Ragazzi di Santa Marta
Trasfigurati, nel mite bagliore della nostra fanciullezza
Correvamo attorno a palazzoni anonimi, sbrecciati
In quel rione chiuso, insaccato contro le mura del porto
Oltre il quale si snodavano, intrecciandosi
Arruginiti binari, vagoni sgangherati mezzi vuoti
E attonite gru immobili, contro il cielo.
Lontano, il cuore della città non aveva palpiti
Per la nostra, ilare, spensierata povertà
Ma noi giocavamo ignari, nei nostri abiti lisi
Indifferenti ad ogni altra, diversa realtà
Fieri del nostro complice appartenere a quel mondo
Che rinasceva, faticosamente, dalle macerie della guerra
Con l'avido desiderio di trovare nella comune appartenenza
La solidarietà che ambiva ad una dignità nuova
In quel rione diverso, di larghe calli dissestate
Senza canali, senza barche che si specchiano mute
Nell'acqua verdastra
In quel angolo di Venezia chiuso come un pugno
Solido come un cuore venoso e pulsante
Siamo cresciuti con la furbesca umiltà
Di ragazzi liberi e scanzonati
Capaci di cogliere con sguardi attenti, maliziosi
Ciò che, indispensabile, dell'umana esperienza traspare
Dai gesti consueti, dai sorrisi furbi od innocenti
E l'ambizioso, diurno scrutare ci aiutava
A sfogliare i petali di quel fiore che cresceva
Bisognoso di soli e di rugiade
Nel prato della nostra esistenza.
Semplice, disincantata nostra fanciullezza
Nell'odore salmastro che il vento raccoglieva
Dalla laguna, dall'ondoso Canale della Giudecca
E trasportava sino ai campielli dove giocavamo spensierati
Sino a sera, quando dal porto tornavano
Inpolverati e stanchi, gli scaricatori.
Santa Marta : In quella scuola operosa, aperta
Senza pareti, affacciata sui cortili della vita
Noi ragazzi attenti, scaltri, con ingenuità e malizia
Abbiamo appreso la lezione fondamentale
Che l'amaro sapore delle privazioni
Il sottile dolore delle infantili sopraffazioni
Sanno recitare con voce aspra, disinvolta
Priva d'ogni indulgente flessuosità.
Ci siamo nutriti di piccole umiliazioni
D'ironia, del bonario sarcasmo delle risate sfottenti
Di gioiosa incoscienza e matura consapevolezza
E nel quotidiano confronto imparato
Ad assimilare con naturale semplicità
Il valore, inossidabile, dell'amicizia
Della rivalità leale ed onesta.
In quel rione chiuso, insaccato contro le mura del porto
Il vento salmastro, ora, circonda i palazzoni
Imbellettati di coloni nuovi, vivaci
Quasi alteri nella loro modesta, popolare silhouette
E sfiora ragazzini che passano frettolosi
Assorti nei giochi dei loro telefonini, degli smartphone
E svaniscono veloci in un silenzio radente, senz'anima
Estraneo a chi nelle voci, nei suoni, nelle grida
Sapeva riconoscere le sonorità, gli stridori, le armonie
D'una comunità che partecipava con pietosa umanità
Al dipanarsi d'un comune destino.
Ma ogni generazione intona con proprie vocalità
L'inno che canta l'umana vicenda
Nell'applauso delle gioie
Nello smarrimento del dolore.
Caro Carlo,
Oggi è stata una bella giornata
Ho ammirato preziosi gioielli
Ho pure fatto una scorpacciata
Di vera poesia, di versi assai belli
I gioielli si vede così chiaramente
hanno la luce di gemme perbene
Con quei colori che limpidamente
Emana chi ha avuto un cesellatore
Che limpido ha il cuore ed il pensiero
Un grande poeta e un uomo vero.
Tepido profumo d'estate
Scaglie d'argentei bagliori
Si posavano sui rami, tra le foglie
Di alberi incantati
Dal sorriso della luna
Diafani sguardi d'assorte stelle
Intenerivano ombre timorose
Celate nel buio tra i cespugli
Tra gl'irti rovi, ai margini
Del sentiero che moriva
Dove s'ergevano, scapigliate
Dune di sabbia ed erba secca
E, oltre i cancelli corrosi
Gialli prati di rena correvano
Liberi, incontro al mare
Bianche lingue di spume
Rincorrevano sino all'orizzonte
Il respiro profondo delle onde
Ed erano fioche luci
Di lontane lampare
Tremuli palpiti della notte
Nell'aria e nel silenzio che sfiorava
Le vele di barche assopite
Vagava un tepido profumo d'estate
La sua voce... un sussurro
Miele per l'arnie del cuore
Febbre al mio sangue inquieto
Il suo corpo
Conchiglia di madreperla
Quella notte liberò tutti i suoni
Le voci, le musiche del mare
Commosse, si nascosero le stelle
Col drappo rosa di un'alba gentile.
Vorrei incontrarti
Vorrei incontrarti, oltre
La soglia del dolore
Dove l'acqua dei fiumi impetuosi
S'acquieta
E negli aperti spazi ricompone
Azzurri laghi di quiete
Dove il sibilo del vento
Che turbina le parole amare
Si fa docile brezza tra le foglie
Tra il grano ridente nell'estate
Vorrei incontrarti, oltre
Il fragore delle cascate
Delle fredde acque fruscianti
Che scavano sulle rocce nude
Dolorosi canti
Oltre i torbidi acquitrini
Le cupe acque stagnanti
Dove la follia dei temporali
Abbandona, con le piogge,
Trepida, l'eco dei pianti
Vorrei incontrarti, oltre
Le vorticose correnti
Degli sguardi ostili
Che disegnano sui verdi prati
Inverni nevosi e desolati
Oltre la fredda voce dei silenzi
Che risuona, nelle stanze
Vuote, con cupi accenti
Vorrei incontrarti
Negli alti pianori assolati
Dove i verdi pensieri
Odorano d'aranci
E raccontano di tenere estati
Innamorate di soli ardenti.
Essere o non Esse
(Sono Sempre Stato Sognatore)
Quando il sangue più non potrà
Nelle mie vene
Sorridere ed accarezzare il cuore
Raccoglierò i miei sogni, le mie pene
E attenderò quel rintoccare d'ore
Le pene, mi sarà facile trovare
Nascoste nell'ombra del dolore
Ai sogni, tra le nuvole a parlare
Dirò ch'è giunta l'ora di partire
E' vero, sono stato un sognatore
I sogni miei han sempre avuto l'ali
Al buio scrivevano nei cieli
Sui muri della notte, madrigali
Andrò lassù, con loro, per cercare
Un angolo tranquillo tra le stelle
Dove poter agli astri raccontare
Della nostra vita, le storie più belle
Carpe Diem
Quando ti vidi, era la prima volta
I capelli raccolti da un rosso nastrino
Camminavi tranquilla, la faccia rivolta
Al tepido sole di un dolce mattino
Tra mille ragazze che avevo incontrato
Baciate dal sole, nei lieti mattini
Solo il tuo bel volto mi aveva donato
Un fremito al cuore, passando vicini
Non t'ho più incontrata; la strada è la stessa
Meno tepido è il sole, e gli allegri mattini
Son lontani ricordi, e la mia promessa
Di cercati, ho scordata nei bui vicolini
Della vita, ove spesso, incauti, perdiamo
Gli amici, gli amori, ciò che più amiamo.
Coronavirus
( 2° pensierino in versi )
Io non ho tante certezze
Che esista un Dio, un Signore
Ma ho certezza, che non muore,
Delle umane nefandezze
C'è chi dice, e lo rispetto :
" E' un castigo del Signore "
Che davanti a tanto orrore
Manifesta il suo dispetto
Io, invece, che non ho fede
Penso che un Dio, un Signore
Ch'è bontà, che tutto vede
Non può dare un tal dolore
Se noi siamo sue creature
Che Lui ama teneramente
Non inventa certe sciagure
Per punirci, orribilmente
Vuoi che dopo aver creato
L'universo e le sue stelle
Come un dardo infuocato
Lanci un virus sulla pelle
Degli umani peccatori
Che, comunque, gli son figli
Anche se son traditori
Del suo Verbo, dei consigli ?
Io non credo, anzi son certo
Sia l'uomo ad aver creato
Col suo viver sciagurato
Tutto il male. E lo sconcerto
Di chi ha fede, sia consolato
Da una certezza, mica male :
Chi ha vissuto nel peccato
Avrà una eternità " Infernale "
Coronavirus ( pensierino in rime )
Quanto accaduto al Paese intero
E', forse, un castigo della natura ?
Che si ribelli, non è un mistero
Se la si ferisce, se non la si cura
Oppure, la colpa, è dell'inadeguato
Sistema sociale della Sanità
Alla quale, i politici, hanno rubato
Per anni risorse, in gran quantità ?
Rubato risorse, chiuso ospedali
Dei territori hanno fatto deserti
E per gestire tutti i nostri mali
Ogni Regione ha propri esperti
Infatti, ognuna, segue la sua strada
Ognuna applica il proprio sistema
Se non Ti va bene, male che vada
Chiama il privato... è forse un problema?
Tagli alla Ricerca, alla Sanità
Tagli alla Scuola, a chi meno ha
Poi spendono il triplo per rimediare
Dimenticando chi, intanto, muore
Muore la " gente " ; ma la coscienza
Di chi maneggia questa Sanità
Non sente rimorso per la sofferenza
Le, colpevoli, morti, per il male che fa ?
Le leggi son fatte non per " risparmiare"
Ma perchè il popolo ne possa gioire
La vita, di tutti, possa migliorare
Per un vivere degno, e...un degno morire.
P.S. :
Voliamo su Marte, ma esiste ancora
Chi pratica, orribili, usanze tribali
Il giro del mondo si fa in qualche ora;
Sarà un lampo infettarsi di certi mali
(oppure No ?)
Venezia al tempo del Corona Virus
Scivola una gondola, e l'elegante andare
Nell'insolito silenzio, muove allo stupore
Mentre nell'aria s'ode, nitido, un frusciare
Smuovere l'acqua un remo, con pudore
Risuonano le calli di antichi mormorii
Ed echi si rincorrono velati di timore
Svaniti per incanto rumori e strepitii
Solo pulsar si sente un battito di cuore
E quel soffrir della carne, di ogni amore
Ormai scordato tra le pieghe della storia
Che il nuovo morbo ridona alla memoria
E l'anima sorprende, e ammanta di dolore.
Uno strano Natale
Quando mio padre fu richiamato
Scoppiata la guerra, a fare il soldato
Prima di partire ci volle portare
In un paesino lontano dal mare
Dove, fanciulla, mia madre abitava
Verde campagna sulle rive del Sile
Un piccolo borgo che circondava
La bella chiesa e il suo campanile
Il rumor della guerra non si sentiva
Eppure la vita sembrava sospesa
D’angoscia, di fame la gente soffriva
L’imponderabile era sempre in attesa
Venne l’inverno e nelle notti stellate
Luceva il candore dei campi innevati
Nei loro letti, alle donne sposate
Lucevan, nel buio, gli occhi bagnati
E l’acqua del Sile spesso gelava
Attorno le barche a riva ancorate
Dove la corrente si riposava
Sognando arrivasse presto l’estate
La campagna deserta, abbandonata
Velata di brina, sembrava ferita
Un certo rintocco della campana
Era un tonfo nel cuore, persa una vita
E gli alberi spogli tendevano braccia
Offrendo al cielo la loro preghiera
Le donne sole col dolore in faccia
Dentro alle stalle a pregare ogni sera
Nell’aria il silenzio, tacendo, ispirava
Un triste presagio che ci ricordava
Quanto la guerra fosse maledetta
Figlia dell’odio, della vendetta
Così la stradina vestita d’inverno
Un freddo mattino divenne l’inferno
Piena di camion, di motociclette
Di cupi soldati con le mitragliette
Soldati tedeschi in rastrellamento
Di giovani uomini da deportare
Tentarono tutti con grande sgomento
Di salvare la vita, cercar di scappare
Ma zio Agostino restò intrappolato
Nella sua stanza al primo piano
Sentendo il passo, salir, d’un soldato
Mamma lanciò un grido disumano
Mi mise accanto a quella stanza
Mentr’io tremavo dalla paura
Che lui credesse, era la speranza,
Fosse la stanza di quella creatura
Infatti, il soldato mi passò accanto
Pose una mano sulla mia testa
Lanciò un breve sguardo soltanto
Sorrise… e il sorriso ancora resta
Dentro al mio cuore, e sono sicuro
Che quel soldato aveva capito
D’entrar nella stanza non ha voluto
Di far del male non s’è sentito
Forse era un uomo che aveva lasciato
Lontano, lontano per andare in guerra
Un bel bambino da lui tanto amato
Come tutti i padri di questa terra
Certo qualcosa di strano è accaduto
Quella vigilia del giorno di Natale
Umano è il cuore che non resta muto
Ma sceglie il bene e rigetta il male
Fu quella notte che la stella cometa
Un po’ s’è fermata sopra quel paesino
Per poi ripartire verso la sua meta
Dove l’aspettava Gesù Bambino.
Nelle ore di pietra Nelle ore di pietra Vagano silenziosi, nei deserti dell’anima, I miraggi di amori perduti Fantasmi che cercano oasi d’ombra Dove le verità, nascoste, si mostrano Nella loro candida veste Ornata di ricordi, di rimpianto, Di dolore Lo so, tu non puoi sentire Nei gemiti della notte Quel grido, acerbo, che sboccia Tra i fiori del silenzio Quella dolente nenia, che culla L’inesausto mio cuore; Ne ricordare il fiume scorrere lento Sotto i salici ombrosi E il fruscio delle parole scivolare Nel vortice dei baci Ora, tu sei un’ombra inquieta Immemore e inconsapevole Ma se solo tu potessi Con dita sapienti, accarezzare Quella veste bianca e pura, Nelle ore di pietra, Di dolente meraviglia il tuo sguardo Si poserebbe Come un unguento sulle mie ferite E con i fiori del silenzio, una rosa Di purpureo amore, sboccerebbe Nel tuo cuore appassito. Sogno celeste Una notte la luna Stanca di stare Immobile in cielo S’è messa a ballare Ha invitato le stelle A cantare in coro Nel mondo s’è sparsa Una musica d’oro Gli angeli in cielo Da quel canto sorpresi Con cetre e violini Volando son scesi Sui mari e sui monti Fu tale l’incanto Che aurore e tramonti Si sciolsero in pianto Una tenera lacrima Dal colore di giada Si posò sopra un fiore E divenne rugiada Nel mondo fu pace Fu musica e amore Cessò ogni guerra Fuggì ogni dolore. * Mi sono svegliato Era un sogno… soltanto Già spuntava l’aurora Insieme abbiamo pianto Sogno La notte era chiara La luna era bianca Alta nel cielo, pallida, stanca Vagava cercando un luogo ove stare Da sola, in silenzio, a meditare Voleva capire la vera ragione Del solitario suo vagabondare Il senso profondo di sorgere Splendere, e poi tramontare * Nell’ali era nera Nel petto era bianca Alta nel cielo, volava stanca Una rondine sola, verso il suo nido Al sole lontano lanciò un grido : Tu che domini il mondo, mi sai spiegare La vera ragione del mio volare Il senso profondo di dover migrare Di ritornare, e ancora migrare ? * Ho sognato una rondine E una luna bianca Allo specchio ho veduto una figura stanca Un uomo vecchio che non sa capire Perché lui sia nato e perché deve morire. Tu sei … Ancora mille volte E mille volte ancora Cercherò tra le stelle Negli spazi dell’aurora La dolce voce tua Che mi parla d’amore Cercherò il tuo profumo Nei sogni di un fiore Sei la mia forza, sei La mia malinconia Sei vento, io sono foglia Mi raccogli e volo via Nell’ansa del tuo fiume Mi riposerò Nel volo il tuo pensiero Per sempre inseguirò Sei come le cascate Mi empi di fragore Parli come la neve Con pudico candore Nel silenzio delle notti Accendi le parole Di un fuoco che sa ardere Con la forza di un sole Tu danzi nel vento Coi boschi e le foreste Sei luce del tramonto Che di rosso si veste Sei l’onda che ha viaggiato Nei mari senza posa E coperta di schiuma Sulla spiaggia si riposa Sei salice e accarezzi Il fiume che scappa via Non so però il tuo nome E’, forse : Poesia ? Rimpianto Senza rumore Le foglie morte si posano sui prati Così i rimpianti, senza rumore Si adagiano nel cuore * Come farfalla Che va di fiore in fiore, disegnando Nell’aria il ricamo del suo esile volo Tu correvi nei prati del tuo, verde, aprile Sorridendo al vivido sole Della tua ardente primavera E nell’eleganza dei tuoi passi, avevi La, fatata, leggerezza dei sogni E nello sguardo la dolcezza E l’ingenuità, della luce delle aurore. Mia farfalla, tu non sai Che nel cielo delle mie notti Tu disegni ancora Il ricamo di quel volo appassionato E nel buio, sento il frullio del tuo battito d’ali Suonare nitido e struggente E, roca, la voce del rimpianto Per non aver saputo cogliere Nell’apparente fragilità di quel volo Tutta la sua, soave, lievità. Una mattina…un cavaliere ( canzone ) Una mattina giunse al villaggio Un cavaliere senza armatura Aveva solo tanto coraggio Gli occhi neri, la pelle scura Sopravvissuto dopo aver sofferto Là nel deserto la grande calura E su un relitto nel mare aperto Tutte le angosce della paura Lui non aveva cappa, ne spada Un lasciapassare, un salvacondotto E non potendo viver per strada Fu in un “rifugio “ presto condotto Dopo due anni e molte lune Alte nel cielo di quel “ rifugio” Pensando : questa è una prigione Fuggi di notte aprendo un pertugio Lasciò un biglietto sulla recinzione Quasi volesse chiedere scusa Il ritornello d’una triste canzone Dentro al suo cuore sempre richiusa “ Fugge ogni vita velocemente Fugge più in fretta se non hai niente La disperazione ti prende per mano Ti dice : Vieni, ti porto lontano Fugge chi ha pena della sua vita Cercando il fiore della libertà Dalla miseria e per quell’infinita Voglia di vivere con dignità “ Colori d’autunno L’autunno, tenuamente, già colora Le foglie stordite dall’estate Dei prati, dei boschi s’innamora Ai tramonti dona vesti delicate Emozioni, alle anime portate A coglier della natura la dolcezza E dell’aria, la dolce mitezza Che stempera l’ardore dell’estate Avesse il nostro autunno quei colori Accesi, nei ricordi, avessero i pensieri Quella sua pace, delicata, che ristora E al giunger dell’inverno che scolora Gli anni, ormai, stremati come foglie Fosse, leggero, il vento che le raccoglie. Emozioni autunnali Le sue pupille, da uno spiraglio Delle palpebre richiuse, Offrirono all’abbaglio Della luce autunnale Due gocce di colore. Danzò un’onda Turchina, nel riverbero del sole Nei suoi occhi di mare. Diversità Se, dell’umano, creato ha la natura “ Diversa”, una sua versione E’ accaduto per sua scarsa cura O per sua propria, voluta, decisione ? Cambiando nel gioco d’attrazione Lo stimolo che induce al piacere Sviluppata s’è un po’ di confusione Che, alcuni, stupisce nel vedere; Quel ,”diverso”, intendere l’amare Ma ognuno dovrebbe al fin capire Ch’è un dovere il non essere di parte E lasciare che, libera, ogni arte Si esprima col suo, intimo, sentire. La collera… il furore Quando, a sua natura si ribella L’indole, che il quieto viver brama Irata, nella mente, una procella Il dipanar della ragione strama Il saggio dissertar del senno avvolge In cupe spire, tra vorticose bolgie. Morte a Venessia Morte a Venezia (Mann, no ghè centra) (Thomas Mann non centra) Me ricordo come Mi ricordo come Quando gero puteo Quando era pischello Viver a Venessia Vivere a Venezia Géra tanto béo Fosse tanto bello Na vita serena Una vita serena Serena ma vivace Serena ma vivace Co’ tanti bei turisti Con molti turisti Se viveva in pase Ma si viveva in pace I primi i rivava I primi arrivavano Col venteseo de marso Col venticello a marzo Coe nebie de novembre Nelle nebbie di novembre L’ultimo géra scomparso L’ultimo era scomparso Cussì per sinque mesi Così per cinque mesi Vissin ai campanii Vicino ai campanili E cese indormensae Le chiese addormentate I canai géra tranquii I canali eran tranquilli D’istà invesse géra L’estate invece era Na festa e se avorava Festa, si lavorava De sera in canalasso Di sera in Gran Canale In gondola i cantava In gondola si cantava I cantava e serenate Si cantavano serenate Se impissava i fanai Sotto lampioni illuminati Tutti a boca verta Tutti a bocca aperta Restavimo incantai Restavano incantati In Piassa i faseva In Piazza si faceva El solito liston Lo struscio detto: listone Su e so per i masegni Su e giù sopra le pietre A cacia de un bocon A caccia d’un boccone Na bea turista zovane Una giovane turistica Da farghe compagnia Da farle compagnia In cambio de un regalo (?) Sperando in un regalo (?) Prima chea’ndasse via Prima che andasse via Ghè géra mie boteghe C’erano mille botteghe Paradiso de artigiani Paradiso di artigiani I géra veri artisti Erano veri artisti E tuti venessiani Tutti veneziani Nissun gaveva pressa Nessuno aveva fretta Se godevimo eà cità Ci godevamo la città Rialto sensa ressa Rialto senza ressa Géra proprio nà beltà Era proprio una beltà Nei campiei, sigando Giocavano i bambini I boce zogava Nei campielli, vociando Sentae su na banchetta Sedute su una panchina E mame seà contava Le mamme chiacchierando Rivava anca el postin Arrivava il postino El sonava un campaneo Suonava un campanello Dal quarto pian calava Dal quarto piano calava Dondolando, un cesteo Dondolando, un cestello Nei rii rimbalsava Nei rii riecheggiavano I “Oeee” dei gondolieri Gli “ Oeee” dei gondolieri Soni e romori cari Suoni e rumori cari Ai venessiani veri Ai veneziani veri Ancùo quel mondo béo Oggi quel mondo bello El sé proprio spario E’ proprio sparito L’atomosfera magica L’atmosfera magica Negada dentro un rio Annegata… tutto è finito Quea atmosfera dolce Quell’atmosfera dolce Pacada ed elegante Pacata ed elegante De nà città gentile Di una città gentile Discreta ed acogliente Discreta ed accogliente Ze deventada eà fiera La fiera è diventata De la stupidità Della stupidità Ghe basta farse un selfi Basta farsi un Selfie E dir : Mi ghe so stà Per dir : Io sono qua Perché arte e beleza Perché arte e bellezza Sé par brava gente Sono per brava gente A sti novi barbari A questi nuovi barbari No ghé interessa gnente Non interessa niente A Rialto sé rivai A Rialto sono arrivati Anca i Benetton Ora i Benetton Par eà fiera del lusso Per la fiera del lusso Dove ghé vol un milion Dove serve un milion Una sola borseta Solo per una borsetta Te costa na fortuna Ci vuole una fortuna Ma a Venessia i vende Però a Venezia vendono Anca el ciaro de luna Anche il chiaro di luna Mandrie de bisonti Mandrie di bisonti Camina par e cai Invadono le arcate Sui scaini dei ponti Sui gradini dei ponti I riposa,distirai Si riposano sbracate Miére de persone Migliaia di persone Sui archi dee cese Sotto archi di chiese Col pan e mortadea Con pane e mortadella I magna sensa pretese A mangiar senza pretese Sensa rispetto o amor Senza rispetto o amore Per questa deicata Per questa delicata Beleza che ogni giorno Bellezza che ogni giorno Eà vien oltragiada Viene oltraggiata I pissa dapartuto Pisciano dappertutto I fa i sò bisogni Fanno i loro bisogni Po’ i dise che Venessia Poi dicono: Venezia Se na cità da sogni E’ la città dei sogni I se buta dai ponti Si lanciano dai ponti Come dai trampoini Come da trampolini Sue rive i ava tuto Sulle rive si lavano E gambe e i calzini Le gambe ed i calzini Mi me domando dove Io mi chiedo dove Voemo arivar Si vuole arrivare Se no pensemo come Se non pensiamo come Finir de soportar Finir di sopportare Che co eà scusa dei schei Con la scusa che i soldi Che ne porta el turismo Li porta il turismo De acetar ogni sfregio Accettassimo ogni sfregio Un viver de serviismo Viver di servilismo. Intanto sora eà colona Dalla sua colonna Todaro varda incassà Todaro guarda arabbiato Mentre el leon coe ae Ed il leone con le ali El pianse disperà Piange disperato Eà gloria de Venessia La gloria di Venezia Eà sé finia da un toco Da molto è finita Ma eà so dignità Ma la sua dignità Non eà va messa in gioco Non sia mai scalfita Ghè vol un bel miracolo Ci vuole un miracolo Per cambiar e cose Per cambiar le cose A l’assessora Paola Alla assessora Paola Ghe ofriremo e rose Offriremo le rose Seà gavarà un’idea Se avrà una bella idea Una idea genial Un’ idea geniale Perché eà nostra cità Perché questa città Eà torna a esser normal, Torni ad essere normale.. Il precario Si alzò quella mattina Sempre controvoglia Pensando alla sua vita Come a una morta foglia Che si stacca dal ramo E scende lentamente Cade tra l'erba secca Dove non cresce niente E sapeva di amaro Pure la tazza di caffè Come amara è la vita Se nell'animo non c'è Quel filo di speranza Di vivere i tuoi anni Come dovrebbe un uomo Pur tra gioie ed affanni Lui s'era laureato Nei beni culturali Ma nei musei turnavano Impiegati comunali Trovare un posto fisso Era un sogno proibito Più facile toccare Il cielo con un dito Così a quarant'anni Era ancora precario L'unica soluzione Per sbarcare il lunario Suo padre gli diceva Il lavoro è dignità Per lui era soltanto Vivere in povertà Ferito nell'orgoglio Abbandonò anche il sogno Di avere una famiglia Per non viver nel bisogno E nel vasto deserto Del suo futuro ignoto Vide solo miraggi Attorno un grande vuoto E quando non hai nulla Di certo nella vita Può esser che ti frulla Di farla anche finita Guardò dalla finestra Vide che pioveva Come dentro il suo cuore Anche il cielo piangeva Si mise a sedere Finì quel caffè amaro La pioggia, poi, confuse Il rumore d'uno sparo. Primavera non ritorna Hai visto… Nella ? Primavera non è tornata Sugli orti di Sant’ Erasmo La terra riposa ancora, muta, Imprigionata Sotto una, bianca, lingua di neve E’ plumbeo il cielo E l’onda che si adagia, stanca, Sulle labbra, fangose,delle barene, Posa un bacio distratto E tra i canneti nasconde La sua malinconia. Stridule grida di gabbiani Lacerano il sospiro del vento. S’increspa la laguna, come in un lamento E un lungo brivido, d’onde minute, Corre lontano, verso il mare aperto Una vela solitaria Attraversa, curva, l’orizzonte. Sembra sostenere, la tela rigonfia, Tutto il grigiore di quest’inverno Che non vuol morire, e inquieta Le folaghe e l’anatra selvatica Che girovagano, annoiate, tra i canneti Mentre le gemme, affacciate sui rami Nudi, di giardini pallidi e assonnati Attendono, ansiose, di mostrare, Come bimbe vanitose, Le nuove vesti colorate, al sole. Tu lo sai… Nella Primavera non tornerà più. Non torneranno le rondini A rincorrere nel cielo, terso e puro, I nostri sogni Ne il vento, scherzoso, d’aprile solleverà Ancora, la tua gonna fiorita Non sentiremo più il profumo dell’erba nuova Nei prati, ombrosi, di maggio, sussurrare Ai nostri sensi rapiti. I passeri del tempo, ormai, si son nutriti Di tutti i nostri desideri, sorvolando Le spiagge, assolate, delle nostre estati E i boschi, silenti, Dei nostri autunni, tenui e delicati. Ora sono posati sui cipressi Nell’isola che guarda verso il mare infinito E osservano le folaghe e l’anatra selvatica Che girovagano, inquiete, E l’onda che si adagia, stanca, Sulle labbra, fangose, delle barene E nasconde, tra i canneti, la sua malinconia Io so… Nella Che, un giorno, voleranno via Verso, un’improbabile, primavera. Amor sacro, amor profano Amor, è sentimento in cui ognuno crede Di qual natura sia, niuno mai s’avvede Niuno, poi che amor in noi accede Quale un frullio d’ali di colomba Muovendo l’aria intorno, lieve, lieve Nell’animo si posa in forma d’ombra Quell’ombra che ristora, ove fiorisce Il desiderio, che spiritualità poi spoglia E muta il sacro, in profana, lieta voglia. Il vento ci aiuterà (canzone) Il racconto di una vita Ha bisogno di parole Profonde, appassionate Piene di calore Di musica e armonie Di idee illuminate Di scordar l’inverni E vivere le estati L’anima per i prati A cogliere fiori Petali colorati A profumar pensieri Agili come velieri Che sanno navigare Evitare le scogliere Le insidie del mare Dove naviga il potere Pensieri marinai Che nelle notti scure Le notti senza stelle Dentro ai loro cuori Accendono fiammelle E ritrovano il sentiero Verso un porto sicuro Anche se il mare è nero Anche se il mare è scuro …e il vento lo sa Quando nasce un racconto Un racconto bambino Ha bisogno di un sole Che illumini il mattino Di braccia ove trovare Un rifugio e del tepore Di un petto ove sentire Battere forte un cuore E di vaste pianure Dove nei fiumi scorre L’acqua del sapere L’acqua