il lento volo d’un airone
Il ricordo del tepore d’una mano
Le antiche note d’una bella canzone

E’ la struggente voce dei ricordi
Che dalla mente, piano, vanno via
Risuona, dolce, perché non si scordi
Canta il passato con melanconia.

Primo amore
Rimasi un giorno colpito da uno strale
Lanciato da uno sguardo d’occhi neri
E da un sorriso che un dolce “ male”
Donò alla mia mente, ai miei pensieri

E in quello sguardo ed in quel sorriso
E nel profumo di donna che m’avvolse
Trovai l’incanto del primo paradiso
Che solitudine d’amor dal cuor mi tolse

Diverse strade. dove altri strali ancora
Colpirono il mio cuore e la mia mente
Ma non trovai più alcuna, come allora

Che avesse quel profumo penetrante
Che mi stordì e divenne, fatalmente,
Dolore e desio, del mio sogno errante.

Di notte…un temporale
Sembra serena la notte che dorme
Distesa su un letto di lune e di stelle
Ma un gregge di nuvole copre di orme
Il cielo, sfiorato da un vento ribelle

Pure il silenzio che sta riposando
Appeso ad un ramo, su un cuscino di foglie
Sente il temporale che sta arrivando
A insidiare la luna con le sue voglie

E per farsi bello giunge strepitando
Lanciando per l’aria fulmini e lampi
Si sveglia un leprotto che stava sognando
E fugge impaurito, correndo tra i campi

Nel gregge di nuvole le pecorelle
Corrono impazzite, inseguite dal vento
Poi senza fiato, stremate, sfinite
Piangono, affrante, per lo sgomento

Il pianto cade sulla terra assopita
Sui boschi, sui campi, pulisce le strade
Le piante ed i fiori riprendono vita
Si accendono lumi nelle contrade

La terra monda i suoi peccati
Lavandosi l’anima e dissetando
I semi nascosti che stanno aspettando
L’acqua per crescere alti, slanciati

E mille rivoli d’acqua, giocando
Scendono, allegri, dalle montagne
Si tuffan nei fiumi e saltellando
Riempiono i fossi delle campagne

Poi, piano piano, si smorza il vento
Le pecorelle asciugano il pianto
L’alba che sorge in un momento
Si mostra, felice, vestita d’incanto

Sgocciola il ramo, si lava la foglia
Uno stormo d’uccelli si alza in volo
Il sole si leva un po’ controvoglia
E illumina il mondo tutto da solo.

Erano mille
Erano mille gli occhi sbarrati
A scrutare l’isola, così vicina,
Sembrava toccarla la mano protesa
D’una bambina

Divennero mille le mani protese
Verso quelle fioche, piccole luci
Miraggi nel mare tra le urla e le voci,
Mentre la speranza correva tra l’onde
Sospinta da un vento di paurose grida
Cercando uno sguardo tra quelle sponde
Che avesse una lacrima per chi moriva.

Ma vano fu il sogno, ed arse nel fuoco
Assieme a speranze nate lontano
Solo il mare gli accolse, in sé, piano piano
Poi, l’ultimo grido, e volò alto un gabbiano

E continuò il mare a muover tra l’onde
Scaglie di luna, lassù in superficie
Nel silenzio, sacrale, delle acque profonde
Uno scafo per tomba di tragiche vite

Ma il grido che sale da quelli abissi
Rimbomba nel cuore d’ogni essere umano
Chiede ai nostri sguardi di non restar fissi
Implora che ognuno tenda la mano
Perché siamo crudeli, siamo disumani
Cambiamo sentiero se avanza il dolore
E ci rifiutiamo di stringer le mani
Che chiedono solo un poco d’amore

Ora pure il vento, alle nostre coscienze,
Grida ogni nome di quella povera gente
Un nome che mai sarà ancor sussurrato
Il nome di chi, nell’egoismo,è affogato.

Certe notti …
(dedicata a Stefano Medel, ed alle sue notti)

Certe notti mi assale la paura
Se il vento svolta gli angoli fischiando

E mi dispero, senza una ragione
Ho paura che tu non stia tornando

Sento l’angoscia e temo di morire
Senza poterti dire che t’ho amata

E vorrei tanto prima di… partire
Saper se ancora, di me, sei innamorata

Se sui vetri sento battere la pioggia
Forse sono io che sto piangendo

Sento del vivere tornare la paura
Lo dice il fremito che nel cuore sento

Certe notti non succede niente
Vago per casa frugando nei cassetti

Cerco i miei sogni tra le fotografie
Dimenticati trovo pure dei rossetti

Ascolto attento ogni piccolo rumore
Ed ogni suono mi è caro e familiare

Pur con la luna ora potrei parlare
Sicuro che mi saprebbe capire

Ma certe notti non ascolto il vento
Ne la sua voce, ne alcun altro rumore

Me ne sto in pace seduto nel mio letto
Ad ascoltare ciò che mi dice il cuore

E quando, chiara, in cielo appare l’alba
Vado in cucina e mi faccio un caffè

Così la vita continua triste e scialba
Ma poi alla notte, cerco ancora te.

Dalle terrazze del cielo
Il grano maturo sfiorava,
Ondeggiando,
Il sereno azzurro del cielo

Era la quiete d’Agosto
Ad accompagnare i silenzi lungo i prati
Nell’ora in cui l’ombra
Si addormenta sull’erba,
E sogna boschi accoglienti
E siepi di mirto, salire, lungo i crinali.
Nel pigro torpore del meriggio
La tua veste rivelava,
nella luce in trasparenza,
Il bruno bocciolo della tua rosa.

Accolse un cespuglio tra i suoi rami
La veste che togliesti con pudore
E il tempo attese,
Abbagliato dal turgore dei tuoi seni,
Che il galoppo tumultuoso di cavalli
Abbandonasse l’arena del mio cuore
Poi si librò e volò lontano
Perduto nell’estasi d’un incantesimo,
Liberando le ore come puledri
Su sentieri traboccanti d’allodole.

Dalle terrazze del cielo
Si affacciarono le stelle
Mentre nel prato ardevano, ancora,
Braci tra le foglie.

Domani
I “ Grandi “ del mondo, parlando di pace,
Quando s’incontrano diventano nani
Nelle loro mani hanno i nostri destini
Ma ogni decisione è rimandata a… domani

Mentre le bombe fan crollare i palazzi,
Le scuole, gli asili di città e paesi
E tra le macerie ed il fumo dei razzi
Ci son solo morti , uomini vilipesi

Nelle foto di gruppo scattano i lampi
Dei flash che risaltano il loro sorriso
Mentre milioni di rifugiati nei campi
Hanno solo le lacrime per lavarsi il viso

Armate di uomini corrono impazzite
Su strade di corpi tutte lastricate
Dove solo ieri sbocciavano vite
E sorrisi di donne da uomini amate

Nei giardini fioriti i giochi di bambini
Le grida tra gli alberi eran scoppi di luce
Ora sui prati tutti fanno i becchini
E mettono i corpi in fila allineati

Siano cinquanta oppur centomila
I morti non fanno alcun rumore
Anche se messi tutti in una fila
Ai “Grandi “ non fanno battere il cuore

Loro si incontrano in luoghi lontani
Dove della guerra il fragor non si sente
Tra loro si parla, si ride, e si mente
Per la soluzione ?…c’è sempre un domani.


( Così…tanto per scaramanticare )

Incontri
Un giorno incontrai una signora
Si presentò, disse : Sono la morte
Son venuta perché della tua sorte
E’ giunto il giorno,è scoccata l’ora

E mi pregò d’andar con lei, veloce
Aveva molta fretta quel mattino
Senza far storie, senza alzar la voce
Tanto era chiaro il nome sul listino

Ma io chiesi di poter controllare
Se per caso non ci fosse uno sbaglio
Se l’addetto incaricato a compilare
Non avesse preso un grosso abbaglio

E insistetti per vedere quella lista
Che mi concesse molto riluttante
M’accorsi subito, proprio a prima vista
Che l’errore di persona era eclatante

Cercava un certo Pino, romanziere
Che scriveva anche belle poesie
Ma non era quello il mio mestiere
Le rime belle ?... certo non eran mie

La signora si mostrò infastidita
Poi la collera montò e lei stravolta
Puntandomi sul petto magre dita
Disse : Non ridere, ci vediamo un’altra volta

Di colpo mi svegliai e quel mattino
Camminando per le calli, osservavo
Con timore le donne che incontravo
Ma sorridevano…
Ed io, felice, facevo un bell’inchino.

Invecchiare…humanum est
Or, se amorevole, una donna posa
Sulla tua guancia una tenera carezza
Come il mare cullato dalla brezza
Il tuo sentir s’acquieta, si riposa

L’antico ardor, sopito, più non osa
Mostrarsi col vestito della festa
Del suo splendor, ormai, poco ti resta:
Non avvilirti e chinar, mesto, la testa

Sono passati gli anni e gli splendori
Dimenticati nei cassetti i dolci versi
Ti resta solo il ricordo degli amori

Quelli goduti e quelli che hai persi
Per timidezza, viltà o supponenza
Ora, accetta il gioco, questi sono diversi

Son tempi duri…son tempi d’astinenza.

Prima sera
Dolente, un canto vespertino
Adombra lo sguardo della sera
L’ora profuma di silenzio
E nel cielo impera
L’orgoglio delle stelle.

Santa Marta
Infanzie diverse e ognuno ha la sua,
Chi la vive in palazzo, chi in periferia
Io, libero in strada, ogni giorno a lezione
Di grande amicizia e di sopraffazione

In strada ho imparato ad esser leale
A conoscere il bene e la forza del male
A inghiottire le lacrime per far vedere
Che ero un bambino ma sapevo soffrire

Laggiù, a Santa Marta, Venezia s'infrange
Su un alto muro che nasconde il porto
Tra quelle case cento volte son morto
Ma ho sempre lottato e sono risorto

Tra compagni di gioco, compagni di vita
Per molti, ho saputo, la storia è finita
Anche per "Toto" che per una sigaretta
Da una gru si tuffava, come un vero atleta

Da quindici metri, il suo volo perfetto
Disegnava nel cielo un arcobaleno
Volava senz'ali quello strano angioletto
Una stella cadente nel cielo sereno

Anche "Renato" in cielo è volato
Aveva perduto il suo grande amore
Lui, fragile fiore, non ha sopportato
Di vivere senza quel raggio di sole

Lo trovò "Gianni", quel fiore strappato,
Aprendo la porta, suo fratello maggiore
Stava in altalena ad un cappio attaccato
Svenne e capì che d'amore si muore

Era tempo di guerra e "Pippo" volava
Il suo aereo faceva un sordo rumore
Ma a noi della guerra poco importava
Avevamo imparato a giocar col dolore

La fame era nera, si mangiava poco,
Noi allegri nel cuore si rideva sempre,
In strada, liberi, la vita era un gioco
Che rafforzava le membra, le tempre

Di là della mura, i magazzini del porto
Ricolmi di cibo, di guardia i tedeschi
Di qua noi ragazzi con lo stomaco corto
Giocare a pallone magri come teschi

Una notte nel cielo apparve un incanto
Razzi splendenti illuminavano il porto
Ma lo stupore mutò presto in pianto
Dai razzi alle bombe il tempo fu corto

Cadde una bomba in una casa vicina
Ferì molta gente, mori una bambina,
Non c'erano soldi per mettere i fiori
Sopra quella bara, solo i nostri dolori

Quel piccolo "Regno" così lontano
Così vivo nel cuore e nella mia mente
Talvolta il rumore di quell'aeroplano
Di notte , se ascolto, ancora si sente.

E rivedo i razzi scender lentamente
Tra le povere case, il porto illuminato
Rivedo quei volti, quella bella gente
Di Santa Marta, là dove son nato.

Il viaggio
Quando apparirà l'ultima sponda
Dove s'infrangerà l'onda del mare
Ci sarà una signora ad aspettare
Poi la nave andrà, sola, alla fonda

I tesori scoperti durante il navigare
Da mozzo, marinaio e capitano
Li porterò al momento di sbarcare,
Con nostalgia, nel bagaglio a mano

Non sono dei tesori luccicanti,
Gemme preziose o anelli di diamanti
Ma splendidi ricordi di lieti momenti,
Di chi avevo accanto, nel tirare avanti

Perché il mio navigar non fu crociera
Dove si gode il sole su nel ponte
E si folleggia nei balli a tarda sera,
Ma continuo terger sudori dalla fronte

E ho affrontato perigliose burrasche
Soffrendo molto per il mal di mare
Con pochi soldi, a volte, nelle tasche
Ma impegnandomi sempre nel cercare

Di navigar tenendo la barra del timone
Sulla dritta, per evitar di scarrocciare
Lontano dalle correnti aspre del mare,
Dalle sirene che volevano ammaliare

Ora che, brulla, all'orizzonte appare
La terra che mi sarà ultimo approdo,
Ora che le sirene cantare più non odo,
Questo mio viaggio voglio raccontare

E' stato faticoso, non lo posso negare,
Sofferto venti freddi ed umide bonacce
Ma ho visto aurore, al loro spuntare,
Di amate donne colorar le belle facce

Ho ingoiato l'amaro sapore del pianto
Di molti addii ho abbracciato il dolore
Ma molto ho riso e provato l'incanto
Della giovinezza e del primo amore

Ho visto i prati fiorire a primavera
E dai declivi scendere i cerbiatti
Le rondini danzar prima di sera
E gli arcobaleni nei cieli, colorati

Ho visto montagne sorridere ai dirupi
E molte solitudini attraversar le steppe
Nei fitti boschi le scorrerie dei lupi
E rose spuntar dai muri, tra le crepe

Isole, come ninfee sospese nei mari tropicali
Tra sospiri di palme e bisbiglii di correnti
E udito i canti dei nativi nei cerimoniali
Chiedere, ai loro dei, d'essere clementi

Abitato in città, tra i deliri della gente
Che si nutre d'invidie, nel caos generale
Visitato villaggi ai confini del niente
Dove ogni persona con l'altra è solidale

Spesso è scontroso il mar, mosso dai venti
E il navigar dei marinai è doloroso
Solo l'affetto per i figli, in quei momenti
E' di conforto, quando infuria periglioso

E l'amor della famiglia ha riscaldato
L'animo mio, come il sole la mia pelle
E ogni tristezza o solitudine ho scordato
Guardando di notte il cielo, ebbro di stelle

E ho navigato con Lei., l'amore mio
Compagna fedele e appassionata
Bella nell'anima e bella nel desio
Solida accanto, ad alleviar la traversata

E tu giovane mozzo che fremi per viaggiare
Troverai tempeste e venti che ti faran soffrire
Ma se avrai coraggio, sentimento e amore
sulla sponda, dove finisce il mar e il navigare:
" Però ho vissuto" potrai, ai posteri gridare.

Storie di operai
Hanno rotto la testa a Lorenzino
Col manganello gli hanno fatto male
In fabbrica trovato ha quel mattino
La polizia, che chi protesta assale

L'hanno portato morente all'ospedale
Con l'ambulanza a sirena spiegata
Così finiva di un mite manovale
Del suo lavoro una strana giornata

Dicevano che la fabbrica chiudeva
Che gli operai erano tutti licenziati
In un mattino col sole che splendeva
Vedevi uomini piangere disperati

E Lorenzino era proprio disperato
Per il lavoro, per il figlio ammalato
Non dormiva più da oltre un mese
Per la fabbrica, il figlio e per le spese

Per la sua donna ancor giovane sposa
Per lei voleva una vita serena
Pensava adesso sfiorisce come rosa
Se ogni speranza ora diventa pena

All'ospedale giunsero i compagni
Di lavoro e gli ha riconosciuti
E voluto a tutti stringere le mani
Come fosse l'ultimo dei saluti

Alla fabbrica mettevano i sigilli
E Lorenzino in quel letto moriva
Sulle corolle socchiuse dei gigli
La luna vide la notte che piangeva

Non ci son voli, ne magici orizzonti
Di gloria, di successo o di potere
Un operaio deve solo sperare
Per il lavoro di non dover morire

Perché se a un uomo togli la certezza
Del lavoro è come sparargli al cuore
Della sua vita spegni ogni bellezza
Togli il rispetto, la dignità e l'onore

Lorenzino pensava ch'era bello
Al mattino andare a lavorare
Ma il cuoio di un duro manganello
Ha potuto la sua vita licenziare.

Per scrivere una poesia
Io vengo dalla campagna
E ho un’anima terragna
Un po’ rozza , poco avvezza
Al sorriso, alla dolcezza.
Non so usar parole strane
Sono spesso sciocche o vane.
Quando piove non mi pare
Che le gocce siano rare
Gemme che baciano il fiore,
Ma che servano a nutrire,
Lungo i campi coltivati,
La lattuga e il cavolfiore.
Sono pratico, un po’ rude
Uno che poco s’illude
E l’occhio mio non vede
Che le rondini nel volo
Usan due piccole vele
Per solcar le onde del cielo.
Che le nuvole fan velo
Alla terra che riposa,
E che per chiederla in sposa,
Ogni sera quando imbruna,
Corre il sol verso la luna
E dalla foga poi scompare,
Rosso in volto, perché inciampa
Là sul limitar del mare

Ma l’altro dì m’è capitato
Di veder bene stampato
Questo titolo : “La Poesia”
Io non so che cosa sia,
Ma mi sono incantato
Per il suono delicato
Che usciva dalle parole.
Si libravano da sole
Con un ritmo musicale,
Accarezzavano la mente
Come nel volar si sente
Dolce e lieta una canzone.
Non avevo mai sentito
Frasi alate così belle,
Che parlavano del mare,
Dei pianeti, delle stelle,
Del valor dei sentimenti
Delle pene, degli incanti,
Delle gioie e dei dolori
Che provano gli amanti

La mia anima terragna
è rimasta ammutolita
Ma si è presto ammorbidita.
Ha capito che della vita
Deve ancor molto imparare
Conoscere, capire
Che quello che si crede
Non è verità assoluta
E’ spesso l’ombra ingigantita
Di quel che in noi risiede,
Che ci limita e ci possiede

Poi una dolce sensazione
Nello spirito s’è estesa
E con grande mia sorpresa
Di scrivere ho provato
Un desiderio sconfinato.
Ora anch’io vorrei tentare
E chiedo aiuto a Voi Signori
Tesorieri dei “ Saperi “,
Di scrivere una poesia.
Però qualcosa che non sia
Bouquet di versi attorcigliati,
Ma di pensieri nati
Dalla grazia, dallo stupore,
Da parole che hanno amore
Che sanno meravigliare,
Dall’eleganza del pensiero,
Da un sentimento vero.
Una poesia che possa dare
A chi ha un’anima sincera
Un’emozione vera.


Per questo io Vi chiedo
Con garbo e cortesia :
Per scrivere una poesia
Dove trovo la magia ?

