Racconti di Manuel Esposito
Home page Lettura Poeti del sito Racconti Narratori del sito Antologia Autori Biografie Guida Metrica Figure retoriche |
Un tipo un po' diverso Come può una persona costantemente serena, impavida di fronte allo scorrere del tempo. Una persona che non fa neppure caso ad esso, addirittura crede stupidamente di non farne parte, esserne al di fuori. Ad accorgersi invece, istantaneamente, d' essersi sbagliato e non solo, ma di essere infelice come tutti gli altri. Se non peggio di loro. Come può? Come è possibile che una persona come questa, possa avere un illuminazione interiore, così sconvolgente? Semplicissimo, l' amore. Che lo si chieda pure al povero Sigismondo, se è possibile o no una cosa del genere? Già uno che si chiama Sigismondo parte in svantaggio sin dalla nascita. Comunque lui non gli ha mai dato importanza a quello che dicesse la gente. Fin dai primi anni dell' elementari, quelli in cui le prime diversità costituiscono il carattere d' una persona. Perché già da lì si creano una maggioranza ed una minoranza, costituente l' essenzialità della società. Ma Sigismondo di tutto ciò se n' era sempre sbattuto. Era questo il suo bello. Appartenuto eternamente nella sua vita alla minoranza della minoranza di varie minoranze, però con fierezza di sentirsi quasi unico. Sigismondo ha sempre vissuto di stenti, facendo i lavori più faticosi e di bassa leva che il mercato potesse offrire. Non ebbe avuto voglia di studiare, nonostante fosse un appassionato di poesia e musica. A diciottanni appena diplomatosi al liceo classico con 86, s' imbarcò in un mercantile senza dire niente a nessuno. Proprio come fece Baudelaire. I suoi amici avevano programmato il classico viaggio post diploma in un' isola greca. Sigismondo aveva fatto pure pagare a suo padre, Alberto, il biglietto e l' albergo. All' ultimo momento però mandando solamente un messaggio a tutti i suoi conoscenti, che diceva: “vado in America, statemi bene pagliacci!!”. Sigismondo non aveva voglia d' andare all' università per fare lettere. Non avrebbe mai voluto fare l' insegnate, non li aveva mai sopportati, in loro ebbe sempre intravisto parecchia infelicità e frustrazione., compensate con l' autorità. Lui amava la letteratura e quindi per apprenderla, sarebbe bastato leggerla tutta, senza bisogno di farsela spiegare. Perché avrebbe dovuto farsi imporre l' opinione altrui su un libro o su una poesia? Aveva la sua testa, la sua soggettività, tutto ciò che bastava per farsi la sua laurea. Infatti sul mercantile che portava a New York, nel quale Sigismondo prese proprio un impiego, per unire l' utile al dilettevole. Si portò una barcata di libri. Ovviamente tutti quelli che ricoprivano, secondo lui, il secolo più grande di tutta la storia: l' ottocento. Il massimo della letteratura, Sigismondo lo sosteneva già dalla terza superiore, era tutto in quel secolo. Quello che veniva prima era solo la formazione propedeutica a quei gloriosi cento anni. Quello che venne dopo non era altro che la distruzione invece. Gli unici autori che Sigismondo salvava del novecento, ed erano proprio coloro che lo spinsero ad andare nel nuovo continente, erano John Fante e Charles Bukowski. Sigismondo era troppo distante materialmente dalla San Pietroburgo di Dostoevskij, la Mosca di Tolstoj e Chechov, o la Parigi di Hugo, come la Dublino di Joyce. Non poteva rivivere quelle emozioni che vi erano in quei romanzi, non era rimasto più niente d' allora, ne il romanticismo ne la lealtà intellettuale. Troppo tempo era passato, troppe correnti ideologiche e politiche ad inquinare i sogni dell' essere umano. Quelle città erano solo lo spettro di se stesse, affascinanti solo per i turisti, ma gli abitanti non erano più autentici, si erano evoluti esteriormente e sul senso pratico. Ma la voglia di riscatto che c' era ad esempio in “I Miserabili” di Hugo, o la bramosia d' originalità in “L' idiota” di Dostoevskij, come l' amore passionale per la vita e ciò che essa da, perché un domani sarà ancora meglio, in “Il rosso ed il nero” di Stendhal. Insomma quei sentimenti erano andati e Sigismondo lo sapeva, lui non cercava le città dei suoi romanzi preferiti, non voleva la storia, i bei palazzi, le opere architettoniche, no. Lui voleva quegli spiriti. Per questo andò negli Stati Uniti, con soli due milioni di lire, che s' era messo da parte con vari lavoretti. Voleva la Los Angeles di Fante e Bukowski, nonostante anche quei libri fossero un po' stagionati, la gente era sempre la stessa. Disperata e sognatrice. Ma noi non vogliamo parlare di quel Sigismondo, quello sereno e molto spesso felice. La felicità non la possedeva costantemente, ma sovente la raggiungeva e si lasciava trasportare da lei, come in una culla di beatitudine. Non ci interessa la sua contentezza, il suo amare tutto perché vero. Il suo sognare ad occhi aperti anche mentre sputa sangue nello scaricare casse di pesce. Non ce ne frega nulla del suo lavoro al porto, faticoso e snervante, ma che non gli da peso perché la sera potrà cantare John Frusciante al pub. No. Noi vogliamo cercare di capire come lui, da felice, quindi raro, sia divenuto infelice di botto, e quindi uno dei tanti. Questo è quello che dobbiamo capire, è troppo importante, così quando saremo lassù, sul tetto della gaiezza, sapremmo cosa potrebbe farci cadere rovinosamente. E' proprio la motivazione che ci obbliga a parlare del Sigismondo di ora, vedere in che stato è a trentanni, di come i suoi sogni, l' idea dell' amore vero e il fottersene di tutto, siano svaniti nel nulla. Nel novembre del 2011, davanti ad una discoteca di Milano, il tanto blasonato Just Cavalli, c' era il solito nastro rosso a dividere la massa scalpitante per entrare e i buttafuori. Buttafuori, come vuole la loro principale peculiarità, enormi. Due erano neri, grossi, ma all' apparenza pacifici, quella bonarietà ingannevole, che t' induce a lasciarla tale, se si desidera vivere ulteriormente. Gli altri due erano bianchi, uno completamente rasato, con un volto segnato dalle intemperie della vita, un viso non certo rassicurante. L' altro aveva una barba ben curata, ma era il più massiccio di tutti, persino dei due