limpida e pura Che scioglie l’ignoranza Che vince ogni paura E di montagne vere Dure da scalare La fatica ed il sudore La voglia d’arrivare Ha bisogno di sapere Che tra il vivere e il morire C’è un mondo da scoprire Un viaggio da affrontare E se il deserto appare Una vuota immensità Nell’oasi del cuore Cercare amore e serenità …e il vento lo sa Un racconto vero Non un raccontino Ha bisogno di parole Incise nel destino Con la forza delle mani Ogni alba, ogni domani Aver voglia di lottare Contro chi non ha amore Contro chi vuole sfruttare Natura e umanità Chi nel vuoto del cuore Cela rancore e malvagità Scriviamo ogni racconto Con nobili parole La forza del pensiero Gonfierà le vele Con occhi di speranza Guardiamo verso il sole Nello sguardo un sorriso Anche se il cuore duole … il vento ci aiuterà Poco impegno, niente poesia Solo un po' di fantasia Ti ricordi quando un prato O i giardini alla riviera Ci accoglievano, sognanti Nell'incanto della sera Ti ricordi quante stelle Su nel cielo a palpitare Il gracchiar di raganelle Nel fossato a litigare Io ricordo il tuo arrossire Quando un bacio ti chiedevo E nel nostro eterno amore Tu giuravi, io ci credevo Io credevo ingenuamente Che l'amore fosse eterno Non pensavo che potesse Trasformarsi in un inferno Si, perché ci sian sposati Fu la festa assai elegante Con duecento e più invitati L'avvenire era raggiante Ma durò poco il candore Di sposina innamorata Come il sole sorge e muore Durò solo una giornata E cambiò la nostra vita Ricca dei tuoi tradimenti Storia amara, immiserita Da litigi e patimenti Per vendetta ho poi deciso Di avere anch'io l'amante Con intento assai preciso L'ho cercata assai elegante E un giorno ci sian trovati Per caso in un ristorante E ci siamo presentati Tu il tuo, io la mia amante Ma la cosa più eclatante Fu che i due si son piaciuti Ed in men che non si dica Or siamo soli, abbandonati. Sono tornato su quel prato Poche stelle quella sera Mute eran le raganelle E l'incanto più non c'era. G;D; * * * Questa storia inventata Per rubarvi una risata In fondo non è poi male Ha una piccola morale : " Il tradimento e la vendetta per uccidere l'amore usano l'arma più abietta : La viltà, il disonore " Sia chiaro che la risata Non è certo obbligatoria Pianga pure anche a dirotto Chi non ama questa storia. Giuseppe Dabalà (versione cantastorie) Nitido e struggente Lassù, tra l’indaco del cielo, si rincorrevano i cirri, spinti dal vento oltre il crinale dei monti. L’aria, fredda, scendeva dai canaloni a spettinare le chiome delle conifere, nel bosco ancora addormentato. Poi, tra la sella di pareti rocciose apparve, all’improvviso, il sole. L’aria s’addolcì, e la bruma dal sottobosco iniziò a salire, bianca e silente verso il cielo; come una muta preghiera. All’inizio del pendio che s’inerpicava sinuoso, verso la vetta, tu prendesti, tra le tue, la mia mano, senza volgere lo sguardo, continuando a salire, senza parlare. Udivo solo il tuo lieve ansimare e nel mio petto, il battito del cuore. Ci sono, rari, momenti della vita che cambiano, dentro di noi, la percezione delle cose intorno, e ci donano quella lieve beatitudine che ha lo sguardo ed il sorriso della felicità Dopo tanti anni vissuti lontano, in luoghi dove su campi, aridi, dell’anima ho seminato i miei giorni, e nascosto tra la rugiada della lontananza le lacrime del rimpianto, sono tornato lassù, di prima mattina, quando l’aria pungente colora i cristalli ossidati della memoria e il ricordo appare, nitido e struggente, come il suono di un violino nella notte. Mentre il cielo si tingeva d’azzurro, sono certo d’aver sentito, in un refolo di vento, lieve, un ansimare. . La ballata infame Ogni mattino alla televisione Ci dicono quanti hanno fatto morire Stipati dentro un vecchio barcone Ma non quando possa l’orrore finire Eran trecento su quel barcone Non erano sacchi da trasportare Erano uomini, donne… persone Senza pietà mandate a morire Ora seicento occhi sbarrati Guardano, fissi, il mare profondo Cercavano aiuto, solo negli abissi Hanno trovato asilo nel mondo Umana pietà se tu esisti, ora In qualche luogo di questa terra Urla più forte, poi urla ancora : “ Presto finisca, questa è una guerra” Urla “ aguzzino “ al trafficante Che mostra un cuore di belva feroce Urla “ assassino “ al politicante Non usa il potere, non alza la voce A noi che guardiamo la televisione E, indifferenti, cambiamo canale Grida più forte : “ Le oneste persone Non fanno silenzio quando vince il male” Ma già l’onde, pietose, tutto hanno cancellato In TV c’è Sanremo, tutto è presto scordato. Forse è soltanto … Tra i fiori che non ti ho mai dato Te ne ho già parlato in una poesia Oggi per miracolo è spuntato Un nuovo fiore, come per magia Forse è l’acqua fresca che ogni giorno Cambio per poterli conservare Freschi e profumati al tuo ritorno Che da quarant’anni sto ad aspettare In ogni petalo ho scritto una parola Perché tu possa leggere e capire Quanto per amor si può soffrire Quanto nella vita si può amare Ma quel nuovo fior non so che sia Forse è soltanto… il fior d’una follia. Speranza nel futuro Per scrivere, dei giorni miei, il racconto E chiedere al domani ciò che spera Osserverò, dal colle ove son giunto, Qual colore avrà il cielo della sera La speme è di veder prima che annotti Tra i neri lembi dal giorno accumulati Correre, leggeri, nel ciel come leprotti Greggi di cirri, di rosa e rosso colorati Vorrei che almeno l’ombre della sera Scendessero senza incutere timore Udir dell’armonia nel battito del cuore E nell’anima ogni dubbio che s’acquieta Poi profumar, nell’aria fresca e cheta, L’ultimi miei pensieri, come un fiore. Buon Natale…clochard Era tanto tempo che non lo incontravo Lungo le mura della caserma abbandonata L’ho salutato e mentre m’avvicinavo Mi ha sorriso con la sua bocca sdentata La folta barba scura s’era fatta bianca Sulle spalle portava il solito fagotto Camminava piano, con l’andatura stanca Di chi, del mondo, s’era proprio rotto E quel clochard con la sua barba bianca Con quel fagotto portato sulla schiena Mi sembrò Babbo Natale di chi arranca Di chi, dal natale, in dono ha un’altra pena La pena di chi è solo quella sera Quando tutti si ritrovano a cenare Tra le luci, nella calda atmosfera Gioiosa e lieta del proprio focolare Ci siam guardati, ci siam stretti la mano Buon Natale ci siamo detti sorridendo Nel petto ho provato un dolore strano Mentre lui era sincero, io stavo mentendo. Un giorno… che non sai (canzoncina) Corre il tempo, scappa via Corre in fretta, non si ferma E qualcuno spera che Ci sia, poi, “ La vita eterna” Lungo è il giorno, lungo assai Nella sua monotonia Ma un giorno…che non sai Tutto si porterà via Un giorno ti scopri anziano Senza aver capito, ancora, Che seppur campi cent’anni E’ come se campassi un’ora Capirai d’aver sprecato La tua unica occasione Hai vissuto pigramente, Senza amor, senza passione Mentre avevi dentro al petto Un galoppo di destrieri Che in un, piccolo, recinto Hai tenuto prigionieri Che non hai, mai, liberato Nella grande prateria Correndo a perdifiato Con coraggio e fantasia Non hai, mai, partecipato Nei tornei non ti sei spinto Ogni agone hai evitato E, così, non hai mai vinto Hai guardato e non hai visto Quanto è vasto l’orizzonte Il tuo sguardo s’è fermato Su quel muro lì…di fronte E non hai avuto voglia Di salire, su, a vedere: C’era molto da capire C’era molto da sapere Soprattutto, oltre quel muro C’era… azzurro, immenso, il mare Corre il tempo, scappa via Corre in fretta, non si ferma Ora spera che non sia “ La vita eterna”, una bugia Ora spera che non sia “ La vita eterna”, una bugia.. Gioia e Tristezza Quando incontrerò la Gioia Le parlerò della mia Tristezza E sul suo grembo verserò Tutte le mie lacrime Lei, accarezzandomi, mi sorriderà E volerà via Con ali di Felicità. Ora…prima che il silenzio Il fumo dai casolari sale Abbracciato all’ultima bava di vento, Mentre la luce d’un incendio divampa Sulla pura aridità della campagna desolata. Riverbera il colore del sogno Nel tramonto esangue e appare, Nitido, tepore di primavera. Già l’orma del piede scompare Nel vortice di polvere e foglie Che il tempo, mischiando le stagioni, posa Sul sentiero che s’insinua Tra diafani paesaggi, dipinti Sulla tela colorata degli anni Ora, vorrei sentire, Prima che il silenzio incida Un segno indelebile Sui confini che si coprono di neve, La canzone che il sole intonava Sulle rive dello stagno d’estate, Quando, ai fiori increduli, la rondine Raccontava di cieli ed orizzonti infiniti. Ora, prima che l’ombra amica Dei grigi pomeriggi autunnali, trascini L’intreccio fecondo dei rami, Nell’impalpabile oscurità Del bosco pietrificato. (Non è una poesia, e non è una canzone. E’ solo un invito a non perdere mai la speranza) Voce di speranza Tra il sussurrar del vento L’eco delle parole Ripete che l’inverno Si scioglierà nel sole Parole di dolcezza Che mi fanno volare Come una vela bianca Sull’azzurro del mare Dicono che nell’aria Danza la primavera Se nel giardino aleggia Il profumo d’un fiore Che sarà più sereno Il cielo della sera Oh, voce di speranza Dolce mia capinera “ Cantami, cantami La tua canzone Portami, portami Sempre con te La tua melodia Non è illusione Ma la promessa Che lotti con me “ Con te cammino Nella cupa foresta Mi tieni la mano Mentre colgo un fiore Mi sorridi dicendo Che la gioia e il dolore Son figli della vita Che bisogna amare Che la notte sembra Paurosa ed oscura Ma al buio s’impara A non avere paura Puoi nel cielo vedere Più splendenti le stelle Puoi capire il valore Delle cose più belle Voce di speranza Dolce mia capinera La tua bella canzone Sarà la mia preghiera. Canzone per un viaggiatore La vita ha un binario di sola andata Ed a ciascuno, assegnato, è il vagone Chi ha la valigia di pelle pregiata Chi legata con spago, una di cartone Chi viaggia attraverso, ridenti, pianure Chi trova salite sempre più dure Dove non esiste alcuna stazione Per fare una sosta, mangiare un boccone Chi corre ammirando paesaggi di mare Chi da gallerie non riesce ad uscire Con la paura che il controllore Ritenga il biglietto, tuo, senza valore E nell’ Officina nessun vuol costruire Moderne vetture per poter ospitare Molta più gente che possa viaggiare Ammirando pianure, paesaggi di mare Perchè i dirigenti dell’ Officina Viaggiano comodi seduti in poltrona Che siano molti quelli a godere Di miti paesaggi, a loro non dona Così si viaggia nella ferrovia In classi diverse, per categoria Rimane soltanto la consolazione Che, tutti, si arriva alla stessa stazione. Profumo d’infanzia Profumo d’infanzia che aleggi nel mio cuore come l’aria pura sui monti del Zoldano., e tingi di rosa i miei ricordi come la primavera, colora, i rami dei ciliegi sulle colline di Monfumo. Sei il profumo del pane appena sfornato, caldo e fragrante, in quel casolare di campagna dove c’eravamo rifugiati durante la guerra. Sei il profumo dei panni lavati in riva al Sile, su tavole di legno,dalle lavandaie che cantavano, e sorridevano ai barcari, che sfilavano, ritti, sulla tolda di silenziosi barconi. Sei l’odore, aspro, dell’erba dopo il temporale e del fango sulle rive dei fossi, che correvano lungo i campi coltivati, dove a notte cantavano i rospi le loro serenate. Sei l’odore del grano nei campi assolati, di quei torridi meriggi d’estate quando il tempo restava sospeso, incatenato ai raggi del sole, mentre il silenzio riposava nel torpore, e si ridestava al suono delle campane che chiamavano al vespro. Sei l’odore delle cantine in penombra, della frescura che vigilava sul riposo del vino, addormentato nelle botti di rovere. E del profumo dell’uva pigiata nei tini, che troneggiavano sull’aia, quando settembre dipingeva i boschetti di betulle, e i platani del viale della chiesa. Sei il profumo delle notti stellate, di gelidi inverni, quando, dalle stalle fumanti, uscivamo rabbrividendo nel buio della notte e guardavamo, incantati, firmamenti colmi di lune e di stelle. Poi, l’odore delle braci infuocate, sotto le coperte, per riscaldare le lenzuola gelide, e il profumo e l’odore del corpo di mia madre che mi teneva stretto al suo petto, stretto, da sentire battere il suo cuore. Come batte, forte, questo mio fragile cuore, che il pensiero di te, teneramente profuma. Sulla neve della mia solitudine Tremavi. Come tremano le spighe del grano Nelle notti senza luna. Quando, nell’alito del vento, danzano lievi Per astri freddi e lontani. Tra le mie braccia cercavi il tepore Che hanno i soli dei sentimenti d’amore, Ma io non ho saputo fare Delle mie braccia un trono Per il tuo profilo di regina, Ne ho capito quanta dolcezza avesse La melodia, del tuo canto accorato. Dall’alta rupe della mia alterigia Ho osservato scorrere il fiume Della tua, innocente, passione, Senza sapere, che le acque di quei fiumi cercano Sponde di morbida terra che le assorba, E amano il vasto respiro di anse accoglienti, Ove riposare. Sei scivolata via da quell’ abbraccio Nel fruscio della tua veste regale, Lasciando sulla neve della mia solitudine, Profonde, le orme del tuo dolore. La noia Quando la noia nelle sue spire crasse Lo spirto mio e la ragion sopisce D’agir la voglia nell’animo svanisce E di torpor, le membra, si fan lasse Avviluppato nell’inerzia del tedio Nel nulla vago, senza trovar rimedio. Laggiù tra gli ulivi Salivano su quel treno tutti i giorni Studenti, operai, gente dei dintorni Col sole, la pioggia, in quel mare d’ulivi Nel cuor le speranze, le ansie dei vivi Il treno correva, si leggeva il giornale Dell’economia che andava assai male Dei prezzi al mercato in continua salita Si parlava di quanto fosse dura la vita C’era chi diceva : “ Così non va bene” Qualcuno rideva , ragazzi tra le pene D’un esame di greco o del primo amore Con molte speranze e qualche dolore Il treno correva, era ogni vagone Un piccolo mondo che univa persone Ognuno una storia sua da raccontare Un sogno, un segreto, chiusi nel cuore Un solo binario, nell’altra direzione Un mondo, uguale, univa persone Qualcuno rideva, altri tra le pene Per il lavoro che non va bene Improvviso lo schianto, laggiù tra gli ulivi Il silenzio dei morti, le urla dei vivi Non dite “ E’ il destino” , “ E’ colpa del fato” La colpa è di questo Paese malato Dove ogni male può sempre accadere Perché chi dovrebbe non fa il suo dovere Perché regna la frode e la corruzione Così un mattino non giunge in stazione Un treno, e tra i campi, laggiù tra gli ulivi Si fa tomba dei morti, strazio dei vivi. Prestami le tue pupille d’oro Ci sono giorni, gelidi, come inverni Ed ore come cumuli di neve, che si scioglie Nei rigagnoli dell’esistenza. Giorni attraversati da malinconie, Nomadi, nella vastità che la solitudine deforma. Giorni con il tormento che ha il vento Quando mulina la sabbia nei deserti, Ed il colore degli uragani Che squarciano il cielo, e i loro boati Coprono l’urlo di dolore delle foreste, Ed il pianto delle giovani palme Piegate dal vento. Giorni naufragati nel fiume del dolore, Nel torbido spumeggiare Che trascina i fragili amori e le illusioni, Ed abbandona, su anse deserte, I relitti di sogni e ingenue speranze. . “ Spirito di poesia Prestami le tue pupille d’oro, E la tua voce coronata d’argento, Ch’io veda le lucciole danzare Quando, di Te, s’illumina la sera E con gli uccelli possa io cantare Ogni alba, di questa nuova primavera. Fammi veder la luna, nelle notti chiare Splendere nuda, ed incantare il mare. E fammi bere, dalla tua coppa Di gemme incastonata, Il nettare che possa lenire, Nel mio fragile cuore, Il tormento dei giorni del dolore. “ In qualche luogo ci ritroveremo Quando non avrò più voce per chiamarti Ne parole per raccontare il dolore, I miei occhi saranno laghi prosciugati, Le mie mani, farfalle senza voli. Ma i pensieri saranno fioche lanterne Che oscillano nel dedalo dei ricordi, Illuminando i frammenti, dorati, Del nostro amore. In qualche luogo ci ritroveremo : Nelle foreste, intricate, della mente O nelle spiagge , assolate, del cuore Negli echi, che la notte feconda, O nel bagliore dei sorrisi Che abbiamo dimenticati Lungo gli argini dei fiumi, Negli angoli nascosti dei sentieri.. In qualche luogo ci ritroveremo Quando la pioggia avrà lavato ogni ferita E coglieremo, dalle radici, Il fiore che germoglia, ostinato, Nei nostri petti esausti : Petali colorati di rimpianto. L’Alba di un nuovo giorno Fluttuò nell’aria una sensazione E un brivido corse sulla schiena della notte, Sulle mani del buio vibrò un tremore. E l’immobilità di silenzi sospesi, D’impercettibili rumori oltre le siepi, Di intimi bisbiglii tra le rose. Poi, un vivido chiarore s’insinuò tra le crepe Delle mura protettrici del sonno e dell’oblio; Un pulviscolo dorato che penetrò profondo, Illuminando il volto alle coscienze. Si animarono i fili d’erba, All’unisono, ondeggiando, in una danza cadenzata, Mentre,al sole, i loro pallidi volti volsero i girasoli, Risvegliati dal canto delle api. Dai campi e dai giardini i fiori mostrarono, Al cielo stupito, i loro vividi colori E dalle sponde dei ruscelli si udirono, argentine, Giungere le voci di giovani acque Che scendevano gioiose, sorridendo Agli alberi abbracciati alle nuove brezze, Protendendo i rami, colmi di foglie, Verso l’orizzonte liberato dalla bruma. Stanati dalla luce, fuggirono i roditori, Le volpi venditrici di menzogne, I serpenti incantatori d’uomini. Abbandonarono le foreste di acciaio e di pietra Gli gnomi abitatori di tane dorate, E gli uccelli rapaci lasciarono i loro nidi. Seguendo, in volo, i tori fuggiti dai recinti, Gli orsi dai boschi, e moltitudini di iene E di sciacalli dalle savane. S’aprì il cielo ed un profondo respiro Di giovani alisei e tepide brezze Liberò i raggi del sole Dalle nubi secolari che avevano impedito, Alla luce, di nutrire le menti assopite. L’alba di un nuovo giorno Illuminò il mare E giovani vele salparono Verso isole inesplorate, Il grido Improvviso, un grido di dolore incise l’aria Ferendo il silenzio, Come un taglio verticale ferisce E strappa la vela percossa dal vento, O un rasoio lacera, In un gesto immediato e deciso, La bianca tela indifesa. Come nebbia, un’angoscia sottile Avvolse la mia voce e, fuggendo, Le parole implorarono i tuoi sguardi Ormai indifferenti e lontani. * Hai ascoltato le voci che si nutrono Di quell’erba amara che nasconde La serpe maligna, E abbandonato i campi che celavano, sotto la terra fertile, Il seme del mio amore. Non saprai mai quale dolcezza, Nelle arnie del mio cuore, Avesse il miele dei pensieri, Ne quanta ebbrezza il vino, Delle vigne del mio puro sentimento, Avrebbe donato alla tua danza. * Così, ogni notte quel grido, Come vento impetuoso, Strappa le vele della mia solitudine E attraverso gli squarci scorgo lontana, Oltre il mare tempestoso, La mia Itaca immaginaria Lontana e irraggiungibile. La coperta di cartone C’era un uomo, solitario, che arrivava Puntuale a mezzanotte alla stazione Non aveva la valigia ma portava Sottobraccio, un foglio di cartone Non pagava il biglietto perchè il posto Che cercava come sua destinazione Era un angolo assai buio e nascosto Dentro un vuoto, squallido vagone Il pavimento era il letto ove posava Quel cartone, che serviva da coperta, S’avvolgeva e in silenzio aspettava Che la porta dei sogni fosse aperta E nel sogno si scordava della vita, Ritrovando, di sé stesso, la ragione E sperava che non fosse già finita, La sua storia, in un pezzo di cartone Ma l’inverno fu il nemico più crudele Gelò i campi, le strade, le stazioni Gelò i sogni che servivano da vele Per navigare nel mar delle illusioni E un agente di controllo, una mattina, Trovò l’uomo nel vagone, inanimato E notò l’orme di un sogno sulla brina Che da quell’uomo s’era allontanato Era volato nel regno dove i sogni Degli uomini che non hanno fortuna Che non trovano aiuto nei bisogni Si fanno stelle, accanto alla luna E quelle stelle più vive nel brillare Sono i sogni di tutta quella gente Che dalla vita non ha avuto niente E quel brillio lo vuole ricordare Come le scie delle stelle cadenti Sono la luce dei loro sogni erranti. Senza perdono Quando sei partito da un paese lontano, In braccio alla mamma, con la piccola mano La accarezzavi , ti sembrava più bella Nell’alba già chiara, di quell’ultima stella Che, solitaria, nel cielo aspettava Sorgere il giorno che tutto cambiava Della tua vita, ma per te quel fuggire Era forse un gioco, non potevi capire Perciò sei salito senza alcun timore Su quella barca, e ascoltando il rumore Dell’onda sui fianchi farsi minacciosa, Guardasti la mamma, lei gridò qualcosa Ti strinse al suo petto, mentre piangeva, Sentivi tuo padre che ti chiamava L’acqua gelata che ti sommergeva Gli artigli del drago che ti ghermiva Come una ninfea che galleggiava La spuma del mare sulla rena posava Un corpo piccino, sembrava dormire, Su un letto di sabbia si può pure morire Si può morire come muore un bambino Con le ali spezzate, come un uccellino, Dal fucile dell’odio a morte colpito, mentre vola, felice, nel suo cielo infinito Ci sono più lacrime che gocce nel mare In questo mondo che non sa vedere Nell’innocenza d’un bimbo che muore Della sua malvagità, tutto l’orrore. Girotondo Rubamondo I risparmi sono spariti In banca l’han mangiati Centomila rovinati Non sanno cosa far La gente è disperata I risparmi di una vita La banca s’è ingoiata Per male trafficar Ed il Governo tace Salva solo i ladroni Tu hai perso la pace Lui nulla vuole far Ed il Ministro dice “ Non son stati prudenti “ Un pugno in mezzo ai denti Ci potrebbe star Non è stata prudente La povera vecchierella E pure sua sorella A farsi ingannar ? Non è stato prudente Il vecchio pensionato Che mai avrebbe pensato La banca fosse un bazar ? Un covo di farabutti Che davano i denari Ai loro amici cari Senza farseli ridar Vendendo in mala fede Soltanto carta straccia Con sorridente faccia Per bene simular Ora tutto è perduto Chi ha dato non ha avuto La banca che ha rubato Invece è da salvar Andate brava gente Non è successo niente Se siete rovinati Buttatevi nel mar Sempre la stessa storia Puniti son gli onesti Premiati quelli lesti Esperti nel rubar Ma attenti amici cari Se rubate ancor denari Saranno cazzi amari Ci potete contar Speriamo non succeda Che ognuno si ricreda Ed in futuro veda Di mai più rubar. DI MAI PIU RUBAR A. D. (Anonimo Derubato) Natale Natale è una speranza Che l’uomo s’inventa Perché sia contenta Tutta l’umanità E segue la cometa Sperando di trovare Raggiunta quella meta La luce dell’amore L’amor rappresentato Da un bue e un asinello Da un bimbo appena nato Nella greppia, poverello L’amor vero è profondo E’ la cosa che più vale Lo cerchiamo nel mondo Sperando sia nel Natale. La matassa La notte passo le ore a srotolare Una matassa di gioie e di pene Negli anni lentamente accumulate Tra musiche, stridori, canti di sirene Ritrovo i sogni rimasti a volare Lontano, nel cielo volto all’imbrunire Segrete voci che vogliono parlare Di volti amati che abitano il cuore Ricordi amari, che fanno soffrire Relitti naufragati in fondo al mare Rimorsi, tendono braccia per tornare A stringere le mani intorno al cuore Giorni ed istanti colmi di stupore Quando la gioventù ci sa donare Incanti e voci che parlano d’amore E calde lacrime d’intimo sentire Srotolo ferite mai rimarginate Luoghi dell’anima dove sono partite Con le illusioni, le persone amate Luci di porti dove non son tornate Stelle lucenti che avevo lasciate Appese al cielo d’una bella estate Volavano farfalle ed erano parole Sulle sue labbra, baciate dal sole I suoi occhi erano fiori della notte Cercavano del piacere la rugiada La prima luce che illumina ogni strada Era un’alba di speranza, che sorgeva Nel buio passo le ore a srotolare I ricordi, con grande tenerezza Cercando con la mente ritrovare Profumi e palpiti della giovinezza. Nell’aria dolce Scaglie lucenti danzavano Tra gli azzurri palpiti del mare. Incontro al bianco spumeggiare Alti, volavano gli uccelli Del vento risalivano i crinali, Senza un grido, Senza un battito d’ali. Tornavano, poi, virando, Del volo disegnando le spirali E planavano tra i fiori di barena, Tra le case di Burano, assopite, Nel torpore d’un cielo senza pena. Nel tardo meriggio, Che avvampava Nei rossori della prima sera, Nell’aria dolce che odorava, Già, di primavera. Il dolore Il dolore è il nodo d’una corda Che, veloce, come un battito di ciglia Intorno al cuor, stringendo, s’attorciglia Di sciogliersi, poi, sempre si scorda Quello del corpo è un dolor che passa Usando una pomata o un’aspirina Ma del dolor che l’anima trapassa Non s’è trovata, ancor, la medicina Invisibile è il dolore che ferisce Solo l’anima, e lascia il corpo intatto Quando piangi la gente non capisce E pensa che tu sia un poco matto Dolore doloroso, addolorato D’esser motivo, ognor, di sofferenza Chiaro il tuo provenir, dove sei nato Oscura, del tuo partir, la conoscenza Quando il dolore con lacrime si lava Pulisce il volto suo per dimostrare Quanto il soffrir nel cuore dilagava E cerca un petto dove riposare Se d’amor, è il dolore che colpisce Bisogna aprir le porte e le finestre Entrando l’aria, la stanza ripulisce E caccia l’odor di baci e di minestre Ci son dolori grandi e doloretti Tutti fan male, ma il dolor più forte E’ veder, seduta sopra i letti Sorridere di noi, signora Morte C’era un uomo seduto sulla riva Di un fiume, e una barca passava Piena d’uomini, ed ognun soffriva C’era il dolore, a poppa, che vogava La vita, è vero, è piena di dolori Che ci conducono per aspri sentieri Dobbiamo mettere nel sacco i colori Per colorare i giorni ed i pensieri. Se non esistesse “ Poesia “ La luce d’aurora non avrebbe colore Non spunterebbe nei prati alcun fiore Ogni tramonto non potrebbe avere Un sole, maestoso, che scivola in mare La neve, leggera, che scende lenta Perché ogni ramo vuole accarezzare Impazzirebbe, sola, nella tormenta Più non potrebbe coi bimbi giocare Il gabbiano che sale i dorsali del vento Non volerebbe senza battere l’ali Sarebbe di stelle vuoto il firmamento Senza tristezza l’autunno nei viali Colline dipinte dai peschi in fiore Greggi, sui monti, a pascolare Tra i sassi la voce dell’acqua cantare In ogni ruscello che cerca il suo mare Questo la natura non potrebbe mostrare Se non esistesse ciò ch’è “ poesia “ Ed ogni uomo per poterne godere La coltivi nell’anima, la faccia sua E’ forse questo l’immenso “ bisogno “ Che il mondo intero dovrebbe sentire Poesia negli occhi, nel cuore, nel sogno Poesia nel vivere, per meglio capire. Tango…tànguero Un suono di chitarra