Natale in casa… Fedele
Erano molto suggestivi i nostri Natali nella casa sotto la Madonnina ad
Ariano Irpino. Tanto freddo fuori, a volte anche la neve, ma noi bambini
non lo sentivamo grazie alla stufa a carbone sempre accesa nella grande
cucina, con una pentola d'acqua a bollirci sopra, visto che non avevamo
l'acqua calda in bagno…
Le feste per noi cominciavano dal 6 dicembre, S. Nicola, quando la nonna
Rosa, zia Pia e zio Gino ci mandavano da Molfetta un pacco natalizio
colmo di dolciumi e oggetti vari di cioccolata da appendere al futuro
albero di natale, secondo la tradizione pugliese che festeggia S. Nicola
così.
Mio padre allora cominciava ad attivarsi nei lunghi preparativi che per
noi bambini avevano sempre una nuova magia ogni anno e giorno dopo giorno
fino al Natale e oltre.
Si procurava una frasca di abete in campagna che poi i coloni ci
portavano fino a casa sul dorso della loro asina (la famosa 'ciuccia di
Antò', e quando noi la chiamavamo così, la nonna Liberata ci correggeva
sempre dicendo "si chiama asina").
Generalmente questo nostro albero di natale veniva sistemato nel grande
corridoio, nell'angolo tra la sala da pranzo e la cucina. Era sempre
grandissimo, andava a toccare il soffitto e noi lo guardavamo incantati
arricchirsi di luci colorate, candeline illuminate, nastri, torroncini
(della principessa Maria, immancabili!), gli oggetti di cioccolata
contenuti nel pacco di S. Nicola, ma anche i mandarini! che rallegravano
il tutto col loro colore e profumo inconfondibile, unito a quello della
resina dell'abete.
Il Presepe babbo lo costruiva nel lato lungo del corridoio tra le porte
della stanza da pranzo e la camera da letto. Non mancava niente: la
grotta, le casette, le botteghe artigiane, le montagne, il castello… gli
sfondi del paesaggio e del cielo stellato, e tutti i personaggi di gesso
fissati nella sabbia e nel muschio, tutti gli artigiani nei loro negozi e
tanti animali, quelli classici del presepe, per la nostra gioia che ci
giocavamo inventando storie fantastiche.
A volte la mattina li trovavamo tutti caduti, sdraiati sulla sabbia, a
causa di qualche scossetta notturna di terremoto abbastanza abituale ad
Ariano… e noi subito a rialzarli e sistemarli nel loro posto o dove ci
diceva la nostra fantasia.
Nel nostro Presepe mancava sempre il Bambinello: l'avrebbe adagiato con
cura nella mangiatoia il più piccolo di noi dopo una breve processione
insieme agli altri familiari, per la casa a lume delle candeline e
cantando "Tu scendi dalle stelle". Un rito che si ripeteva tutti gli
anni!
Quel Bambinello di gesso, un po' consumato, dai colori tenui e sbiaditi,
lo custodisco gelosamente e teneramente io ancora oggi e lo metto nel mio
Presepe artistico ed elegante, ma che ha il 'bambino' della mia
tradizione, del mio passato e dei miei ricordi.
Ogni sera, fino al giorno della vigilia di Natale venivano in casa due
zampognari ben intabarrati nei loro pesanti mantelli (fuori spesso c'era
la neve) e suonavano la 'novena' a Gesù Bambino costituita da una musica
natalizia ed un 'pop' di attualità del momento o su nostra richiesta. Mi
risuonano ancora nelle orecchie quelle note tipiche delle zampogne e
della "Pastorale" così melodica e dolce.
Che bella atmosfera in quei natali così sereni e spensierati per noi,
nell'affetto dei nostri cari e a volte anche dei parenti di Molfetta. I
profumi di cui si riempiva la casa erano pastosi, soavi, forti,
inconfondibili, indimenticabili. E le buone pietanze che preparava mia
madre! Ci vorrebbe un capitolo solo per elencarle e descriverle! Le
'frittole' e le cime di rapa per il giorno della Vigilia di Natale
(giorno di digiuno!) i cardoni nel brodo di cappone con polpettine di
pollo, il tacchino, il tronchetto di castagne e cioccolato, le 'cartellate'
nel vincotto e miele, le spume di mandorle e tante altre specialità
culinarie di tradizione campana e pugliese insieme.
Non si aspettava ancora Babbo Natale e noi bimbi aspettavamo con ansia la
Befana e i suoi doni, sperando di essere accontentati dei nostri desideri
espressi nella letterina per lei. E la mattina del 6 gennaio il grande
tavolo quadrato della cucina traboccava di regali: giocattoli, ma
soprattutto tanti oggetti utili, di abbigliamento o per la scuola. Non
mancava mai il carbone, il vero carbone nero, quello che serviva per la
stufa! Quanta festa, quanta felicità e sorpresa nei nostri occhi di
bambini e nei nostri cuori.
Al bar del porto
Ci vanno spesso al bar del porto, davanti al mare, di pomeriggio, anche
quando il vento autunnale scompiglia i loro capelli e gonfia le loro
giacche. Lisa e Paolo non si conoscono, ma a volte si guardano dai loro
tavolini dove bevono lui sempre il solito caffè nero come il suo
carattere, lei una gustosa cioccolata calda quando l'aria comincia a
diventare fredda per l'inverno in arrivo.
Stella ormai li conosce tutti i suoi clienti pomeridiani, conosce i loro
gusti e si diverte a guardarli dalla sua postazione dietro al bancone. Li
guarda, ascolta e tace.