neri, che già facevano la loro figura in quanto a mole. Questi quattro giganti avevano il compito che la serata si svolgesse linearmente. Ovvero senza che nessuno facesse confusione, cioè tutti potevano ubriacarsi, drogarsi, anche perché li davanti all' entrata c' erano i marocchini addetti allo spaccio della cocaina. Insomma il popolo mondano, aveva la piena libertà di autodistruggersi, poteva fare sesso nei bagni, ma non doveva assolutamente disturbare il divertimento altrui e soprattutto dare troppo nell' occhio. Una situazione un po' paradossale, ma era quello che esigeva la discoteca. Essa ti dava la possibilità di demolire il tuo cervello, però ti vietava che il tuo cervello non più padrone di se stesso, ti portasse a spaccare il locale. In mezzo ai quattro protettori della mondanità, c' era lui, il San Pietro della discoteca. Colui che decideva o no se la gente era idonea al Just Cavalli. Lui dettava lo stile e se i ragazzi fuori dall' entrata non erano all' altezza, beh, potevano pure tornare a casa. San Pietro aveva i baffi lunghissimi, arricciati all' insù come D' Artagnan. Veramente appariscenti. I capelli erano stati modellati da un enorme tazza di cappuccino che potesse contenere la sua testa. Tant' erano lisci ed appiccicati alla cute. Chiaramente era un caschetto, un po' effeminato, ma molto omogeneo, se non un per una falda che dalla fronte spiccava il volo per un lato della testa. Portava degli occhiali enormi, dalla forma analoga a quella dei Ray Ban, però da vista. La montatura era nera che s' abbinava alla sua cravattina, al giubbettino smanicato di pelle e ai pantaloni, anch' essi di pelle. La cravatta non aveva la funzione classica d' andare a supportare la camicia. Sarebbe stato troppo banale. Andava a sovrastare una maglietta bianca, con delle scrittine nere e lo scollo, vertiginosamente, a v. Se quei ragazzi bramosi di mondanità, non s' avvicinavano al suo stile, potevano già pensare ad un altro locale per quella sera, perché San Pietro era spietatamente selettivo. Ad aspettare di avere la sua grande concessione ad entrare, c' erano molte persone, in testa a questa fila bramose e frementi di divertimento, c' erano tre ragazze. Sui venticinque, tutt' e tre, a modo loro, erano abbastanza carine. Ne spiccava una però, a livello obbiettivo, su le altre due. Aveva i capelli nero corvino ed il volto bianco cinereo. Un candore spalmato su della soffice pelle, i lineamenti erano irregolari, ma graziosi e non troppo marcati. La dolcezza dei suoi caratteri fisionomici, ebbe un brusco mutamento, quando San Pietro con i baffi di D' Artagnan e i capelli di Fantaghirò proclamò: - No mi dispiace ragazze ... ma non potete entrare - - E quale sarebbe il motivo? - domandò la ragazza dai capelli nero corvino, decisamente alterata. - Il motivo è che non andate bene, per carità, siete tre belliiissime ragazze, – il prolungamento vocale sulla i, risultò alquanto sarcastico – ma siete troppo … trash. Questo è un locale chic, cool, insomma elegante e voi non andate bene. Mi dispiace, arrivederci e buona serata.- Le tre ragazze non controbatterono neanche, zitte. Pure quella mora che poteva sembrare la più infastidita. Fecero tutte dietrofront. Con la coda tra le gambe, le testoline basse, percorsero tutta la folla, al contrario però. Come se avessero portato in mano un cartello con su scritto: “SFIGATE”, tutta la gente le guardava. Loro sentivano quelli sguardi giudicanti, quelle occhiate fugaci, ma ilari quanto bastava per desiderare che quel cammino accentratore finisse il prima possibile. - Te l' avevo detto io?!?! Sei una cretina Lisa! Anzi no scusa, le cretine siamo io e Ginevra, che come al solito ti diamo ragione! - sbottò la più bassina delle tre, con una gradevole frangetta bionda e gli occhi azzurro chiaro. Disse tutto ciò, con vera e propria ira, alla ragazza dai capelli nero corvino, che evidentemente si chiamava Lisa. Mentre Ginevra, che come grande particolarità aveva il seno, s' accese una sigaretta, ma lo fece con aria molto frustrata. Addirittura, molto silenziosamente, dai suoi occhi castani scendeva qualche lacrima. - Cosa volevi che ne sapessi io, che avremmo incontrato quel despota?! Cosa abbiamo che non va?! - disse Lisa, molto solennemente, ma dal suo tono traspariva dell' avvilimento. - T' ho detto oggi ai Navigli: il Just Cavalli è un locale elegante e dobbiamo andarci vestite eleganti! Tu no! Hai detto che dovevamo essere noi stesse. E ora? Guarda che figura di merda che abbiamo fatto! Sei contenta? - la biondina era una furia, agitava il suo esile indice ammonitorio senza sosta. Sulla povera Lisa, che incassava silenziosamente. - No ragazze, mi dispiace, non sapevo che quello lì alla porta fosse così stronzo. Dai andiamo a bere qualcosa offro io – rispose Lisa, visibilmente tramortita. Le sue amiche capirono subito, che anche lei aveva subito lo stesso sgarbo e quindi non se la potevano prendere poi tanto. Stavano per andarsene, una volta abbracciatosi tutt' e tre, quando la loro attenzione fu catturata da delle urla, su per giù che dicevano sempre la stessa cosa: - Andate a fan culo!!! Andate a fan culo!!! Vaffanculo!!! Si anche te e te e te vaffanculloooo!!! - Si avvicinarono curiose all' entrata, per vedere cosa stesse succedendo, che cosa videro? Il nostro Sigismondo! Uno dei quattro buttafuori, quello bianco e rasato, teneva per il braccio, in modo molto autoritario, il nostro Sigismondo, che si dimenava animosamente. Il buttafuori stava facendo quello per cui era pagato, e costretto a vestirsi come una guardia del corpo, del presidente degli Stati Uniti. - Ora esci da qui!! - impartì l' ordine a Sigismondo indicandogli l' uscita. Ovvero il grande nastro dividente i Trash dai Cool. Lisa, Ginevra, la biondina e tutta la folla nelle vicinanze assistettero alla scena. Guardarono questo ragazzo abbronzatissimo con i capelli castano chiaro, lunghi ed ormai autonomi, come del resto anche la barba. Indossava un paio di jeans chiari, un giubbotto di pelle nera, con una camicia bianca sotto e ai piedi aveva un paio di converse nere. Sigismondo barcollava, come un ubriaco all' ultimo stadio, ma aveva due occhi sgranati da pazzo