No… non si può (canzone)
Se tu avessi il coraggio di dirmi :” E’ finita”
Sarebbe, per me, molto più facile capire
Che certi amori non durano una vita
Che nasce un racconto, ma deve poi finire

Se io avessi il coraggio di chiederti ragione
Sarebbe, per te, molto più facile spiegare
Che ormai finita è la nostra stagione
Che sulla spiaggia muore pure il mare

Ma tu non parli per non farmi soffrire
E nei tuoi occhi leggo questo timore
Però il silenzio, tuo, mi fa morire
Ed è difficile mostrar di non capire

No… non si può
Trascinare un’anima per mano
Sapendo che sarebbe falso e vano
Fingere di voler ancora amare,
E chiedere solo agli occhi di parlare,
Ed allo sguardo, vuoto, lasciar dire :
“ Il nostro amore, sai, sta per finire “

No… non si può
Lasciare che il silenzio scavi dentro
E strappi dal cuore un sentimento
Come fa il vento quando strappa un fiore
Che nel silenzio, alto, lo fa volare
Ma tra le morte foglie, poi, lo lascia cadere

Ti prego parlami, apri profonda la ferita,
Col sangue uscirà fuori anche il dolore,
Saprò che questo amore
Non durerà una vita
E che un nuovo racconto potrà dire:
“Addio”, ad una storia già finita

Storie di periferia (canzone)
Questa è una storia di periferia
Dove a morire va la città
Laggiù di notte la strada è buia
Nell'aria c'è odore di povertà

Passi e la gente ti guarda male
Ha poca grazia e cattivo umore
Perchè la vita sa un po' di sale
E sulle labbra il sorriso è dolore

Dove ogni cristo porta la sua croce
Salendo il calvario ogni mattina
E quando cade, senza alzare la voce,
Alla corona aggiunge una spina

Qui le finestre dei gran casermoni
Che guardano spazi abbandonati
Sembrano vuoti occhi spalancati
Su scorci di cieli sempre velati

Il sangue lento, che gonfia le vene,
Di questa gente ha un altro colore
Scorre col denso spessor delle pene
Che incatenano giorni senza sapore

Qui è nata Nina ed è cresciuta
Come una rosa con tante spine
A tredici anni già aveva perduta
La casta purezza delle bambine

Io abitavo nella porta accanto
E della Nina ero innamorato
Era già donna ed era un incanto
Io un ragazzino dal cuore infranto

Nina portava a casa gli amanti
Ed io sentivo le voci d'amore
Sentivo pure le grida e i pianti
Dopo le botte di qualche signore

Piangevo di rabbia, il cuore batteva,
La notte sognavo con lei di fuggire
Se lo dicevo alla Nina… rideva
E quella risata non riuscivo a capire

Poi la vita mi ha portato lontano
Ma la Nina non l'ho mai scordata
E ho saputo da un amico per caso
Che con un balordo si era sposata

Un uomo rude, veloce di mano,
Che tutti i giorni l'aveva picchiata
E avuto un figlio, un poco strano,
Che la sua gioventù l'aveva bruciata

Buttata cercando speranze fuggite
Lungo la strada più dissestata
Mischiando al sangue dosi minute
Di quell'illusione che ruba la vita

Nina era sola quella triste mattina,
Nella sua stanza sembrava dormire,
Mi disse piangendo un'amica vicina:
"Per troppo dolore s'è lasciata morire"

La notte è stata un lungo soffrire
Pensando alla Nina quando rideva
E tra le lacrime son riuscito a capire
Che si può ridere…per non morire

Mi sono alzato, c'era una sola stella,
Brillava nell'alba, sembrava vicina,
Nel cielo già chiaro era così bella
Forse mi guardava…forse era la Nina.

Malinconica (due)
Il passero sui rami, tra le foglie
Ascolta mentre parli con il vento
E si commuove quando le tue storie
Raccontano di sogni in un lamento

Lo sguardo che tu posi sulla luna
Ha la tristezza di una donna sola
Che ha sognato come mai nessuna
Donare a un figlio il sangue, la parola

Ma nel giardino tuo non è caduto
Il seme che germoglia nell'amore
Che cresce il fiore che avresti voluto
Sbocciasse dal tuo grembo con dolore

L'amore non ti ha sfiorato i fianchi
Con le sue mani ardenti e silenziose
E i tuoi seni, sfioriti, erano bianchi
Boccioli che mai saranno rose

Sei madre tra le madri silenziose
Che tra le labbra filano in segreto
Le ninne nanne e cantano il dolore
Attorno a culle vuote accanto al letto
                       
                         *

Anima dolente,
Nel tuo ventre di donna materna
Si è inaridito il fiume che scorreva
Come un Nilo fecondo,
E nel tuo petto armonioso si è spento
Il respiro profondo che avrebbe donato
Con la grazia della brezza d'aprile,
Il tepore al tuo fiore delicato.
Ora negli occhi hai la malinconia
Che hanno i boschi
Nella solitudine delle nebbie autunnali,
E nelle membra la stanchezza dei desideri
Quando vagano sperduti
Oltre i confini della speranza.
Ma stringi ancora tra le mani
La matassa dei tuoi sogni di lana,
E ricami,
Nelle fredde sere invernali,
Corpetti azzurri colorati di baci.

Oh, come avresti voluto che le tue braccia
Fossero agili altalene.
Ondeggianti al soffio di nenie sussurrate
In stanze ombrose e chete,
E che dai tuoi seni si spargessero
Gocce del miele che nutre
I giovani corpi illuminati dal sole,
Gli esili germogli che si schiudono
Alla prima luce del mattino.

                          *

Ora, guardi le stelle che tremano nel cielo
E nel vento un brivido ti coglie
Mentre il dolore di lacrime fa un velo
Al passero sui rami, tra le foglie.

I nostri occhi senza amore
E’ di porpora il sole
Sulla cima dei colli prima di precipitare
Nella gola della notte
E sono i nostri occhi senza amore
Spente stelle nell’universo
Della nostra solitudine.
Le orbite tracciate dalle ali degli angeli
Svaniscono come esili scie di fumo
Nello spazio gelido dei nostri silenzi
Dove un tempo, sulle nostre labbra,
fiorivano parole
che non sappiamo più bisbigliare
Quando amiamo nei nostri letti senza tepore
Che non odorano più d’umanità e sudore.

In albe assonnate e nuvolose
Abbiamo dimenticato l’ardore,
Il profumo dell’aria nelle sere di maggio,
La follia delle foglie dopo il temporale
E il canto dell’acqua tra le nostre dita.
Ci siamo innamorati
Dei nostri involucri incolori,
Effeminati pavoni che inciampano
Nei cortili ricolmi
Dei rifiuti di giorni trasandati.
Abbiamo dimenticato la morbidezza
Delle labbra gaudenti,
Il torpore dei meriggi assolati,
La timidezza del tramonto che scolora
E la frescura dei coni d’ombra sui prati.

Sarà, forse, un uragano di vorticosi pensieri
A dipingere d’azzurro il cielo ?
E tornerà la neve su maestosi ghiacciai
A splendere immacolata ?
E i nostri occhi.. Oh i nostri occhi…!

Vorrei poter…( filastrocca )

Vorrei poter vedere
Un mio pensier volare
Senza che la mente
Lo possa fermare

Potrei così capire
Dov’egli può arrivare
Valicando i monti
Attraversando il mare

Volare senza indugi
Senza le ali tarpate
Da dubbi o da rifugi
Di regole stampate

Volare oltre le case
Volare oltre le cose
Capire come nascono
Le spine con le rose

Un libero pensiero
Dal sole illuminato
Che vola oltre i confini
D’ogni ragione o stato

Poi in fondo al mondo
Fare un girotondo
Con tanti altri pensieri
Più liberi e leggeri

Che conoscono diverso
Un modo di volare
Capir quello che ho perso
Per non saper vedere

Il mio pensier volare
Con ali piccoline
Su un piccolo orizzonte
Dov’era scritto “fine”

Invece mi hanno detto
Che il cielo è infinito
E se tu sai volare
Lo tocchi con un dito.


( Berlusconi dice che vogliono mandarlo ad Hammamet )

Hammamet
Vai ad Hammamet
Ti pago io il biglietto
Pur se son poveretto
Ma vai ad Hammamet

Lascia questo Paese
Di ingrati comunisti
Che hanno le pretese
Che i giudici sian giusti

Porta con te il codazzo
Di nani e ballerine
Gli scriba da strapazzo
Le impavide Olgettine

Porta pure Ghedini
E tutti gli avvocati
Che per i tuoi soldini
Per te si son dannati

Ricordati di Alfano
Cicchetto e Santanchè
Non è un posto strano
Si beve ottimo thè

E soprattutto porta
La Russa e Gasparri
Non lasciarli qui
Non farci certi sgarri

Ti troverai bene
Senza quegli strani
Soggetti molto onesti
Che son certi italiani

Che pretendono giustizia
Decoro ed onestà
E corrompere e mentire
Manco sanno come si fa

Che gente, che paese
Che squallide pretese
Ascolta il mio consiglio
Come se ti fossi figlio

Vai ad Hammamet
Ti pago io il biglietto
Pur se son poveretto
Ma vai…vai ad Hammamet.

Il treno
Nella… ricordi quel treno alla stazione
Dove salivi e affacciata al finestrino
Stringevi con gioia la mia mano ?
Poi un fischio saliva repentino
E il treno si muoveva… piano, piano.
Con lo sguardo lo seguivo
E il suo rumore,
Rotolando, si perdeva ormai lontano.

Così. come perduto si è poi nel mio destino,
Il tuo volto ed il calor della tua mano.

Corrono i treni,
Sfrecciando nella sera con luci rutilanti,
Trasportano gli amori ed i destini
Verso città e luoghi assai distanti,
Ma non sanno quei teneri bambini
Che agitano le braccia festanti,
Che rimasto solo alla stazione
L’uomo che guarda il treno già lontano,
Col gesto silenzioso della mano
Non saluta un amico, un viaggiatore,
Ma dice addio ad un amore vano,
Ad un amor che lentamente muore.


( mi sono concesso mezz'ora di trasgressione poco poetica. Confido nel Vs. perdono )

Senza la luna
Sole nel buio, tremule le stelle,
Per l’universo dovrebbero vagare
Se la luna non potesse più volare
Alta nel cielo e l’uomo far sognare

E si potrebbe, certo, immaginare
Il mare frugar nell’onde oscure
Cercando negli abissi quel brillare
Perduto nell’ondeggiar tra le paure

E immaginare il fiore appena nato
Senza il tepore della luce ambrata
Che la luna stende sopra il prato
E sulla campagna addormentata

Chiudere i suoi petali cercando
Di proteggere la corolla amata
Dal gelo della notte, supplicando
La rugiada di vegliar l’innamorata

Non s’udirebbero né voci, né fiati
Solo il silenzio vagare tra le mura
Dei borghi sui colli addormentati
E tra i vicoli il frusciar della paura

Furtiva, che nei viottoli nascosta
Dietro gli angoli, muta, s’apposta,
E spaventa il timido viandante
Nell’oscurità solo e tremante

E immaginar gli uccelli della notte
Nel buio cercare inutilmente,
L’ebbrezza del volar e con la mente
Desiar illuminate, antiche rotte

Senza la luna, immaginare il cielo
Sarebbe come immaginar la vita
Senza l’amore, che stende il suo velo
Luminoso in ogni anima rapita

Dalla luce di questo astro vero
Che al cuore gira generoso attorno
Senza chiedere, splendido, sincero
Luce nella notte e pur nel giorno.

Chi vivrà…vedrà
Non è un piccolo sasso
Ma un enorme masso
Che nel lago dei misteri
Della Chiesa,è sprofondato

Ci sarà uno tsunami ?
Si alzeranno alte l’onde ?
Oppure in quelli abissi
Dove tutto si confonde

Nuoteranno sempre oscure
Le trame ed i misteri
E sul grande Cupolone
Sarà il domani come l’ieri?

Perchè non scende un raggio
A illuminar l’oscuro
A dare più coraggio
E a rendere più puro

Il cuore di chi invece
Predica la fratellanza
Ma negli intrighi vive
Con fervida costanza?

Onore a quel Signore
Che ha lanciato il masso
Sperando nel fragore
D’un sano sconquasso

Per tosar le pecorelle
Il nuovo Pastore
Sia giovane e ribelle
Ma attento alla sua pelle…

Accade già ad Albino
Sorridente quel mattino
Fatto Pastore, che alla sera
Nell’Ovile più non c’era.

Giovane, perduto amore
Il frutto immaturo,
Che sparge acerbi aromi, inganna,
Nella precoce rotondità,
L’occhio del passero e il raggio di luna.
Così il tuo giovane amore ingannava,
Col debole tepore di un pallido sole,
Sul ramo esposto, la gemma primitiva.
Indifferente al volo di uccelli
Che abbandonavano nei cieli primaverili
Le grida e i richiami dorati
E volavano, dimentichi, verso cieli pasquali.
Fu il segno sottile che tracciano le parole
A strappare, con ruvide dita,
L’esile gambo del fiore.
E mentre da ghiacciai immobili e severi
Voci di cascate scendevano nei tuoi occhi
E mi parlavano con grida e boati di spume,
Si spegneva, nella mia anima stupita,
L’aurora di un’illusione romantica.
Ma tu sai che ho ritrovato
Le risa dimenticate sotto le pergole
E raccolto, sui prati,
I petali dei baci addormentati sotto la luna,
I fuochi accesi sui nostri silenzi,
E i tepori che lambivano i respiri.
E sai, che nelle notti senza lucciole, né stelle,
Io salgo lassù e in un cesto di rose
Li poso sulla tomba
Ove, soavemente, riposi.

Il sogno, la realtà e i desideri
Quando udii quella limpida risata
Colorita come un arcobaleno
Io sognavo una donna innamorata
Di bel aspetto e d'animo sereno

Con dei pensieri come siepi fiorite
Parole d'acqua di limpido ruscello
Con un sorriso e un'indole mite
Donata all'arte e amante del bello

E quando vidi i suoi biondi capelli
Giocare con il vento della sera
Entrai nell'estasi di quei sogni belli
Dove vedevo… quello che non c'era

M'innamorai d'una fatina bionda
Che conosceva l'arte dell'incanto
Mi trastullò come fossi sull'onda
Cullandomi col riso e con il pianto

Ma quel placido mar all'orizzonte
Mostrò, repente, nubi di bufera
E l'acqua diventò poi ribollente
Che persi vela, timone e pur la sfera

Della bussola che serve al navigante
Per non cozzare contro la scogliera
Così divenni naufrago vagante
Nel mare oscuro come pece nera

E appeso ad un relitto di speranza
Giunsi stremato in un posto lontano
Soffrendo per la grande lontananza
Quando sentii toccarmi da una mano

E udii una voce decisa che diceva:
Alzati in fretta ch'è ora d'andare
Così mia moglie, forte, mi chiedeva
Nella realtà, ancor di naufragare

Perché quel giorno si doveva andare
Dal giudice per la separazione
E il nostro sogno nato sull'altare
Finiva in quella squallida sezione

Il mio sogno era come la realtà
Che prima allieta e poi ti delude
Così ti chiedi quale sia la verità:
E' la realtà che il sogno preclude ?

Ma forse noi spesso confondiamo
I sogni con gli umani desideri
Che nulla hanno, ad esser sinceri,
In comune con i sogni veri

Il vero sogno rimane sempre sogno
Non nasce per doversi realizzare
Nasce perché l'uomo ha bisogno
Di un sogno, dove potersi rifugiare

Spirito vitale
Quando non avrò più forza nelle mani
Per sostenere il cuore

E la speranza nel domani
Sarà farfalla che abbandona il fiore

Quando guardandomi il dolore
Mi fisserà con occhi disperati

Tu prendimi la mano e per i prati
Accompagnami cantando una canzone

Perché verrà quell’ultima stagione
Quando i ricordi come fiocchi di neve

Voleranno assieme alla ragione
Leggeri nell’aria e sarà lieve

Il loro fluttuare come corpi inanimati
Nel cielo d’una incognita stagione

Allora prendimi la mano e per i prati
Accompagnami cantando una canzone

Mio spirito vitale, sempre accanto,
Allegro, a illuminare ogni mattino,

Ti ho trovato, e pure quando ho pianto
Mi sorridevi con grazia di bambino

Ora che gli anni veloci son sfrecciati
Come rondini che migrano al confino

Non lasciare la mia mano e per i prati
Accompagnami a conoscere il destino.


(ricordando un caro amico veneziano…ormai così lontano, intento a navigare tra le stelle)

A Sergio Ballarin
Ti ricordi, Sergio, i colli in lontananza
confusi nell’aria azzurrina del mattino ?
Ora, che primavera avanza,
Come verdi seni emergono dal mare
Laggiù, dove la laguna muore
E la pianura corre tra i campi coltivati,
I giardini in fiore,
E gli alberi, che con stupore
Guardano rapiti il cielo celestino,
Che ha l’innocenza che avevano i tuoi occhi,
E in questa quiete del primo mattino,
L’aria, il cielo e il mare
Si abbracciano splendendo
In un tripudio di luce e di colore

Anche le isole si lasciano abbracciare
Dalla marea che sale lentamente
Vedo alcuni pescatori, pigramente,
Salutare con un cenno della mano.
E mentre la barca scivola lontano
Torna una voce, nel silenzio, che m’invita
A ritornare dove quell’albero è caduto
E tra i suoi rami, per sempre, ha imprigionato
Il tuo sorriso dolce, scanzonato.

Su quell’aiuola voglio posare un fiore
Ma pure dirti che oggi mi è sembrato
Tu fossi accanto a me,
Nella luce di questa dolce primavera.
Forse perché di primavera
Era ancora vestita la tua vita,
Che nel ricordo torna,
Torna sempre, splendida e fiorita,
Ma col rimpianto d’un bimbo addormentato
Prima che la fiaba sia finita.

Mute gemme d’amore
Nel centro del tifone che avanza
Distruggendo ogni vita, ogni cosa,
Immota l’aria riposa

Così riposava serena
Nel gorgo di quel folle uragano
La coscienza di chi, disumano,
Non provava ne colpa, ne pena

                         *
Non voglio sentire le ragioni del vento
Che disperde le grida e i lamenti,
Né i latrati immondi dei cani
Nei cortili coperti di neve.
Non voglio sentire il battere della pioggia
Che marcisce i tetti di legno
Dove i tarli consumano la memoria
Su tavole imbiancate di fresco.
Non voglio che le impronte del dolore
Sul fango rinsecchito
Con sguardi severi mi chiedano
Della purezza delle mie lacrime.
Io non ho lacrime pure
Che possono lavare ogni silenzio
E ridare alla giovinezza del ricordo
I suoi occhi innocenti e puri
Ho solo questo grumo di sangue
Dentro me che non si scioglie
E che sento ogni volta rifiorire
In un groviglio di rovi e di spine,
E so soltanto, che sempre e per sempre rifiorirà
Nel mio petto esausto,
Con la freschezza di mute gemme d’amore.

Malinconica
Il passero sui rami, tra le foglie,
Che il vento muove in una danza
Gioca con i raggi della luna
Come gioca il bimbo in una stanza

Tu che stai affacciata alla finestra
Non sai più giocare con la luna
Tra le sue luci e le ombre oscure
Scorgi solo presagi di paure

Ma è la stessa luna che rideva
Dei tuoi sospiri, dei teneri incanti,
Ora la luce sua fioca e leggera,
Si posa, delicata, sui tuoi pianti

Solo il silenzio capisce la tua pena
E ascolta la sua voce tra le stelle
Urlare quel dolore che incatena
La solitudine a donne ancora belle

*
Anima dolente
L'acqua della fonte dei desideri
Sulle tue labbra vergini, nutriva
Le gemme delle rose dei baci
Mai sbocciate nella tua fredda primavera
Con petali di raso
E odori di muschi selvatici,
Nel giardino della tua bocca.

Dai bruni coni di giada dei tuoi seni
Avresti voluto, come da piccoli vulcani tropicali,
spargere il fuoco d'una passione
che scorre ancora,
come un wadi sotterraneo,
nel deserto delle tue notti.

Nella fierezza del tuo sguardo conservi
Il fascino di femmina ardente e pura,
Inesplorata da mani audaci
Che conoscono delle selve e le foreste
I sentieri dove sbocciano i fiori selvatici
Dai colori dei soli e degli uragani,
E hanno il tocco soffice e tepido
Che hanno gli alisei
Quando sfiorano, accarezzando,
Le spiagge dorate e nude.

Nessuno ha mai scostato
Il velo di timidezza che copriva il tuo volto
E visto, nella tristezza infinita del tuo sguardo,
Il dolore di una donna che ha sognato
Danze di fanciulle sotto lune celesti ,
E di baccanti coronate di pampini
Ma ha ascoltato,
Solo le voci segrete di allodole
Che parlavano, nella penombra ,
Di talami e di fruscii su lenzuola di seta.

Ora, immobile, tra le dure pareti della notte
Guardi la luna gialla che gioca,
Lanciando i suoi raggi di luce,
Con il passero sui rami, tra le foglie.