Ci sono frequentatori occasionali e quelli abituali in quell'ora
pomeridiana: la vecchia signora dai capelli bianchi legge accanitamente
un libro mentre sorseggia la sua ennesima grappa, da quando lei le aveva
detto che 'stira' la pelle del viso, il distinto capitano dall'aspetto
cupo ma cordiale che le accenna sempre garbati complimenti quando va alla
cassa prima di uscire, e poi c'è lei, la signora Lisa che si ferma lì al
bar dopo la consueta passeggiata fino in fondo al molo.
Quel pomeriggio ventoso, la porta chiusa, Paolo guarda a lungo quella
donna che lui ritiene irraggiungibile, seduta al tavolino nell'angolo
vicino alla vetrata col viso rivolto verso il mare.
Oggi vuole parlare con lei.
Le si avvicina con l'intento di iniziare con "Posso sedermi qui" oppure
"Aspetta qualcuno?" o "Posso farle compagnia?" ma come approccio sarebbe
banale e d'altri tempi. In fondo se una donna è sola è perché ci sta
bene, anche se le piacerebbe scambiare due chiacchiere con qualcuno senza
alcun impegno particolare. Paolo vorrebbe trovare qualcosa di più
interessante per iniziare una conversazione con lei, visto che stanno
davanti al mare, sul porto, quasi all'ora del tramonto.
Ed eccoli seduti uno di fronte all'altra mentre aspettano Stella con due
aperitivi nel vassoio fiorato.
Da vicino Lisa gli appare anche più bella coi suoi occhi scuri e capelli
corti, mani affusolate ed eleganti poggiate sul tavolino, fisico esile e
sorriso accattivante ed ora si perde in quegli occhi diventati dorati dai
raggi del sole e glielo dice senza provare alcun imbarazzo, come se la
conoscesse da tempo. Lei lo sa che i suoi occhi cambiano colore coi raggi
del sole, ma difficilmente qualcuno se ne accorge: lui li ha notati.
Pensa che quest'uomo sia una persona sensibile per questo, interessante
per ciò che dice, ha dei bei lineamenti, uno sguardo dolce e arguto e
occhi profondi, scuri, sorriso accattivante e un bel profumo, modi
gentili e sa parlare guardandola negli occhi.
" Sai Lisa, è da tempo che desideravo parlare con te, ti vedevo qui ad
ammirare il tramonto sul mare, sempre sola a sognare…"
"Ti ho notato spesso anch'io, da qui, il mio posto preferito, vicino alla
vetrata. Sempre solo, il tuo volto così fiero, eppure dolce come il
tramonto di stasera. Che colori il tramonto oggi, vero?"
"Li ha presi in prestito dai tuoi occhi"
Troppo galante. E' antico, ma bello. Imbarazzante, però i complimenti
fanno sempre piacere, ma Lisa non vuole mostrarsi affascinata da lui e
guarda fuori. Il sole tramonta e tinge di rosa il cielo e le poche
nuvole. Sorseggia il suo aperitivo, come fa lui, e sorride. Paolo nota
per un solo attimo l'imbarazzo sul suo viso e sorride. Che spettacolo!
Guarda oltre la vetrata: i gabbiani intrecciano voli radenti il mare, i
primi pescatori stanno ritornando, si accendono le luci sul molo mentre
il cielo si fa più scuro. Vorrebbe prenderle la mano, ma ha timore di
rovinare quella magica atmosfera che si è creata tra di loro.
"Usciamo? Che ne dici di fare quattro passi sul molo?" Lo dice tutto d'un
fiato e con l'ultima parola quasi strozzata per l'emozione. Si sente
strano, come al suo primo appuntamento quando era ragazzo e si era
innamorato di una sua compagna di scuola.
Oggi si sente di nuovo un ragazzo vicino a lei.
Escono insieme dal bar, ma non vanno verso il molo. Fanno il primo tratto
in silenzio. L'aria è fresca e frizzante, capelli mossi dal vento,
camminano tenendosi per mano.
"Mi piacerebbe rivederti". Lei sorride e Paolo non sa se quel sorriso è
un sì o un no, ma gli piace interpretarlo come un sì: sa bene che
ritorneranno nel loro bar a vedere insieme il tramonto, seduti al
tavolino vicino alla vetrata, al bar del porto, dove s'è realizzato il
mistero della loro simpatia, un'attrazione scritta nel cuore, qualcosa di
bello che doveva succedere perché certe cose succedono e basta. E' da
stupidi chiedersi il perché, troppe volte Paolo l'aveva fatto e sempre
aveva voluto dare una risposta razionale che in queste situazioni nulla
ha a che fare con la razionalità.
Sì, si sarebbero visti l'indomani. Si tengono ancora per mano e nessuno
dei due sembra voler lasciare la presa, poi lei sorridendo gli dice che
deve andare e lui vorrebbe sfiorarle il viso con un bacio, ma non c'è
tempo: Lisa è già andata via. Sì, già andata via, sparita lontano, nel
vento autunnale.
La ragazza che sogna
E' rivestito di tela azzurra un antico diario ritrovato nascosto in un
mobile della sua vecchia casa, con l'immagine di un cucciolo di
bracchetto grigio e bianco, tenerissimo e intrigante, col muso all'insù
che arrossisce in… attesa di un bacio dalla sua amata. (come assomigliava
al suo ragazzo!)
Un diario di quelli col lucchetto e una piccola chiave legata a una
cordicella dello stesso colore: un diario segreto!
Era un dono del suo lui, diventato poi il lui per sempre, il lui di una
lunga vita insieme, e subito aveva preso a scriverci le sue emozioni di
adolescente e i suoi sogni, ne aveva tanti!