indemoniato. E con questo sguardo satanico e carico di bile, puntava proprio quel buttafuori che gli intimava d' andarsene. - Perché dovrei andare fuori?!! E'?! Facciaccia di culo!! - biascicò Sigismondo, mettendosi poi a ridere come un idiota. - Perché sei troppo ubriaco e molesto!! - rispose il buttafuori. Ad ogni secondo scadeva la sua pazienza. - Ahhh grazie mille stronzone!! Io ti pago e mi butti anche fuori! - - Ascolta ora miei rotto i coglioni, o esci da solo o ti butto fuori io a calci!! - - E' così … che mi ringrazi?! Io vengo qui, spendo sessanta euro in alcolici, soldi che ti serviranno anche per comperarti i film porno e poi mi butti pure fuori?!! Io non ci vado fuori! Testa di cazzo!! - A questo punto, con passo molto femminile, San Pietro s' avvicinò a Sigismondo e gli disse: - Senti, vai fuori, prima che succeda l' irreparabile - - E tu chi cazzo sei?!!! - esclamò Sigismondo ridendo – Da dove cazzo salti fuori?!! Hai anche il coraggio di parlare con quella testa lì?!! - e continuava a ridere, poi con uno scatto fulmineo, allungò le mani e scapigliò con veemenza i capelli di San Pietro, mostrando delle vertiginose stempiature fin' allora tenute segrete. Lisa, Ginevra, la biondina e molti tra la folla risero sonoramente, cosa che non piacque a San Pietro, colui che aveva le chiavi per il Just Cavalli. Infatti gridò, con voce stridula: - Buttate fuori questo stronzo!! - ma Sigismondo non si rendeva conto del pericolo, era troppo divertito dall' ansia di San Pietro nel rimettersi a posto l' acconciatura il prima possibile. Adesso fu il buttafuori nero ad afferrarlo con potenza per i capelli, Sigismondo reagì con una ginocchiata ai testicoli, il nerone l' accusò parecchio. Gli altri tre gli si scagliarono contro, ma Sigismondo li aggirò con uno scatto, non proprio agilissimo. Comunque non lo presero subito, lui riuscì nuovamente a raggiungere San Pietro e fece la stessa cosa di prima, gli rovinò l' acconciatura. Questa volta con foga quasi animale. Non fece in tempo a girarsi che però gli arrivò un pugno in pieno volto, dall' altro buttafuori nero, che lo fece cadere a terra. Tutt' e quattro lo tirarono su di peso e lo portarono fuori, si allontanarono particolarmente dalla folla ed iniziarono a pestarlo a sangue. Si potevano sentire i gemiti di dolore e qualche “vaffanculo” che Sigismondo tentava vanamente d' urlare. I buttafuori tornarono nella loro posizione standard da combattimento, lì di fronte all' entrata. San Pietro sparì per qualche minuto, sicuramente era andato a ripristinare il suo look da uomo cool. Sigismondo era in un angolo del parcheggio, accasciato, rannicchiato su se stesso e molto dolorante. Rimase in quella posizione per almeno dieci minuti, fino a che non sopraggiunse Lisa, chiaramente preoccupata. - Ehi, ehi … come stai? - disse Lisa chinatasi vicino al moribondo Sigismondo. L' unico segnale di vita che dava era un tenue rantolio, proveniente dalla sua bocca a stretto contatto con l' asfalto. Era steso a pancia in giù, con la faccia sanguinante rivolta verso Lisa. Lei, intrepidamente gli toccò la spalla, lui aprì con fatica gli occhi. Neri notte. Vide il viso di Lisa, amabile, grazioso e gentile, ma la prima cosa che gli venne da dire fu questa, sputacchiando anche un po': - Chi cazzo sei te?!! E che cazzo vuoi?!! - Lisa un po' intimorita credette d' aver fatto una sciocchezza, ma ormai s' era celata nei panni della buon samaritana e gli porse la mano. - Piacere sono Lisa e volevo vedere come stavi - Sigismondo provò a dire qualcosa, ma non ce la fece, perché dalla bocca gli uscì solo dello schifoso vomito rosso. Per poco non prese Lisa. Che si scostò rapidamente appena aveva letto in lui, l' incombente necessità di rigurgito. Lisa s' alzò in piedi, si voltò verso le amiche, che muovevano le mani molto agitatamente, come per farle capire che era sicuramente il caso di lasciarlo lì. Tra il suo vomito. L' istinto le suggeriva di alzare i tacchi, che neanche aveva, perché indossava un paio di Converse bianche con le stelline dorate. Forse era una delle poche volte, che l' istinto le aveva proposto un opzione saggia. Però non ce la faceva ad andarsene, vedeva quel capellone a carponi, con la faccia deturpata dai pugni e che non la smetteva di vomitare. Lisa si voltò perché tutto quel vomito la sua fragile vista non lo reggeva più, però non si allontanò, sarebbe voluta arrivare dalle sue amiche. Montare in macchina e dirigersi in un altro locale, questa volta uno che non le avrebbe giudicate. Con la testa lei era già laggiù, in un altro Discopub o in auto con le sue amiche a cantare le canzoni dei Red Hot. Erano le gambe che non ne volevano sapere di muoversi, erano lì incollate a pochi metri da Sigismondo, quindi era costretta a sentire la sua salmodia dolente. Lisa capì che non stava più vomitando, si rigirò verso di lui e vide un disperato. Era ancora nella posizione di prima, con la testa bassa ed immobile. Non poteva lasciarlo lì, cioè avrebbe potuto dal momento che non lo conosceva e non aveva mai avuto a che fare con lui. Ce ne saranno a bizzeffe di ragazzi che si conciano così malamente! Pensò Lisa, perché doveva preoccuparsi per lui. Lei era uscita per divertirsi e per dimenticarsi le sue preoccupazioni quotidiane. Non era giusto che s' affliggesse anche quella sera, per qualcuno che addirittura non sapeva chi fosse. Poi Sigismondo alzò la sua malconcia testa verso di lei, la guardò con quegli occhi vitrei e persi, come se non riuscisse a metterla a fuoco. Cercava i suoi occhi in mezzo a quel tenero volto, una volta trovati disse, con voce rauca: - Ce l' avresti mica, cortesemente, una sigaretta? - - Si … un attimo solo – rispose lei mentre frugava nervosamente in borsa. Poi, sempre con la stessa agitazione, mostrò a lui il pacchetto di Chesterfield rosse. Sigismondo sorrise ed improvvisamente Lisa vide un ragazzo. L' immagine del degrado, chiamiamolo pure schifo, scomparve con quell' innocente sorriso. Quello che fanno tutti gli esseri umani, anche se impercettibilmente differente tra loro, una sorta di segno di riconoscimento. Gli animali non sorridono, solo l' uomo può farlo, ha questo dono e Lisa lo sapeva. Ora