La coltre oscura
Vorrei potesse la mano dell’aurora
Toccando la mia fronte sollevare
Il lembo di quella coltre oscura
Che la notte nel cuor viene a posare

E vedere nella luce che traspare
Sciogliersi la pena ed il tremore
Sì da poter mostrar senza timore
Al nuovo dì dell’anima il candore

Vorrei il pensiero potesse levigare
Come l’acqua i sassi del torrente
Ogni detrito che la vita nell’andare
Ha fatto diga nel fiume della mente

Vorrei poter i luoghi ed ogni gente
Osservare con sguardo di purezza
E nel capir chi è verità e chi mente
Scoprir cos’è l’amore e la bellezza

Vorrei dagli occhi d’ogni creatura
Poter levare quella coltre oscura
Che vieta di veder quanto splendente
Potrebbe essere l’uomo e la natura.

Torpore
Nei languidi meriggi dell’Estate
Quando, pigra, negli ozi s’abbandona
S’odono frinire cicale inebriate
Nel canto, che monotono risuona

Tra morbide calure, tremulo, lontano,
Il paesaggio sprofonda, s’assopisce
Quieta sul ramo la foglia del Ontano
Nel torpore, c’ogni pensiero concupisce

Improvviso il tocco d’una campanella
Scocca, e strappa il velo del silenzio,
Un suono breve, un trillo di monella

Scuote l’aria, che sospira, si ridesta
Smuovendo l’afa ed il torpore attorno,
E più vivo sembra tornare il giorno.

Omaggio a Lorenzo e a tutti i Sitani :
Lo so che non posso
Se “Sapessi”…potrei
Indossare la veste
Dei Poeti, di Dei

Ma mi manca il potere
Per mio scarso sapere
E vestire di stracci
È mio giusto dovere

Ma se imparassi
L’ usar ago e cucito
Di stoffe dorate
Mi farei un vestito

Ma sono ormai vecchio
Non riesco a imparare
La mente pian piano
Comincia a oscillare

Per questo ogni giorno
Uso stoffe non mie
Mi vesto d’azzurro
Con le Vostre poesie.

Le rose di Sarajevo
La tua finestra si apriva verso il cielo
Guardava i tetti e quelle belle rose
Che tu curavi con delicato zelo
Morbidi petali abbracciati allo stelo

In quei palazzi abitava la paura
E sui tetti si nascondevano i cecchini
Colpir sicuri prendendo la misura
Da lassù, era un gioco da bambini

Oh, quanto pianto bagnò quella finestra
Palcoscenico del dramma dell’orrore
Dove la vita recitava la funesta
Tragedia della morte d’ogni amore

In anni e giorni dove non c’era festa
Vedevi correre per non esser colpiti
Uomini e donne e rosso sulla testa
Sbocciare un fiore, o spuntare dai vestiti

Ed un mattino sotto un cielo disperato
Quando udisti quel grido di bambino
Quel fiore rosso sul suo petto sbocciato
Macchiò di sangue l’anima di un cecchino

Morì così nel tuo cuore la speranza
E la pietà pianse tra le tue braccia
Poi di dolore gridasti come pazza
Mentre tenevi nelle mani la sua faccia.

Dalla finestra cogliesti le tue rose
Ed il suo corpo diventò piccola serra
Dove riposa non sbocciano altre cose
Ma solo rose… solo rose di guerra.

Risveglio
Quando la notte si sveste del gelo
Profuma di luce il giardino del cielo
I fiori d’aurora sono scaglie lucenti
Posate sull’onde, sulle sponde ridenti.
Tra le braccia del giorno l’ora s’allieta
Coglie petali il mare e l’onda s’acquieta.
Un bocciolo di luce sfiora il tuo sguardo
E annega nel lago d’acqua di smeraldo
Dei verdi tuoi occhi,e un lieve bagliore
Saluta il giorno che nasce,
La notte che muore.

Risvegliati amore, non aver paura,
Ascolta l’usignolo, il canto si effonde,
E’ suono melodioso che risplende
Quel dolce canto, che dell’anima le fronde
La sua dolcezza agita e confonde.
L’usignolo del mio amore per te canta
La sua canzone dolce, appassionata,
Canta alla vita, a ogni nuova giornata
Di luce lieta, pur se la pioggia preme,
Pur se il tuono col suo cupo rumore
Parla di sofferenza e di tremore.

Pur se cadono i giorni come foglie,
E dal ramo è volata giovinezza,
Se fragile la mano che accarezza
Trova un volto e delle membra spoglie
E lontano sono volati amati uccelli
Di nostre piume adorni e nostre ali
Dai nostri rami librati in verdi voli
E canti, che al cor non hanno eguali
Siamo alberi, e sul nostro tronco scava
Il destino, solchi di gioie, lotte e delusioni,
Pianti della radice che nella terra separava
La speranza, dai fiori fatui delle illusioni.

Risvegliati amore, non aver paura
Canterà sempre l’usignolo il nostro amore
L’albero si spoglia e poi torna a fiorire
E nel quieto bisbiglio dell’imbrunire
Dolce, nel vento,è ascoltare il suo stormire.

Come un frullio…
Non so capir perché, continuamente,
Tu ancora frulli nei miei pensieri,
Nella mia mente,
Come un'ape cocciuta, petulante,
Che gira intorno ai fiori,
Tra le piante.
E più la scacci più lei ti gira attorno,
La mandi via ed è già di ritorno.
Frulli di notte e frulli di giorno
Con un ronzio che non mi da pace,
Che mi perseguita,
Che mai non si tace.
Forse non ho ancora assimilato
L'idea che c'eri ma in un tempo "trapassato",
Ormai così lontano.
E quello che hai lasciato
Sono solo le vestigia di un antico amore,
Un sito di memorie,
E non so vedere che il mio cuore è diventato
Un polveroso museo d'antiquariato.

Cos'è l'amore se non è ricambiato.
Se a tener vivo il tuo sentimento
Non c'è un volto, un sorriso inebriato,
Due occhi che ti guardano ridendo,
E dei silenzi che più delle parole
Parlano a quel segreto incanto,
Quel ruscello che scorre come canto
Dentro di te senza far rumore,
Quei silenzi che fanno germogliare
Il seme d'un fiore che ha petali di palpiti,
Profumo di desideri e fremiti,
Che adorna il tuo dire e quel che pensi.
Che nutre il tuo ardore ed i tuoi sensi.
Cos'è l'amore
Se non c'è un corpo da desiderare
Nelle notti senza tempo,
Tra tenere braccia dove ti puoi rifugiare
E scoprire paesaggi di quiete e di tempeste
Dove provi la gioia, eccitante, delle feste
L'abbandono sensuale, dove puoi trovare
L'armonia della ridente pace agreste.

E' forse questo frullio senza ragione
Un sentimento che può chiamarsi amore?
E' amore questo soffrire solitario,
Questo carnefice del tuo orgoglio ferito
Che ti lacera perché vuol essere ricordato?
Così , rimani solo ad un ricordo imprigionato
E non t'accorgi che il tempo ha consumato la tua vita.
Ha consumato le sue labbra e il suo sorriso,
E le sue mani non sono più gigli d'Aprile
Che s'agitano nella fresca brezza giovanile.
I suoi pensieri sono volati via,
Non torneranno più al nido del tuo cuore,
Non nutriranno più la tua fantasia.

Resta soltanto questo ronzio d'ape molesta
Che punge il cuore e frulla dentro alla tua testa.

Divertissement : Sognando sulla spiaggia
Volsi repente sguardo e la vidi
nuda, al sole mostrare le bellezze,
cotal era il fulgor che non capivi,
s’ella d’esser sì bella lo sapesse.

Avea ,lunghe, le trecce che cadean
su l’alti seni, e parean danzare,
s’ella movea, leggera, nell’andare,
sinuoso il corpo, splendido, di dea.

L’occhi suoi lucean d’un colore,
che ti parea mirar l’azzurro mare,
se tu avea fortuna d’incontrare,
lo sguardo velato di candore.

In quel mare caddi dolcemente,
lasciandomi dall’onda portare,
smarrendo la ragione, pur la mente,
nel gorgo vorticoso del desiare.

Il corpo mio volse in tal tremore,
e il core sobbalzò nel palpitare
sì forte, che il brusco risvegliare
la vision fugò, e potei vedere

la sposa mia diletta che mirava
il mio agitar con infinita pena,
mentre l’onor mio, lento, rotolava,
senza decor, sopra la calda rena.

Il viottolo nel bosco
Quand’ero bambino…no!
Quand’ero bambino…giocavo a nascondino.
Quand’ero ragazzino…ecco si!
Quand’ero ragazzino e il primo pensiero
frullo nella mia mente,
in modo consistente, un poco arguto,
pensando al mio futuro ho immaginato
la vita, avanti a me, come una strada.
Un lungo, largo viottolo che s’inoltrava
in un bosco fatato, ove la luce,
a larghi raggi, tra gli alberi scendeva,
e tra le foglie verdi si perdeva.
I rami erano lunghe, forti braccia
che mi accoglievano, e non c’era traccia
dell’uomo nero, né del lupo errante;
C’erano solo fiori e tante piante.
Nel sottobosco mi sembrava di vedere
qualche folletto, che ridendo saltellava,
ed un cerbiatto, felice, che correva
e all’improvviso, immobile, mi guardava
con tale dolcezza che m’inteneriva.
E sembrava , con il capo m’invitasse
a correre con lui tra quei sentieri,
dove nascosto dai cespugli immaginavo,
esserci un capanno od un magnifico castello,
e mentre così fantasticavo,
il cerbiatto sparì, come un uccello
che all’improvviso vola via, e ti rimane
del suo volo e del suo cinguettio,
soltanto, flebile un frullio, d’ali lontane.


Ho scritto questa canzone per convincere Piero, che non sono quel romanticone che lui pensa…(?) :

Canzone romantica
S’io fossi farfalla, volerei
Nel tuo giardino e andrei…
Di fiore in fiore,
Sul tuo seno poi mi poserei
Suggendoti il nettare dal cuore

Se fossi una lacrima, scenderei
Accarezzando, lieve, il tuo bel viso
Sulla tua bocca poi io brillerei
Come rugiada al sole d’un sorriso

S’io fossi Luna, splenderei
Solo per te, guardandoti incantata
Nei verdi prati ai grilli chiederei
La malia, della più bella serenata

Se fossi pioggia, scenderei
Come una piuma, lenta nel cadere
Bagnando la tua veste per vedere
L’incanto del tuo corpo che traspare

S’io fossi vento, giocherei
Coi morbidi capelli tuoi di seta
Ed ogni notte a me ti stringerei
Tenendoti nell’aria stretta, stretta

Se fossi un fiore, sboccerei
Nella tua mano, rosa senza spine
Di petali la fronte tua ornerei
Ed il profumo non avrebbe fine

S’io fossi pittore, prenderei
Del Botticelli la sua Primavera
Poi accanto a te la poserei
Per capire quale è quella vera

Se fossi musica, suonerei
Un pianoforte e cento violini
Ma di suonar per te io cercherei
La musica che incanta i bambini

Ma sono solo una vecchia canzone
Ed il mio canto, forse,è l’illusione
Di chi l’amore vuol sempre cantare
Perchè d’amore vive e vuol morire.
 

Ars Poetica
        E’ così bella la notte
        E così bianca la luna…
 
Dimmi… ti vedrò a primavera ?
Quando sull’alto colle sale il vento
A salutare la pioggia nuova
E gli usignoli,
Che ai bordi dei ruscelli cantano
Canzoni nuove, ai nuovi amori ?
 
Dimmi… verrai lungo i sentieri ?
Tra i campi ancora nudi
E i seminati grigi, nell’aria pungente,
Che dai monti innevati, ancora,
scende lungo i crinali, sino ai prati ?
 
Salirai oltre le rocce brune ?
Dove le api volano tra i licheni,
Inebriate dagli odori del timo,
del rosmarino, tra i primi meli in fiore,
Che, nitidi, si stagliano nel cielo azzurro?
 
Dimmi… verrai ? Io ti attendo
Da mille primavere e mille estati,
Perché vorrei con te, mano nella mano,
Andare oltre l’isola del bosco,
Lassù, negli alti pianori profumati
Di sole puro, di neve immacolata,
                  dove
       E’ così bella la notte
       E così bianca la luna
 
Dove ogni parola si fa stella
E ogni stella voce dell’Universo.

Il sogno
Ad uno, ad uno, si spengono piano
I raggi del sole immersi nel mare
Impigliato tra nubi ne resta uno solo
S’arrabbia la notte che deve aspettare

Aspetta seduta su un cirro gigante
Mentre si fa bella e acconcia la veste
Scura, che rende l’inceder elegante
Nel gesto di togliere il manto celeste

Dal cielo, e sul drappo nero che stende,
Per non svegliare il giorno che dorme,
Ricama ed appunta, paziente, le stelle
Per rischiarar nel gran buio le orme

Dei sogni, che corrono lungo i sentieri
Dei desideri e dell’immaginazione
E i grandi mari, dove sembrano veri,
Veloci velieri in lieta navigazione

Naviga il sogno frangendo le onde
Tra voli di fole e di bianchi gabbiani
Abbagliato dal sole la rotta confonde
Tra l’onde, nuotar, vede pesci strani

E draghi marini e sirene volanti
Che sputano fuoco, che intonano canti
E il vento furioso che strappa le vele
In un isola Eva che mangia le mele

Poi il mare diventa un fiume impetuoso
Incontro al veliero viene una cascata
Il sogno si lancia in un volo angoscioso
Ma dall’acqua si leva una voce incantata

Di fata, dicendo che la notte è finita
La luna s’è spenta, ricomincia la vita.

Il sogno raccoglie le gioie e i dolori
Li mette in un sacco e aspetta poi fuori,
Lontano dal giorno, che ritorni la notte,
Con i cupi frastuoni e le dolci sue note.

Rimpianto d’amore
Preme la nebbia sulle voci,
Attutite, del cuore
Mentre l’aria s’imperla
D’un argenteo grigiore.
E lente vanno le ore, nell’attesa
Dei rintocchi dell’anima.
Sospeso nel silenzio
Dimenticato dagli echi,
Il profilo sicuro delle parole
Si confonde, nell’ incerto colore
Delle canzoni d’estate,
Ora, dalla bocca, sono volati gli uccelli,
Nella foresta dove muoiono i sorrisi,
Dove gli occhi cercano,
Nei laghi prosciugati,
Sguardi baluginare, nelle pozze stagnanti,
Riflessi dorati di antichi splendori.
Nell’atmosfera attonita e silente,
Lo specchio riflette una luce ricurva,
Che dona ai gesti
La sacralità dolorosa, dei riti consueti.
Voglio donarti il mio fiore di solitudine
Dolce amore,
Ora che il sole ha raccolto i suoi raggi
Luminosi e ardenti
E il mare, paziente, attende
Che spunti la stella che orienta i naviganti.
Ti dono il grigiore e le pozze stagnanti,
e il profilo, incerto, delle parole.
Non volgerò più il mio sguardo pietoso
Per medicare le tue ferite,
Ne poserò più, sulla tua fronte la mia mano
Nella carezza che nasconde
Il pallore del tuo volto esangue.
Perché, ora, so che incontrerei,
se ancora mi voltassi,
Soltanto la tua maschera immobile.

Un tempo troppo breve
Solo il tempo che ricada la polvere
Che il carro, sobbalzando, solleva
Ai margini del viottolo
E appare chiara l'infrangibile visione
Di giorni, di notti e di equatori confusi
Nel gioco degli equinozi.
Sorprende lo sguardo, il nitido orizzonte,
Dopo il rumore dei giorni consumati
Dal baco a mordere la foglia
E dalla crisalide a disegnare
I colori della sua veste di farfalla.
Soltanto l'attonito stupore
Negli occhi d'un bimbo o d'un viaggiatore,
Rimane a confondere il rimpianto
Del gioco perduto, del treno che s'allontana.
Sfreccia la rondine lasciando,
Nei piccoli vortici d'aria, un brivido di luce,
Un riflesso che rapido si confonde
Coi bagliori del tramonto.
Trepido, fragile turbamento,
Come un sospiro di fanciulla al primo bacio.
Solo il tempo che il vomere penetri la zolla
E salga l'afrore dalla terra,
Si sollevi e ricada con le piogge di primavera
Sul seme del grano e del alloro,
Che la tenera spiga poi sorrida alla rugiada
Lasciando ondeggiare al vento
Solo un breve, rapido momento,
I suoi capelli d'oro.
Che nell'occhio oscuro del lago, riflessi,
Appaiano i misteri delle sue acque profonde,
Dove la barca scivolando distratta
Insegue argentei guizzi che al sole
Lancia il pesce incantatore.
Il tempo di nascere, crescere e morire
Come di un giorno, di un fiore o d'un pensiero gentile
E non saprai mai da quale aurora provenga la luce,
Ne da quale giardino il fiore aspiri il profumo,
Ne mai, quale goccia del tuo sangue alimenti
Quel dolce pensiero che ti allieta.
Le braccia che tendi per sfiorare il cielo
Si riempiono di soli, di piogge e di neve
E colmano gli spazi immensi del tuo cuore
Di caldi raggi, di gocce e fiocchi di dolore.
In un tempo troppo breve.
Così stremato, di pena e d'amore
Giunge al confine dove finisce il prato
E impenetrabile si annuncia la foresta,
Dove portati dal vento del rimpianto
S'odono nitidi nell'aria che si oscura,
I richiami di uccelli che tardano
A riconoscere la sera.

Gioia di vivere
Se un triste dì del vivere cancelli
Il desiderio, e dentro t’arrovelli
senza udir nel core alcuna voce
parlare al tuo dolor e darti pace

In cielo mira il volo degli uccelli
che nulla chiedono, se non di volare
senza bramar gioia di possedere
del cielo l’aria pura e il rimirare

Volano felici, che dato li è di volare
Ma pure a te hanno donato l’ale
Dunque volar ti prema, e di sognare
E nel sognar, letizia di volar provare

A mezzanotte (canzone)
A mezzanotte l’aria si fa scura
La cerco nei sentieri della mente
L’oscurità mi fa molta paura
Ora di lei non mi rimane niente

A mezzanotte dormono gli uccelli
E sognano nascosti tra le foglie
Io la rivedo in quei giorni belli
Il sangue che bruciava dalle voglie

Erano neri e lunghi i suoi capelli
Le braccia erano morbide altalene
La voce, dolce suon di campanelli
Nel dondolio obliavo le mie pene

Ma mezzanotte è l’ora dei briganti
Furtivi hanno rubato il mio tesoro
Gli occhi suoi due fulgidi diamanti
Strenuo il mio lottar contro di loro

Ma ero armato solo della voce
Sapevo solo cantar le serenate
Lei sognava il fiume che alla foce
Conquista il mare a vele spiegate

E’ mezzanotte, l’aria s’è fatta greve
Gli uccelli sognano cieli infiniti
Il nostro amore è stato troppo breve
Lei è lontana e i sogni sono finiti

Ma s’ode lieve un respirar che sale
Da un fiore che parla addormentato
Dice che il buio non deve far male
D’amore c’è chi vuol essere amato

Sopra ogni cielo cupo e nuvoloso
C’è una Luna che incontra un Sole
L’amor non lascia mai nessuno solo
Nell’aria volano dolci le sue parole

Le ascoltano le piante e gli uccelli
Le grandi praterie, le onde del mare
Cerbiatti assieme ai lupi ed agnelli
L’uomo si fermi…si fermi ad ascoltare.

Animo gentile
Onde che sciolgono lacrime sul mare
Vagano cercando il tepore della rena
Oh animo gentile che devi navigare
L’ infido mar sulla nave della pena

E solitario andar per strade ignote
Alla beltà, alla grazia e fantasia
Scendere borghi e contrade vuote
Cercando il raro fior della poesia

Soffrendo inverni gelidi e nevosi
Vestito solo della tua dolcezza
Cercando che bellezza si riposi
Negli occhi tuoi e sia la leggerezza

Del gesto che libera un pensiero
Limpido di bontà per ogni vita
La luce che illumina il sentiero
E vivere d’amor lieti c’invita

Splende nel tuo mattino un delicato
Sguardo d’alba, dolce come canto
Che sale lieve a sfiorar le fronde
Che il vento infido agita e confonde

Come l’inverno copre con la neve
La terra, il cui respiro si fa greve
Ma sotto la coltre vive e poi germoglia
Il fior nel prato, sull’albero la foglia

E’ fulgida luce ogni goccia di pianto
E il tuo dolore è fiore che profuma
Meschina vita è quella che soltanto
Di mala grazia vive e si consuma.