Oggi rilegge quelle pagine scritte nella piccola grafia tipica dell'età:
dediche dei suoi fratelli, messaggi di amici e amiche, testi di canzoni
che le facevano palpitare il cuore, poesie romantiche o sociali copiate
da qualche rivista, poesie scritte da lei, tutto corredato da minuscoli
disegni di fiori, cuori, animaletti buffi…
Da quel tempo non aveva più scritto niente per tantissimi anni, ha
ripreso a comporre poesie solo da poco, per mettere sulla carta alcuni
suoi pensieri occasionali, ma leggendo le poesie scritte da lei in quel
periodo di contestazione e "figli dei fiori", nota con sorpresa che hanno
lo stesso stile delle poesie che scrive ora, a 40 anni di distanza.
Capelli lisci lunghissimi, vestito leggero floreale coperto da collanine
multicolori, braccialetti con sonaglini, cavigliere a piedi nudi a
sognare e cantare a squarciagola e ballare intorno al fuoco sulla sabbia
al tramonto…
Com'è cambiata oggi!
Ma è sempre lei, è modificato solo il guscio esterno mentre dentro si
sente ancora quella ragazza spensierata che scrive un diario segreto, dai
capelli lunghissimi, che si muove felice intorno al fuoco, sulla sabbia…
e sogna.
Davanti all'infinito
Sono in spiaggia, di fronte al mio mare che sa ascoltare, sa comprendere,
sa tacere.
Gli parlo in silenzio con i miei sguardi proiettati sulle sue onde, così
uguali e così diverse, così prevedibili e imprevedibili, i miei pensieri
contrastanti.
E sono qui sola, nella mia lunga sciarpa grigia. Qualche persona a far
correre il proprio cane nell'immensità dell'arenile invernale deserto e
qualche bimbo imbacuccato col suo papà alle prese con sabbia e sassi da
lanciare in acqua. Ci vengo sempre da sola qui, nessuno vuole seguirmi, e
se qualcuno lo fa, rimane indifferente alla magia delle onde, estraneo al
volo dei gabbiani. Rimane lontano dal fascino del tramonto e dei suoi
colori riflessi sui volti e negli occhi dei 'poeti' che lo sanno
guardare.
Mi fa compagnia la mia solitudine e con lei assaporo queste immagini che
solo il mare sa donarmi senza chiedere in cambio niente, questo scenario
spettacolare in inverno.
Tendo le mani vuote all'infinito che ho davanti a me in modo da assorbire
gli odori e gli aromi della salsedine, nella brezza pomeridiana e fare
mie le energie che sanno trasmettere queste stupende visioni che mi si
aprono dinanzi.
Qualcuno mi prende le mani, mi volto, lo guardo, è lui, lo aspettavo nei
miei desideri e nei sogni segreti. E' silenzioso come me, dolce,
affascinato dalle sensazioni che solo il mare sa dare anche a lui. La sua
mano è calda, forte, e stringe la mia, non vuole perdermi ora che mi ha
trovata, lo stringo a me, non voglio che svanisca questa illusione
divenuta realtà,
Insieme camminiamo sulla sabbia umida e soffice ad accoglierci e
ammiriamo estasiati l'infinito che si apre davanti a noi. Poi ci
guardiamo negli occhi e ci diciamo il nostro amore.
M a n i
Mi soffermo a guardare le sue mani come sono oggi. Mani da vecchio, ma
lui vecchio non è. Sono mani scarne, ossute, esili, pallide, divenute
stranamente sottili, affilate, sempre fredde.
Stasera è scivolata via la sua vera ed anche il fermanello che doveva
tenerla intrappolata al suo anulare perché divenuta troppo larga. L'ho
cercata davanti a lui mortificato e dolente, l'ho raccolta da terra e
gliel'ho ridata teneramente con un sorriso e un bacio.
Quella vera racchiude due nomi, i nostri nomi, e le date dei due "sì"
pronunciati con un trepido e sognante sorriso il primo, convinto e maturo
il secondo dopo venticinque anni.
Una vita vissuta insieme a quelle mani grandi e forti, tenere e calde a
sorreggermi, difendermi e riscaldarmi nelle lunghe notti d'inverno.
Mani sempre operose in ogni occasione, oneste con tutti, disponibili e
accoglienti a chi chiedeva aiuto.
Mani sempre innamorate della sua donna, di me, anche nei giorni no. Mani
che hanno amato con passione e lo fanno ancora.
Mani che hanno saputo accarezzare visi di bimbi, i suoi bimbi, consolare
dopo una caduta, incoraggiare davanti alle difficoltà.
Ora quelle mani sono quasi bloccate, non si aprono più completamente, ma
sanno sempre abbracciare completamente e . amare completamente.
Quanto le amo quelle mani! Le guardo, le fisso con dolcezza, le accarezzo
languidamente, voglio riscaldarle quando sono fredde e le stringo a me.
Riflessioni
Isola deserta
Era il mio desiderio più ricorrente: fuggire via, andare a vivere in
un'isola deserta.
Col suo silenzio, rotto dal mormorio delle onde e del vento tra le
foglie, coi suoi profumi di salsedine, di alghe, di rena bianca e di
sassi, coi suoi colori di cielo e mare limpidi e cristallini.
A piedi nudi sulla sabbia bianchissima calda camminare senza meta
guardando il mare e l'infinito.
Gabbiani sulla mia testa che volano impazziti, liberi e si tuffano nelle
onde in cerca di pesce.
Un'isola di pace, di tranquillità, di oblio, senza tempo, senza orologi,
senza fretta, senza ansia, dove rifugiarmi nei momenti di stanchezza. E
ne erano tanti.
Ero giovane allora, felice, amata, e amavo, ma in certi giorni tanto
stanca della vita frenetica di quel tempo, piena di ansie e
preoccupazioni, la casa, la famiglia, il lavoro, le pulizie, la spesa e
le spese e tutte quelle occupazioni e preoccupazioni di normale routine,
ma che sentivo troppo gravate su di me..Non ci pensavo molto, ma in quei
pochi momenti di riflessione, desideravo annientarmi, fuggire, sparire e
lo dicevo 'non fatemi cercare da "Chi l'ha visto?"