vedeva un ragazzo in Sigismondo, un ragazzo disperato. Sigismondo s' alzò lentamente da terra, e finalmente riuscì ad ergersi sulle sue gambe. Oddio, molto eretto non era, barcollava come un budino, però non cadeva e quello poteva già sembrare positivo. Con passo fiacco e vacillante s' avvicinava a Lisa, immobile, il suo sorriso da ebete era già svanito, non aveva più bisogno di sorridere. Senza neppure incrociare il suo sguardo, afferrò il pacchetto di sigarette, ma gli scivolò di mano, imprecò balbettando. Una volta recuperato, con una difficoltà quasi da disabile mentale, riuscì a prelevarne una sigaretta. Se la mise in bocca, ancora spenta in lui dava già sentori di libidine, perché il suo volto si rilassò soavemente. L' accese, con tanta soddisfazione, poi si voltò verso di lei. Questa volta la guardò proprio diritto negli occhi, fece un sorriso ampio, ma non da beota come prima, molto più dolce. - Grazie mille, Lisa … - poi il sorriso svanì e molto ombrosamente - … sei veramente bella … ciao – e si girò, sempre con il suo passo da sbronzo arrivò fino al muretto. Si mise a sedere, la faccia appoggiata al mento e gli occhi persi per aria. L' unico movimento che faceva, era quello di portare la sigaretta alla bocca, aspirare e sputare fumo. Un cadavere fumante. - Lisa!!! Lisa andiamo dai!! - gridava in lontananza Ginevra. - Sii arrivo! – disse, ma continuava a guardare Sigismondo, era lampante la sofferenza che esprimeva quel ragazzo. L' espressione del suo viso era come una maschera di tristezza. Lisa salì in macchina, però guardava Sigismondo attraverso il finestrino, era ancora nella stessa posizione, però non fumava più. Fissava per aria, come un fantasma che attende la chiamata. Adesso la macchina era partita, Ginevra guidava, la bionda stava davanti e Lisa dietro attaccata al finestrino, non riusciva a staccare gli occhi da Sigismondo. - Allora Lisa ti va bene se andiamo al Rolling Stone?! - domandò Ginevra, ma Lisa non rispondeva – Lisa?! Allora?- - Si … va bene – rispose distrattamente, le amiche risero all' unisono. Lei sbottò – che cazzo ridete?! - - Ti piace quell' ubriacone?!?! - disse in tono canzonatorio la biondina. - Dai non era un brutto ragazzo, era solo finito! - disse Ginevra ridendo. - E poi il vomito s' intonava col colore dei capelli – fece la bionda. - Ora non esagerare Jessica! - s' arrabbiò Ginevra – Aveva dei capelli molto belli - - Ma se erano tutti sfibrati e strinati dal sole?! - - E' appunto quello il suo bello, hai visto anche la barba folta, molto surfista, no Lisa? Oh Lisa ma cosa fai?! - - Pensavo a quel ragazzo, non l' ho visto molto bene - -Ma va?! - intervenne Ginevra – E' stato picchiato dai buttafuori, doveva essere sicuramente fatto di qualcosa e poi ha vomitato l' anima. Certo che non l' hai visto bene!? - - Si ma stava proprio male, al di là dell' alcool, la droga e tutto il resto. Non lo so … la sua non era la classica faccia dei soliti ubriachi devastatati. Ne abbiamo visti tanti ormai, ma hanno una faccia stupida. Invece la sua era decisamente triste e disperata. Come uno che non ha più niente da perdere. - Le amiche la presero in giro, dicendole che s' era presa una cotta, lei ci rise un po' su, poi andarono a ballare. Nonostante si divertì molto Lisa quella notte, il pensiero di Sigismondo non abbandonò la sua testa. Chi era Lisa? Lisa era una quasi donna. Quasi suona un po' brutto e sminuente, ma era la realtà. Aveva ventisett' anni era laureata in filosofia, ma per sopravvivere, faceva la cameriera, visto che la sua laurea non le aveva fruttato ancora niente. E poi non aveva una conoscenza, nemmeno una parentela con qualche persona, diciamo inserita nelle varie caste. Giornalisti, professori, commercianti, avvocati, giudici, assessori o politici in genere. No, era una persona semplice, secondo l' importanza che può dare la società ad un individuo, cresciuta da una famiglia semplice. Suo padre, Gianni, possedeva una piccola bottega da falegname, ormai da tante decadi. La classica botteguccia che passa di famiglia in famiglia. Al di là della crisi devastante per le imprese, la bottega di Gianni sbarcava il lunario e dava vitto alloggio, con qualche vizio, a sua moglie Roberta e pure a Giulia. Che comunque si manteneva da sola con il suo stipendio, evitando però di rovinarsi l' esistenza con un affitto. Lisa avrebbe voluto tutt' altro per la sua vita, non che avesse abbandonato i suoi sogni, che poi non erano così irraggiungibili. Facevano parte di quei sogni alla portata di tutti. Non voleva niente di che: diventare insegnante di ruolo della materia che più amava, la filosofia e guadagnare abbastanza da poter crescere una famiglia. Ovviamente tutto ciò con la persona giusta. Proprio come nel Simposio di Platone, la tanto dimenticata anima gemella. Però non poteva per' ora, era in graduatoria, era troppo giovane e le permettevano solo di fare qualche supplenza. Lisa non si lamentava, era una ragazza molto serena, affabile con tutti e tanta gente le voleva bene, aspettava solo di diventare veramente donna. Dalla sera che Lisa ebbe avuto quel “vomitevole” incontro con Sigismondo, fu passata quasi una settimana. Lei fece la sola vita di sempre: lavoro, ripetizioni e palestra. Ed il ricordo di quel ragazzo disperato, la sofferenza che le aveva trasmesso, svanì con il passare dei giorni. Non perché Lisa fosse una ragazza superficiale, ma è il tempo che uccide le sensazioni, vanifica l' estemporaneità. Quella sera lei e Ginevra avevano programmato di andare a mangiare al Blues Canal, tanto per fare qualcosa di diverso, dalla solita pizza ed il ripetitivo giro nei pub. La passò a prendere Ginevra con il suo maggiolino nuovo nero, suonò il clacson, come sovente Lisa non era ancora pronta, non perché fosse molto oculata nel vestiario. Solo perché era terribilmente lenta, la lentezza in versione femminile. In tutte le cose, perfino a lavoro, per carità si dava da fare, ma con calma, senza uccidersi. Viveva nel suo mondo. Perennemente distratta e costantemente con la testa tra le nuvole. Ma chi le stava attorno, o per obbligo o per scelta, l' adorava soprattuto per quello. Suo padre si preoccupava, sua madre