C’era una volta…forse
Ho atteso ai margini del bosco
Che passasse Cappuccetto Rosso
Per proteggerla da un lupone losco
Che voleva mangiarle pure l’osso

Ma che aspetto ormai son tanti anni
Forse ha preferito un altro sentiero
Ero convinto fosse questo quello vero
Ora dubito sia il bosco degli inganni

Forse ho atteso invano e ho fatto sera
Sognando d’incontrar fate e folletti
Ma ho visto solo streghe con la mela
Piccoli gnomi, omuncoli pieni di difetti

Forse ho sbagliato bosco ed ora è notte
Laggiù tra gli alberi brilla un lumicino
E d’una musica suonar sento le note
Mentre mi batte il cuore e m’avvicino

Con cautela guardo oltre una stalla
L’interno d’una stanza e resto basito
C’è Cappuccetto che col lupo balla…
Triste mi chiedo: Cosa non ho capito?.

Il Pelmo (Dolomiti)
Da spazi verticali
Colorati di rosa
Tu appari solitario
Eremita che posa
Il suo sguardo
E riposa
Nell’immensità
Tra ammutinati cieli.

Rumori e grida
La nebbia distratta abbandona
Nei prati batuffoli bianchi
Il ricordo di te che mi manchi
E’ fremente sfiorarsi di fianchi

Sull’erba, la tua pelle odorava
Di viole, e quel magico odore
Sarà eterno profumo d’amore

Bruciava la notte e nel pozzo
Dei tuoi occhi la luna rideva
Dalla gola tua s’espandeva
Un grido e un gemito rozzo

E quel suono feriva la notte
Penetrava la carne nel petto
Era un grido d’amore diletto
All’udire, e aveva il segreto

D’agitar nel suo delta le vene
Con furore di fiume impetuoso
Che strappa alla terra il seme

Un concerto di grilli riempiva
Ogni buio, ogni ansito o fiato
Nel ricordo di un grido flautato
Con rimpianto la notte moriva.

Il rifugio
Il rumore dei raggi di sole
Nelle stanze del mattino
Ha il suono rotondo di un canto tibetano.
In un silenzio di luce si rifugia
Il mio cuore pallido
Con l’estasi d’una estensione d’estati
E la paura di un sogno funesto.
Ho addosso l’odore della pioggia
E l’umidore dell’aria
Di temporali infradiciati
Mentre osservo dalla finestra
Festeggiare questa tarda primavera
Vedo sorrisi di gemme sui rami
Sedurre uccelli che si tuffano
Nei laghi azzurri, tra le foglie,
A rincorrere richiami.
Nulla è più fragile d’un pensiero senza meta
senza confini da valicare
Ne può il profumo dei gelsomini confondere
L’odore d’una disfatta.
Ho bisogno che questo sole allontani
La bruma che infittisce la sera
Come tessuto di tela ruvida e nodosa
Che filtri tra i rami di angosce appassite
E mi ridoni l’intensità del delirio
Che hanno i giorni tepidi e famigliari
Il caldo sapore delle sere intrise
della semplicità delle parole
dell’armonia della penombra quieta.
Mi rifugio tra le braccia
Di questa dea amorevole e severa
Con l’umiltà e la malinconia
Del giorno che volge al tramontare
Cercando nel sorriso della stella che appare
Luce che illumini la sera.

In silenzio…
In silenzio la luna
Ci guarda dal cielo
In silenzio le nuvole
Ricamano un velo
Perché si possa
Un po' riposare
Sono mille le vele
Che solcano il mare
In silenzio
Abbracciate al vento
Che le fa volare

In silenzio la notte
Ascolta le stelle
In silenzio tu sciogli
Le trecce tue belle
Quando l'alba
In silenzio
Infila raggi di luce
Tra le imposte e riluce
La rugiada nei prati
E in silenzio mi baci
Mentre ancora assonnato
In silenzio mi sveglio
E credo d'aver sognato

In silenzio si bacia
In silenzio si prega
In silenzio si guarda
Il sol che si leva
Dal mare e risale
In silenzio nel cielo
Su splendide scale
Di luce radiosa
In silenzio la rosa
Profuma il giardino
In silenzio ti accosti
Mi vieni vicino
Ed accanto ti siedi
Mi prendi la mano
E in silenzio
Con gli occhi
Mi dici ti amo

In silenzio osserviamo
Gli uccelli volare
E il tramonto
Che fa scivolare
Un cerchio di fuoco
Sull'acqua del mare
In silenzio sui campi
Cade la neve
In silenzio si posa
Con un volo lieve
Il cuculo al ramo
In silenzio guardiamo
Il mare in tempesta
In silenzio Aprile
Sugli alberi in festa
Posar piccole gemme
Gocce di colore
Che la notte bacia
E diventano fiore

E in silenzio teniamo
Le nostre coscienze
Non vediamo niente
Non vogliamo sentire
L'immenso rumore
Di guerre, di fame
D'ogni umano dolore.

Mattinata di Sole
Tre rondini, belle come madonne
Guardò estasiato il garzone del caffè
Quando il vento gonfiò le loro gonne
Ed il corpetto adornato di lamé

Due girasoli le seguirono nel viale
Spargendo petali e richiami sulla via
Finsero, ombrose, d’aversene a male
E ridendo schive fuggirono poi via

Dai balconi col vestito della festa
Ritti e pomposi sorridevano i gerani
Ai ragazzini che nella corsa lesta
Dei genitori sfuggivano i richiami

Il canale alla Giudecca luccicava
Scaglie di luce sull’acqua trasparente
L’aria era dolce e c’era molta gente
Spensierata che al sole passeggiava

Qualche barca dondolava alla deriva
Lasciandosi portar dalla corrente
Ed una vela con fare indifferente
Filava al vento, altera come diva

Quando ti vidi eri immobile ed avevi
Lo sguardo rivolto verso il cielo
Il bel profilo scolpito nell’azzurro
Il capo ornato d’un trasparente velo

Eri una vera madonna sull’altare
Di quel mattino splendido di luce
Gioiva il sole lieto d’illuminare
Il volto tuo e un corpo che seduce

Sei rimasta così nella mia mente
Oh sconosciuta, che di grazia vestita
Una soleggiata mattina solamente
La tua beltà donato hai alla mia vita.

Non so contare i giorni
Non so contare i giorni, troppo velocemente
Scivolano tra le mie dita, s’infrangono sul muro
Sbrecciato della vita

D’ogni giorno infranto, il pezzo più importante
Lo raccolgo con amore, poi delicatamente
Lo metto in una serra tra i fiori e le piante

Rivedo in un frammento il sorriso di mia madre
E una grande dolcezza l’anima mi pervade
Non lacrime o tristezza

Ma consapevolezza della grande fortuna
D’esser nato figlio d’una persona buona
Nel mio animo ha posato una musica che suona
Un concerto delicato

Il sublime concerto della vita mi ha donato

Mi ha insegnato la ragione per sorridere al mattino
Coglier fiori nel giardino pur se nevica d’inverno
E vedere nell’eterno spuntar del sole, della luna
Sorridente la fortuna che ripete : Tu sei nato,
hai vissuto, con chi ti ha sempre amato

Non so contare i giorni

Ma rivivo, coi frammenti, quei magici momenti
Tutto ciò ch’io sono stato
Rivedo i sogni dell’infanzia, il vigor di giovinezza
E l’ardor, la tenerezza per le donne che ho amato
Quello che ho loro dato e ciò che ho ricevuto
I bei giorni della gioia, quelli tristi del dolore
Del tedio, della noia, della rabbia e del furore

I frammenti mi raccontano
Se ho vissuto con amore.

Eterno rifiorire
Quando gioiosa la stagion si spoglia
Dell’inverno, magico è il momento,
S’odora profumar d’erba e di foglia
La campagna e il sospirar del vento

Spuntano sui rami ancora assonnate
Timide, socchiuse, gemme risvegliate
Dal primo sole, e da rugiade poi irrorate
sbocciano stupite come bocche incantate

L’acqua che scende limpida di neve
Disseta il timido cerbiatto che la beve
S’ode l’argentea sua canzone nei ruscelli
Saltellar tra ciuffi d’erba e ramoscelli

Bisbiglia e trilla ogni albero di canti
Tra le foglie, dove nascono gli amori
I prati si adornano coi petali di manti
Trapuntati di mille splendidi colori

Il mare si abbandona pigramente
Sulla spiaggia e le dona una carezza
Poi sull’amaca dell’onda si riposa
E s’addormenta, cullato dalla brezza

Profuma l’aria e miti sono le stelle
Di odori e canti s’anima la sera
Sospira il vento così dolcemente
Perché in ascolto sta la primavera

Nel lieto, luminoso, eterno rifiorire
Della natura e nella sua fragranza
L’essere umano coglie per il divenire
Petali dorati del fior della speranza

Castani erano i tuoi occhi
Languido, sul filo delle ciglia
Il tuo sguardo rubava
Al mio cuore l’innocenza

Castani erano i tuoi occhi

Sui fianchi rotondi scivolava
Il tuo vestito di seta disegnando
Un soave desiderio di danza

Castani nel vento i tuoi capelli

Quattro fanciulle passarono ridendo
Tra il grano maturo d’agosto
Rimase nell’aria un profumo di neve

Castana nell’ombra la tua pelle

Lontano il tuo violino suonava
Un concerto di gigli sfioriti
Flebile nel vento di scogliera.

Castani erano i tuoi occhi.

Illusione
Se passeggiando in un prato
Seminato di sogni , ad un tratto
Io potessi coglierne alcuni
Come un piccolo mazzo di fiori
Colorato, da metter poi fuori
In bella mostra sulla finestra
Sarebbe certo un giorno di festa
Perché io ho sempre sperato
Di vedere un mio sogno avverato

Coglierei un sogno dove i pianeti
Della notte sanno tutti i segreti
Ed aspettano senza timore
L’alba nuova con il suo chiarore

Ed un sogno dove tutte le chiese
Sono aperte , senza campanili
Senza croci o simboli strani
Dove i fedeli non usan le mani
Per pregare, ma per aiutare
Chi diversa ha un’altra fede
Ad amare ed avere fiducia
Nell’uomo e in quello che crede

Un sogno dove chi piange di gioia
Terge lacrime al povero e solo
Dove l’ Aquila che si leva in volo
Dall’alto guarda con grande umiltà

Dove le api possono fare il miele
Nelle arnie tranquille e serene
Dove le onde spingeranno le vele
Quando il vento un po’ mancherà

Anche un sogno dove le greggi
Hanno ovili e verdi pasture
E del pastore non hanno paure
Poi un sogno dove un profumo
Dice alla rosa: “ Io non ti amerò
Col soffio di vento che mi sposa
Felice e libero nell’aria volerò”

Se potessi aver questa fortuna
Sarei di certo molto contestato
Mi direbbero : “ Vuoi anche la Luna ?
                   Attento illuso
I sogni non fioriscono in un prato”.

Se tu potessi sentire …
La tua bocca era un garofano rosso
Tra le bianche lenzuola ricamate
Quando l’alba posava il sole
Tra le braccia tese dell’Estate

Se tu potessi sentire il rumore
Del sangue nelle mie vene
Lasceresti il tuo letto di pene
Piccolo fiore dai petali argentati
Sul cuscino del mio antico amore
Poseresti i tuoi anni addolorati

I tuoi occhi erano verdi usignoli
I tuoi capelli alghe nel mare
Tra le mie braccia come sirene
Le tue forme volevano danzare

Se tu potessi sentire il fragore
Dei ricordi nelle notti serene
Chiuderesti nello scrigno le pene
Piccola Eva dagli occhi turbati
Adorneresti di fiori dell’Eden
I tuoi pensieri ora disabitati.

Lo Specchio
Ora non c’è nessuno che mi guardi
Quando sono davanti allo specchio
Vedo riflessa solo una stanza piena
Di mobilia che sa molto di vecchio

Dove sarà andato quel signore
Che sorrideva con tanta simpatia
Quale sarà il motivo, la ragione
Perché senza saluto è andato via

Ma se ci penso bene ultimamente
Aveva un’espressione assai contrita
Sembrava non interessarlo niente
Come se inutile fosse la sua vita

So che aveva amici e frequentava
Un circolo del tennis e culturale
Andava anche a teatro ed amava
Il cinema, ma quello amatoriale

Poi per un dissesto finanziario
La donna che aveva l’ha lasciato
Spariti i suoi parenti ed ogni amico
Piano piano si era dileguato

Sono preoccupato e devo fare
Qualcosa per poterlo ritrovare
Temo che in solitudine lui possa
Perdere la voglia di sognare

Sì, perché sognava volentieri
Lo vedevo allegro canticchiare
Perso nei suoi magici pensieri
E col sorriso sapeva anche parlare

Ed era tanto caro e assai gentile
Per me era tutto ciò che avevo
Come conforto, come compagnia
Ora è sparito, se n’è andato via

Attaccherò un biglietto sullo specchio
Pregandolo che voglia ritornare
Perché perso in questa triste stanza
Da solo, non so più con chi parlare.

Il silenzio delle sirene (Con grande emozione ed umilmente, un saluto a Lucio)

Marinaio che amavi il mare
La tua barca è approdata
In quel porto dove il dolore
Non ha suono, non ha una data

Marinaio tu che cantavi
Della vita sogni ed amore
Ora il vento non riconosce
Ne la tua vela, ne la tua voce

In questo cielo che ha perduto
Ogni colore ed ogni incanto
Anche il rumore della pioggia
Sui vetri sembra un triste pianto

E più non cantano le sirene
Del loro incanto le melodie
Distanti e mute sono le stelle
Più non ascoltano poesie

Ora la luce s’è addormentata
E tra le braccia dei pianeti
Tu dormi lieve e al petto stretti
Tieni i tuoi sogni ed i segreti

Ma in una isola lontana
Un gabbiano ha ritrovato
Tutti i battiti del cuore
Di un poeta innamorato

Li ha posati sulle sue ali
Volano liberi nel cielo
Ed ascoltarli noi si potrà
Forse nell’Anno che verrà.

Ho cercato lontano …
Ho cercato tra i fiori e gli sterpi
Nelle verdi vallate e i deserti
Lungo i fiumi, le spiagge, nel mare
Negletto viandante a cercare…

Valicato ho i passi montani
Le foreste dell’oggi e il domani
Son tornato spesso sui miei passi
C’era il nulla ovunque io andassi…

Ho incontrato per strade e villaggi
Solitudine, tristezza e rancore
Nei deserti ho rincorso miraggi
Al tramonto del giorno che muore

Ho dormito nella tenda dei sogni
Nelle buie grotte del cuore
Ho rischiato anche di morire
Sotto l’onda di un cupo dolore

Mai nessuno mi aveva spiegato
Che cercare tanto lontano
Era certo il modo sbagliato
Il segreto era nella mia mano

Dentro al cuore dovevo guardare
In quel lago nascosto e segreto
Liberando gli aironi e spiegare
Le mie ali nel volo più lieto

E guardare dal cielo ogni cosa
Con occhi stupiti e incantati
Cercar nel profumo di rosa
L’umiltà dei fiori nei prati

Seguire i fiumi e i torrenti
Nelle città andare tra genti
Che diverso hanno credo e colore
Ma uguale nel battito il cuore

E chiamare fratello o compagno
Ogni uomo che ci vive accanto
Perché certo la vita è dolore
Ma se ami si terge il tuo pianto

E se ascolti…è musica,è canto.

Ragazzina dagli occhi lucenti
Ragazzina dagli occhi lucenti
Nei tuoi anni felici e ridenti
Hai cercato quel tenero incanto
Nei segreti del riso e del pianto ?

Ragazzina dal volto sognante
Nei giardini della tua mente
È sbocciato quel fiore dorato
Che nel sogno avevi cercato ?

Ti ricordi quel campo di grano
Dal giallo color dell’estate
Quel ragazzo che dalla tua mano
Raccoglieva le spighe dorate ?

Ragazzina dagli occhi piangenti
Tra i rumori di foglie non senti
Nell’Autunno un richiamo accorato ?
E’ quel sogno, perché l’hai scordato…

Malinconia
L’argentea
Bruma che traspare
Dal cielo annuvolato
Scende sul vagare
Monotono dell’onde

Sull’aspra vastità del mare

Trepida l’anima
Si perde nel torpore
D’una vaga dolcezza
Di un tenue dolore

Si veste di languore
Dolente una carezza.

Dimmi… cos'è ?
Nasce nei prati
Ma non è fiore
Nasce al mattino
Ma non è aurora
Nasce di sera
Pur se adora
Che sia la notte
Il luogo migliore

Ha il suono dolce
D'una canzone
Le fragili ali
Dell'illusione
Non è farfalla
Anche se vola
Nei sogni e cerca
Nella parola

Il senso profondo
Di ciò che sente
Ed è infelice
Se gli si mente
È spesso ingenuo
E s'abbandona
Al pianto per torti
Che non perdona

E' timido e ama
Far cose strane
E' tenero e dolce
Come lo è il pane
Viaggia soltanto
Con la fantasia
E soffre molto
Di gelosia

E' spesso solo
Anche incompreso
Alle ricchezze
Non da mai peso
Nella sua vita
Vale soltanto
Avere sempre
Qualcuno accanto

Qualcuno che cerchi
La sua dolcezza
Da consolare
Nell'amarezza

Per cui trovare
Le giuste parole
Che pur se piove
Sembra sia sole

Simili nascono
Altri destini
Ma poi rimangono
Sempre piccini
Non sanno crescere
Come fa il fiore
Che della corolla
Offre il colore

Offre il profumo
La vera essenza
Che dona alla vita
Ad ogni esistenza
Ragione di nascere
Di vivere e andare
Felici con lui
Se lo si sa trovare

Ah l'amour ..l'amour

Vorrei che fosse la tua voce…
Le betulle che ondeggiavano flessuose
Nei boschi incantati
Non avevano mani per raccogliere il vento
Ne ampie sponde aveva il tuo cuore
Per il fiume di pena
Che scorreva silenzioso nelle mie vene
Non saprai mai angelo di dolore
Quanto cielo può illuminare una stella
E quante strade azzurre il mare nasconde
Nella nebbia dei porti ai giovani marinai
Dall’alto sperone del tuo orgoglio di pietra
Un canto dolente di penombra
Inquietava i silenzi dell’alba
E ignorava il fremito del seme
Che sotto la terra umida di pianto
Vagheggiava essere per te
Soltanto fiore
Vorrei che fosse la tua voce che viene
Sonora oltre il rumore degli anni
Un bagliore di sole nello specchio
Che riverbera le verità nascoste
Nel muto,severo rigore degli sguardi
E brucia i rami secchi
Affastellati dai rimpianti
Nei falò dei boschi incantati

Verso Sera
Mi accora
La dolcezza dell’aria che s’imbruna
E la carezza del sole che si attarda
Nel giardino a parlare con le rose
Quando Aprile s’adorna di mimose
E l’ora s’acquieta nell’odore
Della terra
Che dai campi risale
Le silenziose scale
Della prima sera
Tra il profumo del limoni
Mentre balzano quei suoni
Che il gemito del vento
Impigliato tra l’intrico dei rami
Sospira tra le foglie
Dei platani lontani

E mi accora la luce della sera
Che scende querula
Madida di luna
Come il pianto su di una preghiera

E’ in quell’ora passeggera
Che nel mio petto inclina
Una dolcezza inquieta, come pena
Che lontano nel tempo mi trascina
Nella luce di quella prima stella
Che limpida nell’aria che s’imbruna
Ancora splende, nel mio muto cielo
Madida di luna.