Oggi eccomi qui, su un'isola deserta . troppo deserta.
Eccola la mia isola.
Sono sola, da sola, in una casa vuota senza più nessuno, tutta per me e
la percorro tutta in cerca di che? di chi? ci vivo da sola ormai.
Da sola nel silenzio di questa casa sempre più vuota e fredda.
Sono così lontane le voci dei miei figli rumorosi, allegri, chiassosi che
mi davano tanto da fare, ma che amavo tanto ed ora mi mancano.
Non c'è più il mio lavoro, con le colleghe, gli alunni, i loro genitori
esigenti, i compiti da correggere, le spiegazioni, le riunioni ...ed ora
mi mancano.
E mi manca anche lui.
Sì, mi sento su un'isola. E questa mia isola ora è troppo deserta, è
triste, è vuota, è muta.
Ma ne uscirò, dalle isole si può uscire ed io ci riuscirò. Lo so
Pensando a lei
Storia di Admin
Un ragazzo degli anni '60. anni meravigliosi per lui, anche se ha avuto
un'infanzia triste:
ha perso la mamma quando aveva solo 18 mesi.
"Dimmi com'è una mamma?"
Una mamma è come un dolce abbraccio caldo. così gli aveva risposto la sua
amica del cuore.
Ho sempre sognato di vedere la mia. Ho solo una sua foto
Era molto bella.non perché era la mia mamma.ma perché effettivamente lo
era.
Quando mia nonna mi accompagnava a scuola e vedevo gli altri bambini che
avevano la mamma, io chiedevo dov'era la mia.e mia nonna mi stringeva
forte ed io non capivo.non capivo perché tremava.nell'abbracciarmi.
E' morta così stupidamente.ma tragicamente.
Mio padre, tanto buono, che ha dedicato la sua vita a me, non mi ha fatto
mancare nulla.cercava di colmare il vuoto d'amore che era in me, ma come
poteva riuscirvi?
Sono nato da una bellissima storia d'amore.
Ognuno di noi ha un angelo, io sono stato fortunato, ne ho avuti due. Non
ho avuto la presenza fisica della mia mamma, ma ho sentito e sento
tuttora la sua presenza.
Una mina in un prato dove lei era andata a raccogliere radicchio
selvatico: Era già finita la guerra, da tempo ... il destino.terribile.
La mia nonna mi ha adorato, mi ha cresciuto; chiedevo sempre della mia
mamma, e non capivo perché abbracciandomi, tremava, tremava sempre quando
le chiedevo di lei.
Immagini del passato
Uno strano personaggio
Non so perché mi viene in mente oggi, dopo tanto tempo, questo ricordo.
Non ci pensavo più.
E' successo tanti anni fa, ed ora è qui, nella mia testa. Perché?
Un'immagine sbiadita, ma sempre viva. Un ricordo.
Quel giorno ero in treno, da sola, viaggiavo da Napoli a Carrara. La
solita
destinazione della nostra esistenza.
Non ricordo come mai fossi sola quella volta: viaggiavamo sempre insieme,
in due, per raggiungere Maurizio, solo, a Carrara.
Nostro figlio si era trasferito per studiare e noi ogni due settimane lo
raggiungevamo
per accudirlo e fargli sentire il nostro affetto da vicino.
Prima classe. Viaggio tranquillo fino a Pisa, in compagnia nello
scompartimento
di una bella famiglia completa. Belle persone. Gioviali, simpatiche,
garbate.
Scendono a Pisa ed io resto sola nello scompartimento, ma non per molto.
Sale qualcuno a Pisa. Attraversa il corridoio. Entra nel mio
scompartimento.
Un uomo che sembra una montagna. Enorme, grosso, imponente. E il mio
cuore già batte all'impazzata. Un odore sgradevole mi entra nel naso che
non
riesco a determinare e stabilire la provenienza. Pantaloni sdruciti e
giaccone
scuro consumato e logoro da far paura.
Ha un borsone scuro enorme e logorato dall'uso evidentemente, emanava
anch'esso un odore acre irriconoscibile, disgustoso.
Il cuore mi palpitava nel petto per la paura che mi aveva assalita nello
stesso
momento in cui quest'uomo era entrato nello scompartimento. Paura sì, di
una
persona sconosciuta dall'aspetto sconcertante, che prendeva posto di
fronte
a me educatamente, ma con quel suo aspetto selvaggio e minaccioso e
quell'odore di salsedine imputridita, da personaggio di Stephen King.
Cominciò a parlare e, senza che glielo avessi chiesto, mi raccontò dei
suoi due
giorni precedenti trascorsi sugli scogli, davanti al mare a cercare
molluschi.
Ne aveva fatta una bella scorta, li aveva messi in barattoli e vasetti di
vetro, che
mi faceva vedere, e li avrebbe venduti o portati a qualcuno.
Quei molluschi li conoscevo dall'infanzia: i miei zii di Molfetta ne
erano ghiotti,
li pescavano e li mangiavano crudi. Li chiamavano le 'patelle' ma non ho
mai
capito se era il vero nome di queste conchiglie monovalve attaccate agli
scogli,
confuse tra la roccia e le alghe.
Quell'uomo enorme e spaventoso, dall'odore disgustoso, dall'aspetto
raccapricciante,
raccoglieva quei molluschi d'inverno, nel vento freddo e l'umidità
marina, tra gli
spruzzi delle onde sugli scogli, davanti a un mare
grigio e scuro, o blu intenso come il cielo invernale minaccioso e cupo.