pure, preoccupazioni ordinarie. Pure le sue amiche erano turbate, dal futuro diventato velocemente presente. Però poi si voltavano verso Lisa, lei sorrideva a loro e i problemi sembravano affrontabili. O forse questa era l' impressione che dava, fatto sta che non c' erano rimembranze di una Lisa veramente triste, come se lei fosse il baluardo del suo circondario. Come se tutti dicessero: “finché Lisa sorride non c' è da disperarsi”. L' unica volta che lei vide realmente la disperazione, fu proprio quando incappò in Sigismondo. Non che la sua vita fosse sempre stata facile, ma neppure difficoltosa, una vita normale, senza varie tragedie. Quindi Lisa non vide mai quel volto. Il volto d' un uomo saturo dell' esistenza. Ma ora non ci pensava già più, era seduta con la sua migliore amica ad un tavolino raffinato, d' un bel ristorante. L' unica cosa a cui doveva pensare, era scegliere qualcosa in mezzo a quel menù sconfinato e ascoltare Ginevra. Sì, perché Ginevra quando organizzava una cenetta testa testa con lei, lo faceva sempre con un fine vagamente opportunistico. Lisa era la sua psicologa sentimentale. Ginevra stava con un ragazzo bellissimo, già avviato nel campo dell' edilizia, ma che la considerava come una bambolina da mostrare in pubblico. Lisa aveva già intravisto in Gianmarco (il ragazzo di Ginevra), questo atteggiamento un po' leggero, erano due anni che le diceva di lasciarlo, perché non contraccambiava il suo amore. Ginevra se la prendeva, attaccava la sua amica dicendole che era gelosa, però, smentendosi istantaneamente, organizzava queste cene. Nelle quali elargiva tutte le sue frustrazioni e le sue insicurezze su quel rapporto. Lisa però era buona come il pane. Ginevra era nuovamente addolorata? Era l' ennesima volta che faceva lo stesso sfogo? Le parole erano identiche a quelle della cena prima? Sì! Ma Ginevra era un' amica e Lisa doveva ascoltarla. Sapeva già che ogni volta che s' accennava l' argomento Gianmarco, le frasi d' entrambe, le prime piangenti e supplicanti, le seconde consolatrici ed illuminanti, sarebbero state le stesse. Il solito film, la solita discussione e la solita Ginevra ubriaca che non poteva guidare. Il bello che era sempre lei a voler prendere la macchina, ma Lisa era difficile che contraddicesse un essere umano, pur se consapevole di trovarlo in errore. Perché Lisa aveva capito più di tutti che l' uomo è imperfetto. Dopo aver finalmente superato il dibattito sulle turbe di Ginevra, risolto con la consueta soluzione di Lisa: - Secondo me Ginevra devi capire una cosa. E' molto semplice. Devi valutare se il gioco vale la candela. Lo so che sembra la stessa banale frase che si dice sempre in queste situazioni, ma credo sia la più appropriata. Si tratta solo di vedere se i momenti di felicità con Gianmarco, stracciano in intensità quelli di sofferenza. Se è così, allora continua la tua storia, in caso contrario, almeno che tu non sia un po' masochista, tronca all' istante! - Ginevra ringraziò Lisa per averle donato ascolto, una cosa che al giorno d' oggi è molto raro trovare. Le disse che ci avrebbe riflettuto e brindarono, a niente, alzarono solo i calici e fecero il classico cin cin sorridendo serenamente. - Buonasera a tutti! - Si sentì dire dal centro del locale. Lisa si voltò e rimase di sasso. Era Sigismondo, seduto su una sedia, con una chitarra in mano ed un microfono all' altezza della testa. Aveva una aspetto decisamente migliore dall' ultima volta che l' ebbero visto. Molto più sobrio e curato, anche se Lisa vedeva sempre la stessa espressione dolente dell' altra sera. - Io sono quello sciagurato che è qui, per creare un po' d' atmosfera musicale. E' già la terza sera che mi lasciano suonare quello che voglio, nessuno mi ha ancora tirato qualcosa in testa. Da qui deduco che posso muovermi abbastanza liberamente. Stasera voglio proporvi un grande. John Frusciante, non molto compreso, ma è proprio questo che lo rende speciale. Perché la sensibilità è un bene che in pochi possiedono. Questa canzone è Under the bridge, scritta per i Red Hot Chili Peppers … - Iniziò a suonare la chitarra, ricreando proprio la dolce e lenta melodia di Under The Bridge, poi si mise a cantare. Aveva una voce bassa, quasi rauca, ma molto profonda e suadente. Lisa era completamente persa nel suo canto, nella sua musica e nel suo volto. Che esprimeva quella nichilistica riluttanza verso il tutto. Poi Lisa conosceva molto bene l' inglese, perché amava il cantautorato straniero e Sigismondo lo pronunciava alla perfezione. Perciò Lisa era come se l' avesse sentita così quella canzone: - Qualche volta mi sento come Non avessi un compagno Qualche volta sento Come la mia unica amica Fosse la città in cui vivo La città degli Angeli Solo come sono Insieme piangiamo Guido sulle sue strade Perché è la mia compagna Cammino per le sue colline Perché sa chi sono Vede le cose buone che ho in me E mi bacia piena di vento Non mi preoccupo mai Adesso questa è una bugia Non voglio mai più sentirmi Come mi sono sentito quel giorno Portami nel posto che io amo Portami là Non voglio mai più sentirmi Come mi sono sentito quel giorno Portami nel posto che io amo Portami là E' difficile credere Che non ci sia nessuno là fuori E' difficile credere Che io sia tutto solo Almeno io ho il suo amore Solo come sono Insieme piangiamo Non voglio mai più sentirmi Come mi sono sentito quel giorno Portami nel posto che io amo Portami là Sotto il ponte in città E' dove ho versato del sangue Sotto il ponte in città Non mi bastava mai Sotto il ponte in città Mi sono dimenticato del mio amore Sotto il ponte in città Ho dato via la mia vita. Tutto il ristorante applaudì, non per consuetudine, ma proprio perché Sigismondo era veramente bravo e soprattutto reinterpretava alla perfezione i brani che proponeva. Aveva imparato a suonare così, a Los Angeles, quando era felice e spensierato. Lisa rimase letteralmente rapita dalla sua persona. Non che le fosse venuta una cotta o un infatuazione, anche se lo trovava particolarmente attraente rispetto a quella sera che per poco non le vomitò addosso. Non sapeva neppure lei perché non riuscisse più a staccargli gli occhi di dosso, non poteva