Dondolava la Luna
Grida d’uccelli
Come sassi scagliati nel silenzio
Infrangevano i segreti che il mare confidava
Al mormorio delle stelle
E dondolava la faccia della luna
sorridendo
Dalle mille scaglie di luce che danzavano
Sui tremuli prati del mare

Tu nascondevi il desiderio
Tra le morbide vesti di sguardi appassionati
E mi sorridevi
Come sorridono al grano i soli d’agosto
E l’acqua alle cascate
Quando inebriata si abbandona delirando
Al brivido del volo
Erano chicchi d’uva matura
Le parole che sussurravi cingendo
La mia fronte di pampini
E mentre spargevi dalle tue labbra
Il miele d’Ape Regina che odorava
D’aromi di lavanda e ciclamino

Un alito di vento leggero gonfiava
Come un sospiro bambino
Il drappo alla finestra
Mentre dai terrazzi la felicità osservava il mare
Poi sazia raccoglieva dall’aurora
Un velo di chiarore
E dispiegava in un volo di lontananze
Ali di rimpianto e nostalgia.

Canto di un vecchio poeta (parte seconda)
Il vecchio poeta giunto sul dirupo
Alzò lo sguardo per salutare il sole
Udì il tremendo ululo del lupo
Allora al vento affidò queste parole:

Vorrei scrivere tutti i miei ricordi
Nel cielo appesi a un filo di memoria
Perché l'alba al mattino non si scordi
Di raccontare al sole la mia storia

Vorrei scendesse la luce dalle stelle
E dolcemente prendesse la mia mano
Poi correre assieme nelle più belle
Praterie del cielo e andar lontano

Lontano dove quieto dorme il vento
Su un letto di piume di parole
Raccolte lassù nel firmamento
Vaganti tra gli astri mute e sole

Vorrei che la notte mi indicasse
La valle dove nascono i bisogni
E il giardino fiorito mi mostrasse
Dove sbocciano tutti i nostri sogni

Che la luna illuminasse la finestra
Che guarda nei giardini dell'amore
E il sentiero che conduce alla foresta
Dove crescono gli alberi del dolore

E la casa dove dimora la speranza
Che sa sopportare ogni soffrire
Dove tiene nascosto in una stanza
Il segreto che l'aiuta a non morire

Tuffarmi dalle spiagge del rancore
Per capire quanto è profondo il mare
E una barca imparare a costruire
Per chi vuole felicemente navigare

Prosciugare la palude che nasconde
La serpe dell'invidia che confonde
L'intelligenza, il merito ed il valore
Per cose che si possono rubare

E poi chiedere scusa alla mia mente
Di non aver saputo scrivere parole
Che parlassero al cuore della gente
Con il calore di un raggio di sole

Raccogliere gli amori della vita
E diventare una splendida cometa
Che vola libera nel cielo a illuminare
I ricordi di una storia ormai finita

E splendere perché Tu possa vedere
Quanta luce aveva il nostro amore
E mentre dormi nei sogni ricordare
Che ti ho amata nella gioia e nel dolore

Vorrei scendesse la luce dalle stelle
E dolcemente prendesse la mia mano
Poi correre assieme nelle più belle
Praterie del cielo e andar lontano…

Lontano…lontano.

Rondini
Le rondini con ali leggere
Volano nei cieli del mattino
Nel fulgore delle primavere
Tra i fiori profumati del giardino

Sognano di sorvolare il mare
Di andare oltre l’alto monte
Dal vento farsi trasportare
E bere l’acqua fresca d’ogni fonte

Di scrivere tutte le parole
Delle più intime preghiere
Da sussurrare piano con amore
Nell’oscurità di dolci sere

Ma i cieli cambiano d’umore
Piove e scroscia il temporale
Le piume bagnate fanno male
Si vola nel vento con dolore

Le rondini liberano i pensieri
Che corrono su cieli sconfinati
Cercando tra i sogni perduti
I volti degli amori ormai finiti

Poi quiete riposano nel nido
Guardando il cielo che s’oscura
E col vento che fa un po’ paura
Rabbrividisce il cuore nella sera

Ma le rondini continuano a volare
Nel cielo terso di giovani creature
Col piacere nel volo di giocare
Al gioco della vita e dell’amore.

Piazza San Marco
Il cielo rischiara
Dormono le stelle
Bacia la prima luce
Palazzi ricamati
E bifore curiose
Da marmi delicati
Salutano le chiese
Appena risvegliate
Mentre nella piazza
Dei portici le arcate
Si rincorrono festose
In un semi-girotondo
Sorridono alla chiesa
Più bella del mondo
Magica sullo sfondo
Gelosa di conservare
Tesori dell’Oriente
Sotto cupole dorate
Adagiate dolcemente
Come soffici cuscini
Su quei cieli azzurrini
Dove volano colombi
Che sembrano giocare
Con putti e cherubini.

Ai lati i tavolini
Di magici caffè
Nei vasi hanno le rose
Che guardano altezzose
La gente incantata
Far la passeggiata
Ascoltando una canzone
Suonata dall’orchestra
E l’aria sempre in festa
Rende l’anima disposta
Alla felicità.

La Solitudine e la Nostalgia
C’è un silenzio pieno deì rumori
Degli anni e dei giorni d’ogni ieri
Racchiusi nella mente e nei pensieri
Coi suoni delle gioie e dei dolori

Vive in un teatro senza attori
Quel silenzio e si vuole isolare
Sono andati i musici e i cantori
Ma una voce l’aiuta a ricordare

Risuona nel teatro dolce e profonda
E racconta le storie di ogni vita
Agli occhi sale il pianto come l’onda
Giunta alla spiaggia debole e sfinita

Parla accorata la voce a ricordare
Risa di bimbi e giovanili amori
Di spensierate notti quando fuori
Solo le stelle stavano a guardare

Giovani nei prati tra le braccia
Di tenere fanciulle per scoprire
L’ebbrezza dei baci e sulla faccia
I’ansito del respiro e il palpitare

Parla degli anni lieti della scuola
Delle ansie innanzi ai professori
Del grande turbamento d’una sola
Occhiata rubata ai primi amori

Di bianche spose e figli da allevare
Di notti insonni e giorni assai felici
Della dura fatica resa dal lavorare
Di tenere persone e di strenui nemici

Risuona come un canto delicato
Quella voce chiamata Nostalgia
Parla alla solitudine di chi ha amato
La vita che ora lenta fugge via.

Puoi chiedere…
Alla farfalla il filo
che tesse nel suo volo
su un alito di vento

chiedere alla sirena
il segreto del suo incanto

Ad una lacrima
Di parlarti del suo dolore

E ai prati il profumo
dei gigli in amore

Ad un bacio mai dato
La sua malinconia

E chiedere ad un petalo
La rosa cosa sia

Alla lucciola di baciare
La luce della luna

E alla tristezza il suono
Della sua voce bruna

Al mandorlo l'intreccio
Sensuale dei suoi rami

Ma non chiedere al tuo cuore
Se ancora tu mi ami

Io chiederò…

Al ricordo che dilaga
Scivolando senza tempo
Tra le mani del dolore

Chiederò del nostro amore

E al buio della notte
Che accompagna tutti i sogni
Ai confini dell'aurora

Chiederò se ricordi ancora

All'eclissi che nasconde
Nel sudario della luna
Il destino del bagliore

Chiederò se l'amore muore

Ma non chiederò…
Non chiederò al mio cuore
Perchéè fuggito il nostro amore.

Indignados
(Canzone per un giovane " Rapper " )

Mutamento epocale di menti affondate
in un mare melmoso di parole truccate
ho perso il passato e non trovo il futuro
ma vedo soltanto un gran buco nero
dove ci hanno infilati con la convinzione
che ci avrebbe salvato la globalizzazione
che doveva risolvere tutti i problemi
ma solo ai più forti e noi poveri scemi
ci siamo presi una gran fregatura
che non sta nel destino, nella natura,
ma è figlia soltanto di chi vuol sfruttare
il lavoro di tanti per poi emigrare
portare le fabbriche in altri paesi
perché gli operai diventano pesi
bisogna trovare altri poveri cristi
che soldi e diritti non li hanno mai visti
e fan dodici ore con stipendi da fame
E' un mondo asfaltato di tanto catrame
che copre lo stomaco e le coscienze
di queste persone che son le eccellenze
dicono loro del nostro Paese
ma loro fan soldi, noi copriamo le spese
per tutti quanti pagando le tasse
che molti non pagano come se non esistesse
il dovere civile di partecipare
nel modo più equo per far funzionare
Comuni, Regioni e tutto lo Stato
e se protesti ti prendono per matto
Non sanno vivere senza fare i furbi
nel fregare la gente in ogni occasione
sofisticando e drogando i costi
in tutti i luoghi, in tutti i posti
Siamo diventati dei contenitori
riempiti di nulla, senza valori
animali allevati per consumare
tutta la "cacca " che ci fanno mangiare
Hanno distrutto i paesaggi col fuoco
dell'edificare come se fosse un gioco
coprire tutto con il cemento
e nelle campagne tracciare il segmento
di mille autostrade dove corre impazzito
un mondo malato che non sa dove andare

Hanno distrutto la terra, inquinato il mare

Sotto le zolle nei campi di grano
sepolto le scorie e ogni altro pantano
Per fare denaro fan morire la gente
Nessuno che paghi, nessuno si pente

E' questo il progresso che ci vogliano dare ?
Precari di tutto, anche di mangiare.

Non si può continuare con le menti stanche
a lasciare il destino in mano alle banche
che giocano sporco coi nostri sudori
distruggendo le vite per fare denari
perché è l'unica cosa che abbia valore
e non importa se la gente muore
se le ricchezze di tutta la terra
è in mano ai pochi che drogano il mondo
che per speculare in un secondo
distruggono interi paesi e nazioni
e noi stiamo zitti e da veri coglioni
stiamo a guardare come fosse destino
che un vivere degno per tutta la gente
sia nelle mani di chi sa soltanto
della nostra vita fare un mare di pianto
La vita è dura ? allora si fan gli stipendi
I nostri politici per viver di lusso
e non importa se quel che tu prendi
nella busta paga piange miseria
se la vita è dura è una cosa seria
soltanto per loro che vanno in pensione
dopo cinque anni per aver riscaldato
col culo quadrato la loro poltrona
e non importa se agli altri non dona
andare in pensione dopo 40 anni

Ci faranno lavorare fino a cent'anni !

Ora soffia il vento dell'indignazione
dobbiamo svegliarci questa è l'occasione
per dire al potere che bisogna cambiare
che un viver più degno si deve trovare
perché andando avanti di questo passo
sarà sempre più dura, un vero sconquasso
e andrà a finire che anche il funerale
sarà un affare da multinazionale.

Canto di un vecchio poeta
" Quando giungerò su quel dirupo
dove si spengono tutte le parole
vorrei che fosse un bel giorno di sole
limpido come l'occhio di un bambino
che mi donasse la grazia e lo stupore
del tramonto e la pigrizia del mattino

Vorrei sentire la voce del vento
ai rami raccontare la mia storia
e i passeri per un solo momento
commuoversi volando via nell'aria

Che gli alberi ondeggiassero nel vento
che nei prati spuntassero le viole
che i silenzi si fermassero un momento
a parlare con un raggio di sole

Che le foglie staccandosi dai rami
scendessero con la malinconia
di un fiore strappato con le mani
che il suo profumo sente volar via

Che il mare raggiunto l'orizzonte
lasciasse libera l'onda di vagare
e l'acqua che sgorga dalla fonte
nel ruscello trovasse il primo amore

Vorrei sentire l'odor delle foreste
che la pioggia trasporta a primavera
quando allegra picchietta alle finestre
mentre il giorno si sposa con la sera

Che l'ombra riposasse su di un prato
sognando d'essere la luce della luna
che l'aurora del suo rosso scarlatto
colorasse tutto il mare e la laguna

Vorrei sentire gli angeli suonare
una musica di flauti e di violini
che avesse i suoni che sanno regalare
le voci magiche e allegre dei bambini

Vorrei che i fiori del nostro giardino
non richiudessero il bocciolo la sera
e che sull'albero che ombreggia vicino
cantasse allegra e dolce una chimera

Sentire ancora quel magico odore
dei luoghi e della casa dove ho vissuto
e dal camino un filo di candore
veder salire come un canto muto

Vorrei tenere stretta la tua mano
mentre mi doni il fiore di un sorriso
senza vedere scorrere pian piano
alcuna lacrima sul tenero tuo viso

Vorrei portare con me una sola cosa
il nostro amore stringendolo al mio petto
col tuo profumo, mia tenera rosa,
addormentarmi sereno nel mio letto."

Felicità
Se tu fossi città o spiaggia o vetta
La vita sarebbe un lieto viaggio
Per l’umanità che con coraggio
Vivrebbe per raggiungere la meta

Sei invece una magnifica cometa
Splendente che solca il nostro cielo
Ma del tuo splendor soltanto un velo
Ci doni col tepor di un’ora lieta

Sei chimera che vola nella notte
Tra i nostri sogni e fuggi al mattino
Col vento dei dolori e delle lotte
Che turbinano i giorni ed il destino

Sei isola incantata e magica appari
Ebbra di musiche e canti di sirene
Ma il nostro è navigar per altri mari
E come Ulisse portar le nostre pene

A volte come Diana alle foreste
Colma di prede e di archi dorati
Ti mostri e ci illudi con le feste
I canti allegri e i sogni colorati

Ma come colomba spicchi il volo
Irraggiungibile nel cielo assolato
Fata leggiadra con un tocco solo
Diventi luna nel cielo stellato

Autunno
Ricordi Nella…
Quanta primavera nei roseti
E quanto cielo sopra i campanili ?

Settembre ha abbandonato
Le voci sommesse dell’estate
Tra lo spoglio intrico dei rami
Di questo tardo autunno che colora
Il profumo appassito delle rose
Sulla siepe che circonda
Il giardino del mio cuore
E importuno segue le mie orme
Lungo il viale in cui docile m’inoltro
Sperduto nella nebbia e mi sorprende
Tra il muschio e i ciottoli cercare
Il profilo delicato dei tuoi sguardi

Ricordi Nella…
Quanti silenzi addolcivano la notte
E quanto docile era l’aria del mattino ?

Ora i pruni più non danno fiori
E nude si mostrano sul passo
Le montagne prigioniere della neve
Pallido all’alba è il sole che trapassa
La logora tela del giorno
Svaporando in tenui trasparenze
Su luoghi terrestri e antichi desideri
E sogni profanati e ormai lontani
Dimenticata l’infanzia del desiderio
Su un crepuscolo vegliato dal vento
Ascolta immobile ai margini del bosco
Della cerva, trafiggere il silenzio,
Dolente il suo richiamo.

Solo un sospiro di foglia
Sarà solo un sospiro di foglia
Ad accogliere il passero sperduto
Ai confini del giorno
Quando pallida si mostra la sera
E il bosco insegue il silenzio
Tra i rovi gelati
In bilico sull’alto ramo
E’ appesa la luna
E lontano il profilo dei monti
Ascolta distratto un tocco di campana
Un fiotto di sangue
Cerca il disegno di carri trionfali
Nella pianura sfiancata di lotte
E di istanti indecisi
Nel ruscello riposa il fruscio
Delle acque danzanti
E solo la sorda voce dei sassi
Risponde dal greto
Al bramito inquieto del tramonto
Avremo foglie e fango
Per impastare la nostra preghiera
E sangue di madreperla
Per agghindare il nostro sogno
Metteremo una collana di ricordi
Su un sorriso di fanciullo
Che odori di feste e di oleandri
E alla stella lucente
Offriremo un cesto di fiori
Perché nella notte odori di rose
Il nostro silenzio.

Di Mare e di Lampare
Sulla tua bocca piena
Di mare e di lampare
Scivolano sull’onde
Dolcissime parole
S’adagia sulle spiagge
La schiuma dei baci
Delle dischiuse labbra
Tue tumide e procaci
E dalle tue ciglia nere
Volano capire
Con ali di lussuria
Nei cieli del piacere
E chiedono alla luna
Di scendere e illuminare
Quella tua bocca piena
Di mare e di lampare
Che turgida si schiude
In un flebile lamento
Che vola nell’aria
A profumare il vento
E nei torbidi laghi
Dei tuoi occhi socchiusi
Si specchiano i segreti
Di proibiti paradisi
Li colgo, e nei lascivi
Tuoi sguardi mi perdo
Smarrendo il confine
Del rischio e del pudore
Amandoti follemente
Bruciando nell’ardore
Che mi consuma l’anima
E mi fa delirare
Sulla tua bocca piena
Di mare e di lampare

La Foglia
Poco a poco ti passa la voglia
Così rimani fermo sulla soglia
A guardare l’albero che si spoglia
Coi rami nudi poi triste si staglia
Sull’orizzonte dal color di paglia
 
E più non provi alcuna meraviglia
Per tutto l’intorno che s’imbroglia
Coi giorni amari e piano sparpaglia
I sogni, come un asino che raglia
 
Così  ogni compleanno, alla vigilia
Quella grande tristezza che ti piglia
Senti che certamente è figlia
Della delusione che ti striglia
 
E come l’insetto che s’impiglia
Nella ragnatela e non si sbroglia
Forte l’impotenza ti attorciglia
Tu che credevi esser conchiglia
 
O petalo odoroso di magnolia
La vita, scopri invece che t’imbroglia
L’amore, l’amicizia …e un parapiglia
E’ il viver nell’osceno piglia piglia
 
Così del cuor non usi la maniglia…
 
Ma in primavera, dolce meraviglia
Tenero quel cuor ancor s’invoglia
Allo spuntar d’una novella foglia.

Infrangibile…verrà la notte
Quando nelle profonde valli silenti
Sul greto prosciugato dei giorni
Scorrerà il fiume del dolore
E sperduto un silenzio di foglie
Sorprenderà la sera
Infrangibile…verrà la notte
A raccogliere le stelle

Vaghi sogni sopra un letto di neve
Fioriranno bianche rose di gelo
E il pensiero tra la nebbia dei sorrisi
Abbandonerà l’ultimo bagliore
Allora l’impronta della mano scivolerà
In un lasso di tempo indefinibile
E quando la maschera dei nostri mille volti
Cercherà tra echi di memorie
La verità del sogno
Sarà sul marmo corroso dei vuoti sguardi
Che un esercito di voci
Scaverà una galleria di menzogne
Ma spetterà a noi scegliere
Il sentiero che conduce ai pascoli
Degli alti pianori invisibili
A noi raccogliere le lacrime
E rispondere al saluto della notte
Quando infrangibile…verrà
A raccogliere le stelle.

Il buco
Ha tolto tutti i quadri alle pareti
Per fare pulizia nella sua vita
Ma sotto ha trovato molti buchi
Larghi e profondi come una ferita

Li ha guardati e sembravano parlare
Dire : “ Così ti eri di noi dimenticato
Hai continuato a vivere tranquillo
Proprio come se nulla fosse stato

Ma come vedi tutto è rimasto intatto
A ricordarti che non si cancella
Il buco fatto su una parete bella
Coprendolo con un quadro mal fatto

Ora che hai finito tinta e stucco
Non potrai per niente rimediare
E per sempre ci dovrai guardare
E ricordarti che non è col trucco

Che si dimora in una casa bella
Ma coprendola di tinte e di colori
In modo che sia molto allegra dentro
E non soltanto guardandola di fuori “.