invita alla danza Sul palcoscenico, agile, avanza Con passo sicuro e lo sguardo fiero E’ il primo tango del bel tànguero Bella e flessuosa è pur la ballerina La sfiora, la cinge a sé…più vicina E danzano, avvinti, con gesto sensuale L’antico tango del bene e del male Come due piume portate dal vento Volteggian perduti nello stordimento Tra suoni e parole di quella canzone Profumo nell’aria della “bella stagione” Poi la ballerina con meno passione All’improvviso nella sua evoluzione Fa una piroetta e per la prima volta Da lui si separa con una giravolta E’ triste il tànguero e nel suo ballare Traspare, struggente, un intenso dolore La musica brucia come una ferita Quando la sua mano sfugge alle sue dita Si spengon le luci, la chitarra tace Lei lascia la scena senza una voce La gente applaude, ma non capisce La sofferenza…quando il tango finisce E degli applausi resta solo il rumore Del tango il ricordo Di ogni nota…il dolore. Breve, come un respiro Quando il raggio della luna Si affacciò alla sua finestra Il suo corpo ancora acerbo S’adornò per la sua festa E sbocciarono due fiori Sui suoi seni addormentati Due boccioli coi colori E il turgore delle estati Scivolò via dai suoi fianchi Tutto il gelo degli inverni Arse il fuoco nel suo petto Dei peccati e degli inferni Come l’acqua d’un torrente Impetuosi e freschi i baci E perduta la sua mente Nel sognar carezze audaci Dolce e chiara fu la notte Durò tutta una stagione Ma sembrò solo un respiro Quando l’alba ebbe ragione E cacciò via dal suo cielo Tutti i sogni e le comete E restò a vagar nell’aria Di quei baci, solo la sete Durò tutta una stagione Ma sembrò solo un respiro La terra guarda la luna E poi fa un altro giro. Il cavaliere errante Il cavaliere errante col suo cavallo bianco Attraversato il bosco era triste e stanco Non aveva la spada, nemmeno un pugnale Ma nel cuore un dolore che faceva male Aveva errato tanto cercando la fortuna Ma spesso aveva pianto, solo, al chiar di luna Da un borgo era partito di povera gente Del mondo conosceva molto poco o niente Pensava di trovare rispetto e comprensione L'amicizia vera, ma fu grande illusione Nei borghi attraversati la gente si scontrava Per nulla e del denaro solo gl'importava Cercavano il successo, il denaro ed il potere Eran disposti a tutto, volevano ottenere Molto più degli altri, spesso con l'imbroglio Essere disonesti era quasi un orgoglio Facevano le lotte per poter governare Pensando, poi, soltanto al modo di rubare La fama e la ricchezza erano gli unici valori Quelli che l'ottenevano li chiamavano " signori " Ma tutti quei denari non crescevano nei prati Molti erano il frutto d'imbrogli o di reati Così di borgo in borgo, errando il cavaliere Vide svanire i sogni, volar via le chimere Alla fine del bosco, raggiunta una radura Lo colse un pensiero : " Così il mondo non dura Vi è troppa ineguaglianza, troppa disparità Chi ha vuota la " panza " di certo cercherà Un vivere migliore, rischiando anche la vita Che la storia dei regni è pur sempre finita Quando la gran protervia di certi " signori " Della vita degli altri si chiama sempre fuori. Meglio cambiare il vivere, il modo di pensare Se si vorrà convivere in pace, e con amore " Con questo pensiero riprese la sua strada Sapendo che vicina era l'ultima contrada.. Azzurro Nino C’è un azzurro che si nutre di Silenzi Dove cogliere puoi il fiore dei pensieri Che dai prati dell’anima coi più intensi Colori fioriscono : I più vividi e sinceri. Quando a frotte giungono le stelle Al declinar del dì spesso m’assale Quando a frotte giungono le stelle Profondo, quel sentire che fa male Muto pensiero che vive tra quelle Voci di dentro, e parla di destino E innanzi al cielo limpido e stellato Appare il viver tuo così piccino E oscura la ragion per cui sei nato Di polvere e di fior questo creato Mostra di sua bellezza ogni natura E alfine con tremor, ma affascinato Tu vivi con delizia e con paura Poi che nulla, mai, sarà spiegato E sol saprai d’essere fango e creatura. Il piccolo partigiano La notte stendeva la sua nera coperta E vedevo uscire col fucile in mano Nella città già buia e deserta Il mio papà ch’era partigiano Mia madre posava sulla mia testa La mano dicendo di non far rumore Poi si baciavano, ma non per far festa Nel petto più forte mi batteva il cuore Guardinghi si apriva la parta d’uscita Lui come un fantasma nel buio spariva Mentr’io pensavo che se moriva Non m’importava più della mia vita Anch’io sono stato piccolo partigiano Con i pensieri e il dolor d’un bambino Pur senza avere un fucile in mano Ho partecipato col mio cuore piccino Ed ho imparato da che parte stare Che per un ideale si può soffrire Per la libertà e così per l’amore Si deve vivere e si può morire La libertà è poter cogliere il vento Volare leggeri tra ogni turbamento E’ saper lottare come un partigiano Per la verità… col fucile in mano. Il fiume Ricordo un fiume, l’erbose sue sponde In gorghi l’acqua, lento, trascinare Un canto muto la voce dell’onde E un giovinetto assorto nel pescare Grida d’uccelli e anatre ammarare Solcar coi petti l’acqua, come prore Donne ricurve su tavole a lavare E il rintoccar d’una campana, l’ore Cavalli a riva, in coppia, trainare Le barche nel risalire la corrente Echi lontani del vociar di gente Dai campi arati, intenta a seminare Mansueto, ancor scorre quel fiume Coi gorghi gioca, ilare, la corrente Or malinconico è il rintoccar dell’ore Muto, dai campi, quel vociar di gente. Ironia Ironico sarà il pensiero mio Se all’improvviso mi dirai addio Perché eri tu, non lo puoi negare Che dicevi : Amor non mi lasciare Ed in tal caso usare l’ironia Sarà per me cercar l’unica via Per evitare con un modo di dire Di grande dolor, il dover morire. Fanciulla dalla veste fiorita Tu vieni e canti Fanciulla dalla veste fiorita La dolce canzone d’aprile, Quando le brezze scherzose Scompigliano le bianche chiome dei cirri E s’inseguono, felici, nei cieli tersi Come bimbi che si rincorrono nei cortili, E negli sguardi delle gemme mostri Il vivido colore dei tuoi occhi E sorridi dai rami ridestati, Che hanno atteso, pazienti, sotto la neve Di udire le voci degli usignoli cantare, Inebriate, i loro giovani amori. Vieni e cammini nei giardini Dove passeggiano le rose E corri nei prati con le giovani margherite E con loro, di nascosto ridi Della timidezza dei tulipani. Rincorri, di fiore in fiore, le api E ti abbandoni al vento, spensierata, Volando con gli uccelli che disegnano, Negli spazi infiniti, inconsapevole, La loro felicità. Poi, sulle sponde dei fiumi ti riposi E all’ombra dei salici guardi scorrere Le giovani acque che odorano di neve E scintillano al sole sognando L’abbraccio appassionato del mare. Tu vieni e canti, E io so che un giorno mi mancherai, Perché del mio inverno non scioglierai la neve E sulla mia terra non spunterà l’erba nuova. Il vento spazzerà via le bianche chiome Di nuvole che avranno un colore di malinconia. Ma tu ritornerai E canterai con voce nuova i nuovi amori Dei fauni nei boschi e degli uccelli E i fiori appena nati ascolteranno La voce impercettibile del tempo Scorrere, come l’acqua che scintilla, tacita ed immutabile. Storia di un numero Battezzato da quattro preti Ha vissuto tra quattro mura Ora riposa tra quattro lumi Di cera dura. * Le vele Dal vento D’un inquieto maestrale Giovani vele Si lasciano portare Trepide ed ignare * Gemme sui rami Bocche stupite Sbocciano al sole Labbra fiorite * Spunta la luna Fiore argentato Rugiada stilla Lacrima prato * Sole riscalda Rapida mano Spighe accarezza Sorride il grano * Albero bianco Gioca bambino Fiori di pesco Neve di giardino Meriggio d’estate Muti, di canti d’uccelli E voci di foglie, Alti filari d’alberi posavano sui prati Giganti d’ombra. Una bruma sottile e lontana Vagava nell’orizzonte tremulo, Giallo di sole, Dove il silenzio s’inerpicava sui campanili E le torri sorvegliavano, materne, il riposo delle rondini. Solo l’acqua dei fossati bisbigliava Con le rive fangose, E un rospo solitario si lanciava Riecheggiando nell’aria un tonfo, Sonoro come un bacio. Nei campi, messi dorate s’offrivano al cielo, Ondeggiando sinuose, danzando Tra le braccia d’un alito di vento. Tutto era torpore. Immota l’aria e il battito del cuore, Come in attesa d’un suono, un richiamo, Che risvegliasse le membra appagate, Inerti, nel silenzio Di quegli attimi che seguono l’abbandono, Quando nelle nostre mani racchiuse Custodiamo per pochi istanti, Rari fiori di felicità Tu raccogliesti la veste abbandonata sull’erba Ed il fruscio della seta si confuse Col rumore della vita. Lontana, la bruma si espandeva, Nascondendo ai nostri occhi lucenti Le torri e gli esili campanili. Ventisette Gennaio Per non dimenticare Il sangue, il dolore La ferocia insensata L'abisso ove l'orrore Precipita e dissolve Ogni umana sembianza, E del crimine si assolve Un'orribile coscienza Per non dimenticare Quelle vite rubate A tenere creature Nel tempo delle fate E gli occhi sbarrati Nei carri bestiame, Nei vagoni stipati Di lacrime e fame Nel biancore di neve In quel soffice manto La vita alla morte Donava il suo pianto Le montagne di ossa Erano sguardi e respiri Ammucchiati in una fossa Con gli affetti, gli amori L'umanità non si scordi Che bisogna serbare Questi folli ricordi, Che dobbiamo lottare Contro chi vuole Negare o mentire, E le nostre parole Siano ferme nel dire : La Shoah è stata La barbarie vera, Vita martoriata, Inferno sulla terra Chieda perdono Del sangue, del dolore Chi, ora, nega o tace, Anna, giovane fiore, Riposerà in pace. Senza amore Seguiva curiosa quel ragazzo passare Sotto alla finestra… e sorrideva Sentiva nel petto qualcosa tremare Una flebile voce che le diceva Nina stanotte guarda la luna Mentre colora le nubi d'argento Guarda l'incanto che ad una ad una Le stelle disegnano nel firmamento Quando a primavera fiorì la ginestra A quel ragazzo lanciò un bel sorriso Chiuse per sempre la sua finestra Una luce nuova le illuminò il viso Fremeva nel corpo come i fili d'erba Fremono al soffice soffio del vento Mentre gli donava la mela acerba Corpi intrecciati in dolce lamento Con la dolcezza che ha l'onda del mare Quando lambisce le spiagge dorate Quel bel ragazzo ha voluto amare Mentre primavera si faceva estate Ma ci sono uomini ingannatori La natura violenta tengon nascosta Si mostrano teneri, dolci amatori Sembrano buoni ma fanno apposta Nel cielo di Nina stelle cadenti Tracciarono lunghe scie di dolore Divennero i baci pianti e lamenti Si tinse la notte d'un rosso colore Un triste giorno da una finestra Quell'uomo feroce la fece volare E una farfalla sopra una ginestra Nell'ultimo volo si andò a posare Deserti senz'acqua, rovi di spine Siete senz'anima e senza amore La vostra violenza è scopo e fine Vivete nell'odio e nel disonore Alle finestre lasciate affacciate Non sorridete a quelle donne Perché sono il sole della nostra estate Scaldano il cuore, vanno solo amate Perché sono madri, compagne e sorelle Perché sono donne e sono tutte belle. La ferrovia C’era una ragazza alla stazione Saliva nel treno che stava partendo C’era un uomo che per l’emozione Sul marciapiede stava piangendo Restava immobile ad osservare Il lungo convoglio nel buio sparire Era metafora di quel suo amore Che nel buio dei giorni doveva finire Quanti treni, da diverse stazioni, Durante una vita vediamo partire Quanti sogni , quante illusioni, Quanti amori vediamo morire C’era un uomo alla stazione Che rincorreva il treno…partito Al finestrino c’era una ragazza Ma il treno correva ed è sparito E molti treni, da diverse stazioni, Continueranno sempre a partire Correndo di notte attraverso sogni Molti uomini faranno soffrire Corrono i treni e vanno via Corrono uomini, ma troppo tardi, Restano immobili sulla ferrovia Hanno di lacrime pieni gli sguardi Corrono i treni e il loro rumore Si unisce al battito del nostro cuore Corron veloci mostrando paesaggi Corre la vita mostrando miraggi Corrono i treni e vanno via Lungo i binari della ferrovia. Quando vedrò piangere le stelle Quando vedrò piangere le stelle E la falce della luna insanguinata Raccoglierò le aurore più belle Ed i bagliori d’ogni lieta giornata Sarà il momento, giusto, per capire Nella mia vita quel che sono stato Per chieder scusa se ho fatto soffrire Ed abbracciare quelli che ho amato Come albero che la bufera spoglia Il nudo intreccio mostrerò dei rami Volerà il palpito mio con ogni foglia Ma tornerà, nel vento, se mi chiami. Voci di foglie Nel parco secolare ombrose fronde Al soffiar del vento fanno l'inchino, Dalla finestra osservo e più vicino Vociar sento, di foglie, il mare d'onde Dolce stormire, e rimembro un canto D'allodole sui rami, al vasto cielo, In quell'età che muove al puro incanto D'ogni beltà che toglie il bianco velo E quell'incanto disciolto dal gelo, Splende nel mio ricordo come sole, Che riscaldava i fiori sullo stelo, Sui verdi rami, di foglie le parole Riposa il vento, l'allodole sui rami Più non cantano la loro melodia, Una chimera posa sulle mie mani Una lacrima… e lesta fugge via. Destini Il fiore di campo spunta solitario Dalla terra brulla non nel giardino Ha semplici petali, il gambo piccino Parla con l’erba non col biancospino Il piccolo passero che vuole salire Alto nel cielo e guardare lontano Ha piccole ali non può volare Oltre il confine che traccia la mano Quella invisibile del suo destino Dove c’è scritto : Qui ti devi fermare Quasi uno scherzo, un tiro mancino E contro il destino non si può andare Fiore di campo, profumo selvaggio Odore di pena che non svanisce Nascondi il dolore, mostri il coraggio Se il vento ti piega e la pioggia ferisce Uccello che voli con piccole ali Per costruire il tuo nido sui rami Quanta fatica mentre scendi e sali Stordito dall’eco di mille richiami Se la terra fosse un solo giardino Uguali di uccelli le ali infinite Sarebbe per molti migliore il destino Più vere davvero, più giuste le vite Ma i campi son pieni d’ali spezzate I petali volano strappati dal vento Solo nei giardini rose profumate Si scaldano al sole, baciate dal vento Dai loro giardini rose profumate Del piccolo fiore non odon il lamento. L’attesa Era l’ora vagabonda, Quella che anima di mille desideri L’addio del giorno, Che sfugge, schiva, l’abbraccio del buio E si mostra seducente Sotto la luce dei lampioni. Mentre altre s’accendono, improvvise, Su vetrine luccicanti, abitate da attoniti manichini Che osservano, curiosi, l’incessante andirivieni Con il freddo stupore dei loro occhi immobili, Quando dai tavoli dei bar, giovani eccitati Davanti a bicchieri colmi di speranze, Lanciano nell’aria risa scoppiettanti ; Minuti fuochi d’artificio, Che si spengono tra lo stridore dei tram, Nella risacca della marea vociante Che si disperde e allaga ogni via, Rapita da futili incantesimi. Così, scorreva la vita, puntuale e indifferente, Mentre attendevo di vederti avanzare, Tra le luci e le voci, Con il passo soffice e silenzioso che hanno i sogni Quando sorridono, E accendono nei nostri occhi, luminosa, la luce che dissipa ogni timore. Ma, ora, so che un’attesa Può essere l’orrido abisso d’un addio. Dove può precipitare il nostro muto incanto E turbinare un vortice crudele Che strappa i sogni, Come il vento strappa l’aquilone E lo abbandona, inanimato, nella polvere. Ora so che la felicità è una farfalla leggiadra Che vola nell’aria profumata, Tra i fiori che nei giardini segreti Il nostro anelito d’amore coltiva. E so che le sue ali, fragili e leggere, Può la brezza d’una tepida sera d’aprile Farle svanire in quella densa oscurità Che ottenebra il cielo e il nostro cuore, E che rimane ferma, impenetrabile, Trafitta, soltanto, dallo sguardo delle stelle. Storia di Ljuba Eri ancora una bambina E volevi essere donna Il corpo ancora acerbo Il volto di madonna Nel tuo villaggio il tempo Si era addormentato Tu rincorrevi un sogno Che ti avrebbe portato Lontano, dove pensavi Fosse il mondo migliore Che gli uomini donassero Ad ogni donna un fiore E quando quel ragazzo A cavallo d'un sorriso Ti portò via, lontano, Toccasti il paradiso Eri una margherita E volevi essere rosa Una rosa bianca Vestita da sposa Ma il principe azzurro Che ti portò via Mutò il canto in sussurro Di dolore e nostalgia Di lacrime e di botte Fu piena la tua la vita Eri " bella di notte" Con l'anima appassita E mentre aspettavi Sotto ad un lampione Le stelle ti sembravano Grate d'una prigione Eri ancora bambina Sedici anni appena Lo specchio guardavi E ti facevi pena La pena che priva Di libertà ed onore Come serpe saliva A mordere il tuo cuore E una notte stellata Mentre il treno correva Ti sei a terra sdraiata E la luna piangeva Ed un fischio lontano Avvisò tutte le stelle Che scesero a raccogliere Le tue cose più belle E tra le loro braccia Ti portarono lontano Ti sfiorò il vento la faccia E ti prese per mano Poi sopra al tuo villaggio Ancora addormentato Caddero petali dei sogni Che con te avevi portato. Fantasia Se non ci fossi tu, mia fantasia, A colorare i sogni e le speranze A porgermi l’ali per volare via Oltre le, vuote, pareti delle stanze A guidarmi negli spazi infiniti, Le stelle nel palmo delle mani, Per seminare di pensieri arditi Le zolle dove spuntano i “domani” Tu colori le vesti alla speranza Doni calore e riscaldi la tristezza Sulle grigie pareti della mia stanza Disegni, verdi, panorami di gaiezza Sei l’isola dove naufrago approdo Trasportato dai marosi della vita Sulla tua amaca, felice, mi riposo E sogno, sia ogni strada infinita Che la luce scenda da ogni stella Per parlare alle ombre della sera Sei tra le fate, forse, la più bella Quando racconti : “ una volta c’era “ Se non ci fossi tu, sarei soltanto Un uomo scialbo, di grigio vestito, D’umore triste, facile al rimpianto Ma tu sorridi, e il cielo con un dito Accarezzo, e dispiego il mio canto. Nostalgica Il vento che soffia da lontano Spoglia il ramo E macchia il cielo di foglie Azzurri spazi ritornano Alla mia memoria Puntuali, come le rondini ad Aprile. Come la lucente ala del gabbiano, Che nel riverbero rivedo Adagiarsi sicura, Sul respiro della brezza gentile E odo ancora, Le grida e i richiami infrangersi Con rumore di cristalli Nell’aria distratta e innocente. Respiro l’odore salmastro di barene Dove nel tardo autunno albergano Gli uccelli migratori E solitari fiori di palude Dal tenue colore violaceo rivedo, Fremere con pudore, Nell’andirivieni, perpetuo, dell’onde Il vento sospinge un chiarore D’ alba dolente Che indaga il cielo e lo spoglia Dei turbamenti che la notte trascina E illumina la rotondità delle forme, Le cose antiche a me care, E un inquieto dolore m’invade Mi penetra e ferisce, e scruta Con sguardo severo, Ove nascoste le cose che ho amato Riposano, nella loro veste d’argento. * Si rifugia la tristezza nell’eclissi di luna E le lucciole smarrite cercano L’antico sentiero che conduceva alle stelle. La nostalgia La nostalgia è il dolore d’una foglia Che il vento strappa e fa volare via Danza nel volo e sembra che voglia Restar sospesa, come per magia E’ come rosa che il bocciolo reclina Quando a sera, mesta, l’aria imbruna Poi sotto il freddo manto della brina Riscalda i petali coi raggi della luna La nostalgia è quel tenero sguardo Che segue il lento volo d’un airone Il ricordo del tepore d’una mano Le antiche note d’una bella canzone E’ la struggente voce dei ricordi Che dalla mente, piano, vanno via Risuona, dolce, perché non si scordi Canta il passato con melanconia. Primo amore Rimasi un giorno colpito da uno strale Lanciato da uno sguardo d’occhi neri E da un sorriso che un dolce “ male” Donò alla mia mente, ai miei pensieri E in quello sguardo ed in quel sorriso E nel profumo di donna che m’avvolse Trovai l’incanto del primo paradiso Che solitudine d’amor dal cuor mi tolse Diverse strade. dove altri strali ancora Colpirono il mio cuore e la mia mente Ma non trovai più alcuna, come allora Che avesse quel profumo penetrante Che mi stordì e divenne, fatalmente, Dolore e desio, del mio sogno errante. Di notte…un temporale Sembra serena la notte che dorme Distesa su un letto di lune e di stelle Ma un gregge di nuvole copre di orme Il cielo, sfiorato da un vento ribelle Pure il silenzio che sta riposando Appeso ad un ramo, su un cuscino di foglie Sente il temporale che sta arrivando A insidiare la luna con le sue voglie E per farsi bello giunge strepitando Lanciando per l’aria fulmini e lampi Si sveglia un leprotto che stava sognando E fugge impaurito, correndo tra i campi Nel gregge di nuvole le pecorelle Corrono impazzite, inseguite dal vento Poi senza fiato, stremate, sfinite Piangono, affrante, per lo sgomento Il pianto cade sulla terra assopita Sui boschi, sui campi, pulisce le strade Le piante ed i fiori riprendono vita Si accendono lumi nelle contrade La terra monda i suoi peccati Lavandosi l’anima e dissetando I semi nascosti che stanno aspettando L’acqua per crescere alti, slanciati E mille rivoli d’acqua, giocando Scendono, allegri, dalle montagne Si tuffan nei fiumi e saltellando Riempiono i fossi delle campagne Poi, piano piano, si smorza il vento Le pecorelle asciugano il pianto L’alba che sorge in un momento Si mostra, felice, vestita d’incanto Sgocciola il ramo, si lava la foglia Uno stormo d’uccelli si alza in volo Il sole si leva un po’ controvoglia E illumina il mondo tutto da solo. Erano mille Erano mille gli occhi sbarrati A scrutare l’isola, così vicina, Sembrava toccarla la mano protesa D’una bambina Divennero mille le mani protese Verso quelle fioche, piccole luci Miraggi nel mare tra le urla e le voci, Mentre la speranza correva tra l’onde Sospinta da un vento di paurose grida Cercando uno sguardo tra quelle sponde Che avesse una lacrima per chi moriva. Ma vano fu il sogno, ed arse nel fuoco Assieme a speranze nate lontano Solo il mare gli accolse, in sé, piano piano Poi, l’ultimo grido, e volò alto un gabbiano E continuò il mare a muover tra l’onde Scaglie di luna, lassù in superficie Nel silenzio, sacrale, delle acque profonde Uno scafo per tomba di tragiche vite Ma il grido che sale da quelli abissi Rimbomba nel cuore d’ogni essere umano Chiede ai nostri sguardi di non restar fissi Implora che ognuno tenda la mano Perché siamo crudeli, siamo disumani Cambiamo sentiero se avanza il dolore E ci rifiutiamo di stringer le mani Che chiedono solo un poco d’amore Ora pure il vento, alle nostre coscienze, Grida ogni nome di quella povera gente Un nome che mai sarà ancor sussurrato Il nome di chi, nell’egoismo,è affogato. Certe notti … (dedicata a Stefano Medel, ed alle sue notti) Certe notti mi assale la paura Se il vento svolta gli angoli fischiando E mi dispero, senza una ragione Ho paura che tu non stia tornando Sento l’angoscia e temo di morire Senza poterti dire che t’ho amata E vorrei tanto prima di… partire Saper se ancora, di me, sei innamorata Se sui vetri sento battere la pioggia Forse sono io che sto piangendo Sento del vivere tornare la paura Lo dice il fremito che nel cuore sento Certe notti non succede niente Vago per casa frugando nei cassetti Cerco i miei sogni tra le fotografie Dimenticati trovo pure dei rossetti Ascolto attento ogni piccolo rumore Ed ogni suono mi è caro e familiare Pur con la luna ora potrei parlare Sicuro che mi saprebbe capire Ma certe notti non ascolto il vento Ne la sua voce, ne alcun altro rumore Me ne sto in pace seduto nel mio letto Ad ascoltare ciò che mi dice il cuore E quando, chiara, in cielo appare l’alba Vado in cucina e mi faccio un caffè Così la vita continua triste e scialba Ma poi alla notte, cerco ancora te. Dalle terrazze del cielo Il grano maturo sfiorava, Ondeggiando, Il sereno azzurro del cielo Era la quiete d’Agosto Ad accompagnare i silenzi lungo i prati Nell’ora in cui l’ombra Si addormenta sull’erba, E sogna boschi accoglienti E siepi di mirto, salire, lungo i crinali. Nel pigro torpore del meriggio La tua veste rivelava, nella luce in trasparenza, Il bruno bocciolo della tua rosa. Accolse un cespuglio tra i suoi rami La veste che togliesti con pudore E il tempo attese, Abbagliato dal turgore dei tuoi seni, Che il galoppo tumultuoso di cavalli Abbandonasse l’arena del mio cuore Poi si librò e volò lontano Perduto nell’estasi d’un incantesimo, Liberando le ore come puledri Su sentieri traboccanti d’allodole. Dalle terrazze del cielo Si affacciarono le stelle Mentre nel prato ardevano, ancora, Braci tra le foglie. Domani I “ Grandi “ del mondo, parlando di pace, Quando s’incontrano diventano nani Nelle loro mani hanno i nostri destini Ma ogni decisione è rimandata a… domani Mentre le bombe fan crollare i palazzi, Le scuole, gli asili di città e paesi E tra le macerie ed il fumo dei razzi Ci son solo morti , uomini vilipesi Nelle foto di gruppo scattano i lampi Dei flash che risaltano il loro sorriso Mentre milioni di rifugiati nei campi Hanno solo le lacrime per lavarsi il viso Armate di uomini corrono impazzite Su strade di corpi tutte lastricate Dove solo ieri sbocciavano vite E sorrisi di donne da uomini amate Nei giardini fioriti i giochi di bambini Le grida tra gli alberi eran scoppi di luce Ora sui prati tutti fanno i becchini E mettono i corpi in fila allineati Siano cinquanta oppur centomila I morti non fanno alcun rumore Anche se messi tutti in una fila Ai “Grandi “ non fanno battere il cuore Loro si incontrano in luoghi lontani Dove della guerra il fragor non si sente Tra loro si parla, si ride, e si mente Per la soluzione ?…c’è sempre un domani. ( Così…tanto per scaramanticare ) Incontri Un giorno incontrai una signora Si presentò, disse : Sono la morte Son venuta perché della tua sorte E’ giunto il giorno,è scoccata l’ora E mi pregò d’andar con lei, veloce Aveva molta fretta quel mattino Senza far storie, senza alzar la voce Tanto era chiaro il nome sul listino Ma io chiesi di poter controllare Se per caso non ci fosse uno sbaglio Se l’addetto incaricato a compilare Non avesse preso un grosso abbaglio E insistetti per vedere quella lista Che mi concesse molto riluttante M’accorsi subito, proprio a prima vista Che l’errore di persona era eclatante Cercava un certo Pino, romanziere Che scriveva anche belle poesie Ma non era quello il mio mestiere Le rime belle ?... certo non eran mie La signora si mostrò infastidita Poi la collera montò e lei stravolta Puntandomi sul petto magre dita Disse : Non ridere, ci vediamo un’altra volta Di colpo mi svegliai e quel mattino Camminando per le calli, osservavo Con timore le donne che incontravo Ma sorridevano… Ed io, felice, facevo un bell’inchino.