fare a meno di guardarlo. - Ma è quell' ubriacone dell' altra sera?! - esclamò ridendo Ginevra ed intanto diede un' altra bella sorsata al suo vino bianco, l' ennesima – Però non canta male? - - Non canta male?! - la rimproverò Lisa – E' bravissimo! Ha cantato Under The Bridge alla perfezione! - a Lisa brillavano gli occhi. - Ora alla perfezione!? Ti sembra a te, perché ti sei presa una cotta per lui – a quest' ultima frase Ginevra rise come una gallinella divertita dalle sue stesse parole. Lisa però non le rispose, non la degnò neppure d' una qualsiasi espressione del viso, tutta la sua attenzione era per Sigismondo. Che ai suoi piedi aveva una bottiglia di Jack Daniel' s, l' afferrò, ne versò un pochino dentro al bicchiere e lo bevve tutto d' un fiato. - Dai Lisa! - disse ancora Ginevra – Come fa a piacerti quello lì! E' uno sbandato! - - Io no ho mai detto che mi piace, siete te e quell' altra stupida di Giada a sostenerlo! - - Ma se non gli stacchi gli occhi di dosso! - ed intanto beveva quel vino bianco, che effettivamente aveva seccato solo lei. - Non gli stacco gli occhi di dosso … perché … è interessante – non aveva voglia Lisa di dare spiegazioni, non le aveva in quel momento a portata di mano, voleva solo guardare Sigismondo. Questa era l' unica cosa che sapeva, non né conosceva il motivo, ma lo voleva vedere. Bevuto il suo whisky Sigismondo, stava per dire qualcosa nuovamente al microfono, ma si fermò. Riafferrò la bottiglia e rieseguì la stessa operazione di prima. Faceva tutto in maniera lenta e deferente verso il circostante; e sempre con quell' avvilimento in volto, quasi tangibile. Senza dire niente iniziò a toccare lievemente la chitarra, come se fosse un' entità molto fragile, donando a chi lo ascoltava un suono malinconico, ma potente. Cantò Hope, sempre con quella voce ammaliante che faceva vibrare il corpo di Lisa. Vibrazioni che non riuscì ad interpretare. Semplice, non le aveva mai avute, ne provò altre in passato, di svariato tipo. Quelle no, erano nuove, onde per cui non sapeva cosa fossero e sopratutto come definirle. L' unica certezza era ciò che sentiva, anche se molto confusamente, roba come tristezza, rabbia, rassegnazione, disperazione e infelicità. Sentimenti di cui era a conoscenza, solo per sentito dire, li aveva visti nei film, li aveva quasi provati in certe canzoni o letti nei libri. Invece Sigismondo, insieme a tutte le altre canzoni che cantò, era come se riuscisse in una sorta d' empatia a farle vedere per la prima volta, cosa essi fossero. Non vi trovò niente di bello e romantico, come fanno le varie storie tendenti al romanzare queste sensazioni. Dove l' infelicità è affascinante, no. Sigismondo solo cantando, bevendo e suonando le stampò nell' interiorità la vera faccia di quell' emozione. La faccia che gli artisti, o le persone tengono a nascondere, per enfatizzare solo ciò che può piacere all' intrattenuto. Lisa scoprì che l' infelicità doveva essere maledettamente dolorosa. E che quel ragazzo vi ci era totalmente immerso. Ad un certo punto successe qualcosa di strano, il direttore del locale si mise a litigare, abbastanza vistosamente, con Sigismondo. Lisa cercava di capire cosa si dicessero, perché anche Sigismondo sembrava molto agitato, poi tra una canzone e l' altra aveva bevuto parecchio Whisky. Era chiaramente ubriaco e forse il direttore stava parlando proprio di quello. Poi Sigismondo s' alzò di scatto, barcollando pure verso destra, dando così la conferma del suo evidente stato d' ebbrezza. - Come fa ... ad essere interessante ... quel ubriacone?- domandò a fatica Ginevra, constatando anche lei il fatto d' esser ebbra. - Zitta! Zitta – disse nervosamente Lisa – Non riesco a capire cosa si dicono! - Il desiderio di Lisa, fu subito esaudito da Sigismondo che gridò in faccia al direttore, attirando a se tutti gli astanti: - Ho cantato bene o no?!! - - Sì … ma non centra niente … - provò a dire il direttore con tono altero, ma fu subito interrotto da un Sigismondo sempre più nervoso: - Allora cosa vuole?! Lei mi ha assunto per suonare e cantare. Io l' ho fatto, direi discretamente, visto che in molto hanno applaudito. Se poi sono ubriaco quelli sono cazzi miei! Non ho mica importunato nessuno o detto sconcezze! - - E' una questione d' immagine, lei non può ubriacarsi così selvaggiamente davanti a tutti, quando per di più lavora per noi. Quindi o lei smette di bere subito, altrimenti smetterà anche di cantare - Sigismondo sorrise, incredulo e allo stesso tempo sprezzante, si chinò e afferrò la sua chitarra mettendola dentro la custodia. Poi prese la bottiglia di Jack Daniel' s, si voltò verso il direttore e lo fissò con sdegno ed un po' di stupore, fece per andarsene ma: - Aspetti – disse il direttore, Sigismondo fermò il passo ma non si girò – devo pagarla –. - No non mi servono a me i suoi soldi – disse Sigismondo sorridendo tristemente – li tenga pure lei, caso mai ci può comprare un po' di tatto – e sparì tra il silenzio che s' era generato dinnanzi ad una scenetta mondana, insolita, ma necessaria come quella. Scenette come queste sono utili, per l' essere umano che vive assiduamente la notte, ci s' attacca come quelle ventose verdi che si trovavano nelle patatine. Spesso ad un tavolino, durante una cena, si creano momenti di vuoto conviviale quasi lacerante. Per il semplice motivo che nessuno ha qualcosa di nuovo da dire, anche la persona più loquace può chiudere la bocca dinnanzi alla ripetitività degli eventi. Però, poi arrivano personaggi del genere, esseri fuori dagli schemi, che catturano l' attenzione generale proprio per questa loro peculiarità. E sono proprio costoro, che quando hanno finito l' involontaria esibizione, accendono la miccia sopita della conversazione. Infatti una volta che Sigismondo uscì dal ristorante, iniziò uno strepitante chiacchiericcio. Ognuno riaveva qualcosa da dire, e tutti parlavano tra di loro, i discorsi iniziarono in merito al licenziamento d' un cantante ubriaco, per finire a parlare dell' alcool in quanto agente nocivo. Così uno ad uno raccontò la propria esperienza, come se la conversazione fosse una partita di scarabeo. L' unica che non parlava era Lisa. Fissava