Le Bricole
Se le guardi dal cielo sembrano soldatini
Con la divisa grigia, ordinati punticini
Ma con la fantasia possono sembrare
Forti tulipani sbocciati in mezzo al mare

Ad una ad una, erette, stanno equidistanti
Ad indicar la rotta a tutti i naviganti
In ampie strade d'acqua, in mezzo alle barene,
Terre di pescatori, di pesci e di sirene

Un giorno le ho sentite ai gabbiani raccontare
Di quando erano alberi, prima di stare al mare
E della montagna avevano un po' di nostalgia
Ma ora sono tranquille e in buona compagnia

Perchè col tempo buono escono le barche
Anche se in verità le vele sono parche
Nel raccontare storie di gesta marinare
E inebriate al vento preferiscono volare

Quando un bel veliero viene ad attraccare
Dipinto di nero , si sentono abbracciare
Legate strette strette a corde molto forti
Parlano di marinai, di bettole e di porti

Però ci sono notti di vento e di bufera
La laguna è buia, paurosamente nera
Lo sciabordio dell'onda le colpisce e sferza
Ed il mare infuriato scatena la sua forza

Il cielo è rischiarato da fulmini e saette
E' guerra tra le nuvole e nelle isolette
Tremano le barche posate sui fondali
Ma sono rincuorate da piccoli animali

Ma poi ci sono giorni dai colori delicati
Di quei celesti languidi che sono pennellati
Lungo l'orizzonte da pittori che un velo,
Di nascosto agli angeli, hanno rubato al cielo

E ci sono tramonti che lasciano incantati
Si baciano il mare ed il sole abbracciati
Il cielo è incendiato da fiamme rosso fuoco
E scivola nell'acqua in un gioioso gioco

Ma ciò che commuove le mute sentinelle,
Nel buio della notte , sono quelle stelle
Tremule come lacrime, che sembrano scivolare
Dagli occhi del silenzio sulle labbra del mare.

Soffice e lieve
Quando la neve scende sui sentieri
E sulla siepe imbianca il verde alloro
I passeri che son sempre ciarlieri
In silenzio si stringono tra di loro

Così le piume diventano coperte
Per riscaldare i loro corpicini
Stanno raccolti sui rami a rimirare
I giochi allegri , felici, dei bambini

E’ soffice la neve e anche il silenzio
Si posa dolcemente sui sentieri
Dove guardinghe corrono sui prati
Timide orme di leprotti mattinieri

Scendono a valle cerbiatti per trovare
Un po’ di cibo e ai margini del bosco
Sospettosi restano fermi ad aspettare
Che la luce al buio faccia posto

Da un casolare s’alza un fil di fumo
Bianco,che accarezza timido la neve
Lontano il suono d’una fisarmonica
Danza nell’aria che si fa lieve lieve

Clochard
Lo vedo spesso camminare lentamente
Lungo le mura d’una caserma abbandonata
La barba incolta, si muove tra la gente
Come sperduto, con l’aria trasognata

E’ giovane, perché dai neri sguardi
Traspare forte una fiamma d’energia
E canta sempre parlando di ricordi
D’una chimera ch’è volata via

Ride a bocca larga e i pochi denti
Sembrano palafitte dentro al mare
Ha una risata allegra da gaudenti
Anche se non ha nulla da mangiare

Si nota che lui vola in un altrove
In cieli che solo lui sa sorvolare
Ed un brillio negli occhi fa capire
Che pensa sempre, ma vive per sognare

Vorrei davvero per un breve istante
Entrare nel suo mondo trasognato
Porgergli la mia mano gentilmente
Ma temo di non essere ascoltato

Perché mi guarda e non dice niente
Spero allora che lui sappia indovinare
Nel mio sguardo, la fatica d’ogni vivere
E preferisca essere libero e sognare

Tu …nella pioggia
Da nubi vagabonde piovono parole
Sul tuo giardino pozzanghere di voci
Il tuono lacera l’aria cercando di ferire
Il suono esatto della tua limpida voce

Ma tu non temi il brontolio del tuono
Il furore dello schianto non ti sfiora
Trovi nel lampo la luce che colora
La pioggia , e rende flebile il lamento
D’ogni goccia che si stempera nel vento

Cade la pioggia ma tu danzi leggera
Nell’acqua disegnando vaghe felicità
Nel pulviscolo percorri l’erta strada
Del libero pensiero e della libertà.

Candore
Oggi la campagna
Ha il candore d’una vergine

Oggi la mia ragazza
Ha il candore della campagna

Mentre mi accompagna
Per acerbi frutteti

Del suo purpureo fiore
Mi svelerà i segreti.

Notturno
Angeli della mia notte che scendete
Sulle spiagge dove fremono le orme
Al bacio furtivo dell’onda di risacca
Lasciate la levità delle lacrime
Cercare la corolla del giglio
Ove nascondere il pudore
Di questo corpo incerto e fragile
Che confonde ormai le stagioni
E come l’albero i secchi rami
Tende le braccia per sostenere il cielo
Scendete dai tortuosi sentieri
Voi conoscete la castità della sorgente
Che alimenta il mio fiume segreto
Le sue sponde e le anse accoglienti
E la stella che vigila paziente
Sulle rose madide di rugiada
Conoscete l’età delle mie ragioni
E il filo di sangue che si dipana
Dalla matassa delle mie vene
Resterò immobile sulle vostre ali
Attento al vento che scava l’ultimi solchi
Sulla viva falesia che domina il mare
Muto alle onde
Nasconderò ogni suono negli anfratti corrosi
Le voci nelle mani,conchiglie di madreperla
Saranno culla al canto del mare
Poi sarete liberi di volare
Oltre il confine dei sogni, nel nulla inesplorato
Quando lontane si mostreranno le vele
E la nebbia avvolgerà, dopo il tramonto,
La prima sera. Poi con la luna,
Le stelle.

La Ballata degli Orchi e il Bambino Soldato
Eri ancora un bambino quando quella sera
Entrò nel villaggio una strega nera
Con la sua falce recise ogni fiore
Strappo le radici e piantò il dolore

Aveva cercato di farti scudo
Un uomo e giaceva per terra nudo
Gli occhi sbarrati guardava lontano
La vita fuggita dalla sua mano

E mentre guardavi l'uomo accasciato
Orribili mani ti hanno sollevato
E tu hai capito che nella tua notte
Ora c'erano gli orchi e sacchi di botte

Ti hanno portato in un posto lontano
Assieme a del pane nella tua mano
Hanno messo il calcio di un grosso fucile
E ti hanno obbligato ad essere vile

Di notte guardando il cielo stellato
Pensavi a tuo padre a terra ammazzato
Sentivi tua madre quando ti cantava
Le nenie d'amore e ti addormentava

Tra le sue braccia con un dolce sorriso
Ti baciava gli occhi, le mani e il viso
E tu capivi che in quella tepida sera
Ti stava accanto una fata vera

Con le tue lacrime poi si è formato
Nel tuo cuore un fiume dov'è annegato
Il tuo fresco sorriso e l'incoscienza
Ha imprigionato la tua innocenza

Sei diventato una bestia feroce
Con gli occhi di tenebra e senza una voce
Che avesse di umano almeno il rumore
Che fa una voce quando parla al cuore

Poi c'erano tanti altri fucili
Di altri innocenti ora resi vili
Perché l'orrore non ha frontiere
Non va a dormire tutte le sere

Ma vaga randagio e mangia dolore
Ride beffardo se un uomo muore
E per dimostrare la sua potenza
Pianta un pugnale in ogni coscienza

Ma un giorno davanti ad un altro fucile
Uno sguardo feroce di bestia ferita
Ti ha fatto capire quanto vale la vita
Se appesa allo sguardo d'un uomo più vile

Sei rimasto immobile dallo stupore
E nell'esplosione di un gran bagliore
Hai sentito una bella voce cantare
Una tenera e dolce nenia d'amore

E mentre guardavi il cielo stellato
Con gli occhi sbarrati a terra accasciato
Tenevi stretta nella tua mano
La vita che andava sempre più lontano

Ma allora tu eri ancora un bambino
E avevi un angelo sempre vicino
Che ti ha salvato e da quella notte
Spariti son gli orchi e i sacchi di botte

Ma siamo orchi anche noi che fingiamo
Di non sapere che esiste l'orrore
E quel fucile in quella piccola mano
Col nostro silenzio anche noi lo mettiamo

E quel fucile in quella piccola mano
Col nostro silenzio anche noi lo mettiamo.

I fiori che non ti ho mai dato
Sono sempre freschi dentro ad un bel vaso
I fiori che per te avevo comprato
Al banco intitolato “ Il fiore innamorato “

Quel vecchio banco in “ Piazza dell’Amore “
Col profumo che aleggiava intorno delicato
Tanto che la piazza era un prato profumato

Sono fiori speciali ed anche quel fioraio
Che aveva un nome strano,forse era “ Destino “
Ed al banco, puntuale, lo trovavi ogni mattino

Sono i fiori che non ti ho mai dato
Sembra per distrazione del Signor Destino
Che di consegnarli si era poi dimenticato

Lui diceva invece che tu hai rifiutato
Di accettarli per lo strano motivo
che il loro colore era troppo vivo

Erano rose rosse, molto profumate
Non erano selvatiche,nate lungo i muri
E dal colore vivo perché a lungo duri

Io non ho mai creduto a questa cosa
Credo invece ci sia stato un malinteso
Senza intenzione, forse ti avevo offeso ?

Son sempre freschi li su quel balcone
Che guarda in un giardino ormai sfiorito
Ma donano alla stanza un tono colorito
Ed un profumo sempre delicato

Li curo con amore e con passione
E metto l’acqua fresca tutti i giorni
Anche se son passati quarant’anni
Perché non si sa mai… e se ritorni ?

Fiore di prato (canzone)
La storia di un fiore voglio raccontare
Una storia nata da un profondo dolore
Come prova la notte senza luna nel cielo
Quando vaga sperduta, sola nel gelo

Era la tua rosa appena sbocciata
Quanto l’amore di ha incontrata
Ti ha preso la mano e con belle parole
Ti ha raccontato d’essere il sole
Che riscaldava ogni tuo mattino
E illuminava il tuo nuovo destino
Così con gli occhi pieni di quel sole
Ti sei donata in un campo di viole
Sembrava che i gigli avessero braccia
Sfiorandoti il seno, le gambe e la faccia
E mentre ascoltavi i grilli cantare
Sembrava ogni stella volerti baciare

E mentre ascoltavi i grilli cantare
Sembrava ogni stella volerti baciare

Ma presto quel sole è tramontato
Ma ti ha regalato un fiore di prato
Che somigliava tutto a quel sole
E aveva il profumo di tenere viole
Così da sola con la rugiada
Hai coltivato quel fiore di strada
Mordendo le labbra per non gridare
Quando alla porta bussava il dolore
Sgorgavano rose quando piangevi
Dagli occhi e lacrime se sorridevi
Aveva la pioggia il sapore del sale
E gli sguardi attorno facevano male

Ma ora quel fiore nel tuo giardino
Profuma i tuoi giorni ed al tuo destino
Tu chiedi soltanto un raggio di sole
Che ti riscaldi in un prato di viole

Tu chiedi ancora un raggio di sole
Che ti riscaldi in un campo di viole.

Case di Burano
Tace l’ora quando l’ombra si nasconde,
Dietro gli angoli di case appisolate,
Dal sole che l’insegue e che colora
Le pareti come bocche imbellettate

Strette strette, ombrose calli colorate
Offrono al cuore l’allegria che ci rivela
Son cielo e mare lo sfondo d’una tela
Di quei quadri che dipingono le fate

Ogni alito di vento e ogni silenzio
Resta sospeso come un volo di gabbiano
Solca il meriggio una vela piano piano
Mentre il tramonto s’adagia su Burano.

(Contro questa realtà cosi crudele, prendo una (inutile?) pillola di fantasia)

Dopo il tramonto, all’imbrunire…
Al tramonto quando l’aria imbruna
Appare in cielo splendida la luna
Per far sognare quelli innamorati
Che dimentichi si baciano sui prati

Prudenti le case prima di dormire
Velano lo sguardo alle finestre
Sulle terrazze soli a disquisire
Dotti gerani , intrepide ginestre

S’affrettano i fiumi a rincasare
Serpeggiando sinuosi sul terreno
E corrono silenti verso il mare
Che dolce madre gli accoglie in seno

S’avvolge il bosco col nero mantello
Solo nel buio riesce a riposare
Lo disturba un giovane pipistrello
Vagabondo che non sa dove volare

Il faro si è appena presentato
Per il suo turno di guardia consueto
Scruta lontano un po’ meravigliato
Il mare calmo che passeggia mansueto

La risacca con le onde si diverte
A dondolare le barche che scocciate
Nel porticciolo si sono ritirate
Sotto le vele usate per coperte

Muta la notte accende le candele
Perché la luna si riscaldi un poco
Al dolce tepore di quelle fiammelle
Il suo pallore cambia in rosso fuoco

Pure l’aria si vuole riscaldare
E con le nuvole fa una passeggiata
Mentre la notte preferisce andare
Verso una nuova serena mattinata.

Nello sguardo dei bambini
Il bambino dagli occhi azzurri
In fondo allo sguardo
Nasconde il mare

Gioca col suo castello di sabbia
Le belle torri merlate
E il ponte levatoio fatto di conchiglie

L’immagine è perfetta :

Con il bambino dagli occhi azzurri
Il castello di sabbia
Il ponte levatoio fatto di conchiglie
E il mare nei suoi occhi

Nulla mai potrà turbare
Questa bella giornata di mare

                   ----

Il bambino dagli occhi neri
In fondo allo sguardo
Nasconde la tristezza

Gioca con la sua piccola capanna
Fatta di sterco e paglia
Raccolta nella boscaglia

L’immagine è dolorosa :

Con il bambino dagli occhi neri
La capanna di sterco e paglia
La solitudine della boscaglia
E la tristezza nei suoi occhi

Quando mai potrà cambiare
Questa triste giornata di dolore

                    -----

Solo quando diventeremo umani
E conosceremo l’amore.

Burano e Torcello
Cammino al limitar dei campi in fiore
Mentre l’aurora lentamente muore
Ed abbandona il suo tenero colore
Nel cielo del mattino che traspare

Sereno e dolce al timido spuntare
Del primo sole nell’aria quasi immota
Solo un airone s’alza e in ciel si nota
Lento ed elegante il suo volare

Il volo seguo poi l’occhio abbandono
Sulla verde campagna al cui confine
La laguna le due belle principine
Al mio sguardo incantato ne fa dono

Nell’aria fresca del mattino ora destate
Le isole, da questo ampio balcone,
Sembrano tra l’acqua e il cielo ricamate
Col filo d’oro e i colori delle icone

Svettano i campanili levandosi qual canti
Dall’acqua offerti al cielo a ringraziare
Talento e grazia di chi questi incanti
Al nostro sguardo ha saputo poi donare.

Sul far della sera ( canzone )
Il tuo amore finiva
Sul far della sera
Mentre il sole scendeva
Dietro quella scogliera

Quando tu supplicavi
Senza lacrime in viso
Negli occhi avevi
Uno strano sorriso

Lui non rispondeva
Parlava di niente
E ti guardava
Come guarda chi mente

Poi all’improvviso
Il tramonto ha urlato
E il cielo pendeva
Tutto da un lato

Così vede il cielo
Uno che vola
Giù dalla scogliera
Senza una parola

Gridava anche il sole
Quando per amore
Nel fondo del mare
Hai nascosto il dolore

Nell’aria hai lasciato
I pensieri fluttuare
Nelle mani quei sogni
Che hai voluto portare

Con te tra le onde
Mentre il sole scendeva
La tua storia finiva
Sur far della sera.

Il merlo canterino
Il merlo che canta
Da solo sul ramo
Alla merla lontana
Lancia il richiamo

Non si scompone
La merla che ascolta
Aspetta che canti
Più di una volta

E quando alla sera
Di cantare è sfinito
Si mostra graziosa
E accetta l’invito

Dice :” Forse domani
Tornerò su quel ramo
Aspetta bel merlo
Ti dirò se ti amo “

Il merlo in ambasce
Resta sveglio la notte
Pensando alla merla
E con le ossa rotte

Si alza sfinito
Il mattino seguente
Quando vede la merla
Non capisce più niente

E riempie la merla
Di mille regali
Le copre d’oro
Pure le ali

Ma quando ardito
Le chiede la mano
Lei prende tutto
E vola lontano

Capito ha il merlo
Che quando si canta
Bisogna fare attenzione
A ciò che ci incanta.

Il “ Nocciolo “ del poeta
Nella mia testa c’è una cantilena
Che tutte le parole mette in rima
E’ come un atleta che si allena
Si ferma e poi corre più di prima

Se scrivere poesia mi viene voglia
Senza la rima, in forma più moderna(?)
Devo lottar con lei che s’accapiglia
Nel mio dir s’insinua e lo squaderna

E’ come quando t’alzi la mattina
Con una musichetta nella testa
Poi ronza eterna quella canzoncina
Allegra a volte, a volte più mesta

Diego Valeri che fu grande poeta
Mi disse quand’ero un ragazzino
Che il “ nocciolo “ avevo del poeta (disse proprio così)
Dunque la rima l’avevo nel destino

Ma disse anche : Però per diventare
Un vero poeta, mio caro ragazzino,
Per anni e anni tu dovrai studiare
Se vuoi che l’uva, dolce doni il vino

Nella vigna un po’ ho lavorato
Ma poi lasciar dovetti quei filari
Ad altri affanni mi sono dedicato
Alcuni dolci, altri un po’ più amari

Così m’è rimasto solo il “nocciolo”
E questo rimare un po’ impreciso
Perciò io penso e non sono il solo
Che dei poeti mai andrò in paradiso

Mi dolgo un po’,ma non mi dispero
Mi basta ,del mio semplice rimare,
Colga qualcuno il sentimento vero
Che guida il mio sentir e mi fa amare
LA VITA.

Se tu mi amassi ancora…
Se tu mi amassi ancora…io porterei
Il desiderio alla tua fresca fontana
E il gregge dei miei baci lascerei
Bere sul greto della tua limpida bocca
Perché la mia passione ancora vaga
Tra i sussurri i gemiti e le viole
Che la tua nenia d’amore regalava
Alle mie notti ora deserte e sole

Il tuo sguardo oramai più non mi sfiora
E inconsapevole il mio canto deridi
Col gesto distratto e indifferente
Che ignora la passione e il mio dolore
Per questo le sue note hanno il sapore
Dolente e amaro della nostalgia
Che scava la voragine nel cuore
Del rimpianto e della gelosia

Tu passi altera e non ascolti il canto
Che il vento cieco della vita porta via
Per questo le sue note hanno il sapore
Dolente e amaro della nostalgia.

Oggi non ho voglia
Oggi non ho voglia
Voglia di poesia
Di canti d’amore
Di intime storie
Di struggente dolore
Di stelle lucenti
Di piogge cadenti
Di prati fioriti
Di fiori appassiti
Del mare che incanta
Dell’usignolo che canta
Del gabbiano che vola
Della luna sola
A volare lenta
Lungo la notte
Che ci sgomenta
Dei sogni che vagano
Lungo tutta la vita
Di chi ci racconta
La storia infinita
Del bene e del male
Della pena dei giorni
Dal sapore di sale
Dei fiumi infiniti
Dei boschi incantati
Dei baci negati
Dei ricordi lontani
Di carezze di mani
Che più non stringiamo
Del vuoto che abbiamo
Nel cuore dolente
Dell’indifferenza
Che mostra la gente
Di ardenti preghiere
Del tepor delle sere
Trascorse a parlare
Delle notti d’estate
Passate a sognare
Guardando le stelle
Del rimpianto di fiabe
Quelle più belle
Che ci raccontava
Chi più ci amava…

Oggi non ho voglia…

Ma sto forse dicendo
Molte cose sbagliate
La poesia non è fatta
Di rime baciate

Quelle sono parole
Usate per raccontarla
La poesia è nelle cose
E dalla vita ci parla

E’ nel profumo del pane
Nel gracchiar delle rane
Nello sguardo di un cane
Che ha perso il padrone
Nell’arco sontuoso
Dell’ansa di un fiume
Nella luce di un lume
Che crea la penombra
Nel pianto di un bimbo
Che impaurito si adombra
Nell’ombra di un ramo
Quando il sole è cocente
Nella luce degli occhi
Di chi sa rider di niente
Nella grazia del gesto
Di una dolce carezza
Nella lievità della brezza
Che solleva le foglie
Nel nostro giardino
Nella soavità di un inchino
In una goccia che stilla
Dal ghiaccio nel monte
Nelle rughe d’un vecchio
Lì sulla sua fronte...

E in mille altre cose
Ma bisogna osservare
Con grande umiltà
E la voglia di amare.

