DOLORE |
Se il bene compiuto dà qualche gioia nel ricordo, quando pensiamo d'essere stati giusti, di non aver mancato fede alle promesse, né giurato, in nome degli dei, per stringere un patto con inganno, dovessi tu vivere a lungo, molta gioia, Catullo, troverai nel ricordo del tuo amore tradito, perché tutto ciò che di bene si può dire o fare, tu l'hai detto e l'hai fatto, anche se invano, per il suo cuore indifferente. E perché, allora, continui a tormentarti? Perché, con coraggio, non ti stacchi da lei? Perché contro il volere divino vuoi ancora soffrire? Difficile troncare un lungo amore: difficile, è vero, ma a qualunque costo devi farlo. Devi per forza vincerti,è l'unica salvezza! Devi farlo, anche se ti sembra impossibile. O dei, se veramente è in voi misericordia, se nel giorno estremo, proprio nell'ora della morte, aiutate qualcuno, volgete benigno lo sguardo a me infelice; e, se fui giusto in tutta la mia vita, sradicate dall'animo il male che m'annienta, che s'è insinuato profondamente in me come torpore, togliendomi ogni gioia. Ora non chiedo più che voglia amarmi, né, cosa incredibile, che mi sia fedele: voglio guarire, liberarmi di questo male orribile. Ascoltatemi, dei, per l'amore che vi porto! (Catullo) |
La morte di Clorinda Ma ecco omai l'ora fatale è giunta che 'l viver di Clorinda al suo fin deve. Spinge egli il ferro nel bel sen di punta che vi s'immerge e 'l sangue avido beve; e la veste, che d'or vago trapunta le mammelle stringea tenera e leve, l'empie d'un caldo fiume. Ella già sente morirsi, e 'l pi è le manca egro e languente. Segue egli la vittoria, e la trafitta vergine minacciando incalza e preme. Ella, mentre cadea, la voce afflitta movendo, disse le parole estreme; parole ch'a lei novo un spirto ditta, spirto di fé, di carità, di speme: virtù ch'or Dio le infonde, e se rubella in vita fu, la vuole in morte ancella. - Amico, hai vinto: io ti perdon... perdona tu ancora, al corpo no, che nulla pave, a l'alma sì; deh! per lei prega, e dona battesmo a me ch'ogni mia colpa lave. - In queste voci languide risuona un so che di flebile e soave ch'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza, e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza. Poco quindi lontan nel sen del monte scaturia mormorando un picciol rio. Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte, e tornò mesto al grande ufficio e pio. Tremar sentì la man, mentre la fronte non conosciuta ancor sciolse e scoprio. La vide, la conobbe, e restò senza e voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza! Non morì già, ché sue virtuti accolse tutte in quel punto e in guardia al cor le mise, e premendo il suo affanno a dar si volse vita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise. Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse, colei di gioia trasmutossi, e rise; e in atto di morir lieto e vivace, dir parea: <<S'apre il cielo; io vado in pace>>. D'un bel pallor ha il bianco volto asperso, come a' gigli sarian miste viole, e gli occhi al cielo affisa, e in lei converso sembra per la pietate il cielo e 'l sole; e la man nuda e fredda alzando verso il cavaliero in vece di parole gli dà pegno di pace: In questa forma passa la bella donna, e par che dorma. (Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, XII, 64-69) |
Piangete, donne, e con voi pianga Amore, Piangete, donne, e con voi pianga Amore, poi che non piange lui, che m'ha ferita sì, che l'alma farà tosto partita da questo corpo tormentato fuore. E, se mai da pietoso e gentil core l'estrema voce altrui fu essaudita, dapoi ch'io sarò morta e sepelita, scrivete la cagion del mio dolore: - Per amar molto ed esser poco amata visse e morì infelice, ed or qui giace la più fidel amante che sia stata. Pregale, viator, riposo e pace, ed impara da lei, sì mal trattata, a non seguir un cor crudo e fugace -. (Gaspara Stampa) | Piangete, donne, e con voi pianga Amore, Piangete, donne, e con voi pianga Amore, poiché non piange lui che mi ha ferita tanto che l'anima presto uscirà da questo corpo tormentato fuori. E, se mai da un pietoso e gentil cuore l'estremo desiderio di altri fu esaudito, dopo che io sarò morta e seppellita, scrivete la causa del mio dolore: - Per amar molto ed esser poco amata visse e morì infelice, ed ora qui giace la più fedele amante che sia esistita. Prega per lei, viandante, riposo e pace, ed impara da lei, così maltrattata, a non seguire un cuore crudele e fuggevole. (Traduzione: Lorenzo De Ninis) |