Fichi a colazione
zio Gino
Fichi dolci, bianchi, piccoli ma dolcissimi, zuccherini e freschi. Li ha
colti stamattina all'alba zio Gino, staccandoli da alberi secolari e
giovani sparsi sulla costa pugliese selvaggia, aspra e assolata, intorno
alla nostra villa a mare di Molfetta. Ogni mattina ne riempie due e anche
tre buste, scegliendoli con cura, i più belli d'aspetto, perfetti, maturi
al punto giusto, bianchi (sono quelli che preferisco, e non soltanto io!)
e soprattutto li coglie con delicatezza e amore, con rispetto!
Torna alla villa orgoglioso e fiero della raccolta fatta, col suo passo
malfermo e incerto da . vecchio grand'invalido di guerra, ma non è ancora
vecchio anche se lo sembra da tanto tempo. Viso segnato da tante rughe,
occhi chiari, capelli una volta biondi, ora sempre ricci e folti, ma
quasi grigi, corpo molto magro, ossuto, dalla pelle secca e avvizzita,
tutta tremante e incerta nei movimenti, come le braccia e le gambe, le
mani e i piedi.
Lo osservano tutti e tutti lo conoscono e gli parlano, spesso
scherzosamente. Lo rispettano tutti. Noi lo amiamo e ci giochiamo anche.
Nella villa dormono ancora tutti, ma lui non se ne preoccupa, ed entra in
casa strisciando i piedi, 'impuntandosi' spesso nello stesso passo,
reggendosi a qualcosa per non cadere. Apre le porte rumorosamente, beve o
mangiucchia qualcosa lasciando gocce e briciole sparse ovunque passi.
Prende dalla credenza vari recipienti e suddivide il suo 'bottino verde'
nelle diverse fruttiere e zuppiere e poi .via in frigo! Sarà la 'dolce'
sorpresa a tutti quelli che si sveglieranno e verranno in cucina per il
caffè e la colazione.
Mi sveglio anch'io dopo una bella notte di vacanza tranquilla e felice
con la mia famiglia tutta raccolta a dormire nella stessa stanza (i
bambini sono piccoli e dormono ancora nella culla). Fa caldo qui, ma di
mattina l'aria è fresca e pulita e me la godo tutta uscendo dalla mia
camera direttamente fuori all'aperto. Faccio piano per non svegliare né
marito né figli ed eccomi in cucina per il caffè dopo aver fatto il giro
esterno della villetta.
Buongiorno! C'è mia madre che sorseggia il caffè, mio padre è già in giro
fuori dalla villa o è già andato a fare la spesa per tutti (lo
raggiungerò dopo che ha fatto il suo giro e i suoi acquisti e torneremo
insieme a casa). Ma c'è lui, zio Gino, seduto sul divano a fare
cruciverba o altro, indifferente (!) che mi guarda di sottecchi e mi dice
'guarda che c'è in frigo!' e me lo ripete con quel suo sguardo furbo e
dolce, affettuoso e sornione.. Lo so bene cosa c'è in frigo: i fichi!
come tutte le mattine! Ormai è come un rito, e quando non ne trova, mi
dice spiacente 'oggi niente fichi, qualcuno è passato prima di me'.
A volte è proprio lui ad andare ad aprire il frigo e 'tirare fuori'una
fruttiera stracolma di 'gioielli' verdi, brillanti e dolci fichi, ma le
sue braccia tremano, i piedi s'impuntano e spesso sono costretta ad
anticiparlo a mettere la fruttiera sulla tavola per evitare che cadano
tutti a terra.
Da giovane era in Marina, un bel marinaio biondo con occhi chiari,
sportivo nel fisico e gioviale nel carattere. Scherzava con tutti e si
godeva la vita e la sua esuberante età. Quella volta aveva avuto
l'incarico di sorvegliare una polveriera. E lui era lì quando una bomba
fece scoppiare con la polveriera anche chi c'era dentro e alla sua
guardia. Sembrava morto anche lui, ma invece era salvo, scagliato a
grande distanza dall'edificio esploso, privo di conoscenza e segnato per
sempre nel fisico e certamente anche nello spirito. Dopo mesi di ospedale
era tornato a casa con tutte le sue membra salve ma tremanti per sempre e
incerte nei movimenti fino a contrarre il morbo di Parkinson prima della
vecchiaia, da subito. Grande invalido di guerra, varie onorificenze al
valore militare, croce di guerra e distintivo di riconoscimento che
appuntava sempre nell'occhiello della giacca e ne era fiero e
gelosissimo. Invalidità al 100% con il diritto anche all'accompagnamento.
Ma una vita segnata ormai per sempre.
In famiglia è stato assistito dalla mamma e dalla sorella che vivono con
lui, ma tutti i familiari gli sono stati vicini, ed anche gli amici.
Non ha mai voluto usare un bastone per sostenersi nei momenti critici,
preferiva appoggiarsi a
ciò che aveva vicino o alla persona che era con lui durante le
passeggiate. Per un periodo anche a mio fratello: si faceva accompagnare
da lui alla 'sezione' degl'invalidi di guerra e gli diceva 'tu sarai il
bastone della mia vecchiaia'. Noi eravamo ancora dei bambini e capivamo
poco del suo male e del sua dramma. Ci divertivamo con lui, giocavamo con
lui e lui con noi bambini, ma anche quando siamo cresciuti, abbiamo
scherzato sempre.
Durante l'estate, appena finita la scuola, ci trasferivamo in casa sua
per godere del mare e del caldo clima marino. Ogni anno era così. Tutta
l'estate al mare azzurro e profumato di Molfetta, da bambini con i nostri
genitori, da adolescenti per ritrovare vecchi amici, da 'grandi' con i
nostri fidanzati, poi coniugi e figli. Era sempre una casa accogliente
per tutti, grandi e piccoli. Tutti i nipoti di zio Gino potevano usare la
casa prima e la villetta poi, per le vacanze estive, ma anche in
qualsiasi periodo dell'anno. Ci aspettavano la nonna Rosa, venuta poi a
mancare all'età di 94 anni, zia Pia che era diventata ormai la zia di
tutti, nipoti , amici e conoscenti, e poi . naturalmente lui,
immancabile, incredibile, zio Gino!