Lontano
La vertigine ammaliava i dirupi
E inaridiva l’acqua alle sorgenti

Indifferente al dolore delle radici
Prigioniere del silenzio dei boschi

Al muto pianto delle spine
Delle rose appassite nel giardino

( non piangere, amore)

Ora quieto il buio si rifugia
Tra le braccia del giorno

E nella culla della luna
La notte non trema più

Anche i sogni stremati riposano
All’ombra del sicomoro

( stringiti a me, amore)

Insegui le farfalle di luce
nel prato delle stelle

E l’intrepida vela
che s’inerpica sul vento

Il mare con immense mani
Raccoglie i dolori e le spume

( dammi la mano, amore )

Vieni, lontano ormai s’agita il vento.

Intimità
Accade,sai
Che il mio sguardo si posi
Sul profilo elegante delle ciglia
Quando in silenzio leggi e ti riposi
soffice il capo, sul cuscino di ciniglia

In quel momento, sai
Nel mio osservare avverto
Come un disagio, una malinconia
Mi coglie il tremor di una incertezza
Ti guardo e penso: se tu non fossi mia…

Ma tu sei lì
E la curva dei tuoi occhi
Disegna l’arco della mia felicità
Nella stanza i lumi palpitano fiochi
Magici istanti di tenera intimità.

Sono tornate le scope a volare
Nemesi ha aperto i suoi cancelli
Felicitàè volata via
Ora volteggia sopra l’Italia
Con molta grazia e fantasia

Milano d’essere ha dimostrato
Con il suo voto, la Gran Milano
Tutto il Paese ha liberato
Dall’incubo atroce del Caimano

Sono tornate le scope a volare
In Piazza Duomo miracolata
Ora bisogna scopare via
I ladri di sogni, la consorteria

Questa giornata ci ha dimostrato
Che noi dobbiamo sempre lottare
Perché Giustizia alla fine riesce
A far puzzare chi è nato pesce

Danza…ridanza… Democrazia
Ma non ballare più il minuetto
Ora che abbiamo tanto sofferto
Ci meritiamo un po’ di rispetto

Danza… ridanza… Italia bella
Vivi una vera democrazia
Ma opera bene in ogni momento
Perché il solito vento non la porti via

Nemesi ha aperto i suoi cancelli
Felicitàè tornata a volare
L’Italia onesta con le mani pulite
Può finalmente tornare a sognare

Cantavamo “ O bella Ciao “ (Scusandomi con gli autori della canzone)

Cantavamo “ O bella ciao “
Con le lacrime ed i sorrisi
Fieri dei nostri ideali
Sognavamo paradisi

Divedevamo oltre al sentire
Il poco pane e la speranza
In quella semplice e disadorna
Magica e calda, piccola stanza

Abbian passato notti intere
Litigando e a far l’amore
A parlare di chimere
Di giustizia e di onore

Ma un mattino mi son svegliato
Eri fuggita con un invasore
Tu partigiana di un sentimento
Che liberato aveva il mio cuore

Dalle paure e dalle incertezze
Tutto l’orgoglio mi avevi dato
Che prova un uomo per la sua donna
Quando è felice e innamorato

Ho seppellito su una montagna
Di rimpianti e di delusioni
Quel fiore rosso che profumava
La nostra vita e le canzoni

Tu non sei stata poi fortunata
Ritorni sempre con il pensiero
Là dove giace su quel sentiero
Quel fiore bello, bello davvero

Tacito a notte sboccia quel fiore
Pur se lontana è la primavera
Per profumare i nostri ricordi
Ora che il giorno s’è fatto sera

Cantavamo “ O bella ciao,
O bella ciao, ciao, ciao “.

In ricordo di Wouter Weylandt (Giro d’Italia 2011)
Era il giorno del ricordo più bello,quello a cui amavi ritornare con la mente,
quando nella quiete delle tue stanze di ciclista vagabondo,ad occhi chiusi,
sentivi soltanto il flebile soffio del tuo respiro
ed il battito lieve del tuo cuore
ed avevi sulle labbra quel segreto sorriso
quello che ci regaliamo nell’intimità, quando siamo soli e felici.
Era il giorno di un anno appena trascorso nel ricordo di un fruscio di seta,
che sovrastava ogni frastuono di uomini e bandiere,
ogni boato di colori che turbinavano attorno a quel drappo teso ad indicare il limite,
la frontiera oltre la quale, quel fruscio, ti coronava di gloria e di sudore.

Un anno appena è durato quel magico ricordo.
Quello nel quale ti rivedevi con le braccia tese verso il cielo sollevare la tua vita,
perché potesse inebriarsi di felicità e tenere,per il breve durare di quel fruscio,
tra le sue mani, il profumato fiore della vittoria.

Forse pensavi di risentire quel magico rumore mentre risalivi faticosamente quel monte,
senza sapere che il destino,su quella strada tortuosa e maligna, aveva disegnato il tuo Golgota.
Sembravi un cristo crocifisso sull’asfalto, le braccia aperte e tese, chiedere al cielo perchè
Ti era chiesto di abbandonare tra i silenzi di quei boschi il bagliore del tuo sorriso ed il
fragore dei tuoi giovani anni, i tuoi sogni e la tua allegria.
Forse il cielo non ha risposte,come non le ha il nostro dolore per la tua giovane vita,
sacrificata nel vortice di una discesa che ha trasformato un fruscio di seta
in un insopportabile sibilo di sgomento.
Ora, quando anche noi saremo nella quiete delle nostre stanze di umani vagabondi,
ad occhi aperti , nelle notti abbandonate dai sogni ,
e sentiremo un rumore come un fruscio di seta , alzeremo lo sguardo e sorrideremo
ad un angelo invisibile che corre nell’infinito
con una bicicletta bianca come le nuvole ed azzurra come il cielo.

(Wouter Weylandt aveva vinto la terza tappa del Giro d'Italia 2010
edè morto, cadendo in discesa, nella terza tappa del Giro 2011
)

Zagora (Marocco)
Sulle cime dell’Atlante in lontananza
La solitudine abbracciata al vento
Aleggiava sull’alba che schiariva
I ripidi pendii e il mio stordimento

Sentivo il vento mulinare nei capelli
E la sabbia entrare secca nella bocca
Poi negli occhi son fioriti melograni
E sulla fronte le rose di El-Kelaa

Oltre i mandorli ho visto il giorno
Morire in un tramonto a Ouarzazate
Nel sangue del sole che colava
Sui muri d’ocra di splendide kasbah

Dalla bella Ouarzazate, oltre le mura,
Si lancia il vento sassoso tra colline
Rincorre l’uadi che limpido risorge
Nell’oasi verde della Valle del Draa

Nell’oasi ho ascoltato la voce dei silenzi
Vestita d’ombra, di luce e d’acque chiare
Parlane nella notte con le stelle
Di lune innamorate e d’immensità

Che fiorisce tra le dune del deserto
Dove la meraviglia danza nei crinali
Tra i segreti di uomini ed animali
Di carovane che vanno a Zagora

Primavere
Oh mio cuore che ascolti
Bisbigliare le gemme sui rami
Risvegliando gli aromi sopiti
Mentre pudico il pesco si veste
Nel tepido lago di sole
D’un incauto mattino d’Aprile

Libera il tuo fiume delirante
D’argento maturo e di oleandri
E con mani di seta raccogli
L’intensità del mio stupore
Per questi cieli abitati
Da sguardi di rondini
E grida di vele che solcano
Il limpido mare del vento

Siedi accanto al mio sguardo
Che vaga sperduto
Nel respiro di colori che palpitano
Tra i pudori di ingenue viole
E sulle labbra voluttuose
Di giovani rose procaci

Oh mio cuore gentile
Deponi sul mio autunno turbato
Un palpito soltanto
Della tua perduta primavera

Piazza Libertà (canzone)
Viaggiare…Viaggiare…
Viaggiare per trovare
Nell’infinito andare
Il gesto che ci manca
La frase sconosciuta
Che dona alla vita
Il gusto del domani
Diverso da ogni ieri
Senza più misteri
Capire ciò che siamo
Amiamo e poi ci odiamo
Perché non sappiamo
Andare oltre il confine
Delle parole vuote
Dei gesti consueti
Con sguardi indiscreti
Che non sanno trovare
L’orgoglio di viaggiare
Senza più infingimenti
Senza piccoli rancori
E grandi tradimenti
Ma con la mano stanca
Portiamo la valigia
Con dentro il dolore
Di una vita grigia
Vissuta inutilmente
Senza capire niente
Nasci e dopo muori
Senza guardare fuori
Dalla tua finestra
Coltivi il tuo orticello
E non vedi il castello
Di meraviglie intorno
Quel mondo colorato
Dove non sei mai stato
E con piccoli pensieri
Tieni prigionieri
I grandi sentimenti
E non saprai mai dire
Ti donerò il fragore
Di questo grande fiume
Che scorre nel mio cuore

La vita è una canzone
La musica è del vento
Le parole son del sole
Che fa nascere dentro
Quel dolce sentimento
Che sa farti capire
Anche nel dolore
Che devi viaggiare
Soltanto con amore

Attraversiamo il mare
Senza saper nuotare
Appesi a quel relitto
Di una coscienza storta
Dentro all’acqua sporca
Dove affiorano relitti
Di sogni naufragati
Reti di pescatori
Che pescano i pensieri
Per fare scatolame
Da vendere a buon prezzo
Al mercato infame
Di “ Piazza Libertà “
Viaggiare per trovare
La forza di reagire
Ad ogni sopruso
Ad ogni sputo in viso
Che quotidianamente
Ormai usa la gente
Al posto del sorriso
Viaggiare per potere
Senza arrossire
Dire con ardore
Ti donerò il fragore
Di questo grande fiume
Che scorre nel mio cuore

La vita è una canzone
La musica è del vento
Le parole son del sole
Che fa nascere dentro
Quel dolce sentimento
Che sa farci capire
Anche nel dolore
Che dobbian viaggiare
Soltanto con amore.

La Dolcezza
Ti avrei amata
Nelle ore malinconiche dei giorni
Inerti e annuvolati dell’inverno
Quando il giglio sotto la neve ascolta
Il canto solitario del cedrone

Con la casta fragranza delle rose
Innocenti e appassionate dell’aprile
E l’ingenuità delle primavere innamorate
Di rondini e di brezze sbarazzine

Ti avrei amata
Nell’arsura dei meriggi addormentati
Nella quiete di borghi senza echi
In estati indolenti e aggrovigliate
Ad ampi cieli e a soli senza meta

Con i colori e i teneri abbandoni
Degli autunni pigri e delicati
Che vagano ai confini delle sera
Nella luce dorata dei tramonti

Ti avrei amata
Ma la tua voce si è perduta
Tra i suoni degli anni senza canti
Negli opachi rumori della vita
Che tacitano la musica e gli incanti.

Il palpito della colomba
Nelle notti dimenticate dalla luna
Quando il buio s’adagia quieto
Tra i silenzi delle foglie
E i sogni dell’usignolo
Tu ascolti il palpito della colomba
Nel fruscio del bosco inesplorato
Parlare alla tua anima fanciulla
Con voce di fragola e di miele

Tu ascolti il palpito e raccogli
I petali dei tuoi teneri baci
Dalla bocca piena di sole
Della tua nitida primavera
Inquieta ed ardente
E segui un viottolo di rose
Dove abbandoni la tua veste bianca
Tra la rugiada dei fiori di lussuria

Volano le rondini dei tuoi sguardi
Dalla penombra del nido delle ciglia
Su grandi ali colme di vento
Abbracciando il canto delle stelle
Nelle notti dimenticate dalla luna
Tra i silenzi delle foglie
E i sogni dell’usignolo.

Notte di luna
“ Dai campi coltivati della luna
scese la luce con le messi in mano
illumino il sentiero e su quel prato
al corpo suo donò il color del grano “

****
Nei giardini delle mani all’improvviso
Sbocciarono le gemme dei suoi seni
Si aprirono come il fior del melograno
Turgidi come l’aria del mattino
Di quelli autunni languidi e dolenti
Che posano sui rami del castano
La malinconia delle foglie cadenti

Si udirono nel buio voci roche
Suoni spezzati e l’ansito dei respiri
L’impeto del sangue e dei sospiri
Salir fremente come sale la marea
Del fiume che prorompe e poi s’acquieta
Sulla corrente s’abbandona e sogna
baciar le verdi sponde, l’acqua cheta.

****
“ Furono discrete e pudiche le stelle
nascosero tra nuvole il brillare
vollero che fosse solo la sua pelle
sotto la luna splendere e incantare “

La gelosia
A volte lancio sguardi controvento
Per frugare dentro stanze chiuse a chiave
A lucidar vecchi dolori e un sentimento
Che ferito non riesco a risanare

Nascoste nei cassetti le parole
Taciute per orgoglio o per pudore
Le mischio coi rimpianti per capire
Ragione del morir di un grande amore

Forse io non compresi quella sera
Che quel fuggir d’allodole nel cielo
Fu per la gran perfidia di Megera
Che l’alba soffocò poi con un velo.

Il mio credo ( Storia di Mario )
Era Mario un uomo come tanti
Signore senza case e senza terre
Vissuto in povertà tra le due guerre
Con grande dignità senza fiatare

Diceva che un suo gioco da bambino
Era tuffarsi in acqua per stranire
I morsi della fame e poi lottare
Contro sette fratelli quando a casa
C'era un po' di cibo da mangiare

Entrava dalla porta della scuola
E si calava giù dalla finestra
Risolvere il "problema " era riuscire
A rimediare un piatto di minestra

Poi la vita magra da portuale
Portava a spalle il sacco da quintale
Giù dalla stiva sino alla banchina
La schiena rotta che faceva male
Fino a che stremato una mattina
Finì quasi morente all'ospedale

Credo in quelli come Mario, senza niente,
Signore senza case e senza terra
Tornato partigiano dalla guerra
Lotto tre anni da disoccupato
Sempre alla ricerca di un domani
Fece mille mestieri mal pagato
Tre figli da sfamare nelle mani

I "cristi " come lui hanno vissuto
Nel raggio di un chilometro quadrato
Pur nella povertà hanno trovato
La dignità ed il senso dello Stato

Non ha mai detto una sola parola
Contro il destino o la mala sorte
Dell'onestà fece la sua bandiera
La tenne in alto sino alla sua morte

Ai giusti come lui lascio il mio canto
Per lui negli occhi miei si scioglie il pianto.

Ho scritto questi versi per onorare il suo ricordo e quello di tante donne e tanti uomini
Italiani che , pur nella povertà e nella grande semplicità della loro esistenza, hanno saputo
vivere con grande dignità e alti valori morali
Il loro esempio mi è di conforto nella speranza che l'Italia di oggi, così miseramente
degradata,ritorni ad essere, presto, quel grande Paese che la sua storia e molta parte
del suo popolo ancora meritano.

La bufera
Il vento è un focoso destriero
Galoppa nel cielo sfrenato
Rincorre vestite di nero
Le nuvole ormai senza fiato

Raggiunte le fa spettinare
Scompiglia le teste ricciute
Le spinge e le fa piroettare
In magiche e ardite volute

Queste allora molto impaurite
Si stringon tra loro piangendo
Ma non ama il cielo bagnato
Il tuono e le sgrida dicendo

Con voce stentorea e potente
“ Attente si può scivolare,
se cado, faccio presente,
un fulmine mi può scappare “

Chiede al vento di andare più forte
La bufera che si diletta
Con la chiave da una cassaforte
Tira fuori una bella saetta

Nel cielo c’è gran confusione
Le nuvole piangon a dirotto
Il tuono è un gran brontolone
E il bosco si bagna lì sotto

Gli animali non sanno che fare
Nelle tane tutti impauriti
Non potendo cercar da mangiare
Si asciugano intanto i vestiti

Scocciato il sole interviene
Lui non ama la confusione
Vuole in cielo persone per bene
Chiede a tutti più educazione

Allora il vento scappa veloce
Il tuono parlotta lontano
Il sole asciuga le lacrime
Delle nuvole con una mano.

Grand Maghreb
Sulle colline d’Africa
Primavera avanza
Nei cieli del Maghreb
Una nuova luna danza

Maturano sulle palme
I frutti del dolore
Del sangue dei suoi figli
Han lo stesso colore

Riposano le salme
Guardando verso il mare
Gridano dalle fosse
“ E’ tempo di cambiare “

Il vento che accarezza
Le dune del Sahara
Ridona la freschezza
Ad ogni vita amara

Grida il tuo nome Africa
Possente come il sorriso
Delle tue genti libere
Che illumina il tuo viso

Di spezie l’aria profuma
Di lacrime e speranza
Nei cieli del Maghreb
Una nuova luna danza.

Il volo
Sul davanzale azzurro
In cima alla scogliera
Fiorivano paesaggi
Di vento e di gabbiani
E si vedeva il mare coltivare
Su rocce levigate e tra gli scogli
Bianchi fiori nei giardini d’onde

Lungo l’erta che saliva con pudore
L’uomo lasciò cadere sul sentiero
Pensieri che ferivano il tramonto

Sulla vetta raccolse gli sguardi
E li gettò a rinfusa sui ricordi
Non si accorse del sole che cercava
Di porgergli due ali per il volo

Poesiola per Giuseppe ( 4 Marzo 2011 )

Oggi Giuseppe ha nove anni
Vorrei essere nei suoi panni
Poter tornare ancora piccino
Libero e allegro come un uccellino

Un uccellino che vola lontano
Che vuol giocare e mi prende per mano
Mi porta nel mondo della fantasia
Dove ogni cosa può essere mia

Ma per averla bisogna sapere
Che prima del gioco viene il dovere
Essere buoni e voler studiare
Perché mille cose bisogna imparare

Chi studia ed impara è intelligente
Apre il suo cuore, apre la mente,
Capisce cosa si deve fare
Per esser felici e farsi amare

Studia Giuseppe, ma oggi vola,
Perché la vita è una sola
A nove anni bisogna giocare
Come un uccellino saper volare.

Nonno Giuseppe

Se dovessi io ...
Se dovessi io lasciar le sponde
Della mia terra tanto amata e cara
Porterei con me tra quelle onde
Soltanto il corpo d’una vita amara

Porterei la carne, le ossa e il sangue
Le grida degli sguardi disperati
Sul porto lascerei l’anima esangue
Morire in quel girone di dannati

Quando vedrei le palme scomparire
E andar mi troverei verso l’ignoto
In quel momento io vorrei morire
Perché niun luogo mi sarebbe noto

Genti di ogni colore che venite
Vestite di speranza e di dolore
Quanta disperazione voi portate
Nei cuori dilaniati di ferite

Ferite che nessuno può vedere
Che bruciano nel petto e nelle vene
Solo chi lascia i figli può capire
E donne amate non poter baciare

Vi sia lieta la sponda e quelle mani
Che vi aiuteranno a risalire
Da quelle barche e verso un domani
Che dia luce alla vita e al divenire

Cos'è la poesia?
Ho cercato di capire cos'è la poesia
Ho fatto un lungo elenco
Per scoprire cosa sia

Cosa sei Poesia?
Sei lo specchio del sentire
Un messaggio da capire
Vocazione da seguire
Esercizio di un bel dire
Una voce interiore
Un grido di dolore
Dolce palpito del cuore
La speranza che non muore
Una dea capricciosa
Il profumo d'una rosa
Una madre pietosa
Una figlia affettuosa
Una sposa discreta
Un'amante segreta
Un anelito di pace
Una voce che non tace
Un dolore forte e muto
Un bisogno d'aiuto
Le lacrime di gioia
Il rimedio alla noia
Sospiro degli amanti
Una danza di baccanti
Il vezzo di un capriccio
Un inutile impiccio
Un flebile lamento
Una pioggia controvento
Una vela tesa al vento
Una candela accesa
La preghiera in una chiesa
Una segreta voglia
Un'anima che si spoglia
Un sogno tormentoso
Un'oasi di riposo
Un concerto di violini
Il sorriso dei bambini
Desinenza di vocali
Una danza di vestali
Verità da non tacere
Perfezione del sapere
La presa di coscienza
La dea della sapienza
Rifugio della solitudine
Una splendida abitudine
Giorno di malinconia
Il più bel dono che ci sia
Una spada per colpire
Una forma del capire
Una strada da seguire
Una voce da ascoltare
Una zattera sul mare
Un lasciarsi come andare
Una mano che ti aiuta
Una bella sconosciuta
La luce di un faro
Il rumore d'uno sparo
Una musica celeste
Primavera che si veste
Un'aurora boreale
Sensazione che fa male
Un capriccio che ti piglia
Una grande meraviglia
Una frusta che ti striglia
Il calore d'un abbraccio
La tristezza d'un pagliaccio
Acrobazia d'un bel pensiero
Un difficile sentiero
Cassaforte dei tuoi sogni
Altoparlante dei bisogni
Luce della fantasia
Voglia di scappare via…..