Invecchiare…humanum est Or, se amorevole, una donna posa Sulla tua guancia una tenera carezza Come il mare cullato dalla brezza Il tuo sentir s’acquieta, si riposa L’antico ardor, sopito, più non osa Mostrarsi col vestito della festa Del suo splendor, ormai, poco ti resta: Non avvilirti e chinar, mesto, la testa Sono passati gli anni e gli splendori Dimenticati nei cassetti i dolci versi Ti resta solo il ricordo degli amori Quelli goduti e quelli che hai persi Per timidezza, viltà o supponenza Ora, accetta il gioco, questi sono diversi Son tempi duri…son tempi d’astinenza. Prima sera Dolente, un canto vespertino Adombra lo sguardo della sera L’ora profuma di silenzio E nel cielo impera L’orgoglio delle stelle. Santa Marta Infanzie diverse e ognuno ha la sua, Chi la vive in palazzo, chi in periferia Io, libero in strada, ogni giorno a lezione Di grande amicizia e di sopraffazione In strada ho imparato ad esser leale A conoscere il bene e la forza del male A inghiottire le lacrime per far vedere Che ero un bambino ma sapevo soffrire Laggiù, a Santa Marta, Venezia s'infrange Su un alto muro che nasconde il porto Tra quelle case cento volte son morto Ma ho sempre lottato e sono risorto Tra compagni di gioco, compagni di vita Per molti, ho saputo, la storia è finita Anche per "Toto" che per una sigaretta Da una gru si tuffava, come un vero atleta Da quindici metri, il suo volo perfetto Disegnava nel cielo un arcobaleno Volava senz'ali quello strano angioletto Una stella cadente nel cielo sereno Anche "Renato" in cielo è volato Aveva perduto il suo grande amore Lui, fragile fiore, non ha sopportato Di vivere senza quel raggio di sole Lo trovò "Gianni", quel fiore strappato, Aprendo la porta, suo fratello maggiore Stava in altalena ad un cappio attaccato Svenne e capì che d'amore si muore Era tempo di guerra e "Pippo" volava Il suo aereo faceva un sordo rumore Ma a noi della guerra poco importava Avevamo imparato a giocar col dolore La fame era nera, si mangiava poco, Noi allegri nel cuore si rideva sempre, In strada, liberi, la vita era un gioco Che rafforzava le membra, le tempre Di là della mura, i magazzini del porto Ricolmi di cibo, di guardia i tedeschi Di qua noi ragazzi con lo stomaco corto Giocare a pallone magri come teschi Una notte nel cielo apparve un incanto Razzi splendenti illuminavano il porto Ma lo stupore mutò presto in pianto Dai razzi alle bombe il tempo fu corto Cadde una bomba in una casa vicina Ferì molta gente, mori una bambina, Non c'erano soldi per mettere i fiori Sopra quella bara, solo i nostri dolori Quel piccolo "Regno" così lontano Così vivo nel cuore e nella mia mente Talvolta il rumore di quell'aeroplano Di notte , se ascolto, ancora si sente. E rivedo i razzi scender lentamente Tra le povere case, il porto illuminato Rivedo quei volti, quella bella gente Di Santa Marta, là dove son nato. Il viaggio Quando apparirà l'ultima sponda Dove s'infrangerà l'onda del mare Ci sarà una signora ad aspettare Poi la nave andrà, sola, alla fonda I tesori scoperti durante il navigare Da mozzo, marinaio e capitano Li porterò al momento di sbarcare, Con nostalgia, nel bagaglio a mano Non sono dei tesori luccicanti, Gemme preziose o anelli di diamanti Ma splendidi ricordi di lieti momenti, Di chi avevo accanto, nel tirare avanti Perché il mio navigar non fu crociera Dove si gode il sole su nel ponte E si folleggia nei balli a tarda sera, Ma continuo terger sudori dalla fronte E ho affrontato perigliose burrasche Soffrendo molto per il mal di mare Con pochi soldi, a volte, nelle tasche Ma impegnandomi sempre nel cercare Di navigar tenendo la barra del timone Sulla dritta, per evitar di scarrocciare Lontano dalle correnti aspre del mare, Dalle sirene che volevano ammaliare Ora che, brulla, all'orizzonte appare La terra che mi sarà ultimo approdo, Ora che le sirene cantare più non odo, Questo mio viaggio voglio raccontare E' stato faticoso, non lo posso negare, Sofferto venti freddi ed umide bonacce Ma ho visto aurore, al loro spuntare, Di amate donne colorar le belle facce Ho ingoiato l'amaro sapore del pianto Di molti addii ho abbracciato il dolore Ma molto ho riso e provato l'incanto Della giovinezza e del primo amore Ho visto i prati fiorire a primavera E dai declivi scendere i cerbiatti Le rondini danzar prima di sera E gli arcobaleni nei cieli, colorati Ho visto montagne sorridere ai dirupi E molte solitudini attraversar le steppe Nei fitti boschi le scorrerie dei lupi E rose spuntar dai muri, tra le crepe Isole, come ninfee sospese nei mari tropicali Tra sospiri di palme e bisbiglii di correnti E udito i canti dei nativi nei cerimoniali Chiedere, ai loro dei, d'essere clementi Abitato in città, tra i deliri della gente Che si nutre d'invidie, nel caos generale Visitato villaggi ai confini del niente Dove ogni persona con l'altra è solidale Spesso è scontroso il mar, mosso dai venti E il navigar dei marinai è doloroso Solo l'affetto per i figli, in quei momenti E' di conforto, quando infuria periglioso E l'amor della famiglia ha riscaldato L'animo mio, come il sole la mia pelle E ogni tristezza o solitudine ho scordato Guardando di notte il cielo, ebbro di stelle E ho navigato con Lei., l'amore mio Compagna fedele e appassionata Bella nell'anima e bella nel desio Solida accanto, ad alleviar la traversata E tu giovane mozzo che fremi per viaggiare Troverai tempeste e venti che ti faran soffrire Ma se avrai coraggio, sentimento e amore sulla sponda, dove finisce il mar e il navigare: " Però ho vissuto" potrai, ai posteri gridare. Storie di operai Hanno rotto la testa a Lorenzino Col manganello gli hanno fatto male In fabbrica trovato ha quel mattino La polizia, che chi protesta assale L'hanno portato morente all'ospedale Con l'ambulanza a sirena spiegata Così finiva di un mite manovale Del suo lavoro una strana giornata Dicevano che la fabbrica chiudeva Che gli operai erano tutti licenziati In un mattino col sole che splendeva Vedevi uomini piangere disperati E Lorenzino era proprio disperato Per il lavoro, per il figlio ammalato Non dormiva più da oltre un mese Per la fabbrica, il figlio e per le spese Per la sua donna ancor giovane sposa Per lei voleva una vita serena Pensava adesso sfiorisce come rosa Se ogni speranza ora diventa pena All'ospedale giunsero i compagni Di lavoro e gli ha riconosciuti E voluto a tutti stringere le mani Come fosse l'ultimo dei saluti Alla fabbrica mettevano i sigilli E Lorenzino in quel letto moriva Sulle corolle socchiuse dei gigli La luna vide la notte che piangeva Non ci son voli, ne magici orizzonti Di gloria, di successo o di potere Un operaio deve solo sperare Per il lavoro di non dover morire Perché se a un uomo togli la certezza Del lavoro è come sparargli al cuore Della sua vita spegni ogni bellezza Togli il rispetto, la dignità e l'onore Lorenzino pensava ch'era bello Al mattino andare a lavorare Ma il cuoio di un duro manganello Ha potuto la sua vita licenziare. Per scrivere una poesia Io vengo dalla campagna E ho un’anima terragna Un po’ rozza , poco avvezza Al sorriso, alla dolcezza. Non so usar parole strane Sono spesso sciocche o vane. Quando piove non mi pare Che le gocce siano rare Gemme che baciano il fiore, Ma che servano a nutrire, Lungo i campi coltivati, La lattuga e il cavolfiore. Sono pratico, un po’ rude Uno che poco s’illude E l’occhio mio non vede Che le rondini nel volo Usan due piccole vele Per solcar le onde del cielo. Che le nuvole fan velo Alla terra che riposa, E che per chiederla in sposa, Ogni sera quando imbruna, Corre il sol verso la luna E dalla foga poi scompare, Rosso in volto, perché inciampa Là sul limitar del mare Ma l’altro dì m’è capitato Di veder bene stampato Questo titolo : “La Poesia” Io non so che cosa sia, Ma mi sono incantato Per il suono delicato Che usciva dalle parole. Si libravano da sole Con un ritmo musicale, Accarezzavano la mente Come nel volar si sente Dolce e lieta una canzone. Non avevo mai sentito Frasi alate così belle, Che parlavano del mare, Dei pianeti, delle stelle, Del valor dei sentimenti Delle pene, degli incanti, Delle gioie e dei dolori Che provano gli amanti La mia anima terragna è rimasta ammutolita Ma si è presto ammorbidita. Ha capito che della vita Deve ancor molto imparare Conoscere, capire Che quello che si crede Non è verità assoluta E’ spesso l’ombra ingigantita Di quel che in noi risiede, Che ci limita e ci possiede Poi una dolce sensazione Nello spirito s’è estesa E con grande mia sorpresa Di scrivere ho provato Un desiderio sconfinato. Ora anch’io vorrei tentare E chiedo aiuto a Voi Signori Tesorieri dei “ Saperi “, Di scrivere una poesia. Però qualcosa che non sia Bouquet di versi attorcigliati, Ma di pensieri nati Dalla grazia, dallo stupore, Da parole che hanno amore Che sanno meravigliare, Dall’eleganza del pensiero, Da un sentimento vero. Una poesia che possa dare A chi ha un’anima sincera Un’emozione vera. Per questo io Vi chiedo Con garbo e cortesia : Per scrivere una poesia Dove trovo la magia ? No… non si può (canzone) Se tu avessi il coraggio di dirmi :” E’ finita” Sarebbe, per me, molto più facile capire Che certi amori non durano una vita Che nasce un racconto, ma deve poi finire Se io avessi il coraggio di chiederti ragione Sarebbe, per te, molto più facile spiegare Che ormai finita è la nostra stagione Che sulla spiaggia muore pure il mare Ma tu non parli per non farmi soffrire E nei tuoi occhi leggo questo timore Però il silenzio, tuo, mi fa morire Ed è difficile mostrar di non capire No… non si può Trascinare un’anima per mano Sapendo che sarebbe falso e vano Fingere di voler ancora amare, E chiedere solo agli occhi di parlare, Ed allo sguardo, vuoto, lasciar dire : “ Il nostro amore, sai, sta per finire “ No… non si può Lasciare che il silenzio scavi dentro E strappi dal cuore un sentimento Come fa il vento quando strappa un fiore Che nel silenzio, alto, lo fa volare Ma tra le morte foglie, poi, lo lascia cadere Ti prego parlami, apri profonda la ferita, Col sangue uscirà fuori anche il dolore, Saprò che questo amore Non durerà una vita E che un nuovo racconto potrà dire: “Addio”, ad una storia già finita Storie di periferia (canzone) Questa è una storia di periferia Dove a morire va la città Laggiù di notte la strada è buia Nell'aria c'è odore di povertà Passi e la gente ti guarda male Ha poca grazia e cattivo umore Perchè la vita sa un po' di sale E sulle labbra il sorriso è dolore Dove ogni cristo porta la sua croce Salendo il calvario ogni mattina E quando cade, senza alzare la voce, Alla corona aggiunge una spina Qui le finestre dei gran casermoni Che guardano spazi abbandonati Sembrano vuoti occhi spalancati Su scorci di cieli sempre velati Il sangue lento, che gonfia le vene, Di questa gente ha un altro colore Scorre col denso spessor delle pene Che incatenano giorni senza sapore Qui è nata Nina ed è cresciuta Come una rosa con tante spine A tredici anni già aveva perduta La casta purezza delle bambine Io abitavo nella porta accanto E della Nina ero innamorato Era già donna ed era un incanto Io un ragazzino dal cuore infranto Nina portava a casa gli amanti Ed io sentivo le voci d'amore Sentivo pure le grida e i pianti Dopo le botte di qualche signore Piangevo di rabbia, il cuore batteva, La notte sognavo con lei di fuggire Se lo dicevo alla Nina… rideva E quella risata non riuscivo a capire Poi la vita mi ha portato lontano Ma la Nina non l'ho mai scordata E ho saputo da un amico per caso Che con un balordo si era sposata Un uomo rude, veloce di mano, Che tutti i giorni l'aveva picchiata E avuto un figlio, un poco strano, Che la sua gioventù l'aveva bruciata Buttata cercando speranze fuggite Lungo la strada più dissestata Mischiando al sangue dosi minute Di quell'illusione che ruba la vita Nina era sola quella triste mattina, Nella sua stanza sembrava dormire, Mi disse piangendo un'amica vicina: "Per troppo dolore s'è lasciata morire" La notte è stata un lungo soffrire Pensando alla Nina quando rideva E tra le lacrime son riuscito a capire Che si può ridere…per non morire Mi sono alzato, c'era una sola stella, Brillava nell'alba, sembrava vicina, Nel cielo già chiaro era così bella Forse mi guardava…forse era la Nina. Malinconica (due) Il passero sui rami, tra le foglie Ascolta mentre parli con il vento E si commuove quando le tue storie Raccontano di sogni in un lamento Lo sguardo che tu posi sulla luna Ha la tristezza di una donna sola Che ha sognato come mai nessuna Donare a un figlio il sangue, la parola Ma nel giardino tuo non è caduto Il seme che germoglia nell'amore Che cresce il fiore che avresti voluto Sbocciasse dal tuo grembo con dolore L'amore non ti ha sfiorato i fianchi Con le sue mani ardenti e silenziose E i tuoi seni, sfioriti, erano bianchi Boccioli che mai saranno rose Sei madre tra le madri silenziose Che tra le labbra filano in segreto Le ninne nanne e cantano il dolore Attorno a culle vuote accanto al letto * Anima dolente, Nel tuo ventre di donna materna Si è inaridito il fiume che scorreva Come un Nilo fecondo, E nel tuo petto armonioso si è spento Il respiro profondo che avrebbe donato Con la grazia della brezza d'aprile, Il tepore al tuo fiore delicato. Ora negli occhi hai la malinconia Che hanno i boschi Nella solitudine delle nebbie autunnali, E nelle membra la stanchezza dei desideri Quando vagano sperduti Oltre i confini della speranza. Ma stringi ancora tra le mani La matassa dei tuoi sogni di lana, E ricami, Nelle fredde sere invernali, Corpetti azzurri colorati di baci. Oh, come avresti voluto che le tue braccia Fossero agili altalene. Ondeggianti al soffio di nenie sussurrate In stanze ombrose e chete, E che dai tuoi seni si spargessero Gocce del miele che nutre I giovani corpi illuminati dal sole, Gli esili germogli che si schiudono Alla prima luce del mattino. * Ora, guardi le stelle che tremano nel cielo E nel vento un brivido ti coglie Mentre il dolore di lacrime fa un velo Al passero sui rami, tra le foglie. I nostri occhi senza amore E’ di porpora il sole Sulla cima dei colli prima di precipitare Nella gola della notte E sono i nostri occhi senza amore Spente stelle nell’universo Della nostra solitudine. Le orbite tracciate dalle ali degli angeli Svaniscono come esili scie di fumo Nello spazio gelido dei nostri silenzi Dove un tempo, sulle nostre labbra, fiorivano parole che non sappiamo più bisbigliare Quando amiamo nei nostri letti senza tepore Che non odorano più d’umanità e sudore. In albe assonnate e nuvolose Abbiamo dimenticato l’ardore, Il profumo dell’aria nelle sere di maggio, La follia delle foglie dopo il temporale E il canto dell’acqua tra le nostre dita. Ci siamo innamorati Dei nostri involucri incolori, Effeminati pavoni che inciampano Nei cortili ricolmi Dei rifiuti di giorni trasandati. Abbiamo dimenticato la morbidezza Delle labbra gaudenti, Il torpore dei meriggi assolati, La timidezza del tramonto che scolora E la frescura dei coni d’ombra sui prati. Sarà, forse, un uragano di vorticosi pensieri A dipingere d’azzurro il cielo ? E tornerà la neve su maestosi ghiacciai A splendere immacolata ? E i nostri occhi.. Oh i nostri occhi…! Vorrei poter…( filastrocca ) Vorrei poter vedere Un mio pensier volare Senza che la mente Lo possa fermare Potrei così capire Dov’egli può arrivare Valicando i monti Attraversando il mare Volare senza indugi Senza le ali tarpate Da dubbi o da rifugi Di regole stampate Volare oltre le case Volare oltre le cose Capire come nascono Le spine con le rose Un libero pensiero Dal sole illuminato Che vola oltre i confini D’ogni ragione o stato Poi in fondo al mondo Fare un girotondo Con tanti altri pensieri Più liberi e leggeri Che conoscono diverso Un modo di volare Capir quello che ho perso Per non saper vedere Il mio pensier volare Con ali piccoline Su un piccolo orizzonte Dov’era scritto “fine” Invece mi hanno detto Che il cielo è infinito E se tu sai volare Lo tocchi con un dito. ( Berlusconi dice che vogliono mandarlo ad Hammamet ) Hammamet Vai ad Hammamet Ti pago io il biglietto Pur se son poveretto Ma vai ad Hammamet Lascia questo Paese Di ingrati comunisti Che hanno le pretese Che i giudici sian giusti Porta con te il codazzo Di nani e ballerine Gli scriba da strapazzo Le impavide Olgettine Porta pure Ghedini E tutti gli avvocati Che per i tuoi soldini Per te si son dannati Ricordati di Alfano Cicchetto e Santanchè Non è un posto strano Si beve ottimo thè E soprattutto porta La Russa e Gasparri Non lasciarli qui Non farci certi sgarri Ti troverai bene Senza quegli strani Soggetti molto onesti Che son certi italiani Che pretendono giustizia Decoro ed onestà E corrompere e mentire Manco sanno come si fa Che gente, che paese Che squallide pretese Ascolta il mio consiglio Come se ti fossi figlio Vai ad Hammamet Ti pago io il biglietto Pur se son poveretto Ma vai…vai ad Hammamet. Il treno Nella… ricordi quel treno alla stazione Dove salivi e affacciata al finestrino Stringevi con gioia la mia mano ? Poi un fischio saliva repentino E il treno si muoveva… piano, piano. Con lo sguardo lo seguivo E il suo rumore, Rotolando, si perdeva ormai lontano. Così. come perduto si è poi nel mio destino, Il tuo volto ed il calor della tua mano. Corrono i treni, Sfrecciando nella sera con luci rutilanti, Trasportano gli amori ed i destini Verso città e luoghi assai distanti, Ma non sanno quei teneri bambini Che agitano le braccia festanti, Che rimasto solo alla stazione L’uomo che guarda il treno già lontano, Col gesto silenzioso della mano Non saluta un amico, un viaggiatore, Ma dice addio ad un amore vano, Ad un amor che lentamente muore. ( mi sono concesso mezz'ora di trasgressione poco poetica. Confido nel Vs. perdono ) Senza la luna Sole nel buio, tremule le stelle, Per l’universo dovrebbero vagare Se la luna non potesse più volare Alta nel cielo e l’uomo far sognare E si potrebbe, certo, immaginare Il mare frugar nell’onde oscure Cercando negli abissi quel brillare Perduto nell’ondeggiar tra le paure E immaginare il fiore appena nato Senza il tepore della luce ambrata Che la luna stende sopra il prato E sulla campagna addormentata Chiudere i suoi petali cercando Di proteggere la corolla amata Dal gelo della notte, supplicando La rugiada di vegliar l’innamorata Non s’udirebbero né voci, né fiati Solo il silenzio vagare tra le mura Dei borghi sui colli addormentati E tra i vicoli il frusciar della paura Furtiva, che nei viottoli nascosta Dietro gli angoli, muta, s’apposta, E spaventa il timido viandante Nell’oscurità solo e tremante E immaginar gli uccelli della notte Nel buio cercare inutilmente, L’ebbrezza del volar e con la mente Desiar illuminate, antiche rotte Senza la luna, immaginare il cielo Sarebbe come immaginar la vita Senza l’amore, che stende il suo velo Luminoso in ogni anima rapita Dalla luce di questo astro vero Che al cuore gira generoso attorno Senza chiedere, splendido, sincero Luce nella notte e pur nel giorno.
Chi vivrà…vedrà Non è un piccolo sasso Ma un enorme masso Che nel lago dei misteri Della Chiesa,è sprofondato Ci sarà uno tsunami ? Si alzeranno alte l’onde ? Oppure in quelli abissi Dove tutto si confonde Nuoteranno sempre oscure Le trame ed i misteri E sul grande Cupolone Sarà il domani come l’ieri? Perchè non scende un raggio A illuminar l’oscuro A dare più coraggio E a rendere più puro Il cuore di chi invece Predica la fratellanza Ma negli intrighi vive Con fervida costanza? Onore a quel Signore Che ha lanciato il masso Sperando nel fragore D’un sano sconquasso Per tosar le pecorelle Il nuovo Pastore Sia giovane e ribelle Ma attento alla sua pelle… Accade già ad Albino Sorridente quel mattino Fatto Pastore, che alla sera Nell’Ovile più non c’era. Giovane, perduto amore Il frutto immaturo, Che sparge acerbi aromi, inganna, Nella precoce rotondità, L’occhio del passero e il raggio di luna. Così il tuo giovane amore ingannava, Col debole tepore di un pallido sole, Sul ramo esposto, la gemma primitiva. Indifferente al volo di uccelli Che abbandonavano nei cieli primaverili Le grida e i richiami dorati E volavano, dimentichi, verso cieli pasquali. Fu il segno sottile che tracciano le parole A strappare, con ruvide dita, L’esile gambo del fiore. E mentre da ghiacciai immobili e severi Voci di cascate scendevano nei tuoi occhi E mi parlavano con grida e boati di spume, Si spegneva, nella mia anima stupita, L’aurora di un’illusione romantica. Ma tu sai che ho ritrovato Le risa dimenticate sotto le pergole E raccolto, sui prati, I petali dei baci addormentati sotto la luna, I fuochi accesi sui nostri silenzi, E i tepori che lambivano i respiri. E sai, che nelle notti senza lucciole, né stelle, Io salgo lassù e in un cesto di rose Li poso sulla tomba Ove, soavemente, riposi. Il sogno, la realtà e i desideri Quando udii quella limpida risata Colorita come un arcobaleno Io sognavo una donna innamorata Di bel aspetto e d'animo sereno Con dei pensieri come siepi fiorite Parole d'acqua di limpido ruscello Con un sorriso e un'indole mite Donata all'arte e amante del bello E quando vidi i suoi biondi capelli Giocare con il vento della sera Entrai nell'estasi di quei sogni belli Dove vedevo… quello che non c'era M'innamorai d'una fatina bionda Che conosceva l'arte dell'incanto Mi trastullò come fossi sull'onda Cullandomi col riso e con il pianto Ma quel placido mar all'orizzonte Mostrò, repente, nubi di bufera E l'acqua diventò poi ribollente Che persi vela, timone e pur la sfera Della bussola che serve al navigante Per non cozzare contro la scogliera Così divenni naufrago vagante Nel mare oscuro come pece nera E appeso ad un relitto di speranza Giunsi stremato in un posto lontano Soffrendo per la grande lontananza Quando sentii toccarmi da una mano E udii una voce decisa che diceva: Alzati in fretta ch'è ora d'andare Così mia moglie, forte, mi chiedeva Nella realtà, ancor di naufragare Perché quel giorno si doveva andare Dal giudice per la separazione E il nostro sogno nato sull'altare Finiva in quella squallida sezione Il mio sogno era come la realtà Che prima allieta e poi ti delude Così ti chiedi quale sia la verità: E' la realtà che il sogno preclude ? Ma forse noi spesso confondiamo I sogni con gli umani desideri Che nulla hanno, ad esser sinceri, In comune con i sogni veri Il vero sogno rimane sempre sogno Non nasce per doversi realizzare Nasce perché l'uomo ha bisogno Di un sogno, dove potersi rifugiare Spirito vitale Quando non avrò più forza nelle mani Per sostenere il cuore E la speranza nel domani Sarà farfalla che abbandona il fiore Quando guardandomi il dolore Mi fisserà con occhi disperati Tu prendimi la mano e per i prati Accompagnami cantando una canzone Perché verrà quell’ultima stagione Quando i ricordi come fiocchi di neve Voleranno assieme alla ragione Leggeri nell’aria e sarà lieve Il loro fluttuare come corpi inanimati Nel cielo d’una incognita stagione Allora prendimi la mano e per i prati Accompagnami cantando una canzone Mio spirito vitale, sempre accanto, Allegro, a illuminare ogni mattino, Ti ho trovato, e pure quando ho pianto Mi sorridevi con grazia di bambino Ora che gli anni veloci son sfrecciati Come rondini che migrano al confino Non lasciare la mia mano e per i prati Accompagnami a conoscere il destino. (ricordando un caro amico veneziano…ormai così lontano, intento a navigare tra le stelle) A Sergio Ballarin Ti ricordi, Sergio, i colli in lontananza confusi nell’aria azzurrina del mattino ? Ora, che primavera avanza, Come verdi seni emergono dal mare Laggiù, dove la laguna muore E la pianura corre tra i campi coltivati, I giardini in fiore, E gli alberi, che con stupore Guardano rapiti il cielo celestino, Che ha l’innocenza che avevano i tuoi occhi, E in questa quiete del primo mattino, L’aria, il cielo e il mare Si abbracciano splendendo In un tripudio di luce e di colore Anche le isole si lasciano abbracciare Dalla marea che sale lentamente Vedo alcuni pescatori, pigramente, Salutare con un cenno della mano. E mentre la barca scivola lontano Torna una voce, nel silenzio, che m’invita A ritornare dove quell’albero è caduto E tra i suoi rami, per sempre, ha imprigionato Il tuo sorriso dolce, scanzonato. Su quell’aiuola voglio posare un fiore Ma pure dirti che oggi mi è sembrato Tu fossi accanto a me, Nella luce di questa dolce primavera. Forse perché di primavera Era ancora vestita la tua vita, Che nel ricordo torna, Torna sempre, splendida e fiorita, Ma col rimpianto d’un bimbo addormentato Prima che la fiaba sia finita.