ad occhi spalancati la porta del ristorante, quella da dov' era uscito Sigismondo. Voleva raggiungerlo, doveva parlarci a tutti i costi, non aveva idea di come avrebbe esordito, ma dentro di se sentiva quasi come una spinta interiore verso di lui. S' alzò di scatto, svegliando Ginevra che sonnecchiava già da un po' sulla sua borsetta, avendoci anche sbavato ettolitri di saliva. - Dove … vai? - biascicò Ginevra, con un occhio truccato ed uno che sembrava ammaccato da un pugno. - Te dormi non ti preoccupare, io torno subito – disse Lisa sbrigativamente, l' amica non rispose neanche, ma tornò a posare, con contentezza, la testa sulla borsetta. Lisa uscì dal ristorante, nonostante avesse questo impellente desiderio di parlare con lui, provava un immane timidezza. Infatti l' uscio lo solcò con gran foga, ma una volta all' aria aperta, fu colpita da una grande ansia. L' angoscia d' un eventuale dialogo, con la persona che le era entrata diabolicamente in testa. Fuori non c' era nessuno, solo macchine parcheggiate ed una grande umidità, ma di Sigismondo nemmeno l' ombra. Lisa raggiunse velocemente una delle stradine più vicine, dove stava andando? Non se ne capacitava pure lei, però camminava velocissimo, come se stesse perdendo qualcosa d' importante. E poi lo vide, in mezzo a quella vietta storica di Milano, vide proprio Sigismondo che camminava lentamente dandole le spalle. Ogni tanto dava una sorsata al suo whisky, l' andatura non era delle più stabili, ma la sigaretta se la godeva ad ogni aspirata. Lisa lo seguiva, attendendo soltanto il giusto slancio per catturare la sua attenzione, come una detective di primo ordine. Scoprì involontariamente d' essere un ottima stalker, la sua pedinata era perfetta, distanza sicura e ottima visuale. Solo che lei non lo voleva seguire, ma solo parlargli, però non vi riusciva, adesso lui svoltò verso una atra strada. Lei si appostò discretamente al muro, rimase ferma qualche secondo, affacciò il suo teso viso e svoltò l' angolo sempre pronta all' inseguimento. Si era scordata di tutto, di Ginevra che dormiva sul tavolino del ristorante, del conto ancora da pagare e di una serata che doveva essere semplicemente frivola. Rimaneva sempre almeno una ventina di metri dietro un Sigismondo dondolante, che sembrava addirittura non avesse una meta. Erano quasi arrivati al Duomo, Lisa si fermò perché la piazza non era tanto affollata, quindi poteva essere vista. Anche se Sigismondo dava l' idea di uno che vedeva, ma non captava le immagini, le trovava davanti a lui perché erano inevitabilmente lì. I suoi occhi ebbri però guardavano oltre quelle figure circostanti, cose ben più incisive che una persona sconosciuta. Arrivato proprio sotto il palazzo bianco e luminoso di Santa Maria Nascente, s' accasciò a terra, accanto alla porta, appoggiando le spalle al muro e continuando a bere, tutto molto lentamente. Vicino a lui, sparsi un po' da tutte le parti vi erano parecchi barboni. I più fortunati o previdenti, dormivano in un sacco a pelo, gli altri usavano come coperta qualsiasi cosa il borghese ritenesse superflua. Sigismondo non voleva dormire, anche perché lui era ospite in un piccolo appartamento poco distante da lì. Voleva solo stare seduto a bere in santa pace, nell' unico posto che gli piaceva di quella folle città. Accanto a gente che non l' avrebbe disturbato, perché troppo immersa nella propria solitudine come lui. Lisa, ora doveva solo andare la, sotto quel palazzo marmoreo e parlargli. Detta così risulta molto semplice, ma in effetti Sigismondo non era un ragazzo ben vestito e sorridente seduto al bar. No, Sigismondo era un ubriacone seduto per terra e attorniato da altri come lui. Lisa non pensava se fosse giusto o no andargli a parlare, perché sapeva che era sbagliato a prescindere, si domandava se si sentisse abbastanza scellerata da fare una cosa del genere. Lisa era proprio quella persona, che si faceva avvincere dalle situazioni anomale, che non facevano parte della quotidianità. Vessillo principale della noia. Come trovava un individuo, un libro, un film o una conversazione che uscisse dall' ordinario, s' entusiasmava alla follia. Non perché lei si sentisse più originale degli altri, sapeva benissimo d' essere uguale a loro, a differenza d' alcuni ne aveva la consapevolezza. Però trovava la gente come lei noiosa, mentre quel che da loro era differente la catturava. Perciò s' accese una sigaretta, la mano tremava leggermente, fece un lungo sospiro, come se il coraggio vagasse per aria e andò. Il timore la rendeva ancora più bella. Con passo secco e deciso, sguardo puntato su Sigismondo che guardava il cielo, con faccia assente ed uno spirito che puzzava di whisky. Lisa era sempre più in prossimità del palazzo, c' era un acre odore di urina e man mano che s' avvicinava aumentava. - Cosa cazzo vuoi?! - domandò Sigismondo con voce tombale, spaventando la povera Lisa, che non disse niente, rimanendo stecchita. - Insomma, mi dici cosa vuoi da me?! - ripetette Sigismondo questa volta più deciso. I suoi occhi sembravano quelli della morte che ti viene a dare l' ultimo saluto. Lei lo guardava, mentre lui s' accese una sigaretta, poi quando vide che Lisa ancora taceva come una bambolina di pezza. S' alzò a fatica, s' accostò fievolmente a Lisa e le porse una sigaretta: - Tieni, questa è per l' altra volta – accennò pure un mezzo sorriso, ma senza mostrare i denti. Lisa morì nel suo volto sciupato, bistrattato da qualcosa più grande di lui, ma dannatamente attraente. - Ti ricordi di me? - chiese Lisa con un filo di voce. - Lisa giusto? - - Si - - Ecco Lisa … - disse Sigismondo barcollante – mi spieghi perché mi hai seguito? - - Perché … - Lisa sbiancò di botto – perché … - non sapeva che dire. - Ti devo dei soldi? - domandò lui. - No macché! - - Menomale cazzo! - esultò lui ridendo – Allora cosa vuoi? Ti devo delle scuse, cosa ti ho fatto? Non ricordo d' averti trattato male l' altra sera? - - No niente di tutto questo - - Allora cosa vuoi da me? Cosa cazzo ci fa una bella ragazza come te qui? - - Volevo parlare con te – Lisa gradualmente trovava sempre più coraggio. Sigismondo scoppiò a ridere, molto platealmente, poi diede