Nostalgia e ricordi
Vago come un fantasma tra le stanze della mia vecchia casa deserta,
silenziosa, fredda, buia.
Apro tutte le finestre, spalanco i balconi e i raggi del sole irrompono a
dare luce ad ogni angolo,alle stanze, e ai ricordi.
Le preziose librerie di ciliegio rivelano dai vetri sottili i miei vecchi
libri, qualche enciclopedia ormai inservibile, testi scolastici,
collezioni di oggetti vari, dimenticati, una Bibbia antica nella sua
preziosa rilegatura. Le scrivanie dei miei figli sono coperte da fogli
vari, penne che forse non scrivono più, ancora qualche cd e cassette
musicali impolverate, un vecchio computer che sicuramente non funziona
più. Dopo proverò ad accenderlo.
Quante cose sarebbero da buttar via, quanti oggetti inutili in questa
casa! Ma ogni oggetto ha la sua storia e il suo perché. Lo dico ad alta
voce come se qualcuno potesse sentirmi, ma Vasco Rossi continua a
sorridermi dalla parete e neanche Madonna sembra accennare una risposta
nel suo completino sexy nero e di fronte Rambo 2 e Rambo 3 mi osservano
muti e muscolosi con le loro armi micidiali. Nella camera dei miei figli
ognuno di loro aveva il suo spazio coi suoi poster, foto, bandiere. Dopo
la maturità i ragazzi erano volati via uno dopo l'altro verso luoghi
migliori per studiare e poi lavorare.
La casa rimasta così vuota e silenziosa era diventata troppo grande per
me, troppo muta, troppo isola deserta o 'nido vuoto' come dicono gli
psicologi alle mamme cadute in depressione in casi analoghi. Gl'impegni
lavorativi, familiari, sociali mi tenevano legata a questa casa, ma poi
l'ho lasciata anch'io all'unica persona che ancora ci vive e non riesce a
staccarsi da lei.
Io e lui. Due vite separate in due case diverse, in due città diverse, ma
sempre lo stesso sentimento ad unirci che ci fa incontrare ogni fine
settimana come due giovani innamorati. Mi pesa tanto questa lontananza.
So che un giorno finirà, quando lui si sentirà pronto ad affrontare una
nuova vita lontano dal suo ambiente, dal lavoro, da questa grande casa.
Un tuffo nel passato, nel mio passato. Lettere, biglietti, foto, tutto
dimenticato in un cassetto mai più aperto da tempo. Oggi l'ho aperto io e
c'ho trovato un mondo intero. Agendine messe da parte all'inizio di ogni
anno nuovo, di pelle, di stoffa, rosse, blu, colorate, floreali, secondo
il mio gusto anno dopo anno o ricevute in regalo, alcune sono corredate
da sottilissime matite o esili penne dorate. Biglietti augurali
variopinti nelle varie ricorrenze, inviti, cartoline illustrate inviate
da tutte le parti del mondo a testimonianza di viaggi compiuti dai nostri
amici e familiari. Lettere scambiate tra me e mio fratello quando era
lontano a studiare, tra me e mio marito da fidanzati, lontani per brevi
periodi, tra me e amici che non sento più da anni.
Quanta nostalgia mi assale, e questo sentimento mi gonfia il cuore e gli
occhi di lacrime.
Non è tristezza, mi dico soltanto 'quanto tempo è passato'!
E se fosse amore?
Questa volta Alberto sente di essersi davvero innamorato.
Sì, ha perso la testa per Gisella, e ancora non sa spiegarsi il perché. I
suoi dolci occhi verdi?
Ha lei costantemente nei suoi pensieri, ora che l'ha trovata, non vuole
perderla.
Ama tutto di lei: la sua voce, la sua sensibilità nell'ascoltarlo, ciò
che legge, la musica che ascolta, i suoi gusti nel vestire, anche la sua
camminata. La sua femminilità. E i suoi occhi così dolci, così grandi,
così verdi!
Ora che lei non c'è, la giornata sembra diventata grigia, incolore,
amorfa.
Non sa cosa fare, non ha voglia neanche di leggere. Si trascina un po' in
casa, un po' in giardino. Sente della musica venire da fuori, sarà una
radio.Si accende una sigaretta. Ha voglia di una birra fresca. Non ha
pensieri, la sua mente sembra avvolta nella nebbia. Ora, da solo, si
sente proprio un uomo grigio, in una giornata grigia. Spera tanto che
diluvi domani, per poterla riavere tutta per sé, tra le sue braccia, sul
morbido divano a vedere e sentire la pioggia, insieme, come a
proteggersi. Ma invece fa un gran caldo, lei chissà dov'è? e questa
giornata senza di lei si trascina lentamente. Quanto gli manca!
Stasera si sente ancora più solo. E' tornato adesso da fuori. Una
passeggiata con Ronnie, il suo pastore tedesco. Una serata bella e calda,
sotto la costellazione delle Pleiadi.
Alberto respira un'aria nuova da quando ha conosciuto Gisella, un odore
diverso, una dolce sensazione nuova e diversa. Chissà se anche lei ora ha
un pensiero per lui, anche piccolo piccolo, lo spera tanto. L'aveva
sentita al telefono stamani, e la sua voce dolce e sottile è ancora
dentro di lui, così dolce.
Ronnie si è sdraiato vicino a lui e dorme. Nel silenzio della sera e in
questa solitudine c'è lei, la sua voce, le sue parole, il suo amore.
Quando la rivedrà? Avrà mille domande da farle e anche qualcosa da
confessarle.