Mute gemme d’amore Nel centro del tifone che avanza Distruggendo ogni vita, ogni cosa, Immota l’aria riposa Così riposava serena Nel gorgo di quel folle uragano La coscienza di chi, disumano, Non provava ne colpa, ne pena * Non voglio sentire le ragioni del vento Che disperde le grida e i lamenti, Né i latrati immondi dei cani Nei cortili coperti di neve. Non voglio sentire il battere della pioggia Che marcisce i tetti di legno Dove i tarli consumano la memoria Su tavole imbiancate di fresco. Non voglio che le impronte del dolore Sul fango rinsecchito Con sguardi severi mi chiedano Della purezza delle mie lacrime. Io non ho lacrime pure Che possono lavare ogni silenzio E ridare alla giovinezza del ricordo I suoi occhi innocenti e puri Ho solo questo grumo di sangue Dentro me che non si scioglie E che sento ogni volta rifiorire In un groviglio di rovi e di spine, E so soltanto, che sempre e per sempre rifiorirà Nel mio petto esausto, Con la freschezza di mute gemme d’amore. Malinconica Il passero sui rami, tra le foglie, Che il vento muove in una danza Gioca con i raggi della luna Come gioca il bimbo in una stanza Tu che stai affacciata alla finestra Non sai più giocare con la luna Tra le sue luci e le ombre oscure Scorgi solo presagi di paure Ma è la stessa luna che rideva Dei tuoi sospiri, dei teneri incanti, Ora la luce sua fioca e leggera, Si posa, delicata, sui tuoi pianti Solo il silenzio capisce la tua pena E ascolta la sua voce tra le stelle Urlare quel dolore che incatena La solitudine a donne ancora belle * Anima dolente L'acqua della fonte dei desideri Sulle tue labbra vergini, nutriva Le gemme delle rose dei baci Mai sbocciate nella tua fredda primavera Con petali di raso E odori di muschi selvatici, Nel giardino della tua bocca. Dai bruni coni di giada dei tuoi seni Avresti voluto, come da piccoli vulcani tropicali, spargere il fuoco d'una passione che scorre ancora, come un wadi sotterraneo, nel deserto delle tue notti. Nella fierezza del tuo sguardo conservi Il fascino di femmina ardente e pura, Inesplorata da mani audaci Che conoscono delle selve e le foreste I sentieri dove sbocciano i fiori selvatici Dai colori dei soli e degli uragani, E hanno il tocco soffice e tepido Che hanno gli alisei Quando sfiorano, accarezzando, Le spiagge dorate e nude. Nessuno ha mai scostato Il velo di timidezza che copriva il tuo volto E visto, nella tristezza infinita del tuo sguardo, Il dolore di una donna che ha sognato Danze di fanciulle sotto lune celesti , E di baccanti coronate di pampini Ma ha ascoltato, Solo le voci segrete di allodole Che parlavano, nella penombra , Di talami e di fruscii su lenzuola di seta. Ora, immobile, tra le dure pareti della notte Guardi la luna gialla che gioca, Lanciando i suoi raggi di luce, Con il passero sui rami, tra le foglie. La coltre oscura Vorrei potesse la mano dell’aurora Toccando la mia fronte sollevare Il lembo di quella coltre oscura Che la notte nel cuor viene a posare E vedere nella luce che traspare Sciogliersi la pena ed il tremore Sì da poter mostrar senza timore Al nuovo dì dell’anima il candore Vorrei il pensiero potesse levigare Come l’acqua i sassi del torrente Ogni detrito che la vita nell’andare Ha fatto diga nel fiume della mente Vorrei poter i luoghi ed ogni gente Osservare con sguardo di purezza E nel capir chi è verità e chi mente Scoprir cos’è l’amore e la bellezza Vorrei dagli occhi d’ogni creatura Poter levare quella coltre oscura Che vieta di veder quanto splendente Potrebbe essere l’uomo e la natura. Torpore Nei languidi meriggi dell’Estate Quando, pigra, negli ozi s’abbandona S’odono frinire cicale inebriate Nel canto, che monotono risuona Tra morbide calure, tremulo, lontano, Il paesaggio sprofonda, s’assopisce Quieta sul ramo la foglia del Ontano Nel torpore, c’ogni pensiero concupisce Improvviso il tocco d’una campanella Scocca, e strappa il velo del silenzio, Un suono breve, un trillo di monella Scuote l’aria, che sospira, si ridesta Smuovendo l’afa ed il torpore attorno, E più vivo sembra tornare il giorno. Omaggio a Lorenzo e a tutti i Sitani : Lo so che non posso Se “Sapessi”…potrei Indossare la veste Dei Poeti, di Dei Ma mi manca il potere Per mio scarso sapere E vestire di stracci È mio giusto dovere Ma se imparassi L’ usar ago e cucito Di stoffe dorate Mi farei un vestito Ma sono ormai vecchio Non riesco a imparare La mente pian piano Comincia a oscillare Per questo ogni giorno Uso stoffe non mie Mi vesto d’azzurro Con le Vostre poesie. Le rose di Sarajevo La tua finestra si apriva verso il cielo Guardava i tetti e quelle belle rose Che tu curavi con delicato zelo Morbidi petali abbracciati allo stelo In quei palazzi abitava la paura E sui tetti si nascondevano i cecchini Colpir sicuri prendendo la misura Da lassù, era un gioco da bambini Oh, quanto pianto bagnò quella finestra Palcoscenico del dramma dell’orrore Dove la vita recitava la funesta Tragedia della morte d’ogni amore In anni e giorni dove non c’era festa Vedevi correre per non esser colpiti Uomini e donne e rosso sulla testa Sbocciare un fiore, o spuntare dai vestiti Ed un mattino sotto un cielo disperato Quando udisti quel grido di bambino Quel fiore rosso sul suo petto sbocciato Macchiò di sangue l’anima di un cecchino Morì così nel tuo cuore la speranza E la pietà pianse tra le tue braccia Poi di dolore gridasti come pazza Mentre tenevi nelle mani la sua faccia. Dalla finestra cogliesti le tue rose Ed il suo corpo diventò piccola serra Dove riposa non sbocciano altre cose Ma solo rose… solo rose di guerra. Risveglio Quando la notte si sveste del gelo Profuma di luce il giardino del cielo I fiori d’aurora sono scaglie lucenti Posate sull’onde, sulle sponde ridenti. Tra le braccia del giorno l’ora s’allieta Coglie petali il mare e l’onda s’acquieta. Un bocciolo di luce sfiora il tuo sguardo E annega nel lago d’acqua di smeraldo Dei verdi tuoi occhi,e un lieve bagliore Saluta il giorno che nasce, La notte che muore. Risvegliati amore, non aver paura, Ascolta l’usignolo, il canto si effonde, E’ suono melodioso che risplende Quel dolce canto, che dell’anima le fronde La sua dolcezza agita e confonde. L’usignolo del mio amore per te canta La sua canzone dolce, appassionata, Canta alla vita, a ogni nuova giornata Di luce lieta, pur se la pioggia preme, Pur se il tuono col suo cupo rumore Parla di sofferenza e di tremore. Pur se cadono i giorni come foglie, E dal ramo è volata giovinezza, Se fragile la mano che accarezza Trova un volto e delle membra spoglie E lontano sono volati amati uccelli Di nostre piume adorni e nostre ali Dai nostri rami librati in verdi voli E canti, che al cor non hanno eguali Siamo alberi, e sul nostro tronco scava Il destino, solchi di gioie, lotte e delusioni, Pianti della radice che nella terra separava La speranza, dai fiori fatui delle illusioni. Risvegliati amore, non aver paura Canterà sempre l’usignolo il nostro amore L’albero si spoglia e poi torna a fiorire E nel quieto bisbiglio dell’imbrunire Dolce, nel vento,è ascoltare il suo stormire. Come un frullio… Non so capir perché, continuamente, Tu ancora frulli nei miei pensieri, Nella mia mente, Come un'ape cocciuta, petulante, Che gira intorno ai fiori, Tra le piante. E più la scacci più lei ti gira attorno, La mandi via ed è già di ritorno. Frulli di notte e frulli di giorno Con un ronzio che non mi da pace, Che mi perseguita, Che mai non si tace. Forse non ho ancora assimilato L'idea che c'eri ma in un tempo "trapassato", Ormai così lontano. E quello che hai lasciato Sono solo le vestigia di un antico amore, Un sito di memorie, E non so vedere che il mio cuore è diventato Un polveroso museo d'antiquariato. Cos'è l'amore se non è ricambiato. Se a tener vivo il tuo sentimento Non c'è un volto, un sorriso inebriato, Due occhi che ti guardano ridendo, E dei silenzi che più delle parole Parlano a quel segreto incanto, Quel ruscello che scorre come canto Dentro di te senza far rumore, Quei silenzi che fanno germogliare Il seme d'un fiore che ha petali di palpiti, Profumo di desideri e fremiti, Che adorna il tuo dire e quel che pensi. Che nutre il tuo ardore ed i tuoi sensi. Cos'è l'amore Se non c'è un corpo da desiderare Nelle notti senza tempo, Tra tenere braccia dove ti puoi rifugiare E scoprire paesaggi di quiete e di tempeste Dove provi la gioia, eccitante, delle feste L'abbandono sensuale, dove puoi trovare L'armonia della ridente pace agreste. E' forse questo frullio senza ragione Un sentimento che può chiamarsi amore? E' amore questo soffrire solitario, Questo carnefice del tuo orgoglio ferito Che ti lacera perché vuol essere ricordato? Così , rimani solo ad un ricordo imprigionato E non t'accorgi che il tempo ha consumato la tua vita. Ha consumato le sue labbra e il suo sorriso, E le sue mani non sono più gigli d'Aprile Che s'agitano nella fresca brezza giovanile. I suoi pensieri sono volati via, Non torneranno più al nido del tuo cuore, Non nutriranno più la tua fantasia. Resta soltanto questo ronzio d'ape molesta Che punge il cuore e frulla dentro alla tua testa. Divertissement : Sognando sulla spiaggia Volsi repente sguardo e la vidi nuda, al sole mostrare le bellezze, cotal era il fulgor che non capivi, s’ella d’esser sì bella lo sapesse. Avea ,lunghe, le trecce che cadean su l’alti seni, e parean danzare, s’ella movea, leggera, nell’andare, sinuoso il corpo, splendido, di dea. L’occhi suoi lucean d’un colore, che ti parea mirar l’azzurro mare, se tu avea fortuna d’incontrare, lo sguardo velato di candore. In quel mare caddi dolcemente, lasciandomi dall’onda portare, smarrendo la ragione, pur la mente, nel gorgo vorticoso del desiare. Il corpo mio volse in tal tremore, e il core sobbalzò nel palpitare sì forte, che il brusco risvegliare la vision fugò, e potei vedere la sposa mia diletta che mirava il mio agitar con infinita pena, mentre l’onor mio, lento, rotolava, senza decor, sopra la calda rena. Il viottolo nel bosco Quand’ero bambino…no! Quand’ero bambino…giocavo a nascondino. Quand’ero ragazzino…ecco si! Quand’ero ragazzino e il primo pensiero frullo nella mia mente, in modo consistente, un poco arguto, pensando al mio futuro ho immaginato la vita, avanti a me, come una strada. Un lungo, largo viottolo che s’inoltrava in un bosco fatato, ove la luce, a larghi raggi, tra gli alberi scendeva, e tra le foglie verdi si perdeva. I rami erano lunghe, forti braccia che mi accoglievano, e non c’era traccia dell’uomo nero, né del lupo errante; C’erano solo fiori e tante piante. Nel sottobosco mi sembrava di vedere qualche folletto, che ridendo saltellava, ed un cerbiatto, felice, che correva e all’improvviso, immobile, mi guardava con tale dolcezza che m’inteneriva. E sembrava , con il capo m’invitasse a correre con lui tra quei sentieri, dove nascosto dai cespugli immaginavo, esserci un capanno od un magnifico castello, e mentre così fantasticavo, il cerbiatto sparì, come un uccello che all’improvviso vola via, e ti rimane del suo volo e del suo cinguettio, soltanto, flebile un frullio, d’ali lontane. Ho scritto questa canzone per convincere Piero, che non sono quel romanticone che lui pensa…(?) :
Canzone romantica S’io fossi farfalla, volerei Nel tuo giardino e andrei… Di fiore in fiore, Sul tuo seno poi mi poserei Suggendoti il nettare dal cuore Se fossi una lacrima, scenderei Accarezzando, lieve, il tuo bel viso Sulla tua bocca poi io brillerei Come rugiada al sole d’un sorriso S’io fossi Luna, splenderei Solo per te, guardandoti incantata Nei verdi prati ai grilli chiederei La malia, della più bella serenata Se fossi pioggia, scenderei Come una piuma, lenta nel cadere Bagnando la tua veste per vedere L’incanto del tuo corpo che traspare S’io fossi vento, giocherei Coi morbidi capelli tuoi di seta Ed ogni notte a me ti stringerei Tenendoti nell’aria stretta, stretta Se fossi un fiore, sboccerei Nella tua mano, rosa senza spine Di petali la fronte tua ornerei Ed il profumo non avrebbe fine S’io fossi pittore, prenderei Del Botticelli la sua Primavera Poi accanto a te la poserei Per capire quale è quella vera Se fossi musica, suonerei Un pianoforte e cento violini Ma di suonar per te io cercherei La musica che incanta i bambini Ma sono solo una vecchia canzone Ed il mio canto, forse,è l’illusione Di chi l’amore vuol sempre cantare Perchè d’amore vive e vuol morire. Ars Poetica E’ così bella la notte E così bianca la luna… Dimmi… ti vedrò a primavera ? Quando sull’alto colle sale il vento A salutare la pioggia nuova E gli usignoli, Che ai bordi dei ruscelli cantano Canzoni nuove, ai nuovi amori ? Dimmi… verrai lungo i sentieri ? Tra i campi ancora nudi E i seminati grigi, nell’aria pungente, Che dai monti innevati, ancora, scende lungo i crinali, sino ai prati ? Salirai oltre le rocce brune ? Dove le api volano tra i licheni, Inebriate dagli odori del timo, del rosmarino, tra i primi meli in fiore, Che, nitidi, si stagliano nel cielo azzurro? Dimmi… verrai ? Io ti attendo Da mille primavere e mille estati, Perché vorrei con te, mano nella mano, Andare oltre l’isola del bosco, Lassù, negli alti pianori profumati Di sole puro, di neve immacolata, dove E’ così bella la notte E così bianca la luna Dove ogni parola si fa stella E ogni stella voce dell’Universo. Il sogno Ad uno, ad uno, si spengono piano I raggi del sole immersi nel mare Impigliato tra nubi ne resta uno solo S’arrabbia la notte che deve aspettare Aspetta seduta su un cirro gigante Mentre si fa bella e acconcia la veste Scura, che rende l’inceder elegante Nel gesto di togliere il manto celeste Dal cielo, e sul drappo nero che stende, Per non svegliare il giorno che dorme, Ricama ed appunta, paziente, le stelle Per rischiarar nel gran buio le orme Dei sogni, che corrono lungo i sentieri Dei desideri e dell’immaginazione E i grandi mari, dove sembrano veri, Veloci velieri in lieta navigazione Naviga il sogno frangendo le onde Tra voli di fole e di bianchi gabbiani Abbagliato dal sole la rotta confonde Tra l’onde, nuotar, vede pesci strani E draghi marini e sirene volanti Che sputano fuoco, che intonano canti E il vento furioso che strappa le vele In un isola Eva che mangia le mele Poi il mare diventa un fiume impetuoso Incontro al veliero viene una cascata Il sogno si lancia in un volo angoscioso Ma dall’acqua si leva una voce incantata Di fata, dicendo che la notte è finita La luna s’è spenta, ricomincia la vita. Il sogno raccoglie le gioie e i dolori Li mette in un sacco e aspetta poi fuori, Lontano dal giorno, che ritorni la notte, Con i cupi frastuoni e le dolci sue note. Rimpianto d’amore Preme la nebbia sulle voci, Attutite, del cuore Mentre l’aria s’imperla D’un argenteo grigiore. E lente vanno le ore, nell’attesa Dei rintocchi dell’anima. Sospeso nel silenzio Dimenticato dagli echi, Il profilo sicuro delle parole Si confonde, nell’ incerto colore Delle canzoni d’estate, Ora, dalla bocca, sono volati gli uccelli, Nella foresta dove muoiono i sorrisi, Dove gli occhi cercano, Nei laghi prosciugati, Sguardi baluginare, nelle pozze stagnanti, Riflessi dorati di antichi splendori. Nell’atmosfera attonita e silente, Lo specchio riflette una luce ricurva, Che dona ai gesti La sacralità dolorosa, dei riti consueti. Voglio donarti il mio fiore di solitudine Dolce amore, Ora che il sole ha raccolto i suoi raggi Luminosi e ardenti E il mare, paziente, attende Che spunti la stella che orienta i naviganti. Ti dono il grigiore e le pozze stagnanti, e il profilo, incerto, delle parole. Non volgerò più il mio sguardo pietoso Per medicare le tue ferite, Ne poserò più, sulla tua fronte la mia mano Nella carezza che nasconde Il pallore del tuo volto esangue. Perché, ora, so che incontrerei, se ancora mi voltassi, Soltanto la tua maschera immobile. Un tempo troppo breve Solo il tempo che ricada la polvere Che il carro, sobbalzando, solleva Ai margini del viottolo E appare chiara l'infrangibile visione Di giorni, di notti e di equatori confusi Nel gioco degli equinozi. Sorprende lo sguardo, il nitido orizzonte, Dopo il rumore dei giorni consumati Dal baco a mordere la foglia E dalla crisalide a disegnare I colori della sua veste di farfalla. Soltanto l'attonito stupore Negli occhi d'un bimbo o d'un viaggiatore, Rimane a confondere il rimpianto Del gioco perduto, del treno che s'allontana. Sfreccia la rondine lasciando, Nei piccoli vortici d'aria, un brivido di luce, Un riflesso che rapido si confonde Coi bagliori del tramonto. Trepido, fragile turbamento, Come un sospiro di fanciulla al primo bacio. Solo il tempo che il vomere penetri la zolla E salga l'afrore dalla terra, Si sollevi e ricada con le piogge di primavera Sul seme del grano e del alloro, Che la tenera spiga poi sorrida alla rugiada Lasciando ondeggiare al vento Solo un breve, rapido momento, I suoi capelli d'oro. Che nell'occhio oscuro del lago, riflessi, Appaiano i misteri delle sue acque profonde, Dove la barca scivolando distratta Insegue argentei guizzi che al sole Lancia il pesce incantatore. Il tempo di nascere, crescere e morire Come di un giorno, di un fiore o d'un pensiero gentile E non saprai mai da quale aurora provenga la luce, Ne da quale giardino il fiore aspiri il profumo, Ne mai, quale goccia del tuo sangue alimenti Quel dolce pensiero che ti allieta. Le braccia che tendi per sfiorare il cielo Si riempiono di soli, di piogge e di neve E colmano gli spazi immensi del tuo cuore Di caldi raggi, di gocce e fiocchi di dolore. In un tempo troppo breve. Così stremato, di pena e d'amore Giunge al confine dove finisce il prato E impenetrabile si annuncia la foresta, Dove portati dal vento del rimpianto S'odono nitidi nell'aria che si oscura, I richiami di uccelli che tardano A riconoscere la sera. Gioia di vivere Se un triste dì del vivere cancelli Il desiderio, e dentro t’arrovelli senza udir nel core alcuna voce parlare al tuo dolor e darti pace In cielo mira il volo degli uccelli che nulla chiedono, se non di volare senza bramar gioia di possedere del cielo l’aria pura e il rimirare Volano felici, che dato li è di volare Ma pure a te hanno donato l’ale Dunque volar ti prema, e di sognare E nel sognar, letizia di volar provare A mezzanotte (canzone) A mezzanotte l’aria si fa scura La cerco nei sentieri della mente L’oscurità mi fa molta paura Ora di lei non mi rimane niente A mezzanotte dormono gli uccelli E sognano nascosti tra le foglie Io la rivedo in quei giorni belli Il sangue che bruciava dalle voglie Erano neri e lunghi i suoi capelli Le braccia erano morbide altalene La voce, dolce suon di campanelli Nel dondolio obliavo le mie pene Ma mezzanotte è l’ora dei briganti Furtivi hanno rubato il mio tesoro Gli occhi suoi due fulgidi diamanti Strenuo il mio lottar contro di loro Ma ero armato solo della voce Sapevo solo cantar le serenate Lei sognava il fiume che alla foce Conquista il mare a vele spiegate E’ mezzanotte, l’aria s’è fatta greve Gli uccelli sognano cieli infiniti Il nostro amore è stato troppo breve Lei è lontana e i sogni sono finiti Ma s’ode lieve un respirar che sale Da un fiore che parla addormentato Dice che il buio non deve far male D’amore c’è chi vuol essere amato Sopra ogni cielo cupo e nuvoloso C’è una Luna che incontra un Sole L’amor non lascia mai nessuno solo Nell’aria volano dolci le sue parole Le ascoltano le piante e gli uccelli Le grandi praterie, le onde del mare Cerbiatti assieme ai lupi ed agnelli L’uomo si fermi…si fermi ad ascoltare. Animo gentile Onde che sciolgono lacrime sul mare Vagano cercando il tepore della rena Oh animo gentile che devi navigare L’ infido mar sulla nave della pena E solitario andar per strade ignote Alla beltà, alla grazia e fantasia Scendere borghi e contrade vuote Cercando il raro fior della poesia Soffrendo inverni gelidi e nevosi Vestito solo della tua dolcezza Cercando che bellezza si riposi Negli occhi tuoi e sia la leggerezza Del gesto che libera un pensiero Limpido di bontà per ogni vita La luce che illumina il sentiero E vivere d’amor lieti c’invita Splende nel tuo mattino un delicato Sguardo d’alba, dolce come canto Che sale lieve a sfiorar le fronde Che il vento infido agita e confonde Come l’inverno copre con la neve La terra, il cui respiro si fa greve Ma sotto la coltre vive e poi germoglia Il fior nel prato, sull’albero la foglia E’ fulgida luce ogni goccia di pianto E il tuo dolore è fiore che profuma Meschina vita è quella che soltanto Di mala grazia vive e si consuma. C’era una volta…forse Ho atteso ai margini del bosco Che passasse Cappuccetto Rosso Per proteggerla da un lupone losco Che voleva mangiarle pure l’osso Ma che aspetto ormai son tanti anni Forse ha preferito un altro sentiero Ero convinto fosse questo quello vero Ora dubito sia il bosco degli inganni Forse ho atteso invano e ho fatto sera Sognando d’incontrar fate e folletti Ma ho visto solo streghe con la mela Piccoli gnomi, omuncoli pieni di difetti Forse ho sbagliato bosco ed ora è notte Laggiù tra gli alberi brilla un lumicino E d’una musica suonar sento le note Mentre mi batte il cuore e m’avvicino Con cautela guardo oltre una stalla L’interno d’una stanza e resto basito C’è Cappuccetto che col lupo balla… Triste mi chiedo: Cosa non ho capito?. Il Pelmo (Dolomiti) Da spazi verticali Colorati di rosa Tu appari solitario Eremita che posa Il suo sguardo E riposa Nell’immensità Tra ammutinati cieli. Rumori e grida La nebbia distratta abbandona Nei prati batuffoli bianchi Il ricordo di te che mi manchi E’ fremente sfiorarsi di fianchi Sull’erba, la tua pelle odorava Di viole, e quel magico odore Sarà eterno profumo d’amore Bruciava la notte e nel pozzo Dei tuoi occhi la luna rideva Dalla gola tua s’espandeva Un grido e un gemito rozzo E quel suono feriva la notte Penetrava la carne nel petto Era un grido d’amore diletto All’udire, e aveva il segreto D’agitar nel suo delta le vene Con furore di fiume impetuoso Che strappa alla terra il seme Un concerto di grilli riempiva Ogni buio, ogni ansito o fiato Nel ricordo di un grido flautato Con rimpianto la notte moriva. Il rifugio Il rumore dei raggi di sole Nelle stanze del mattino Ha il suono rotondo di un canto tibetano. In un silenzio di luce si rifugia Il mio cuore pallido Con l’estasi d’una estensione d’estati E la paura di un sogno funesto. Ho addosso l’odore della pioggia E l’umidore dell’aria Di temporali infradiciati Mentre osservo dalla finestra Festeggiare questa tarda primavera Vedo sorrisi di gemme sui rami Sedurre uccelli che si tuffano Nei laghi azzurri, tra le foglie, A rincorrere richiami. Nulla è più fragile d’un pensiero senza meta senza confini da valicare Ne può il profumo dei gelsomini confondere L’odore d’una disfatta. Ho bisogno che questo sole allontani La bruma che infittisce la sera Come tessuto di tela ruvida e nodosa Che filtri tra i rami di angosce appassite E mi ridoni l’intensità del delirio Che hanno i giorni tepidi e famigliari Il caldo sapore delle sere intrise della semplicità delle parole dell’armonia della penombra quieta. Mi rifugio tra le braccia Di questa dea amorevole e severa Con l’umiltà e la malinconia Del giorno che volge al tramontare Cercando nel sorriso della stella che appare Luce che illumini la sera. In silenzio… In silenzio la luna Ci guarda dal cielo In silenzio le nuvole Ricamano un velo Perché si possa Un po' riposare Sono mille le vele Che solcano il mare In silenzio Abbracciate al vento Che le fa volare In silenzio la notte Ascolta le stelle In silenzio tu sciogli Le trecce tue belle Quando l'alba In silenzio Infila raggi di luce Tra le imposte e riluce La rugiada nei prati E in silenzio mi baci Mentre ancora assonnato In silenzio mi sveglio E credo d'aver sognato In silenzio si bacia In silenzio si prega In silenzio si guarda Il sol che si leva Dal mare e risale In silenzio nel cielo Su splendide scale Di luce radiosa In silenzio la rosa Profuma il giardino In silenzio ti accosti Mi vieni vicino Ed accanto ti siedi Mi prendi la mano E in silenzio Con gli occhi Mi dici ti amo In silenzio osserviamo Gli uccelli volare E il tramonto Che fa scivolare Un cerchio di fuoco Sull'acqua del mare In silenzio sui campi Cade la neve In silenzio si posa Con un volo lieve Il cuculo al ramo In silenzio guardiamo Il mare in tempesta In silenzio Aprile Sugli alberi in festa Posar piccole gemme Gocce di colore Che la notte bacia E diventano fiore E in silenzio teniamo Le nostre coscienze Non vediamo niente Non vogliamo sentire L'immenso rumore Di guerre, di fame D'ogni umano dolore. Mattinata di Sole Tre rondini, belle come madonne Guardò estasiato il garzone del caffè Quando il vento gonfiò le loro gonne Ed il corpetto adornato di lamé Due girasoli le seguirono nel viale Spargendo petali e richiami sulla via Finsero, ombrose, d’aversene a male E ridendo schive fuggirono poi via Dai balconi col vestito della festa Ritti e pomposi sorridevano i gerani Ai ragazzini che nella corsa lesta Dei genitori sfuggivano i richiami Il canale alla Giudecca luccicava Scaglie di luce sull’acqua trasparente L’aria era dolce e c’era molta gente Spensierata che al sole passeggiava Qualche barca dondolava alla deriva Lasciandosi portar dalla corrente Ed una vela con fare indifferente Filava al vento, altera come diva Quando ti vidi eri immobile ed avevi Lo sguardo rivolto verso il cielo Il bel profilo scolpito nell’azzurro Il capo ornato d’un trasparente velo Eri una vera madonna sull’altare Di quel mattino splendido di luce Gioiva il sole lieto d’illuminare Il volto tuo e un corpo che seduce Sei rimasta così nella mia mente Oh sconosciuta, che di grazia vestita Una soleggiata mattina solamente La tua beltà donato hai alla mia vita. Non so contare i giorni Non so contare i giorni, troppo velocemente Scivolano tra le mie dita, s’infrangono sul muro Sbrecciato della vita D’ogni giorno infranto, il pezzo più importante Lo raccolgo con amore, poi delicatamente Lo metto in una serra tra i fiori e le piante Rivedo in un frammento il sorriso di mia madre E una grande dolcezza l’anima mi pervade Non lacrime o tristezza Ma consapevolezza della grande fortuna D’esser nato figlio d’una persona buona Nel mio animo ha posato una musica che suona Un concerto delicato Il sublime concerto della vita mi ha donato Mi ha insegnato la ragione per sorridere al mattino Coglier fiori nel giardino pur se nevica d’inverno E vedere nell’eterno spuntar del sole, della luna Sorridente la fortuna che ripete : Tu sei nato, hai vissuto, con chi ti ha sempre amato Non so contare i giorni Ma rivivo, coi frammenti, quei magici momenti Tutto ciò ch’io sono stato Rivedo i sogni dell’infanzia, il vigor di giovinezza E l’ardor, la tenerezza per le donne che ho amato Quello che ho loro dato e ciò che ho ricevuto I bei giorni della gioia, quelli tristi del