una bella sorsata e: - Tu vuoi parlare con me?!! Ma mi hai visto bene?! Di cosa vorresti parlare con me?!! - - Vorrei chiederti una cosa? - domandò timidamente Lisa. - Dai, orsù, bellissima creatura finita in terre sventurate, – disse Sigismondo facendo un po' l' idiota – mi faccia la sua tanto inaspettata, ma non per questo non spiacevole, domanda! - - Volevo sapere perché ti riduci in questa maniera? - domandò Lisa, indicando la bottiglia di Jack Daniel' s giunta ormai alla sua ultimazione. Sigismondo cambiò di colpo espressione, da beone sorridente a persona visibilmente adirata. Lisa rimase spiazzata, lui le diede le spalle e se ne andò. - Aspetta!! - gridò un po' titubante Lisa, ma Sigismondo continuava a camminare fingendo di non sentire, lei gli andò dietro e trovando un coraggio inatteso lo fermò toccandogli la spalla. Sigismondo la guardò, diritto negli occhi, con una tale intensità da far morire interiormente Lisa, poi disse: - Tu non puoi venire qui … senza neppure conoscermi, sapere chi sono, avere un idea della mia vita e farmi quella domanda! Mi dispiace. Forse mi chiedi ciò veramente con il cuore, non ho dubbi, i tuoi occhi sono glabri da ogni male. Si vede, che sei una persona sensibile. Però questo non ti da il diritto di andare da una persona che hai visto per la prima volta e chiedere qualcosa di così personale! - Ci fu un minuto di silenzio, nel quale si poteva veder fluttuare l' immenso imbarazzo di Lisa, che cercò di rompere così: - Hai ragione, ti chiedo scusa … sono stata davvero impertinente e maleducata. Non lo so neanche io cosa mi sia preso, so solo che … insomma … volevo parlare con te! - Sigismondo, s' accese una sigaretta, buttò la bottiglia di whisky nel bidone della spazzatura e le sorrise, sempre con quel velo di tristezza negli occhi, quasi indelebile: - Senti Lisa, sei una ragazza davvero carina, in tutti i sensi, però dammi retta, lasciami perdere. Io sono una pessima persona, non so cosa ti ha portato fino qui ma …- - La tua voce, canti e suoni divinamente!! Una persona che ha un dono del genere non può essere cattiva!! - - Spesso le persone non che hanno un dono, perché non vi è nessun dono o donatore, ma che credono di averlo sono le peggiori, perché si sentono superiori. Elargendo così soltanto pateticità. Un branco di ridicoli stronzi che s' atteggiano ad artisti. E io non sono altro che uno di loro, un imbecille che si crede speciale, ma ora ho capito tutto- - Cosa? - domandò lei, persa nelle sue parole. - Ho capito che non c' è niente da capire. Tutti ci provano, ma nessuno alla fine sa dire esattamente la verità, quindi non c' è nulla. L' unica spiegazione al nulla è l' assurdo e di fronte ad esso si può solo dimostrare la nostra inutilità! - poi si mise a ridere, così, come uno stupido, fece sorridere anche Lisa rimasta comunque colpita dalle sue ubriache frasi. - Detto ciò, sono troppo sbronzo! - continuò Sigismondo – Quindi me ne vado a letto, mi dispiace di non aver risposto alla tua domanda ed essere stato scortese, ma vedi ... io sono scortese!!! - e rise ancora – Comunque anche se Milano è grande, non è infinita, quindi ci sta che ci rivedremo, grazie comunque dell' attenzione, sono lusingato. Stammi bene – e se ne andò, zigzagando in mezzo alla piazza, mentre Lisa lo guardava, sempre più affascinata. - Aspetta ti prego! - disse Lisa, questa volta con voce più decisa. - Cosa c' è ancora? - domandò stizzito Sigismondo - … perché stai così male? - Sigismondo corrucciò il suo volto, sbuffando fumo e ira, la scrutò malamente e disse: - Mi spieghi perché vuoi per forza conoscere la disperazione?! Cosa te ne frega? Soprattutto cosa te ne viene?! Vuoi sentirti migliore grazie alla mia sofferenza?! Quindi sei solo una stronzetta annoiata, affascinata da uno sbandato?! - - No è solo che io non so cosa siano quelle cose? - - Quali cose?!! - Sigismondo alzò pure il tono della sua voce, segno lampante d' un' impazienza in crescita. - Quei … sentimenti, come la sofferenza o la disperazione, io non gli ho mai provati, però da quando ti ho visto è come se tu mi avessi fatto notare la loro presenza. E la possibilità che li possa provare pure io … - - E quindi? Cosa cazzo vuoi, che ti dica come sono arrivato sino a questo punto?! Vuoi prendere appunti?! Così ti potrai sentire sempre tranquilla?! Ma vaffanculo!!- - Senti ma vaffanculo te!! - - Ma come vaffanculo io?! Sei te che vuoi sapere della mia sofferenza solo per evitarne una tua, e non ti dovrei mandare in culo? Te sei tutta scema te lo dico io … - - Te non ha capito nulla! - gridò Lisa, spiazzando Sigismondo, ma non per la tonalità più alta, per l' espressione risoluta del suo viso – Io voglio sapere di te, non per correggere eventuali errori che farò, perché tanto li farò. E' questo il bello della vita. Voglio solo conoscerti, perché quando hai cantato Under The Bridge, ho capito che stai male e non è che voglio aiutarti, perché non lo saprei fare. Voglio solo conoscere la tua vita. - Sigismondo le sorrise, molto dolcemente, poi le si avvicinò afferrandole delicatamente le spalle. La baciò, non in modo volgare o irruento, niente lingua, una fusione stile cinema di sole labbra. Poi le sorrise nuovamente e le disse: - Sono davvero felice per te, ti meriti la capacità di sognare e di essere avida di sensazioni. Di vedere anche il brutto della vita ricco di sentimenti nobili. Non ti far portare via da nessuno quegli occhi entusiasti, dammi retta, rimani così serena ed in attesa che i tuoi desideri si realizzino. Perché arriverà il momento in cui capirai che non c' è niente d' aspettare e le aspirazioni verranno ad una ad una stroncate dalla realtà. Capirai che non esiste l' amore, Dio o una qualsiasi ideologia, scoprirai che sarai tu, sola, contro tutto questo caos. Se sarai forte, rimarrà quel brillio nei tuoi splendidi occhi neri; se sarai debole come me, beh, ingannerai il tempo aspettando l' unica verità, la morte. Ti prego rimani così! - la baciò teneramente sulla fronte e se ne andò, lasciando Lisa in mezzo alla piazza. Guardava allontanarsi un uomo triste che le aveva donato, anche se per pochi istanti, una tenera sospensione da tutto il mondo circostante. |