Per stasera, buonanotte. E le stelle stanno a guardare.ma loro stanno
lontani.
Ci pensa ancora rientrando dal giardino; ma dev'essersi proprio bevuto il
cervello a perdere la testa così per Gisella?
Il fatto è che la sente molto vicina a lui: ed è stato così fin dal primo
approccio. E' vero che Alberto preferisce l'irrazionalità alla
razionalità, però è stato proprio così: perché?
Gli piace riprovare certe emozioni e quelle dolci sensazioni, sentire
qualcosa che sembrava avere dimenticato. Lei è una donna capace di
ascoltare, di amare, di capire.
Ma non può amarla. Sa che lei non sarà mai sua. Ma ora l'aspetta con
l'amore nel cuore e nel suo sogno.
Come in un brutto sogno
Rebecca passeggia per le vie di Marina; è sola, come sempre da un po' di
tempo, e le sue lunghe passeggiate sono diventate per lei l'occasione per
incontrare qualche conoscente con cui poter chiacchierare, o anche solo
un'altra signora sola come lei in giro per spese.
Oggi la sua passeggiata ha un altro scopo. Cerca un bar, il Bristol, che
le aveva indicato Alberto. E'lì vicino che abita lui, ma non lo cerca,
anzi, non vuole incontrarlo. Teme un incontro con lui.
Il bar non lo trova, o meglio è l'insegna che non vede, ma è lì, chissà
quante volte ci è passata davanti ed ora non lo riconosce.
Istintivamente si gira, come rispondendo ad un richiamo, si trova davanti
un uomo che la spaventa.
E' anziano, magro, vestito di grigio scuro. Vuol parlare con lei, fare
conoscenza, ma Rebecca non vuole. Lui insiste, non sembra naturale il suo
saluto, ha qualcosa di irreale. Sembra venuto da un mondo lontano, o solo
fuori dal mondo reale. E' Alberto? no, non può essere.
Educatamente gli dice di no e continua la sua passeggiata, noncurante di
lui.
Lui le va dietro, insiste per conoscerla, ma lei non vuole, non le piace e
non le va di parlare con quest'uomo sconosciuto, così insistente,
minaccioso, orribile per lei.
Rebecca accelera il passo, ma lui ormai è sempre dietro di lei,
incalzante, sempre più vicino.
Vorrebbe toccarla per farla fermare a parlare con lui, ma Rebecca non
vuole e cerca di allontanarsi.
Ma lui continua, adesso le fa paura questa insistenza e cerca aiuto da
qualcuno.
Per le strade che percorre all'improvviso non c'è più nessuno: sono strade
diventate ora deserte, sconosciute.
Dove si trova? Cerca di fermare una donna per dirle di chiamare qualcuno,
ma quella va di fretta,
non l'ascolta, come nessuno che lei tenta di fermare per chiedere aiuto.
Le strade sono sempre più ignote per lei, tortuose, polverose, ormai non
riconosce più la sua città, bella, pulita, col suo inconfondibile profumo
di mare e di salsedine.
Lui ora lo vede più anziano, più subdolo, come quello strano personaggio
di 'Cose preziose' di Stephen King. Non sa più se è Alberto che la segue,
o qualcuno che ora cammina a fatica per quelle strade divenute stranamente
impervie, come per chissà quale strana magia..
Rebecca adesso lo ha distanziato e s'infila in un portone socchiuso che si
richiude dietro di lei facendola sentire al sicuro.
Sembra un'abitazione abbandonata, polverosa; sparsi in disordine ci sono
mobili vecchi, grigi di polvere, alla rinfusa. Vaga in questa grande casa
sconosciuta, cercando un'uscita. Trova dei gradini in pietra: dove la
porteranno? Come sono pesanti da salire! ma Rebecca non sente la fatica e
continua a salire senza timore, ora si sente quasi al sicuro, pur
nell'incertezza di essere in un luogo sconosciuto per lei.
Spinge con forza un portone antico, polveroso e resistente alla spinta.
Si ritrova adesso nell'atrio di un palazzo nuovo, moderno, chiuso da un
portoncino a vetri colorati.
Cerca di chiudere dietro di sé il vecchio portone, ma non si chiude. Non
importa, ciò che importa
ora è sparire di lì e far perdere le tracce a quel uomo orribile, viscido
e insistente.
Sale le scale, in cima ci sono due porte: qualcuno ci sarà in una delle
due abitazioni.
Chiederà di usare il telefono per chiamare la polizia. A casa sua non c'è
nessuno.
La porta è nuova, scura, elegante, lucida e pulita, sembra in stile
barocco, diversa dall'altra che le è accanto nello stesso pianerottolo.
Dopo il suono del campanello la porta si apre in un soggiorno caldo e
accogliente.
Solo donne in questa casa, giovani, incuriosite di questa visita
inaspettata.
Non le permettono di usare il telefono, ma Rebecca non lo vede neppure in
questa casa.
Racconta quello che le è capitato ma a loro non importa, sono indifferenti
alle sue parole e al suo racconto così strano e incredibile: per loro è
una sconosciuta che ha suonato alla porta, che è entrata nella loro casa.
E' una donna strana, così trafelata, atterrita, disorientata, che si è
subito chiusa la porta alle spalle.
Le donne non vogliono chiamare nessuno; vorrebbero farla uscire. Temono
una sconosciuta così.
Nella stanza entra un'altra donna, giovane, bella. Ha un bambino con sé,
col 'ciuccio' colorato in bocca, seduto su un seggiolino a forma di
animaletto tutto colorato, colori freschi dell'infanzia.
Il bambino non cammina ancora, è lì seduto e guarda Rebecca incuriosito e
affascinato da lei.
Le tende le braccia per farsi prendere e lei lo prende subito, accogliendo
questo bimbo che si stringe a lei come se la conoscesse già.