dolore Del tedio, della noia, della rabbia e del furore I frammenti mi raccontano Se ho vissuto con amore. Eterno rifiorire Quando gioiosa la stagion si spoglia Dell’inverno, magico è il momento, S’odora profumar d’erba e di foglia La campagna e il sospirar del vento Spuntano sui rami ancora assonnate Timide, socchiuse, gemme risvegliate Dal primo sole, e da rugiade poi irrorate sbocciano stupite come bocche incantate L’acqua che scende limpida di neve Disseta il timido cerbiatto che la beve S’ode l’argentea sua canzone nei ruscelli Saltellar tra ciuffi d’erba e ramoscelli Bisbiglia e trilla ogni albero di canti Tra le foglie, dove nascono gli amori I prati si adornano coi petali di manti Trapuntati di mille splendidi colori Il mare si abbandona pigramente Sulla spiaggia e le dona una carezza Poi sull’amaca dell’onda si riposa E s’addormenta, cullato dalla brezza Profuma l’aria e miti sono le stelle Di odori e canti s’anima la sera Sospira il vento così dolcemente Perché in ascolto sta la primavera Nel lieto, luminoso, eterno rifiorire Della natura e nella sua fragranza L’essere umano coglie per il divenire Petali dorati del fior della speranza Castani erano i tuoi occhi Languido, sul filo delle ciglia Il tuo sguardo rubava Al mio cuore l’innocenza Castani erano i tuoi occhi Sui fianchi rotondi scivolava Il tuo vestito di seta disegnando Un soave desiderio di danza Castani nel vento i tuoi capelli Quattro fanciulle passarono ridendo Tra il grano maturo d’agosto Rimase nell’aria un profumo di neve Castana nell’ombra la tua pelle Lontano il tuo violino suonava Un concerto di gigli sfioriti Flebile nel vento di scogliera. Castani erano i tuoi occhi. Illusione Se passeggiando in un prato Seminato di sogni , ad un tratto Io potessi coglierne alcuni Come un piccolo mazzo di fiori Colorato, da metter poi fuori In bella mostra sulla finestra Sarebbe certo un giorno di festa Perché io ho sempre sperato Di vedere un mio sogno avverato Coglierei un sogno dove i pianeti Della notte sanno tutti i segreti Ed aspettano senza timore L’alba nuova con il suo chiarore Ed un sogno dove tutte le chiese Sono aperte , senza campanili Senza croci o simboli strani Dove i fedeli non usan le mani Per pregare, ma per aiutare Chi diversa ha un’altra fede Ad amare ed avere fiducia Nell’uomo e in quello che crede Un sogno dove chi piange di gioia Terge lacrime al povero e solo Dove l’ Aquila che si leva in volo Dall’alto guarda con grande umiltà Dove le api possono fare il miele Nelle arnie tranquille e serene Dove le onde spingeranno le vele Quando il vento un po’ mancherà Anche un sogno dove le greggi Hanno ovili e verdi pasture E del pastore non hanno paure Poi un sogno dove un profumo Dice alla rosa: “ Io non ti amerò Col soffio di vento che mi sposa Felice e libero nell’aria volerò” Se potessi aver questa fortuna Sarei di certo molto contestato Mi direbbero : “ Vuoi anche la Luna ? Attento illuso I sogni non fioriscono in un prato”. Se tu potessi sentire … La tua bocca era un garofano rosso Tra le bianche lenzuola ricamate Quando l’alba posava il sole Tra le braccia tese dell’Estate Se tu potessi sentire il rumore Del sangue nelle mie vene Lasceresti il tuo letto di pene Piccolo fiore dai petali argentati Sul cuscino del mio antico amore Poseresti i tuoi anni addolorati I tuoi occhi erano verdi usignoli I tuoi capelli alghe nel mare Tra le mie braccia come sirene Le tue forme volevano danzare Se tu potessi sentire il fragore Dei ricordi nelle notti serene Chiuderesti nello scrigno le pene Piccola Eva dagli occhi turbati Adorneresti di fiori dell’Eden I tuoi pensieri ora disabitati. Lo Specchio Ora non c’è nessuno che mi guardi Quando sono davanti allo specchio Vedo riflessa solo una stanza piena Di mobilia che sa molto di vecchio Dove sarà andato quel signore Che sorrideva con tanta simpatia Quale sarà il motivo, la ragione Perché senza saluto è andato via Ma se ci penso bene ultimamente Aveva un’espressione assai contrita Sembrava non interessarlo niente Come se inutile fosse la sua vita So che aveva amici e frequentava Un circolo del tennis e culturale Andava anche a teatro ed amava Il cinema, ma quello amatoriale Poi per un dissesto finanziario La donna che aveva l’ha lasciato Spariti i suoi parenti ed ogni amico Piano piano si era dileguato Sono preoccupato e devo fare Qualcosa per poterlo ritrovare Temo che in solitudine lui possa Perdere la voglia di sognare Sì, perché sognava volentieri Lo vedevo allegro canticchiare Perso nei suoi magici pensieri E col sorriso sapeva anche parlare Ed era tanto caro e assai gentile Per me era tutto ciò che avevo Come conforto, come compagnia Ora è sparito, se n’è andato via Attaccherò un biglietto sullo specchio Pregandolo che voglia ritornare Perché perso in questa triste stanza Da solo, non so più con chi parlare. Il silenzio delle sirene (Con grande emozione ed umilmente, un saluto a Lucio) Marinaio che amavi il mare La tua barca è approdata In quel porto dove il dolore Non ha suono, non ha una data Marinaio tu che cantavi Della vita sogni ed amore Ora il vento non riconosce Ne la tua vela, ne la tua voce In questo cielo che ha perduto Ogni colore ed ogni incanto Anche il rumore della pioggia Sui vetri sembra un triste pianto E più non cantano le sirene Del loro incanto le melodie Distanti e mute sono le stelle Più non ascoltano poesie Ora la luce s’è addormentata E tra le braccia dei pianeti Tu dormi lieve e al petto stretti Tieni i tuoi sogni ed i segreti Ma in una isola lontana Un gabbiano ha ritrovato Tutti i battiti del cuore Di un poeta innamorato Li ha posati sulle sue ali Volano liberi nel cielo Ed ascoltarli noi si potrà Forse nell’Anno che verrà. Ho cercato lontano … Ho cercato tra i fiori e gli sterpi Nelle verdi vallate e i deserti Lungo i fiumi, le spiagge, nel mare Negletto viandante a cercare… Valicato ho i passi montani Le foreste dell’oggi e il domani Son tornato spesso sui miei passi C’era il nulla ovunque io andassi… Ho incontrato per strade e villaggi Solitudine, tristezza e rancore Nei deserti ho rincorso miraggi Al tramonto del giorno che muore Ho dormito nella tenda dei sogni Nelle buie grotte del cuore Ho rischiato anche di morire Sotto l’onda di un cupo dolore Mai nessuno mi aveva spiegato Che cercare tanto lontano Era certo il modo sbagliato Il segreto era nella mia mano Dentro al cuore dovevo guardare In quel lago nascosto e segreto Liberando gli aironi e spiegare Le mie ali nel volo più lieto E guardare dal cielo ogni cosa Con occhi stupiti e incantati Cercar nel profumo di rosa L’umiltà dei fiori nei prati Seguire i fiumi e i torrenti Nelle città andare tra genti Che diverso hanno credo e colore Ma uguale nel battito il cuore E chiamare fratello o compagno Ogni uomo che ci vive accanto Perché certo la vita è dolore Ma se ami si terge il tuo pianto E se ascolti…è musica,è canto. Ragazzina dagli occhi lucenti Ragazzina dagli occhi lucenti Nei tuoi anni felici e ridenti Hai cercato quel tenero incanto Nei segreti del riso e del pianto ? Ragazzina dal volto sognante Nei giardini della tua mente È sbocciato quel fiore dorato Che nel sogno avevi cercato ? Ti ricordi quel campo di grano Dal giallo color dell’estate Quel ragazzo che dalla tua mano Raccoglieva le spighe dorate ? Ragazzina dagli occhi piangenti Tra i rumori di foglie non senti Nell’Autunno un richiamo accorato ? E’ quel sogno, perché l’hai scordato… Malinconia L’argentea Bruma che traspare Dal cielo annuvolato Scende sul vagare Monotono dell’onde Sull’aspra vastità del mare Trepida l’anima Si perde nel torpore D’una vaga dolcezza Di un tenue dolore Si veste di languore Dolente una carezza. Dimmi… cos'è ? Nasce nei prati Ma non è fiore Nasce al mattino Ma non è aurora Nasce di sera Pur se adora Che sia la notte Il luogo migliore Ha il suono dolce D'una canzone Le fragili ali Dell'illusione Non è farfalla Anche se vola Nei sogni e cerca Nella parola Il senso profondo Di ciò che sente Ed è infelice Se gli si mente È spesso ingenuo E s'abbandona Al pianto per torti Che non perdona E' timido e ama Far cose strane E' tenero e dolce Come lo è il pane Viaggia soltanto Con la fantasia E soffre molto Di gelosia E' spesso solo Anche incompreso Alle ricchezze Non da mai peso Nella sua vita Vale soltanto Avere sempre Qualcuno accanto Qualcuno che cerchi La sua dolcezza Da consolare Nell'amarezza Per cui trovare Le giuste parole Che pur se piove Sembra sia sole Simili nascono Altri destini Ma poi rimangono Sempre piccini Non sanno crescere Come fa il fiore Che della corolla Offre il colore Offre il profumo La vera essenza Che dona alla vita Ad ogni esistenza Ragione di nascere Di vivere e andare Felici con lui Se lo si sa trovare Ah l'amour ..l'amour Vorrei che fosse la tua voce… Le betulle che ondeggiavano flessuose Nei boschi incantati Non avevano mani per raccogliere il vento Ne ampie sponde aveva il tuo cuore Per il fiume di pena Che scorreva silenzioso nelle mie vene Non saprai mai angelo di dolore Quanto cielo può illuminare una stella E quante strade azzurre il mare nasconde Nella nebbia dei porti ai giovani marinai Dall’alto sperone del tuo orgoglio di pietra Un canto dolente di penombra Inquietava i silenzi dell’alba E ignorava il fremito del seme Che sotto la terra umida di pianto Vagheggiava essere per te Soltanto fiore Vorrei che fosse la tua voce che viene Sonora oltre il rumore degli anni Un bagliore di sole nello specchio Che riverbera le verità nascoste Nel muto,severo rigore degli sguardi E brucia i rami secchi Affastellati dai rimpianti Nei falò dei boschi incantati Verso Sera Mi accora La dolcezza dell’aria che s’imbruna E la carezza del sole che si attarda Nel giardino a parlare con le rose Quando Aprile s’adorna di mimose E l’ora s’acquieta nell’odore Della terra Che dai campi risale Le silenziose scale Della prima sera Tra il profumo del limoni Mentre balzano quei suoni Che il gemito del vento Impigliato tra l’intrico dei rami Sospira tra le foglie Dei platani lontani E mi accora la luce della sera Che scende querula Madida di luna Come il pianto su di una preghiera E’ in quell’ora passeggera Che nel mio petto inclina Una dolcezza inquieta, come pena Che lontano nel tempo mi trascina Nella luce di quella prima stella Che limpida nell’aria che s’imbruna Ancora splende, nel mio muto cielo Madida di luna. Dondolava la Luna Grida d’uccelli Come sassi scagliati nel silenzio Infrangevano i segreti che il mare confidava Al mormorio delle stelle E dondolava la faccia della luna sorridendo Dalle mille scaglie di luce che danzavano Sui tremuli prati del mare Tu nascondevi il desiderio Tra le morbide vesti di sguardi appassionati E mi sorridevi Come sorridono al grano i soli d’agosto E l’acqua alle cascate Quando inebriata si abbandona delirando Al brivido del volo Erano chicchi d’uva matura Le parole che sussurravi cingendo La mia fronte di pampini E mentre spargevi dalle tue labbra Il miele d’Ape Regina che odorava D’aromi di lavanda e ciclamino Un alito di vento leggero gonfiava Come un sospiro bambino Il drappo alla finestra Mentre dai terrazzi la felicità osservava il mare Poi sazia raccoglieva dall’aurora Un velo di chiarore E dispiegava in un volo di lontananze Ali di rimpianto e nostalgia. Canto di un vecchio poeta (parte seconda) Il vecchio poeta giunto sul dirupo Alzò lo sguardo per salutare il sole Udì il tremendo ululo del lupo Allora al vento affidò queste parole: Vorrei scrivere tutti i miei ricordi Nel cielo appesi a un filo di memoria Perché l'alba al mattino non si scordi Di raccontare al sole la mia storia Vorrei scendesse la luce dalle stelle E dolcemente prendesse la mia mano Poi correre assieme nelle più belle Praterie del cielo e andar lontano Lontano dove quieto dorme il vento Su un letto di piume di parole Raccolte lassù nel firmamento Vaganti tra gli astri mute e sole Vorrei che la notte mi indicasse La valle dove nascono i bisogni E il giardino fiorito mi mostrasse Dove sbocciano tutti i nostri sogni Che la luna illuminasse la finestra Che guarda nei giardini dell'amore E il sentiero che conduce alla foresta Dove crescono gli alberi del dolore E la casa dove dimora la speranza Che sa sopportare ogni soffrire Dove tiene nascosto in una stanza Il segreto che l'aiuta a non morire Tuffarmi dalle spiagge del rancore Per capire quanto è profondo il mare E una barca imparare a costruire Per chi vuole felicemente navigare Prosciugare la palude che nasconde La serpe dell'invidia che confonde L'intelligenza, il merito ed il valore Per cose che si possono rubare E poi chiedere scusa alla mia mente Di non aver saputo scrivere parole Che parlassero al cuore della gente Con il calore di un raggio di sole Raccogliere gli amori della vita E diventare una splendida cometa Che vola libera nel cielo a illuminare I ricordi di una storia ormai finita E splendere perché Tu possa vedere Quanta luce aveva il nostro amore E mentre dormi nei sogni ricordare Che ti ho amata nella gioia e nel dolore Vorrei scendesse la luce dalle stelle E dolcemente prendesse la mia mano Poi correre assieme nelle più belle Praterie del cielo e andar lontano… Lontano…lontano. Rondini Le rondini con ali leggere Volano nei cieli del mattino Nel fulgore delle primavere Tra i fiori profumati del giardino Sognano di sorvolare il mare Di andare oltre l’alto monte Dal vento farsi trasportare E bere l’acqua fresca d’ogni fonte Di scrivere tutte le parole Delle più intime preghiere Da sussurrare piano con amore Nell’oscurità di dolci sere Ma i cieli cambiano d’umore Piove e scroscia il temporale Le piume bagnate fanno male Si vola nel vento con dolore Le rondini liberano i pensieri Che corrono su cieli sconfinati Cercando tra i sogni perduti I volti degli amori ormai finiti Poi quiete riposano nel nido Guardando il cielo che s’oscura E col vento che fa un po’ paura Rabbrividisce il cuore nella sera Ma le rondini continuano a volare Nel cielo terso di giovani creature Col piacere nel volo di giocare Al gioco della vita e dell’amore. Piazza San Marco Il cielo rischiara Dormono le stelle Bacia la prima luce Palazzi ricamati E bifore curiose Da marmi delicati Salutano le chiese Appena risvegliate Mentre nella piazza Dei portici le arcate Si rincorrono festose In un semi-girotondo Sorridono alla chiesa Più bella del mondo Magica sullo sfondo Gelosa di conservare Tesori dell’Oriente Sotto cupole dorate Adagiate dolcemente Come soffici cuscini Su quei cieli azzurrini Dove volano colombi Che sembrano giocare Con putti e cherubini. Ai lati i tavolini Di magici caffè Nei vasi hanno le rose Che guardano altezzose La gente incantata Far la passeggiata Ascoltando una canzone Suonata dall’orchestra E l’aria sempre in festa Rende l’anima disposta Alla felicità. La Solitudine e la Nostalgia C’è un silenzio pieno deì rumori Degli anni e dei giorni d’ogni ieri Racchiusi nella mente e nei pensieri Coi suoni delle gioie e dei dolori Vive in un teatro senza attori Quel silenzio e si vuole isolare Sono andati i musici e i cantori Ma una voce l’aiuta a ricordare Risuona nel teatro dolce e profonda E racconta le storie di ogni vita Agli occhi sale il pianto come l’onda Giunta alla spiaggia debole e sfinita Parla accorata la voce a ricordare Risa di bimbi e giovanili amori Di spensierate notti quando fuori Solo le stelle stavano a guardare Giovani nei prati tra le braccia Di tenere fanciulle per scoprire L’ebbrezza dei baci e sulla faccia I’ansito del respiro e il palpitare Parla degli anni lieti della scuola Delle ansie innanzi ai professori Del grande turbamento d’una sola Occhiata rubata ai primi amori Di bianche spose e figli da allevare Di notti insonni e giorni assai felici Della dura fatica resa dal lavorare Di tenere persone e di strenui nemici Risuona come un canto delicato Quella voce chiamata Nostalgia Parla alla solitudine di chi ha amato La vita che ora lenta fugge via. Puoi chiedere… Alla farfalla il filo che tesse nel suo volo su un alito di vento chiedere alla sirena il segreto del suo incanto Ad una lacrima Di parlarti del suo dolore E ai prati il profumo dei gigli in amore Ad un bacio mai dato La sua malinconia E chiedere ad un petalo La rosa cosa sia Alla lucciola di baciare La luce della luna E alla tristezza il suono Della sua voce bruna Al mandorlo l'intreccio Sensuale dei suoi rami Ma non chiedere al tuo cuore Se ancora tu mi ami Io chiederò… Al ricordo che dilaga Scivolando senza tempo Tra le mani del dolore Chiederò del nostro amore E al buio della notte Che accompagna tutti i sogni Ai confini dell'aurora Chiederò se ricordi ancora All'eclissi che nasconde Nel sudario della luna Il destino del bagliore Chiederò se l'amore muore Ma non chiederò… Non chiederò al mio cuore Perchéè fuggito il nostro amore. Indignados (Canzone per un giovane " Rapper " ) Mutamento epocale di menti affondate in un mare melmoso di parole truccate ho perso il passato e non trovo il futuro ma vedo soltanto un gran buco nero dove ci hanno infilati con la convinzione che ci avrebbe salvato la globalizzazione che doveva risolvere tutti i problemi ma solo ai più forti e noi poveri scemi ci siamo presi una gran fregatura che non sta nel destino, nella natura, ma è figlia soltanto di chi vuol sfruttare il lavoro di tanti per poi emigrare portare le fabbriche in altri paesi perché gli operai diventano pesi bisogna trovare altri poveri cristi che soldi e diritti non li hanno mai visti e fan dodici ore con stipendi da fame E' un mondo asfaltato di tanto catrame che copre lo stomaco e le coscienze di queste persone che son le eccellenze dicono loro del nostro Paese ma loro fan soldi, noi copriamo le spese per tutti quanti pagando le tasse che molti non pagano come se non esistesse il dovere civile di partecipare nel modo più equo per far funzionare Comuni, Regioni e tutto lo Stato e se protesti ti prendono per matto Non sanno vivere senza fare i furbi nel fregare la gente in ogni occasione sofisticando e drogando i costi in tutti i luoghi, in tutti i posti Siamo diventati dei contenitori riempiti di nulla, senza valori animali allevati per consumare tutta la "cacca " che ci fanno mangiare Hanno distrutto i paesaggi col fuoco dell'edificare come se fosse un gioco coprire tutto con il cemento e nelle campagne tracciare il segmento di mille autostrade dove corre impazzito un mondo malato che non sa dove andare Hanno distrutto la terra, inquinato il mare Sotto le zolle nei campi di grano sepolto le scorie e ogni altro pantano Per fare denaro fan morire la gente Nessuno che paghi, nessuno si pente E' questo il progresso che ci vogliano dare ? Precari di tutto, anche di mangiare. Non si può continuare con le menti stanche a lasciare il destino in mano alle banche che giocano sporco coi nostri sudori distruggendo le vite per fare denari perché è l'unica cosa che abbia valore e non importa se la gente muore se le ricchezze di tutta la terra è in mano ai pochi che drogano il mondo che per speculare in un secondo distruggono interi paesi e nazioni e noi stiamo zitti e da veri coglioni stiamo a guardare come fosse destino che un vivere degno per tutta la gente sia nelle mani di chi sa soltanto della nostra vita fare un mare di pianto La vita è dura ? allora si fan gli stipendi I nostri politici per viver di lusso e non importa se quel che tu prendi nella busta paga piange miseria se la vita è dura è una cosa seria soltanto per loro che vanno in pensione dopo cinque anni per aver riscaldato col culo quadrato la loro poltrona e non importa se agli altri non dona andare in pensione dopo 40 anni Ci faranno lavorare fino a cent'anni ! Ora soffia il vento dell'indignazione dobbiamo svegliarci questa è l'occasione per dire al potere che bisogna cambiare che un viver più degno si deve trovare perché andando avanti di questo passo sarà sempre più dura, un vero sconquasso e andrà a finire che anche il funerale sarà un affare da multinazionale. Canto di un vecchio poeta " Quando giungerò su quel dirupo dove si spengono tutte le parole vorrei che fosse un bel giorno di sole limpido come l'occhio di un bambino che mi donasse la grazia e lo stupore del tramonto e la pigrizia del mattino Vorrei sentire la voce del vento ai rami raccontare la mia storia e i passeri per un solo momento commuoversi volando via nell'aria Che gli alberi ondeggiassero nel vento che nei prati spuntassero le viole che i silenzi si fermassero un momento a parlare con un raggio di sole Che le foglie staccandosi dai rami scendessero con la malinconia di un fiore strappato con le mani che il suo profumo sente volar via Che il mare raggiunto l'orizzonte lasciasse libera l'onda di vagare e l'acqua che sgorga dalla fonte nel ruscello trovasse il primo amore Vorrei sentire l'odor delle foreste che la pioggia trasporta a primavera quando allegra picchietta alle finestre mentre il giorno si sposa con la sera Che l'ombra riposasse su di un prato sognando d'essere la luce della luna che l'aurora del suo rosso scarlatto colorasse tutto il mare e la laguna Vorrei sentire gli angeli suonare una musica di flauti e di violini che avesse i suoni che sanno regalare le voci magiche e allegre dei bambini Vorrei che i fiori del nostro giardino non richiudessero il bocciolo la sera e che sull'albero che ombreggia vicino cantasse allegra e dolce una chimera Sentire ancora quel magico odore dei luoghi e della casa dove ho vissuto e dal camino un filo di candore veder salire come un canto muto Vorrei tenere stretta la tua mano mentre mi doni il fiore di un sorriso senza vedere scorrere pian piano alcuna lacrima sul tenero tuo viso Vorrei portare con me una sola cosa il nostro amore stringendolo al mio petto col tuo profumo, mia tenera rosa, addormentarmi sereno nel mio letto." Felicità Se tu fossi città o spiaggia o vetta La vita sarebbe un lieto viaggio Per l’umanità che con coraggio Vivrebbe per raggiungere la meta Sei invece una magnifica cometa Splendente che solca il nostro cielo Ma del tuo splendor soltanto un velo Ci doni col tepor di un’ora lieta Sei chimera che vola nella notte Tra i nostri sogni e fuggi al mattino Col vento dei dolori e delle lotte Che turbinano i giorni ed il destino Sei isola incantata e magica appari Ebbra di musiche e canti di sirene Ma il nostro è navigar per altri mari E come Ulisse portar le nostre pene A volte come Diana alle foreste Colma di prede e di archi dorati Ti mostri e ci illudi con le feste I canti allegri e i sogni colorati Ma come colomba spicchi il volo Irraggiungibile nel cielo assolato Fata leggiadra con un tocco solo Diventi luna nel cielo stellato Autunno Ricordi Nella… Quanta primavera nei roseti E quanto cielo sopra i campanili ? Settembre ha abbandonato Le voci sommesse dell’estate Tra lo spoglio intrico dei rami Di questo tardo autunno che colora Il profumo appassito delle rose Sulla siepe che circonda Il giardino del mio cuore E importuno segue le mie orme Lungo il viale in cui docile m’inoltro Sperduto nella nebbia e mi sorprende Tra il muschio e i ciottoli cercare Il profilo delicato dei tuoi sguardi Ricordi Nella… Quanti silenzi addolcivano la notte E quanto docile era l’aria del mattino ? Ora i pruni più non danno fiori E nude si mostrano sul passo Le montagne prigioniere della neve Pallido all’alba è il sole che trapassa La logora tela del giorno Svaporando in tenui trasparenze Su luoghi terrestri e antichi desideri E sogni profanati e ormai lontani Dimenticata l’infanzia del desiderio Su un crepuscolo vegliato dal vento Ascolta immobile ai margini del bosco Della cerva, trafiggere il silenzio, Dolente il suo richiamo. Solo un sospiro di foglia Sarà solo un sospiro di foglia Ad accogliere il passero sperduto Ai confini del giorno Quando pallida si mostra la sera E il bosco insegue il silenzio Tra i rovi gelati In bilico sull’alto ramo E’ appesa la luna E lontano il profilo dei monti Ascolta distratto un tocco di campana Un fiotto di sangue Cerca il disegno di carri trionfali Nella pianura sfiancata di lotte E di istanti indecisi Nel ruscello riposa il fruscio Delle acque danzanti E solo la sorda voce dei sassi Risponde dal greto Al bramito inquieto del tramonto Avremo foglie e fango Per impastare la nostra preghiera E sangue di madreperla Per agghindare il nostro sogno Metteremo una collana di ricordi Su un sorriso di fanciullo Che odori di feste e di oleandri E alla stella lucente Offriremo un cesto di fiori Perché nella notte odori di rose Il nostro silenzio. Di Mare e di Lampare Sulla tua bocca piena Di mare e di lampare Scivolano sull’onde Dolcissime parole S’adagia sulle spiagge La schiuma dei baci Delle dischiuse labbra Tue tumide e procaci E dalle tue ciglia nere Volano capire Con ali di lussuria Nei cieli del piacere E chiedono alla luna Di scendere e illuminare Quella tua bocca piena Di mare e di lampare Che turgida si schiude In un flebile lamento Che vola nell’aria A profumare il vento E nei torbidi laghi Dei tuoi occhi socchiusi Si specchiano i segreti Di proibiti paradisi Li colgo, e nei lascivi Tuoi sguardi mi perdo Smarrendo il confine Del rischio e del pudore Amandoti follemente Bruciando nell’ardore Che mi consuma l’anima E mi fa delirare Sulla tua bocca piena Di mare e di lampare La Foglia Poco a poco ti passa la voglia Così rimani fermo sulla soglia A guardare l’albero che si spoglia Coi rami nudi poi triste si staglia Sull’orizzonte dal color di paglia E più non provi alcuna meraviglia Per tutto l’intorno che s’imbroglia Coi giorni amari e piano sparpaglia I sogni, come un asino che raglia Così ogni compleanno, alla vigilia Quella grande tristezza che ti piglia Senti che certamente è figlia Della delusione che ti striglia E come l’insetto che s’impiglia Nella ragnatela e non si sbroglia Forte l’impotenza ti attorciglia Tu che credevi esser conchiglia O petalo odoroso di magnolia La vita, scopri invece che t’imbroglia L’amore, l’amicizia …e un parapiglia E’ il viver nell’osceno piglia piglia Così del cuor non usi la maniglia… Ma in primavera, dolce meraviglia Tenero quel cuor ancor s’invoglia Allo spuntar d’una novella foglia. Infrangibile…verrà la notte Quando nelle profonde valli silenti Sul greto prosciugato dei giorni Scorrerà il fiume del dolore E sperduto un silenzio di foglie Sorprenderà la sera Infrangibile…verrà la notte A raccogliere le stelle Vaghi sogni sopra un letto di neve Fioriranno bianche rose di gelo E il pensiero tra la nebbia dei sorrisi Abbandonerà l’ultimo bagliore Allora l’impronta della mano scivolerà In un lasso di tempo indefinibile E quando la maschera dei nostri mille volti Cercherà tra echi di memorie La verità del sogno Sarà sul marmo corroso dei vuoti sguardi Che un esercito di voci Scaverà una galleria di menzogne Ma spetterà a noi scegliere Il sentiero che conduce ai pascoli Degli alti