…..e per giorni potrei dire
ma non so proprio capire
dovevo nascere poeta
ed avere quel sentire.

Il sacrificio
Ripide pareti rocciose si arrampicavano verticali
Scalando l’aria pungente del mattino

Ossa di secoli affioranti dalle fosse della storia
Dimenticate da un’eternità distratta
Sole, a ricordare paesaggi remoti

Lassù, sopra uno spuntone sospeso
Dove sul muschio la paura cova l’angoscia dell’abisso
Si posava l’aquila

Brandiva spade di sguardi lucenti
Spaventando nuvole codarde in fuga
Disertando il cielo

Fu la scia d’un fragile volo a punteggiare l’aria
E tenere, piccole piume a volteggiare ormai vinte,
Verso l’ultimo nido

L’ora raccolse il sangue e l’offerse al sole.

Alla mia sposa
Quello che io vedo con i miei occhi
E quello che alle donne sento dire
Di queste storie tristi, così amare,
A quelle come te mi fa pensare

Oh amore mio tu non devi temere
Non voglio certo io paragonare
A quelle donne facili e leggere
Il modo tuo di vivere e pensare

Ma tu da qual pianeta sei caduta
Qui sulla terra per la mia fortuna
Forse vieni da Giove o dalla Luna
Ancora come te ce n’è qualcuna?

Io credo che ce ne siano tante
Che han grande dignità, talento e onore
Che non vendono il corpo e fan le sante
Ma pensano al lavoro e al vero amore

Tu hai limpido lo sguardo ed il sentire
Bella allo specchio ed all’occhio mio
Hai grande umanità ed un capire
Che accanto a te mi da sentire un dio

Amo di un amor intenso e vero
La tua bellezza fine e riservata
La grande coerenza del pensiero
Il tuo dire diretto e assai sincero

Non voglio usar parole o frasi alate
Non ami tu sofisti e bizantini
Ami persone serie e riservate
Quelli che ascoltano e poi ti stan vicini

Ora che il tempo la passion riduce
E grande e vero amor è il sentimento
Per noi ora la strada ci conduce
Verso serenità e discernimento

E’ sempre bella la vicenda umana
Insieme a te, nulla l’ha mai scalfita
Qualche litigio non è cosa strana
Nelle tue mani hai tutta la mia vita.

Meriggio
Le rose selvatiche si schiudevano
Avvinghiate
Al calore secco dei muri
Nella calura di quei meriggi pigri
Che incatenano le ore al torpore degli ozi
Mentre il silenzio si riposa nei coni d’ombra
Dimenticati dagli alberi sull’erba

In quell’ora sospesa
Che volge il sogno alla malinconia
Il battere dei tuoi passi
All’unisono coi battiti del cuore
E i tuoi capelli sciolti,sull’uscio, in trasparenza

I nostri corpi mostravano paesaggi
Quando nella penombra ci sorprendeva
Soffice la sera.

La solitudine dell’angelo
Solo nella notte
Guardiano attento e muto
Lassù sul campanile
C’è un angelo “caduto”

Reo d’aver tradito
Le regole del cielo
Lui deve come pena
Soffrir di caldo e gelo

Vietato gli è parlare
Con le stelle brillanti
Che stan mute a guardare
Fredde come diamanti

Osserva triste la vita
Sbirciando alle finestre
La gente allegra e unita
Che brinda nelle feste

Con la pioggia confonde
La sua malinconia
Son lacrime profonde
Che il vento porta via

Ma un giorno un uccellino
Si posa sulla spalla
Allegro e canterino
Tondo come una palla

L’angelo gli sorride
Si guardano negli occhi
Parlano della vita
E ridono come sciocchi.

( Nel cielo di ogni solitudine vola un uccellino)

Primi albori
La laguna osserva
La notte che si spoglia
Toglie il manto nero
Un poco controvoglia

Ondeggia lievemente
Nell'aria come foglia
Una bruma leggera
Così alla prima luce
Una magica atmosfera
L'aria immota rende
Mentre dal cielo scende
Una luce azzurrina
E all'orizzonte appare
Solo d'alba vestita
Timida la mattina

Le isole si svegliano
Al suono di campane
Larghi spazi d'acqua
Le fa sembrar lontane

Si spengono i lampioni
In calli ed in campielli
Tubano sui cornicioni
Colombi i ritornelli

Il primo vaporetto
Traccia una scia sul mare
Per non scordar la strada
Quando deve tornare

Naviga tra isolotti
Sbarcando pendolari
Che l'ora mattiniera
Di "ciacole" fa avari

Sulle barene asciutte
Nascosti tra i canneti
Gabbiani scuoton l'ali
Si svegliano irrequieti

Offrono il petto al vento
Per districar le piume
Attenti alla marea
Che sale come un fiume

Dispiegan poi le ali
Puntando verso il mare
Come angeli bianchi
Che han voglia di volare

Venezia da lontano
Guarda divertita
E assieme alla laguna
Prosegue la sua vita

Acqua alta a Venezia
Il lido di Venezia
Al mare fa barriera
Per non sciupar la Rosa
Con l’onda forestiera
Che si deve fermare
Con grande rispetto
Quando la laguna
Presenta al suo cospetto
La grande meraviglia
La “ Rosa Regale “
Seguita dallo strascico
Del suo Gran Canale
Quell’esse capovolta
Che abbraccia dolcemente
Chiese, case, palazzi
E tutta la sua gente
La strada più armoniosa
Che l’uomo abbia ideato
Genialità ed orgoglio
Del suo grande passato

Ma il mare innamorato
La vuole conquistare
E un po’ sconsiderato
Continua ad avanzare
Col vento di scirocco
La cinge da ogni lato
Allunga le sue braccia
Anche sotto il selciato
L’acqua gorgoglia e sale
Fa tutto galleggiare
Lei nobile ed altera
Si fa solo specchiare

Il mare si confonde
Dalla doppia bellezza
Timidamente alla onde
Ordina una carezza
Poi mesto e intimorito
Si gira lentamente
Ritorna nel suo sito
Seguendo la corrente.

Il Sile
Nel silenzio ascolto il bisbigliare
Dei salici protesi sulle sponde
Penduli rami vedo accarezzare
Limpidi gorghi che giocano con l’onde

Sile che osservi nel tuo peregrinare
Crescere il grano nei campi coltivati
Chiederti vorrei se ricordare
Ti puoi d’un bimbo correre sui prati

Sui prati e tra gli alberi giganti
Agli occhi suoi, immenso tu sembravi,
Ancor odo trillar nell’aria schioccanti
Grida d’uccelli, voci di naviganti

Su argini pietrosi e tra gli spazi
Donne ricurve su tavole a lavare
Risento le lor risa e il chiacchierare
Tra l’acqua che rimbalza in mille spruzzi

Grandi barconi con tolde a ricoprire
Case da fiume, famiglie naviganti,
I figli dei barcari immobili a stupire
Di uomini e paesaggi che sfilano davanti

Reti di pescatori rivedo volteggiare
Nell’aria azzurra e in tonfo ricadere
Con suono opaco quasi a non turbare
Le fresche prede libere ed ignare

Guardandoti ritrovo quella pace
Da quel cuore di bimbo ormai lontana
Risento quella voce che ora tace
Mia madre che dai campi mi richiama

Ti guardo e provo una gioia infinita
Ancora ti accarezzo con la mano
Tu scorri e con te scorre la mia vita
Verso un approdo che spero lontano.

A Francesca
Eri nel grido di tua madre
frutto invocato
del suo ventre fecondo
Eri nelle sue lacrime
cadenti sul mondo
calde, generose,
nelle sue grida pietose

Eri nel rotondo
sole che scendeva
Eri nell’aria
fresca della sera
Nel fremito tenace
della rosa che s’apre
avida alla rugiada

Eri negli angoli bui
di ogni strada

Eri nel soffio del vento
che gonfiava
della vela l’arco maestoso
Eri nel volo d’un gabbiano
che tornava
lento al suo riposo

Eri nelle voci della notte
che parlano alle stelle
nel silenzio della luna
nelle mille cose belle
che per te immaginavo
mentre tu nascevi
mentre io pregavo
con il cuore tremante

La tua carne nascente
La tua anima viva
La mia vita futura.

La bella stagione
Era la “Bella Stagione”
Divampavano fuochi e la foresta
i nostri occhi accesi nascondeva
divorati dai desideri.
Il rosso fiore della speranza
tra le foglie
caro all’uccello mattutino
Obliavamo il passato
e l’avvenire
lambiva ogni mattino
i nostri letti profumati

Come dardi infuocati
accendevano la notte
i nostri amori
Tumide labbra
bisbigliavano sogni
da brezze leggere
nell’aria sospesi,
splendevano appesi
a tremule lune.

Nelle spiagge assolate
sulle fragili dune,
il calore del sole
nel sangue pulsante
scioglieva i pensieri
in piccoli frammenti
Salivano leggeri gli aquiloni
nel mezzodì abbagliante

Era la Bella Stagione
Era della semina l’istante.

Poi il giorno espose le sue bandiere di luce
Il vento canto la sua melodia
Silenziose scivolarono le barche
Una fanciulla ci sorrise e fuggì via.

Tramonto sul mare
Il sole al tramontare
Scende lentamente
Nell’acqua del mare
Fresca e sorridente

Nel toccarla s’eccita
Diventa rosso fuoco
Ma l’acqua “navigata “
Finge di stare al gioco

Lui sempre più eccitato
La bacia a fil di mare
E i pesci un po’guardoni
Stan zitti ad osservare

Mille colori ha il cielo
E l’aria in passeggiata
Si ferma ad ammirare
Stupita e trasognata

Sul filo d’orizzonte
Le vele fan l’inchino
Come le suore in chiesa
In fila a capo chino

I gabbiani sulle bricole
Continuano a parlare
Di voli Pindarici
Non pensano a tornare

Vogliono godersi
Il vento che rinfresca
E salutar le barche
Che tornan dalla pesca

La sera ha già capito
Ch’è tempo di tornare
Si mette un bel vestito
Per farsi ammirare

E mentre il sole scende
Scende anche la sera
E l’uomo onesto e giusto
Nel dimani spera.

Il giorno
Scende veloce dal cielo
il Giorno che s'è risvegliato
portando coperto da un velo,
in un cesto, il manto stellato

La Notte ch'è puntigliosa
riconta assieme alla Luna
le stelle nel cesto,dubbiosa,
ne possa mancare qualcuna

Il Giorno regala al Mattino
un'aurora ed un'alba rosate
e col Sole che fa capolino
riscalda le terre gelate

Passa il Vento ch'è innamorato
dell'Aria che fa la smorfiosa
nel giardino a volo spianato
raccoglie un profumo di rosa

Al viandante che al bordo dei fossi
timoroso riprende il suo andare
mostra tutte le curve ed i dossi
e sereno lo fa camminare

Ogni uomo saluta e da esperto
col suo fare gentile ed aperto
mostra a ognuno il giusto cammino
nel sentiero del proprio destino.

Il barbone
Un uomo giace per terra
accartocciato
sul gradino d'un ponte

La gente passa voltando la testa
e mormora vaghe parole di sdegno
Ma egli non sente,riposa beato,
quell' uomo solo, accartocciato
Solo i vestiti in terra ha lasciato
all'esecrabile umano ritegno.

Ha preso l'anima e se n'è andato
In un mondo più degno.

NEL CIELO DEI BARBONI

Nel cielo dei barboni
In un luogo speciale
C'è un grande castello
Con duecento sale

Le camere arredate
Con letti a baldacchino
Han morbide lenzuola
E un soffice cuscino

Gli armadi sono pieni
Di abiti sartoriali
Vestaglie e camice
Son di sete orientali

Le scarpe sono inglesi
Di cuoi lavorati
Fatte su misura
Per piedi delicati

Le stanze da bagno
Han l'acqua profumata
Si può restare a mollo
Un'intera giornata

E poi gli asciugamani
Morbidi e profumati
E per curar le mani
Strumenti delicati

Gli shampoo a bollicine
Tutte colorate
Fan splendidi i capelli
Le teste profumate

I barboni son contenti
Son belli i loro visi
Quando dalle barbe
Fanno uscire i sorrisi

Li avevano nascosti
Nessuno li voleva
Che fossero sulla terra
Nessuno lo sapeva

O forse preferiva
Fingere di niente
Perché le genti povere
Non piacciono alla gente

A quella certa gente
Povera veramente
Povera nel cuore
Povera nella mente.

L'abbandono
Un grido scagliato
meteora di lacrime
precipita lo spazio
dello smarrimento
Percuote le ossa
la carne e insegue
sino al delta delle vene
il sangue che si fa neve.

Cercherò un silenzio
dove celare le parole
E un dedalo di giorni
dove smarrire
il suono della tua voce
Dal lago prosciugato
dei tuoi occhi assenti
raccoglierò gli sguardi
E coprirò con foglie
le tue orme leggere
nei sentieri deserti
della tentazione
Non mangerò più il pane
delle tue carezze
quando la notte coprirà
le tue braccia
di stelle e di pianeti
E dalla coppa dei tuoi seni
volerà
con un battito d'ali
il mio respiro.

Velocità
Al bivio della mente
dove incrociano le emozioni
s'apre ampio e profondo
il rettilineo del cuore

Ad inseguire i sogni
ho lanciato le passioni
a velocità proibita
Falsata la prospettiva
ho rischiato la vita
perdendo la visuale
del margine laterale.

                                   Amor sincero

                                    Ruberò il tuo tempo                         ma con grande rispetto
                                    per un solo istante                           per chi è più titolato
                                    per dirti un pò tremante :                  a chieder la tua mano
                                                                                         Quelli sono Giganti
                                    Amore mio Ti amo                           io sono solo un nano
                                                                                          Loro ti offrono rose
                                    Da molti anni ormai                          io ho solo margherite
                                    te lo volevo dire                                però sono sbocciate
                                    temevo di soffrire                             in un prato soleggiato
                                    guardandoti negli occhi                    ora chiedo un favore
                                    cogliendo nel tuo sguardo                di appuntarle al petto
                                    stupore e indifferenza                       ad un " calar del sole "
                                    per la mia impudenza                       per il tempo di un sogno
                                    per il solo pensare                           sarai la mia " donzella "  
                                    di essere vicino                               so che per farti bella  
                                    io così piccino                                 servon ben altri fiori
                                    alla tua eleganza                              più profumati aromi                                   
                                    all'essere tuo nobile                          più vividi colori
                                    nel volto e nel pensiero                     ma lasciami ti prego
                                    al garbo d'ogni gesto                        questo sogno segreto
                                    all'incedere tuo fiero                         non chiedo il Tuo amore
                                                                                          non d'esser solo mia
                                    Con te sarò sincero                         chiedo la tua Amicizia
                                                                                          dolcissima POESIA
                                    ho avuto altri amori                         
                                    ma ora che gli ardori                      
                                    si sono un pò assopiti                      
                                    ho tempo di riflettere
                                    sulla vita passata
                                    mi accorgo con dolore
                                    di averti trascurata
                                    Ma ora come vedi
                                    riesco a dirti : T'Amo
                                    ho trovato il corraggio
                                    nel sito di " Poetare "
                                    leggendo quel messaggio
                                    che incita a provare
                                    a dire ciò che senti
                                    a mostrar la carne viva
                                    i veri sentimenti
                                    ciò che la natura
                                    ti ha messo dentro al petto

Venezia
Il ponte lagunare
è il gambo di una Rosa
sbocciata in mezzo al mare
e petali son sparsi
intorno quasi a caso
silenti e ricamate
da case a da campielli
le isole di raso

Un intrico di petali
che forma il Gran Bocciolo
si abbraccia con i ponti
creando un ghirigoro
di splendidi canali
un labirinto d'acqua
dove lo sguardo annega
colpito da un'incanto
che l'anima ti strega
mostrandoti i palazzi
le cupole dorate
le chiese addormentate
accanto ai campanili
che battono rintocchi
di monito ai passanti
perchè nulla si tocchi
e conservare intatta
la magica atmosfera
che si respira a sera
quando spunta la luna
e parlano i fanali
sotto la luce fioca
di storie medievali

Quando ogni luce è spenta
la Rosa si addormenta
sotto a una coperta
di secoli e misteri
di arte e di bellezza
oggi uguale a ieri.

Scivolando
Scivola il giorno cadendo dal letto
apre un sol occhio e guarda sospetto
tutte le cose che aveva lasciato
vuol essere certo d'aver ritrovato

Poi scivola ancora lungo le ore
lavora sodo e fa anche all'amore
aspetta la sera ed in compagnia
del suo amico Tramonto se ne va via

Sorride schiva la sera incantata
Dal cielo scivola ed accende i fanali
copre le case con seta argentata
rimbocca le barche lungo i canali

La notte scivola nel cielo stellato
incontro al giorno che sta riposando
cavalca la luna e galloppando
parla alle nuvole che son senza fiato

La neve scivola sulla montagna
addobba gli alberi come a Natale
in cerca di cibo gentile accompagna
cerbiatti che scendono lungo il crinale

Le onde pettegole van a raccontare
alla barca che scivola in mare aperto
che quella notte avevan scoperto
il luogo ove i pesci vanno ad amare

Scivola il remo con cadenzato
tempo di danza nell'acqua curiosa
che luccicando osserva il creato
e col riflesso copia ogni cosa

Scivola lesto un pensiero ardito
all'innamorato che bacia il suo amore
la mano scivola dentro al vestito
tocca un bocciolo che si fa fiore

Il tempo scivola lungo la vita
portando nel sacco dell'emozione
gioie dolori ed una canzone
che canta dell'uomo la storia infinita.

La pioggia
Al temporale che viene
la luce del lampo trattiene
un breve istante soltanto
nell'aria il fruscio d'un pianto

La pioggia che parla da sola
vociando tra rami di pesco
bagna la luna che vola
ammanta la siepe di fresco

Rifugio di fronde lucenti
si fiondano uccelli tra i rami
le gocce giocando irridenti
negli alberi tesson ricami

Il vento come un titano
scompiglia le nubi arrabbiate
che versano grandi secchiate
alla strada che fugge lontano.

Le ciminiere
Alte ciminiere,fumano solitarie,
nel silenzio della gronda lagunare
il quotidiano grigio umore di operai
disperdono nel vento, verso il mare

Fuligini di giorni e di fatiche
si mischiano nell'aria a disegnare
tristi paesaggi che avvolgono le vite
nel faticoso e mesto lavorare

Son uomini e donne sospinti
fragili vele nella spumosa china
dal mareggiare che indifferente trascina
l'onda capricciosa della vita.

Divisi ed estranei
Come un postino discreto
il sole ha infilato
bianchi fogli di luce
tra le imposte

Già lontana è la notte

Le tue labbra saziate s'aprono
in un breve sorriso
Le tue membra
in placido abbandono
alla tenue luce offrono
una felicità sconosciuta

Amica, questo sole ci rivela
la notte che noi ricorderemo
ad ogni alba futura
quando ci troveremo
divisi ed estranei
al nuovo giorno.

Creola
Le tue mani,le tue mani di creola
annodano sapienti i miei pensieri
legandoli alla matassa
del tuo cuore di lana

La tua bocca, la tua bocca di creola
ricama nel silenzio corpetti di parole
perch'io mi riscaldi
nel buio della notte

I tuoi occhi, i tuoi occhi di creola
scrutano luminosi gli abissi segreti
dove pavida si cela
la mia solitudine.


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