Com'è bello averlo in braccio, vicino al suo viso e al suo e al suo cuore
con quel suo'ciuccio'strano. Rebecca glielo toglie dalla bocca "Via il
ciuccio, guarda come sei bello!" ma non ha il tempo di poggiarlo sul
tavolo, che lui lo rivuole tendendo la mano.
Osserva quel 'ciuccio': non è a ciliegia o anatomica, ha invece la forma
di un pesciolino, un piccolo delfino: Molto strano. Coma fa a tenerlo in
bocca? gli deformerà il palato!
Ma il bimbo non le dà altro tempo per pensare, lo rivuole.
Non parla ancora e Rebecca glielo ridà con amore e guarda il suo visino
bello, tenero, innocente, le
sembra più scuro di carnagione rispetto alle donne della stanza che
l'hanno lasciata fare con quel bel frugolino dagli occhi dolci e curiosi,
vispi e teneri.
Rebecca rimette il bimbo delicatamente sul seggiolino, ma continua a
insistere per poter telefonare alla polizia:" Un uomo mi insegue, è
pericoloso, non so dove fuggire, non ritrovo più le mie strade!" Ma no, la
fanno uscire da quella casa che lei vedeva accogliente e sicura.
"Ditemi dove ci troviamo, l'indirizzo!" le dicono un nome a lei
sconosciuto che ha già dimenticato.
Non è riuscita a memorizzare il luogo che le hanno detto.
Per strada incontra gente frettolosa e indifferente a lei: nessuno le dà
retta: ma che posto è?
Pensa sempre all'immagine di quel uomo che la seguiva: avrà trovato la
strada? dove sarà ora? in che direzione?
Eccola di nuovo per strada. Ma dove mi trovo? non è la mia città, non sono
le mie strade, non è la mia Marina.
E' una città di mare, se ne sente il profumo acre, umido, pesante del
mare; le strade sono così strette
tortuose, alternate a gradini alti e sconnessi dal tempo e viottoli
sconosciuti..
Rebecca non vuole pensarci più ora, vuole solo ritrovare la sua strada, il
suo paese, lasciarsi alle spalle questa terribile esperienza e dimenticare
questo terribile incubo.
Un amore in ritardo
Si era rifugiato tra i monti lontano dalla sua casa, lontano dalla sua
solita vita, lontano .
Ora ha una piccola casa bianca con un grande camino caldo anche quando è
spento.
E' il suo focolare. I suoi libri, la sua musica, le sue riflessioni, i
suoi pensieri, i suoi scritti.
Tutto il verde intorno alla casa, gli ampi paesaggi lo fanno spaziare con
gli occhi e la mente.
Un piccolo schermo, il suo computer dove vive il suo mondo virtuale e
reale.
Un amore ormai finito lo strugge.
Evasione e silenzi qui tra il verde e tra i monti lo aiuteranno a vivere
una nuova dimensione.
Nuovi orizzonti, nuove conoscenze, nuove esperienze. Nuovi scritti sempre
appassionati, sensuali, carichi di immagini vivide e sognanti.
Ed ora un nuovo amore! Non era previsto, ma lo desiderava e da tanto.
E' arrivato così, inatteso, sulle note di una canzone. Note dolci e
malinconiche di una canzone
a lui sconosciuta ma che ora continua ad ascoltare ripetutamente in
maniera assillante ed anche ossessionante.. La stessa ossessione che ha
per lei da quando l'ha incontrata.
La sua immagine l'ha subito colpito, turbato, uno sguardo dolce e
intrigante insieme, con quegli occhi verdi, grandi, profondi.
Lei mentre parla sorride e lui ne rimane affascinato, il suono della sua
voce è seducente, invitante
e lui si lascia condurre sulle ali di quel suono armonioso. Sogna? Forse.
Ma di sicuro lei l'ha stregato. Ed ora non pensa che a lei, non sogna che
lei, non parla che di lei. Lei, la sua dolce amica che diventa sempre più
intima per lui.
Quando l'ha baciata la prima volta, l'ha sentita calda e arrendevole a
quel desiderio comune che ardeva impetuoso e travolgente. Quanti altri
baci e carezze si sono scambiati davanti a quel camino così grande, così
caldo, così romantico adesso che lui non è più solo a fissarlo.
Stasera hanno deciso di restare in casa, insieme finalmente tutti soli nel
loro rifugio alcova, sul loro comodo divano coperto di cuscini colorati
davanti al caminetto. Non fa ancora freddo, ma lui ha in mente di
accenderlo. Il camino 'fa' calore e stasera ha voglia di darle tanto
calore e sa di riceverne molto di più da lei. Se lo sono detto guardandosi
negli occhi, un accordo complice e dolcemente desiderato che ha messo
eccitazione nei loro discorsi e nei preparativi per la serata romantica
che immaginano fantastica.
La legna è profumata e già si sente qualche crepitio tra le fiamme che ora
colorano i loro visi.
Lui è davanti al camino, cura il fuoco, l'aspetta. Lei è già qui dietro di
lui, si accuccia sul divano, le gambe raccolte, i piedi sul cuscino.
Nella stanza si fa pungente l'odore di legna, di fuoco, d'amore. Il calore
è piacevole, carezzevole sulla pelle sempre più nuda. Fremono le mani sui
loro corpi arrendevoli ai loro desideri impetuosi.
Si vogliono, ma assaporano lentamente la loro eccitazione. Si sfiorano
sensualmente e si baciano in un crescendo di avidità e desiderio. Dal
divano scivolano sul tappeto: riflessi sulla loro pelle nuda, colore e
calore sui loro corpi frementi. Le carezze ora si fanno si fanno più
ardite, i baci più profondi ed eccoli avvinti in abbracci appassionati
sempre più intensi. |