Ultimo canto di Saffo Placida notte, e verecondo raggio Della cadente luna; e tu che spunti Fra la tacita selva in su la rupe, Nunzio del giorno; oh dilettose e care Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato, Sembianze agli occhi miei; già non arride Spettacol molle ai disperati affetti. Noi l'insueto allor gaudio ravviva Quando per l'etra liquido si volve E per li campi trepidanti il flutto Polveroso de' Noti, e quando il carro, Grave carro di Giove a noi sul capo, Tonando, il tenebroso aere divide. Noi per le balze e le profonde valli Natar giova tra' nembi, e noi la vasta Fuga de' greggi sbigottiti, o d'alto Fiume alla dubbia sponda Il suono e la vittrice ira dell'onda. Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta Infinita beltà parte nessuna Alla misera Saffo i numi e l'empia Sorte non fenno. A' tuoi superbi regni Vile, o natura, e grave ospite addetta, E dispregiata amante, alle vezzose Tue forme il core e le pupille invano Supplichevole intendo. A me non ride L'aprico margo, e dall'eterea porta Il mattutino albor; me non il canto De' colorati augelli, e non de' faggi Il murmure saluta: e dove all'ombra Degl'inchinati salici dispiega Candido rivo il puro seno, al mio Lubrico pi è le flessuose linfe Disdegnando sottragge, E preme in fuga l'odorate spiagge. Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo Il ciel mi fosse e di fortuna il volto? In che peccai bambina, allor che ignara Di misfatto è la vita, onde poi scemo Di giovanezza, e disfiorato, al fuso Dell'indomita Parca si volvesse Il ferrigno mio stame? Incaute voci Spande il tuo labbro: i destinati eventi Move arcano consiglio. Arcano è tutto, Fuor che il nostro dolor. Negletta prole Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo De' celesti si posa. Oh cure, oh speme De' più verd'anni! Alle sembianze il Padre, Alle amene sembianze eterno regno Di è nelle genti; e per virili imprese, Per dotta lira o canto, Virtù non luce in disadorno ammanto. Morremo. Il velo indegno a terra sparto, Rifuggirà l'ignudo animo a Dite, E il crudo fallo emenderà del cieco Dispensator de' casi. E tu cui lungo Amore indarno, e lunga fede, e vano D'implacato desio furor mi strinse, Vivi felice, se felice in terra Visse nato mortal. Me non asperse Del soave licor del doglio avaro Giove, poi che perìr gl'inganni e il sogno Della mia fanciullezza. Ogni più lieto Giorno di nostra età primo s'invola. Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra Della gelida morte. Ecco di tante Sperate palme e dilettosi errori, Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno Han la tenaria Diva, E l'atra notte, e la silente riva. (Giacomo Leopardi) |
De profundis clamavi Unico amore mio, pietà! T'imploro dal profondo oscuro abisso in cui cadde il mio cuore, un triste mondo dal livido orizzonte, ove aleggiano di notte l'orrore e la bestemmia. Compare per sei mesi un sole senza calore, poi gli altri sei mesi la notte copre la terra: un paese più nudo della terra polare, senza bestie, ruscelli, boschi o pascoli. Nulla al mondo esiste di più orrendo della fredda crudeltà di questo sole gelido e di questa notte immensa come il Caos. Quanto è invidiabile la sorte dei più vili animali che s'immergono in un sonno stupido mentre la matassa del tempo lenta si dipana! (Charles Baudelaire, traduzione di C. Rendina) |
X agosto San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla. Ritornava una rondine al tetto: l'uccisero: cadde tra spini: elle aveva nel becco un insetto: la cena de' suoi rondinini. Ora è là, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell'ombra, che attende, che pigola sempre più piano. Anche un uomo tornava al suo nido: l'uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole in dono... Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d'un pianto di stelle lo inondi quest'atomo opaco del Male! (Giovanni Pascoli) |
Elizabeth Childers Polvere della mia polvere, e polvere con la mia polvere, o bimbo, che moristi mentre entravi nel mondo, morto della mia morte! Che non conoscesti il respiro, nonostante gli sforzi, e il cuore ti batteva quando vivevi con me, e si fermò quando mi lasciasti per la vita. E' bene così, bimbo mio. Così non percorresti mai la lunga, lunga strada che inizia coi giorni di scuola, quando le piccole dita si fanno sfuocate dietro le lacrime che cadono sulle lettere sbilenche, e la prima ferita, quando il tuo piccolo compagno ti abbandona per un altro; e la malattia, e il volto della paura accanto al letto; la morte del padre o della madre; o la vergogna per causa loro, o la miseria; poi, cessato il virgineo dolore dei giorni di scuola, una natura cieca ti fa bere alla coppa dell'amore, che tu sai avvelenata. A chi avresti proteso il tuo viso di fiore? Un botanico, fragile creatura? Quale sangue avrebbe gridato col tuo? Puro o contaminato, non importa, è sangue che chiama il nostro sangue. E poi i tuoi figli - oh, che sarebbe stato di loro? E quale il tuo dolore? Figlio! Figlio! La morte è migliore della vita! (Edgar Lee Masters; trad. Alberto Rossatti) |