pianori invisibili A noi raccogliere le lacrime E rispondere al saluto della notte Quando infrangibile…verrà A raccogliere le stelle. Il buco Ha tolto tutti i quadri alle pareti Per fare pulizia nella sua vita Ma sotto ha trovato molti buchi Larghi e profondi come una ferita Li ha guardati e sembravano parlare Dire : “ Così ti eri di noi dimenticato Hai continuato a vivere tranquillo Proprio come se nulla fosse stato Ma come vedi tutto è rimasto intatto A ricordarti che non si cancella Il buco fatto su una parete bella Coprendolo con un quadro mal fatto Ora che hai finito tinta e stucco Non potrai per niente rimediare E per sempre ci dovrai guardare E ricordarti che non è col trucco Che si dimora in una casa bella Ma coprendola di tinte e di colori In modo che sia molto allegra dentro E non soltanto guardandola di fuori “. Le Bricole Se le guardi dal cielo sembrano soldatini Con la divisa grigia, ordinati punticini Ma con la fantasia possono sembrare Forti tulipani sbocciati in mezzo al mare Ad una ad una, erette, stanno equidistanti Ad indicar la rotta a tutti i naviganti In ampie strade d'acqua, in mezzo alle barene, Terre di pescatori, di pesci e di sirene Un giorno le ho sentite ai gabbiani raccontare Di quando erano alberi, prima di stare al mare E della montagna avevano un po' di nostalgia Ma ora sono tranquille e in buona compagnia Perchè col tempo buono escono le barche Anche se in verità le vele sono parche Nel raccontare storie di gesta marinare E inebriate al vento preferiscono volare Quando un bel veliero viene ad attraccare Dipinto di nero , si sentono abbracciare Legate strette strette a corde molto forti Parlano di marinai, di bettole e di porti Però ci sono notti di vento e di bufera La laguna è buia, paurosamente nera Lo sciabordio dell'onda le colpisce e sferza Ed il mare infuriato scatena la sua forza Il cielo è rischiarato da fulmini e saette E' guerra tra le nuvole e nelle isolette Tremano le barche posate sui fondali Ma sono rincuorate da piccoli animali Ma poi ci sono giorni dai colori delicati Di quei celesti languidi che sono pennellati Lungo l'orizzonte da pittori che un velo, Di nascosto agli angeli, hanno rubato al cielo E ci sono tramonti che lasciano incantati Si baciano il mare ed il sole abbracciati Il cielo è incendiato da fiamme rosso fuoco E scivola nell'acqua in un gioioso gioco Ma ciò che commuove le mute sentinelle, Nel buio della notte , sono quelle stelle Tremule come lacrime, che sembrano scivolare Dagli occhi del silenzio sulle labbra del mare. Soffice e lieve Quando la neve scende sui sentieri E sulla siepe imbianca il verde alloro I passeri che son sempre ciarlieri In silenzio si stringono tra di loro Così le piume diventano coperte Per riscaldare i loro corpicini Stanno raccolti sui rami a rimirare I giochi allegri , felici, dei bambini E’ soffice la neve e anche il silenzio Si posa dolcemente sui sentieri Dove guardinghe corrono sui prati Timide orme di leprotti mattinieri Scendono a valle cerbiatti per trovare Un po’ di cibo e ai margini del bosco Sospettosi restano fermi ad aspettare Che la luce al buio faccia posto Da un casolare s’alza un fil di fumo Bianco,che accarezza timido la neve Lontano il suono d’una fisarmonica Danza nell’aria che si fa lieve lieve Clochard Lo vedo spesso camminare lentamente Lungo le mura d’una caserma abbandonata La barba incolta, si muove tra la gente Come sperduto, con l’aria trasognata E’ giovane, perché dai neri sguardi Traspare forte una fiamma d’energia E canta sempre parlando di ricordi D’una chimera ch’è volata via Ride a bocca larga e i pochi denti Sembrano palafitte dentro al mare Ha una risata allegra da gaudenti Anche se non ha nulla da mangiare Si nota che lui vola in un altrove In cieli che solo lui sa sorvolare Ed un brillio negli occhi fa capire Che pensa sempre, ma vive per sognare Vorrei davvero per un breve istante Entrare nel suo mondo trasognato Porgergli la mia mano gentilmente Ma temo di non essere ascoltato Perché mi guarda e non dice niente Spero allora che lui sappia indovinare Nel mio sguardo, la fatica d’ogni vivere E preferisca essere libero e sognare Tu …nella pioggia Da nubi vagabonde piovono parole Sul tuo giardino pozzanghere di voci Il tuono lacera l’aria cercando di ferire Il suono esatto della tua limpida voce Ma tu non temi il brontolio del tuono Il furore dello schianto non ti sfiora Trovi nel lampo la luce che colora La pioggia , e rende flebile il lamento D’ogni goccia che si stempera nel vento Cade la pioggia ma tu danzi leggera Nell’acqua disegnando vaghe felicità Nel pulviscolo percorri l’erta strada Del libero pensiero e della libertà. Candore Oggi la campagna Ha il candore d’una vergine Oggi la mia ragazza Ha il candore della campagna Mentre mi accompagna Per acerbi frutteti Del suo purpureo fiore Mi svelerà i segreti. Notturno Angeli della mia notte che scendete Sulle spiagge dove fremono le orme Al bacio furtivo dell’onda di risacca Lasciate la levità delle lacrime Cercare la corolla del giglio Ove nascondere il pudore Di questo corpo incerto e fragile Che confonde ormai le stagioni E come l’albero i secchi rami Tende le braccia per sostenere il cielo Scendete dai tortuosi sentieri Voi conoscete la castità della sorgente Che alimenta il mio fiume segreto Le sue sponde e le anse accoglienti E la stella che vigila paziente Sulle rose madide di rugiada Conoscete l’età delle mie ragioni E il filo di sangue che si dipana Dalla matassa delle mie vene Resterò immobile sulle vostre ali Attento al vento che scava l’ultimi solchi Sulla viva falesia che domina il mare Muto alle onde Nasconderò ogni suono negli anfratti corrosi Le voci nelle mani,conchiglie di madreperla Saranno culla al canto del mare Poi sarete liberi di volare Oltre il confine dei sogni, nel nulla inesplorato Quando lontane si mostreranno le vele E la nebbia avvolgerà, dopo il tramonto, La prima sera. Poi con la luna, Le stelle. La Ballata degli Orchi e il Bambino Soldato Eri ancora un bambino quando quella sera Entrò nel villaggio una strega nera Con la sua falce recise ogni fiore Strappo le radici e piantò il dolore Aveva cercato di farti scudo Un uomo e giaceva per terra nudo Gli occhi sbarrati guardava lontano La vita fuggita dalla sua mano E mentre guardavi l'uomo accasciato Orribili mani ti hanno sollevato E tu hai capito che nella tua notte Ora c'erano gli orchi e sacchi di botte Ti hanno portato in un posto lontano Assieme a del pane nella tua mano Hanno messo il calcio di un grosso fucile E ti hanno obbligato ad essere vile Di notte guardando il cielo stellato Pensavi a tuo padre a terra ammazzato Sentivi tua madre quando ti cantava Le nenie d'amore e ti addormentava Tra le sue braccia con un dolce sorriso Ti baciava gli occhi, le mani e il viso E tu capivi che in quella tepida sera Ti stava accanto una fata vera Con le tue lacrime poi si è formato Nel tuo cuore un fiume dov'è annegato Il tuo fresco sorriso e l'incoscienza Ha imprigionato la tua innocenza Sei diventato una bestia feroce Con gli occhi di tenebra e senza una voce Che avesse di umano almeno il rumore Che fa una voce quando parla al cuore Poi c'erano tanti altri fucili Di altri innocenti ora resi vili Perché l'orrore non ha frontiere Non va a dormire tutte le sere Ma vaga randagio e mangia dolore Ride beffardo se un uomo muore E per dimostrare la sua potenza Pianta un pugnale in ogni coscienza Ma un giorno davanti ad un altro fucile Uno sguardo feroce di bestia ferita Ti ha fatto capire quanto vale la vita Se appesa allo sguardo d'un uomo più vile Sei rimasto immobile dallo stupore E nell'esplosione di un gran bagliore Hai sentito una bella voce cantare Una tenera e dolce nenia d'amore E mentre guardavi il cielo stellato Con gli occhi sbarrati a terra accasciato Tenevi stretta nella tua mano La vita che andava sempre più lontano Ma allora tu eri ancora un bambino E avevi un angelo sempre vicino Che ti ha salvato e da quella notte Spariti son gli orchi e i sacchi di botte Ma siamo orchi anche noi che fingiamo Di non sapere che esiste l'orrore E quel fucile in quella piccola mano Col nostro silenzio anche noi lo mettiamo E quel fucile in quella piccola mano Col nostro silenzio anche noi lo mettiamo. I fiori che non ti ho mai dato Sono sempre freschi dentro ad un bel vaso I fiori che per te avevo comprato Al banco intitolato “ Il fiore innamorato “ Quel vecchio banco in “ Piazza dell’Amore “ Col profumo che aleggiava intorno delicato Tanto che la piazza era un prato profumato Sono fiori speciali ed anche quel fioraio Che aveva un nome strano,forse era “ Destino “ Ed al banco, puntuale, lo trovavi ogni mattino Sono i fiori che non ti ho mai dato Sembra per distrazione del Signor Destino Che di consegnarli si era poi dimenticato Lui diceva invece che tu hai rifiutato Di accettarli per lo strano motivo che il loro colore era troppo vivo Erano rose rosse, molto profumate Non erano selvatiche,nate lungo i muri E dal colore vivo perché a lungo duri Io non ho mai creduto a questa cosa Credo invece ci sia stato un malinteso Senza intenzione, forse ti avevo offeso ? Son sempre freschi li su quel balcone Che guarda in un giardino ormai sfiorito Ma donano alla stanza un tono colorito Ed un profumo sempre delicato Li curo con amore e con passione E metto l’acqua fresca tutti i giorni Anche se son passati quarant’anni Perché non si sa mai… e se ritorni ? Fiore di prato (canzone) La storia di un fiore voglio raccontare Una storia nata da un profondo dolore Come prova la notte senza luna nel cielo Quando vaga sperduta, sola nel gelo Era la tua rosa appena sbocciata Quanto l’amore di ha incontrata Ti ha preso la mano e con belle parole Ti ha raccontato d’essere il sole Che riscaldava ogni tuo mattino E illuminava il tuo nuovo destino Così con gli occhi pieni di quel sole Ti sei donata in un campo di viole Sembrava che i gigli avessero braccia Sfiorandoti il seno, le gambe e la faccia E mentre ascoltavi i grilli cantare Sembrava ogni stella volerti baciare E mentre ascoltavi i grilli cantare Sembrava ogni stella volerti baciare Ma presto quel sole è tramontato Ma ti ha regalato un fiore di prato Che somigliava tutto a quel sole E aveva il profumo di tenere viole Così da sola con la rugiada Hai coltivato quel fiore di strada Mordendo le labbra per non gridare Quando alla porta bussava il dolore Sgorgavano rose quando piangevi Dagli occhi e lacrime se sorridevi Aveva la pioggia il sapore del sale E gli sguardi attorno facevano male Ma ora quel fiore nel tuo giardino Profuma i tuoi giorni ed al tuo destino Tu chiedi soltanto un raggio di sole Che ti riscaldi in un prato di viole Tu chiedi ancora un raggio di sole Che ti riscaldi in un campo di viole. Case di Burano Tace l’ora quando l’ombra si nasconde, Dietro gli angoli di case appisolate, Dal sole che l’insegue e che colora Le pareti come bocche imbellettate Strette strette, ombrose calli colorate Offrono al cuore l’allegria che ci rivela Son cielo e mare lo sfondo d’una tela Di quei quadri che dipingono le fate Ogni alito di vento e ogni silenzio Resta sospeso come un volo di gabbiano Solca il meriggio una vela piano piano Mentre il tramonto s’adagia su Burano. (Contro questa realtà cosi crudele, prendo una (inutile?) pillola di fantasia) Dopo il tramonto, all’imbrunire… Al tramonto quando l’aria imbruna Appare in cielo splendida la luna Per far sognare quelli innamorati Che dimentichi si baciano sui prati Prudenti le case prima di dormire Velano lo sguardo alle finestre Sulle terrazze soli a disquisire Dotti gerani , intrepide ginestre S’affrettano i fiumi a rincasare Serpeggiando sinuosi sul terreno E corrono silenti verso il mare Che dolce madre gli accoglie in seno S’avvolge il bosco col nero mantello Solo nel buio riesce a riposare Lo disturba un giovane pipistrello Vagabondo che non sa dove volare Il faro si è appena presentato Per il suo turno di guardia consueto Scruta lontano un po’ meravigliato Il mare calmo che passeggia mansueto La risacca con le onde si diverte A dondolare le barche che scocciate Nel porticciolo si sono ritirate Sotto le vele usate per coperte Muta la notte accende le candele Perché la luna si riscaldi un poco Al dolce tepore di quelle fiammelle Il suo pallore cambia in rosso fuoco Pure l’aria si vuole riscaldare E con le nuvole fa una passeggiata Mentre la notte preferisce andare Verso una nuova serena mattinata. Nello sguardo dei bambini Il bambino dagli occhi azzurri In fondo allo sguardo Nasconde il mare Gioca col suo castello di sabbia Le belle torri merlate E il ponte levatoio fatto di conchiglie L’immagine è perfetta : Con il bambino dagli occhi azzurri Il castello di sabbia Il ponte levatoio fatto di conchiglie E il mare nei suoi occhi Nulla mai potrà turbare Questa bella giornata di mare ---- Il bambino dagli occhi neri In fondo allo sguardo Nasconde la tristezza Gioca con la sua piccola capanna Fatta di sterco e paglia Raccolta nella boscaglia L’immagine è dolorosa : Con il bambino dagli occhi neri La capanna di sterco e paglia La solitudine della boscaglia E la tristezza nei suoi occhi Quando mai potrà cambiare Questa triste giornata di dolore ----- Solo quando diventeremo umani E conosceremo l’amore. Burano e Torcello Cammino al limitar dei campi in fiore Mentre l’aurora lentamente muore Ed abbandona il suo tenero colore Nel cielo del mattino che traspare Sereno e dolce al timido spuntare Del primo sole nell’aria quasi immota Solo un airone s’alza e in ciel si nota Lento ed elegante il suo volare Il volo seguo poi l’occhio abbandono Sulla verde campagna al cui confine La laguna le due belle principine Al mio sguardo incantato ne fa dono Nell’aria fresca del mattino ora destate Le isole, da questo ampio balcone, Sembrano tra l’acqua e il cielo ricamate Col filo d’oro e i colori delle icone Svettano i campanili levandosi qual canti Dall’acqua offerti al cielo a ringraziare Talento e grazia di chi questi incanti Al nostro sguardo ha saputo poi donare. Sul far della sera ( canzone ) Il tuo amore finiva Sul far della sera Mentre il sole scendeva Dietro quella scogliera Quando tu supplicavi Senza lacrime in viso Negli occhi avevi Uno strano sorriso Lui non rispondeva Parlava di niente E ti guardava Come guarda chi mente Poi all’improvviso Il tramonto ha urlato E il cielo pendeva Tutto da un lato Così vede il cielo Uno che vola Giù dalla scogliera Senza una parola Gridava anche il sole Quando per amore Nel fondo del mare Hai nascosto il dolore Nell’aria hai lasciato I pensieri fluttuare Nelle mani quei sogni Che hai voluto portare Con te tra le onde Mentre il sole scendeva La tua storia finiva Sur far della sera. Il merlo canterino Il merlo che canta Da solo sul ramo Alla merla lontana Lancia il richiamo Non si scompone La merla che ascolta Aspetta che canti Più di una volta E quando alla sera Di cantare è sfinito Si mostra graziosa E accetta l’invito Dice :” Forse domani Tornerò su quel ramo Aspetta bel merlo Ti dirò se ti amo “ Il merlo in ambasce Resta sveglio la notte Pensando alla merla E con le ossa rotte Si alza sfinito Il mattino seguente Quando vede la merla Non capisce più niente E riempie la merla Di mille regali Le copre d’oro Pure le ali Ma quando ardito Le chiede la mano Lei prende tutto E vola lontano Capito ha il merlo Che quando si canta Bisogna fare attenzione A ciò che ci incanta. Il “ Nocciolo “ del poeta Nella mia testa c’è una cantilena Che tutte le parole mette in rima E’ come un atleta che si allena Si ferma e poi corre più di prima Se scrivere poesia mi viene voglia Senza la rima, in forma più moderna(?) Devo lottar con lei che s’accapiglia Nel mio dir s’insinua e lo squaderna E’ come quando t’alzi la mattina Con una musichetta nella testa Poi ronza eterna quella canzoncina Allegra a volte, a volte più mesta Diego Valeri che fu grande poeta Mi disse quand’ero un ragazzino Che il “ nocciolo “ avevo del poeta (disse proprio così) Dunque la rima l’avevo nel destino Ma disse anche : Però per diventare Un vero poeta, mio caro ragazzino, Per anni e anni tu dovrai studiare Se vuoi che l’uva, dolce doni il vino Nella vigna un po’ ho lavorato Ma poi lasciar dovetti quei filari Ad altri affanni mi sono dedicato Alcuni dolci, altri un po’ più amari Così m’è rimasto solo il “nocciolo” E questo rimare un po’ impreciso Perciò io penso e non sono il solo Che dei poeti mai andrò in paradiso Mi dolgo un po’,ma non mi dispero Mi basta ,del mio semplice rimare, Colga qualcuno il sentimento vero Che guida il mio sentir e mi fa amare LA VITA. Se tu mi amassi ancora… Se tu mi amassi ancora…io porterei Il desiderio alla tua fresca fontana E il gregge dei miei baci lascerei Bere sul greto della tua limpida bocca Perché la mia passione ancora vaga Tra i sussurri i gemiti e le viole Che la tua nenia d’amore regalava Alle mie notti ora deserte e sole Il tuo sguardo oramai più non mi sfiora E inconsapevole il mio canto deridi Col gesto distratto e indifferente Che ignora la passione e il mio dolore Per questo le sue note hanno il sapore Dolente e amaro della nostalgia Che scava la voragine nel cuore Del rimpianto e della gelosia Tu passi altera e non ascolti il canto Che il vento cieco della vita porta via Per questo le sue note hanno il sapore Dolente e amaro della nostalgia. Oggi non ho voglia Oggi non ho voglia Voglia di poesia Di canti d’amore Di intime storie Di struggente dolore Di stelle lucenti Di piogge cadenti Di prati fioriti Di fiori appassiti Del mare che incanta Dell’usignolo che canta Del gabbiano che vola Della luna sola A volare lenta Lungo la notte Che ci sgomenta Dei sogni che vagano Lungo tutta la vita Di chi ci racconta La storia infinita Del bene e del male Della pena dei giorni Dal sapore di sale Dei fiumi infiniti Dei boschi incantati Dei baci negati Dei ricordi lontani Di carezze di mani Che più non stringiamo Del vuoto che abbiamo Nel cuore dolente Dell’indifferenza Che mostra la gente Di ardenti preghiere Del tepor delle sere Trascorse a parlare Delle notti d’estate Passate a sognare Guardando le stelle Del rimpianto di fiabe Quelle più belle Che ci raccontava Chi più ci amava… Oggi non ho voglia… Ma sto forse dicendo Molte cose sbagliate La poesia non è fatta Di rime baciate Quelle sono parole Usate per raccontarla La poesia è nelle cose E dalla vita ci parla E’ nel profumo del pane Nel gracchiar delle rane Nello sguardo di un cane Che ha perso il padrone Nell’arco sontuoso Dell’ansa di un fiume Nella luce di un lume Che crea la penombra Nel pianto di un bimbo Che impaurito si adombra Nell’ombra di un ramo Quando il sole è cocente Nella luce degli occhi Di chi sa rider di niente Nella grazia del gesto Di una dolce carezza Nella lievità della brezza Che solleva le foglie Nel nostro giardino Nella soavità di un inchino In una goccia che stilla Dal ghiaccio nel monte Nelle rughe d’un vecchio Lì sulla sua fronte... E in mille altre cose Ma bisogna osservare Con grande umiltà E la voglia di amare. Lontano La vertigine ammaliava i dirupi E inaridiva l’acqua alle sorgenti Indifferente al dolore delle radici Prigioniere del silenzio dei boschi Al muto pianto delle spine Delle rose appassite nel giardino ( non piangere, amore) Ora quieto il buio si rifugia Tra le braccia del giorno E nella culla della luna La notte non trema più Anche i sogni stremati riposano All’ombra del sicomoro ( stringiti a me, amore) Insegui le farfalle di luce nel prato delle stelle E l’intrepida vela che s’inerpica sul vento Il mare con immense mani Raccoglie i dolori e le spume ( dammi la mano, amore ) Vieni, lontano ormai s’agita il vento. Intimità Accade,sai Che il mio sguardo si posi Sul profilo elegante delle ciglia Quando in silenzio leggi e ti riposi soffice il capo, sul cuscino di ciniglia In quel momento, sai Nel mio osservare avverto Come un disagio, una malinconia Mi coglie il tremor di una incertezza Ti guardo e penso: se tu non fossi mia… Ma tu sei lì E la curva dei tuoi occhi Disegna l’arco della mia felicità Nella stanza i lumi palpitano fiochi Magici istanti di tenera intimità. Sono tornate le scope a volare Nemesi ha aperto i suoi cancelli Felicitàè volata via Ora volteggia sopra l’Italia Con molta grazia e fantasia Milano d’essere ha dimostrato Con il suo voto, la Gran Milano Tutto il Paese ha liberato Dall’incubo atroce del Caimano Sono tornate le scope a volare In Piazza Duomo miracolata Ora bisogna scopare via I ladri di sogni, la consorteria Questa giornata ci ha dimostrato Che noi dobbiamo sempre lottare Perché Giustizia alla fine riesce A far puzzare chi è nato pesce Danza…ridanza… Democrazia Ma non ballare più il minuetto Ora che abbiamo tanto sofferto Ci meritiamo un po’ di rispetto Danza… ridanza… Italia bella Vivi una vera democrazia Ma opera bene in ogni momento Perché il solito vento non la porti via Nemesi ha aperto i suoi cancelli Felicitàè tornata a volare L’Italia onesta con le mani pulite Può finalmente tornare a sognare Cantavamo “ O bella Ciao “ (Scusandomi con gli autori della canzone) Cantavamo “ O bella ciao “ Con le lacrime ed i sorrisi Fieri dei nostri ideali Sognavamo paradisi Divedevamo oltre al sentire Il poco pane e la speranza In quella semplice e disadorna Magica e calda, piccola stanza Abbian passato notti intere Litigando e a far l’amore A parlare di chimere Di giustizia e di onore Ma un mattino mi son svegliato Eri fuggita con un invasore Tu partigiana di un sentimento Che liberato aveva il mio cuore Dalle paure e dalle incertezze Tutto l’orgoglio mi avevi dato Che prova un uomo per la sua donna Quando è felice e innamorato Ho seppellito su una montagna Di rimpianti e di delusioni Quel fiore rosso che profumava La nostra vita e le canzoni Tu non sei stata poi fortunata Ritorni sempre con il pensiero Là dove giace su quel sentiero Quel fiore bello, bello davvero Tacito a notte sboccia quel fiore Pur se lontana è la primavera Per profumare i nostri ricordi Ora che il giorno s’è fatto sera Cantavamo “ O bella ciao, O bella ciao, ciao, ciao “. In ricordo di Wouter Weylandt (Giro d’Italia 2011) Era il giorno del ricordo più bello,quello a cui amavi ritornare con la mente, quando nella quiete delle tue stanze di ciclista vagabondo,ad occhi chiusi, sentivi soltanto il flebile soffio del tuo respiro ed il battito lieve del tuo cuore ed avevi sulle labbra quel segreto sorriso quello che ci regaliamo nell’intimità, quando siamo soli e felici. Era il giorno di un anno appena trascorso nel ricordo di un fruscio di seta, che sovrastava ogni frastuono di uomini e bandiere, ogni boato di colori che turbinavano attorno a quel drappo teso ad indicare il limite, la frontiera oltre la quale, quel fruscio, ti coronava di gloria e di sudore. Un anno appena è durato quel magico ricordo. Quello nel quale ti rivedevi con le braccia tese verso il cielo sollevare la tua vita, perché potesse inebriarsi di felicità e tenere,per il breve durare di quel fruscio, tra le sue mani, il profumato fiore della vittoria. Forse pensavi di risentire quel magico rumore mentre risalivi faticosamente quel monte, senza sapere che il destino,su quella strada tortuosa e maligna, aveva disegnato il tuo Golgota. Sembravi un cristo crocifisso sull’asfalto, le braccia aperte e tese, chiedere al cielo perchè Ti era chiesto di abbandonare tra i silenzi di quei boschi il bagliore del tuo sorriso ed il fragore dei tuoi giovani anni, i tuoi sogni e la tua allegria. Forse il cielo non ha risposte,come non le ha il nostro dolore per la tua giovane vita, sacrificata nel vortice di una discesa che ha trasformato un fruscio di seta in un insopportabile sibilo di sgomento. Ora, quando anche noi saremo nella quiete delle nostre stanze di umani vagabondi, ad occhi aperti , nelle notti abbandonate dai sogni , e sentiremo un rumore come un fruscio di seta , alzeremo lo sguardo e sorrideremo ad un angelo invisibile che corre nell’infinito con una bicicletta bianca come le nuvole ed azzurra come il cielo. (Wouter Weylandt aveva vinto la terza tappa del Giro d'Italia 2010 edè morto, cadendo in discesa, nella terza tappa del Giro 2011) Zagora (Marocco) Sulle cime dell’Atlante in lontananza La solitudine abbracciata al vento Aleggiava sull’alba che schiariva I ripidi pendii e il mio stordimento Sentivo il vento mulinare nei capelli E la sabbia entrare secca nella bocca Poi negli occhi son fioriti melograni E sulla fronte le rose di El-Kelaa Oltre i mandorli ho visto il giorno Morire in un tramonto a Ouarzazate Nel sangue del sole che colava Sui muri d’ocra di splendide kasbah Dalla bella Ouarzazate, oltre le mura, Si lancia il vento sassoso tra colline Rincorre l’uadi che limpido risorge Nell’oasi verde della Valle del Draa Nell’oasi ho ascoltato la voce dei silenzi Vestita d’ombra, di luce e d’acque chiare Parlane nella notte con le stelle Di lune innamorate e d’immensità Che fiorisce tra le dune del deserto Dove la meraviglia danza nei crinali Tra i segreti di uomini ed animali Di carovane che vanno a Zagora Primavere Oh mio cuore che ascolti Bisbigliare le gemme sui rami Risvegliando gli aromi sopiti Mentre pudico il pesco si veste Nel tepido lago di sole D’un incauto mattino d’Aprile Libera il tuo fiume delirante D’argento maturo e di oleandri E con mani di seta raccogli L’intensità del mio stupore Per questi cieli abitati Da sguardi di rondini E grida di vele che solcano Il limpido mare del vento Siedi accanto al mio sguardo Che vaga sperduto Nel respiro di colori che palpitano Tra i pudori di ingenue viole E sulle labbra voluttuose Di giovani rose procaci Oh mio cuore gentile Deponi sul mio autunno turbato Un palpito soltanto Della tua perduta primavera Piazza Libertà (canzone) Viaggiare…Viaggiare… Viaggiare per trovare Nell’infinito andare Il gesto che ci manca La frase sconosciuta Che dona alla vita Il gusto del domani Diverso da ogni ieri Senza più misteri Capire ciò che siamo Amiamo e poi ci odiamo Perché non sappiamo Andare oltre il confine Delle parole vuote Dei gesti consueti Con sguardi indiscreti Che non sanno trovare L’orgoglio di viaggiare Senza più infingimenti Senza piccoli rancori E grandi tradimenti Ma con la mano stanca Portiamo la valigia Con dentro il dolore Di una vita grigia Vissuta inutilmente Senza capire niente Nasci e dopo muori Senza guardare fuori Dalla tua finestra Coltivi il tuo orticello E non vedi il castello Di meraviglie intorno Quel mondo colorato Dove non sei mai stato E con piccoli pensieri Tieni prigionieri I grandi sentimenti E non saprai mai dire Ti donerò il fragore Di questo grande fiume Che scorre nel mio cuore La vita è una canzone La musica è del vento Le parole son del sole Che fa nascere dentro Quel dolce sentimento Che sa farti capire Anche nel dolore Che devi viaggiare Soltanto con amore Attraversiamo il mare Senza saper nuotare Appesi a quel relitto Di una coscienza storta Dentro all’acqua sporca Dove affiorano relitti Di sogni naufragati Reti di pescatori Che pescano i pensieri Per fare scatolame Da vendere a buon prezzo Al mercato infame Di “ Piazza Libertà “ Viaggiare per trovare La forza di reagire Ad ogni sopruso Ad ogni sputo in viso Che quotidianamente Ormai usa la gente Al posto del sorriso Viaggiare per potere Senza arrossire Dire con ardore Ti donerò il fragore Di questo grande fiume Che scorre nel mio cuore La vita è una canzone La musica è del vento Le parole son del sole Che fa nascere dentro Quel dolce sentimento Che sa farci capire Anche nel dolore Che dobbian viaggiare Soltanto con amore. La Dolcezza Ti avrei amata Nelle ore malinconiche dei giorni Inerti e annuvolati dell’inverno Quando il giglio sotto la neve ascolta Il canto solitario del cedrone Con la casta fragranza delle rose Innocenti e appassionate dell’aprile E l’ingenuità delle primavere innamorate Di rondini e di brezze sbarazzine Ti avrei amata Nell’arsura dei meriggi addormentati Nella quiete di borghi senza echi In estati indolenti e aggrovigliate Ad ampi cieli e a soli senza meta Con i colori e i teneri abbandoni Degli autunni pigri e delicati Che vagano ai confini delle sera Nella luce dorata dei tramonti Ti avrei amata Ma la tua voce si è perduta Tra i suoni degli anni senza canti Negli opachi rumori della vita Che tacitano la musica e gli incanti. Il palpito della colomba Nelle notti dimenticate dalla luna Quando il buio s’adagia quieto Tra i silenzi delle foglie E i sogni dell’usignolo Tu ascolti il palpito della colomba Nel fruscio del bosco inesplorato Parlare alla tua anima fanciulla Con voce di fragola e di miele Tu ascolti il palpito e raccogli I petali dei tuoi teneri baci Dalla bocca piena di sole Della tua nitida primavera Inquieta ed ardente E segui un viottolo di rose Dove abbandoni la tua veste bianca Tra la rugiada dei fiori di lussuria Volano le rondini dei tuoi sguardi Dalla penombra del nido delle ciglia Su grandi ali colme di vento Abbracciando il canto delle stelle Nelle notti dimenticate dalla luna Tra i silenzi delle foglie E i sogni dell’usignolo. Notte di luna “ Dai campi coltivati della luna scese la luce con le messi in mano illumino il sentiero e su quel prato al corpo suo donò il color del grano “ **** Nei giardini delle mani all’improvviso Sbocciarono le gemme dei suoi seni Si aprirono come il fior del melograno Turgidi come l’aria del mattino Di quelli autunni languidi e dolenti Che posano sui rami del castano La malinconia delle foglie cadenti Si udirono nel buio voci roche Suoni spezzati e l’ansito dei respiri L’impeto del sangue e dei sospiri Salir fremente come sale la marea Del fiume che prorompe e poi s’acquieta Sulla corrente s’abbandona e sogna baciar le verdi sponde, l’acqua cheta. **** “ Furono discrete e pudiche le stelle nascosero tra nuvole il brillare vollero che fosse solo la sua pelle sotto la luna splendere e incantare “ La gelosia A volte lancio sguardi controvento Per frugare dentro stanze chiuse a chiave A lucidar vecchi dolori e un sentimento Che ferito non riesco a risanare Nascoste nei cassetti le parole Taciute per orgoglio o per pudore Le mischio coi rimpianti per capire Ragione del morir di un grande amore Forse io non compresi quella sera Che quel fuggir d’allodole nel cielo Fu per la gran perfidia di Megera Che l’alba soffocò poi con un velo. Il mio credo ( Storia di Mario ) Era Mario un uomo come tanti Signore senza case e senza terre Vissuto in povertà tra le due guerre Con grande dignità senza fiatare Diceva che un suo gioco da bambino Era tuffarsi in acqua per stranire I morsi della fame e poi lottare Contro sette fratelli quando a casa C'era un po' di cibo da mangiare Entrava dalla porta della scuola E si calava giù dalla finestra Risolvere il "problema " era riuscire A rimediare un piatto di minestra Poi la vita magra da portuale Portava a spalle il sacco da quintale Giù dalla stiva sino alla banchina La schiena rotta che faceva male Fino a che stremato una mattina Finì quasi morente all'ospedale Credo in quelli come Mario, senza niente, Signore senza case e senza terra Tornato partigiano dalla guerra Lotto tre anni da disoccupato Sempre alla ricerca di un domani Fece mille mestieri mal pagato Tre figli da sfamare nelle mani I "cristi " come lui hanno vissuto Nel raggio di un chilometro quadrato Pur nella povertà hanno trovato La dignità ed il senso dello Stato Non ha mai detto una sola parola Contro il destino o la mala sorte Dell'onestà fece la sua bandiera La tenne in alto sino alla sua morte Ai giusti come lui lascio il mio canto Per lui negli occhi miei si scioglie il pianto. Ho scritto questi versi per onorare il suo ricordo e quello di tante donne e tanti uomini Italiani che , pur nella povertà e nella grande semplicità della loro esistenza, hanno saputo vivere con grande dignità e alti valori morali Il loro esempio mi è di conforto nella speranza che l'Italia di oggi, così miseramente degradata,ritorni ad essere, presto, quel grande Paese che la sua storia e molta parte del suo popolo ancora meritano. La bufera Il vento è un focoso destriero Galoppa nel cielo sfrenato Rincorre vestite di nero Le nuvole ormai senza fiato Raggiunte le fa spettinare Scompiglia le teste ricciute Le spinge e le fa piroettare In magiche e ardite volute Queste allora molto impaurite Si stringon tra loro piangendo Ma non ama il cielo bagnato Il tuono e le sgrida dicendo Con voce stentorea e potente “ Attente si può scivolare, se cado, faccio presente, un fulmine mi può scappare “ Chiede al vento di andare più forte La bufera che si diletta Con la chiave da una cassaforte Tira fuori una bella saetta Nel cielo c’è gran confusione Le nuvole piangon a dirotto Il tuono è un gran brontolone E il bosco si bagna lì sotto Gli animali non sanno che fare Nelle tane tutti impauriti Non potendo cercar da mangiare Si asciugano intanto i vestiti Scocciato il sole interviene Lui non ama la confusione Vuole in cielo persone per bene Chiede a tutti più educazione Allora il vento scappa veloce Il tuono parlotta lontano Il sole asciuga le lacrime Delle nuvole con una mano. Grand Maghreb Sulle colline d’Africa Primavera avanza Nei cieli del Maghreb Una nuova luna danza Maturano sulle palme I frutti del dolore Del sangue dei suoi figli Han lo stesso colore Riposano le salme Guardando verso il mare Gridano dalle fosse “ E’ tempo di cambiare “ Il vento che accarezza Le dune del Sahara Ridona la freschezza Ad ogni vita amara Grida il tuo nome Africa Possente come il sorriso Delle tue genti libere Che illumina il tuo viso Di spezie l’aria profuma Di lacrime e speranza Nei cieli del Maghreb Una nuova luna danza. Il volo Sul davanzale azzurro In cima alla scogliera Fiorivano paesaggi Di vento e di gabbiani E si vedeva il mare coltivare Su rocce levigate e tra gli scogli Bianchi fiori nei giardini d’onde Lungo l’erta che saliva con pudore L’uomo lasciò cadere sul sentiero Pensieri che ferivano il tramonto Sulla vetta raccolse gli sguardi E li gettò a rinfusa sui ricordi Non si accorse del sole che cercava Di porgergli due ali per il volo Poesiola per Giuseppe ( 4 Marzo 2011 ) Oggi Giuseppe ha nove anni Vorrei essere nei suoi panni Poter tornare ancora piccino Libero e allegro come un uccellino Un uccellino che vola lontano Che vuol giocare e mi prende per mano Mi porta nel mondo della fantasia Dove ogni cosa può essere mia Ma per averla bisogna sapere Che prima del gioco viene il dovere Essere buoni e voler studiare Perché mille cose bisogna imparare Chi studia ed impara è intelligente Apre il suo cuore, apre la mente, Capisce cosa si deve fare Per esser felici e farsi amare Studia Giuseppe, ma oggi vola, Perché la vita è una sola A nove anni bisogna giocare Come un uccellino saper volare. Nonno Giuseppe Se dovessi io ... Se dovessi io lasciar le sponde Della mia terra tanto amata e cara Porterei con me tra quelle onde Soltanto il corpo d’una vita amara Porterei la carne, le ossa e il sangue Le grida degli sguardi disperati Sul porto lascerei l’anima esangue Morire in quel girone di dannati Quando vedrei le palme scomparire E andar mi troverei verso l’ignoto In quel momento io vorrei morire Perché niun luogo mi sarebbe noto Genti di ogni colore che venite Vestite di speranza e di dolore Quanta disperazione voi portate Nei cuori dilaniati di ferite Ferite che nessuno può vedere Che bruciano nel petto e nelle vene Solo chi lascia i figli può capire E donne amate non poter baciare Vi sia lieta la sponda e quelle mani Che vi aiuteranno a risalire Da quelle barche e verso un domani Che dia luce alla vita e al divenire Cos'è la poesia? Ho cercato di capire cos'è la poesia Ho fatto un lungo elenco Per scoprire cosa sia Cosa sei Poesia? Sei lo specchio del sentire Un messaggio da capire Vocazione da seguire Esercizio di un bel dire Una voce interiore Un grido di dolore Dolce palpito del cuore La speranza che non muore Una dea capricciosa Il profumo d'una rosa Una madre pietosa Una figlia affettuosa Una sposa discreta Un'amante segreta Un anelito di pace Una voce che non tace Un dolore forte e muto Un bisogno d'aiuto Le lacrime di gioia Il rimedio alla noia Sospiro degli amanti Una danza di baccanti Il vezzo di un capriccio Un inutile impiccio Un flebile lamento Una pioggia controvento Una vela tesa al vento Una candela accesa La preghiera in una chiesa Una segreta voglia Un'anima che si spoglia Un sogno tormentoso Un'oasi di riposo Un concerto di violini Il sorriso dei bambini Desinenza di vocali Una danza di vestali Verità da non tacere Perfezione del sapere La presa di coscienza La dea della sapienza Rifugio della solitudine Una splendida abitudine Giorno di malinconia Il più bel dono che ci sia Una spada per colpire Una forma del capire Una strada da seguire Una voce da ascoltare Una zattera sul mare Un lasciarsi come andare Una mano che ti aiuta Una bella sconosciuta La luce di un faro Il rumore d'uno sparo Una musica celeste Primavera che si veste Un'aurora boreale Sensazione che fa male Un capriccio che ti piglia Una grande meraviglia Una frusta che ti striglia Il calore d'un abbraccio La tristezza d'un pagliaccio Acrobazia d'un bel pensiero Un difficile sentiero Cassaforte dei tuoi sogni Altoparlante dei bisogni Luce della fantasia Voglia di scappare via….. …..e per giorni potrei dire ma non so proprio capire dovevo nascere poeta ed avere quel sentire. Il sacrificio Ripide pareti rocciose si arrampicavano verticali Scalando l’aria pungente del mattino Ossa di secoli affioranti dalle fosse della storia Dimenticate da un’eternità distratta Sole, a ricordare paesaggi remoti Lassù, sopra uno spuntone sospeso Dove sul muschio la paura cova l’angoscia dell’abisso Si posava l’aquila Brandiva spade di sguardi lucenti Spaventando nuvole codarde in fuga Disertando il cielo Fu la scia d’un fragile volo a punteggiare l’aria E tenere, piccole piume a volteggiare ormai vinte, Verso l’ultimo nido L’ora raccolse il sangue e l’offerse al sole. Alla mia sposa Quello che io vedo con i miei occhi E quello che alle donne sento dire Di queste storie tristi, così amare, A quelle come te mi fa pensare Oh amore mio tu non devi temere Non voglio certo io paragonare A quelle donne facili e leggere Il modo tuo di vivere e pensare Ma tu da qual pianeta sei caduta Qui sulla terra per la mia fortuna Forse vieni da Giove o dalla Luna Ancora come te ce n’è qualcuna? Io credo che ce ne siano tante Che han grande dignità, talento e onore Che non vendono il corpo e fan le sante Ma pensano al lavoro e al vero amore Tu hai limpido lo sguardo ed il sentire Bella allo specchio ed all’occhio mio Hai grande umanità ed un capire Che accanto a te mi da sentire un dio Amo di un amor intenso e vero La tua bellezza fine e riservata La grande coerenza del pensiero Il tuo dire diretto e assai sincero Non voglio usar parole o frasi alate Non ami tu sofisti e bizantini Ami persone serie e riservate Quelli che ascoltano e poi ti stan vicini Ora che il tempo la passion riduce E grande e vero amor è il sentimento Per noi ora la strada ci conduce Verso serenità e discernimento E’ sempre bella la vicenda umana Insieme a te, nulla l’ha mai scalfita Qualche litigio non è cosa strana Nelle tue mani hai tutta la mia vita. Meriggio Le rose selvatiche si schiudevano Avvinghiate Al calore secco dei muri Nella calura di quei meriggi pigri Che incatenano le ore al torpore degli ozi Mentre il silenzio si riposa nei coni d’ombra Dimenticati dagli alberi sull’erba In quell’ora sospesa Che volge il sogno alla malinconia Il battere dei tuoi passi All’unisono coi battiti del cuore E i tuoi capelli sciolti,sull’uscio, in trasparenza I nostri corpi mostravano paesaggi Quando nella penombra ci sorprendeva Soffice la sera. La solitudine dell’angelo Solo nella notte Guardiano attento e muto Lassù sul campanile C’è un angelo “caduto” Reo d’aver tradito Le regole del cielo Lui deve come pena Soffrir di caldo e gelo Vietato gli è parlare Con le stelle brillanti Che stan mute a guardare Fredde come diamanti Osserva triste la vita Sbirciando alle finestre La gente allegra e unita Che brinda nelle feste Con la pioggia confonde La sua malinconia Son lacrime profonde Che il vento porta via Ma un giorno un uccellino Si posa sulla spalla Allegro e canterino Tondo come una palla L’angelo gli sorride Si guardano negli occhi Parlano della vita E ridono come sciocchi. ( Nel cielo di ogni solitudine vola un uccellino) Primi albori La laguna osserva La notte che si spoglia Toglie il manto nero Un poco controvoglia Ondeggia lievemente Nell'aria come foglia Una bruma leggera Così alla prima luce Una magica atmosfera L'aria immota rende Mentre dal cielo scende Una luce azzurrina E all'orizzonte appare Solo d'alba vestita Timida la mattina Le isole si svegliano Al suono di campane Larghi spazi d'acqua Le fa sembrar lontane Si spengono i lampioni In calli ed in campielli Tubano sui cornicioni Colombi i ritornelli Il primo vaporetto Traccia una scia sul mare Per non scordar la strada Quando deve tornare Naviga tra isolotti Sbarcando pendolari Che l'ora mattiniera Di "ciacole" fa avari Sulle barene asciutte Nascosti tra i canneti Gabbiani scuoton l'ali Si svegliano irrequieti Offrono il petto al vento Per districar le piume Attenti alla marea Che sale come un fiume Dispiegan poi le ali Puntando verso il mare Come angeli bianchi Che han voglia di volare Venezia da lontano Guarda divertita E assieme alla laguna Prosegue la sua vita Acqua alta a Venezia Il lido di Venezia Al mare fa barriera Per non sciupar la Rosa Con l’onda forestiera Che si deve fermare Con grande rispetto Quando la laguna Presenta al suo cospetto La grande meraviglia La “ Rosa Regale “ Seguita dallo strascico Del suo Gran Canale Quell’esse capovolta Che abbraccia dolcemente Chiese, case, palazzi E tutta la sua gente La strada più armoniosa Che l’uomo abbia ideato Genialità ed orgoglio Del suo grande passato Ma il mare innamorato La vuole conquistare E un po’ sconsiderato Continua ad avanzare Col vento di scirocco La cinge da ogni lato Allunga le sue braccia Anche sotto il selciato L’acqua gorgoglia e sale Fa tutto galleggiare Lei nobile ed altera Si fa solo specchiare Il mare si confonde Dalla doppia bellezza Timidamente alla onde Ordina una carezza Poi mesto e intimorito Si gira lentamente Ritorna nel suo sito Seguendo la corrente. Il Sile Nel silenzio ascolto il bisbigliare Dei salici protesi sulle sponde Penduli rami vedo accarezzare Limpidi gorghi che giocano con l’onde Sile che osservi nel tuo peregrinare Crescere il grano nei campi coltivati Chiederti vorrei se ricordare Ti puoi d’un bimbo correre sui prati Sui prati e tra gli alberi giganti Agli occhi suoi, immenso tu sembravi, Ancor odo trillar nell’aria schioccanti Grida d’uccelli, voci di naviganti Su argini pietrosi e tra gli spazi Donne ricurve su tavole a lavare Risento le lor risa e il chiacchierare Tra l’acqua che rimbalza in mille spruzzi Grandi barconi con tolde a ricoprire Case da fiume, famiglie naviganti, I figli dei barcari immobili a stupire Di uomini e paesaggi che sfilano davanti Reti di pescatori rivedo volteggiare Nell’aria azzurra e in tonfo ricadere Con suono opaco quasi a non turbare Le fresche prede libere ed ignare Guardandoti ritrovo quella pace Da quel cuore di bimbo ormai lontana Risento quella voce che ora tace Mia madre che dai campi mi richiama Ti guardo e provo una gioia infinita Ancora ti accarezzo con la mano Tu scorri e con te scorre la mia vita Verso un approdo che spero lontano. A Francesca Eri nel grido di tua madre frutto invocato del suo ventre fecondo Eri nelle sue lacrime cadenti sul mondo calde, generose, nelle sue grida pietose Eri nel rotondo sole che scendeva Eri nell’aria fresca della sera Nel fremito tenace della rosa che s’apre avida alla rugiada Eri negli angoli bui di ogni strada Eri nel soffio del vento che gonfiava della vela l’arco maestoso Eri nel volo d’un gabbiano che tornava lento al suo riposo Eri nelle voci della notte che parlano alle stelle nel silenzio della luna nelle mille cose belle che per te immaginavo mentre tu nascevi mentre io pregavo con il cuore tremante La tua carne nascente La tua anima viva La mia vita futura. La bella stagione Era la “Bella Stagione” Divampavano fuochi e la foresta i nostri occhi accesi nascondeva divorati dai desideri. Il rosso fiore della speranza tra le foglie caro all’uccello mattutino Obliavamo il passato e l’avvenire lambiva ogni mattino i nostri letti profumati Come dardi infuocati accendevano la notte i nostri amori Tumide labbra bisbigliavano sogni da brezze leggere nell’aria sospesi, splendevano appesi a tremule lune. Nelle spiagge assolate sulle fragili dune, il calore del sole nel sangue pulsante scioglieva i pensieri in piccoli frammenti Salivano leggeri gli aquiloni nel mezzodì abbagliante Era la Bella Stagione Era della semina l’istante. Poi il giorno espose le sue bandiere di luce Il vento canto la sua melodia Silenziose scivolarono le barche Una fanciulla ci sorrise e fuggì via. Tramonto sul mare Il sole al tramontare Scende lentamente Nell’acqua del mare Fresca e sorridente Nel toccarla s’eccita Diventa rosso fuoco Ma l’acqua “navigata “ Finge di stare al gioco Lui sempre più eccitato La bacia a fil di mare E i pesci un po’guardoni Stan zitti ad osservare Mille colori ha il cielo E l’aria in passeggiata Si ferma ad ammirare Stupita e trasognata Sul filo d’orizzonte Le vele fan l’inchino Come le suore in chiesa In fila a capo chino I gabbiani sulle bricole Continuano a parlare Di voli Pindarici Non pensano a tornare Vogliono godersi Il vento che rinfresca E salutar le barche Che tornan dalla pesca La sera ha già capito Ch’è tempo di tornare Si mette un bel vestito Per farsi ammirare E mentre il sole scende Scende anche la sera E l’uomo onesto e giusto Nel dimani spera. Il giorno Scende veloce dal cielo il Giorno che s'è risvegliato portando coperto da un velo, in un cesto, il manto stellato La Notte ch'è puntigliosa riconta assieme alla Luna le stelle nel cesto,dubbiosa, ne possa mancare qualcuna Il Giorno regala al Mattino un'aurora ed un'alba rosate e col Sole che fa capolino riscalda le terre gelate Passa il Vento ch'è innamorato dell'Aria che fa la smorfiosa nel giardino a volo spianato raccoglie un profumo di rosa Al viandante che al bordo dei fossi timoroso riprende il suo andare mostra tutte le curve ed i dossi e sereno lo fa camminare Ogni uomo saluta e da esperto col suo fare gentile ed aperto mostra a ognuno il giusto cammino nel sentiero del proprio destino. Il barbone Un uomo giace per terra accartocciato sul gradino d'un ponte La gente passa voltando la testa e mormora vaghe parole di sdegno Ma egli non sente,riposa beato, quell' uomo solo, accartocciato Solo i vestiti in terra ha lasciato all'esecrabile umano ritegno. Ha preso l'anima e se n'è andato In un mondo più degno. NEL CIELO DEI BARBONI Nel cielo dei barboni In un luogo speciale C'è un grande castello Con duecento sale Le camere arredate Con letti a baldacchino Han morbide lenzuola E un soffice cuscino Gli armadi sono pieni Di abiti sartoriali Vestaglie e camice Son di sete orientali Le scarpe sono inglesi Di cuoi lavorati Fatte su misura Per piedi delicati Le stanze da bagno Han l'acqua profumata Si può restare a mollo Un'intera giornata E poi gli asciugamani Morbidi e profumati E per curar le mani Strumenti delicati Gli shampoo a bollicine Tutte colorate Fan splendidi i capelli Le teste profumate I barboni son contenti Son belli i loro visi Quando dalle barbe Fanno uscire i sorrisi Li avevano nascosti Nessuno li voleva Che fossero sulla terra Nessuno lo sapeva O forse preferiva Fingere di niente Perché le genti povere Non piacciono alla gente A quella certa gente Povera veramente Povera nel cuore Povera nella mente. L'abbandono Un grido scagliato meteora di lacrime precipita lo spazio dello smarrimento Percuote le ossa la carne e insegue sino al delta delle vene il sangue che si fa neve. Cercherò un silenzio dove celare le parole E un dedalo di giorni dove smarrire il suono della tua voce Dal lago prosciugato dei tuoi occhi assenti raccoglierò gli sguardi E coprirò con foglie le tue orme leggere nei sentieri deserti della tentazione Non mangerò più il pane delle tue carezze quando la notte coprirà le tue braccia di stelle e di pianeti E dalla coppa dei tuoi seni volerà con un battito d'ali il mio respiro. Velocità Al bivio della mente dove incrociano le emozioni s'apre ampio e profondo il rettilineo del cuore Ad inseguire i sogni ho lanciato le passioni a velocità proibita Falsata la prospettiva ho rischiato la vita perdendo la visuale del margine laterale. Amor sincero Ruberò il tuo tempo ma con grande rispetto per un solo istante per chi è più titolato per dirti un pò tremante : a chieder la tua mano Quelli sono Giganti Amore mio Ti amo io sono solo un nano Loro ti offrono rose Da molti anni ormai io ho solo margherite te lo volevo dire però sono sbocciate temevo di soffrire in un prato soleggiato guardandoti negli occhi ora chiedo un favore cogliendo nel tuo sguardo di appuntarle al petto stupore e indifferenza ad un " calar del sole " per la mia impudenza per il tempo di un sogno per il solo pensare sarai la mia " donzella " di essere vicino so che per farti bella io così piccino servon ben altri fiori alla tua eleganza più profumati aromi all'essere tuo nobile più vividi colori nel volto e nel pensiero ma lasciami ti prego al garbo d'ogni gesto questo sogno segreto all'incedere tuo fiero non chiedo il Tuo amore non d'esser solo mia Con te sarò sincero chiedo la tua Amicizia dolcissima POESIA ho avuto altri amori ma ora che gli ardori si sono un pò assopiti ho tempo di riflettere sulla vita passata mi accorgo con dolore di averti trascurata Ma ora come vedi riesco a dirti : T'Amo ho trovato il corraggio nel sito di " Poetare " leggendo quel messaggio che incita a provare a dire ciò che senti a mostrar la carne viva i veri sentimenti ciò che la natura ti ha messo dentro al petto Venezia Il ponte lagunare è il gambo di una Rosa sbocciata in mezzo al mare e petali son sparsi intorno quasi a caso silenti e ricamate da case a da campielli le isole di raso Un intrico di petali che forma il Gran Bocciolo si abbraccia con i ponti creando un ghirigoro di splendidi canali un labirinto d'acqua dove lo sguardo annega colpito da un'incanto che l'anima ti strega mostrandoti i palazzi le cupole dorate le chiese addormentate accanto ai campanili che battono rintocchi di monito ai passanti perchè nulla si tocchi e conservare intatta la magica atmosfera che si respira a sera quando spunta la luna e parlano i fanali sotto la luce fioca di storie medievali Quando ogni luce è spenta la Rosa si addormenta sotto a una coperta di secoli e misteri di arte e di bellezza oggi uguale a ieri. Scivolando Scivola il giorno cadendo dal letto apre un sol occhio e guarda sospetto tutte le cose che aveva lasciato vuol essere certo d'aver ritrovato Poi scivola ancora lungo le ore lavora sodo e fa anche all'amore aspetta la sera ed in compagnia del suo amico Tramonto se ne va via Sorride schiva la sera incantata Dal cielo scivola ed accende i fanali copre le case con seta argentata rimbocca le barche lungo i canali La notte scivola nel cielo stellato incontro al giorno che sta riposando cavalca la luna e galloppando parla alle nuvole che son senza fiato La neve scivola sulla montagna addobba gli alberi come a Natale in cerca di cibo gentile accompagna cerbiatti che scendono lungo il crinale Le onde pettegole van a raccontare alla barca che scivola in mare aperto che quella notte avevan scoperto il luogo ove i pesci vanno ad amare Scivola il remo con cadenzato tempo di danza nell'acqua curiosa che luccicando osserva il creato e col riflesso copia ogni cosa Scivola lesto un pensiero ardito all'innamorato che bacia il suo amore la mano scivola dentro al vestito tocca un bocciolo che si fa fiore Il tempo scivola lungo la vita portando nel sacco dell'emozione gioie dolori ed una canzone che canta dell'uomo la storia infinita. La pioggia Al temporale che viene la luce del lampo trattiene un breve istante soltanto nell'aria il fruscio d'un pianto La pioggia che parla da sola vociando tra rami di pesco bagna la luna che vola ammanta la siepe di fresco Rifugio di fronde lucenti si fiondano uccelli tra i rami le gocce giocando irridenti negli alberi tesson ricami Il vento come un titano scompiglia le nubi arrabbiate che versano grandi secchiate alla strada che fugge lontano. Le ciminiere Alte ciminiere,fumano solitarie, nel silenzio della gronda lagunare il quotidiano grigio umore di operai disperdono nel vento, verso il mare Fuligini di giorni e di fatiche si mischiano nell'aria a disegnare tristi paesaggi che avvolgono le vite nel faticoso e mesto lavorare Son uomini e donne sospinti fragili vele nella spumosa china dal mareggiare che indifferente trascina l'onda capricciosa della vita. Divisi ed estranei Come un postino discreto il sole ha infilato bianchi fogli di luce tra le imposte Già lontana è la notte Le tue labbra saziate s'aprono in un breve sorriso Le tue membra in placido abbandono alla tenue luce offrono una felicità sconosciuta Amica, questo sole ci rivela la notte che noi ricorderemo ad ogni alba futura quando ci troveremo divisi ed estranei al nuovo giorno. Creola Le tue mani,le tue mani di creola annodano sapienti i miei pensieri legandoli alla matassa del tuo cuore di lana La tua bocca, la tua bocca di creola ricama nel silenzio corpetti di parole perch'io mi riscaldi nel buio della notte I tuoi occhi, i tuoi occhi di creola scrutano luminosi gli abissi segreti dove pavida si cela la mia solitudine. |