(Che vista c'è da qui)
Inspiro, espiro a coppie
non cammino, eseguo passi
non ci vedo, inquadro fatti
potrei subire tutto,
oggi che dormo
o sono morto.
(L'altro canto)
Canteranno pur qualcosa
le canzoni
di chi lascia
di chi ammazza
di chi striscia.
(A 'sto giro)
A me, che ateo lo sono sempre stato,
chiedi un atto di fede nel rinunciare
al miracolo che mi hai mostrato.
Sulla strada dell'insensata redenzione
saprò scovare ciotoli su cui inciampare
per sottrarmi alla solenne processione.
(La vita è pirla)
Non potendoti avere,
mordere, o uccidere
lascia almeno che anneghi,
nella piena di luce gelata,
la tua limpida pelle sfocata
purtroppo stonata col resto di me.
Pranzo a fine settembre.
Da quella stretta
finestra
il sole basso, la gota
destra
m'ha appena scalfito
tra un grissino
e il suo sorso di vino.
(Estate) Nove turaccioli per sigillare questa bottiglia di vuoto solare
(Una mattina) Vado, le siepi gemere, nel bosco il tempo ch’è, umido, il nostro.
(Ci sono delle ombre a Milano verso le 17... in 8-9) Tante, stese, tante, stese si accoppiano protese. A ritmo maniacale assai più del verticale. Presto saran milioni se non fossero doppioni. (Passa un amico) Per strada, una mattina appena nata, mi godo da solo. Respiro, poi lo noto: "Aspetta!" E’ andato, peccato! Quasi quasi rincaso. (Qualcosa è cambiato: ora vesto largo.) Pien di poco e luce e noia fu quel mentre in cui mi accorsi dei molt’altri già trascorsi. A tal mente, non per vita avvezzo, presto complice fu autunno e di qui, poi, un nuovo anno. (Gente. - solo un gioco!) Alta e bassa a volte, vecchia. Altre nuova. Gente sana o gente strana. Gente certa e certa no. Ce n’è dentro e, gente, n’è fuori. Con lame, petali, fiori. Cuori. (Il mio sogno muto.) Flesso dimezzo al vano, un crine di metallo guizza. Lo fisso e l'onda sùbita mi si ripiglia. (Una bella festa. -racconto-) Arrivo e poso le cose. Accenno un ordine che so già rivedrò. Non sono per nulla trasandato, io! Mi concedo meno luce e più rumore. L'una inganna che l'altro viva. Non sono di certo un eremita, io! Cibo, necessario, ausiliario, cibo. Mi stendo. Meglio, siedo comodo. Non sono mica passivo, io! Mezz'ora. Un'ora. Anche due. Tre pennellate tra ocra e blu. Non sono mai stato insensibile, io! Fuori abbuia. E io allora dormirò. Non sono fatto per esser lasciato solo, io! Non sono fatto per esser lasciato, io! Non sono fatto per esser io. Io. (Ieri ho scritto una poesia.) Ho cenato a tarda ora con un piatto di me. (Inaspettato amore.) D'un tratto tangi, da ragion discosta, la speme mia riposta ch'usualmente frangi. (A 10 anni conoscevo la nebbia. v1.0) Radi e stemperati nembi al fardello si feron lembi. In mezzo sole, piena estate, fu un segnale: 'Salutate'. Pensai nulla nel partire nulli pianti, volte o rire, è il destino, fido nel potere, come sprono: 'Non temere'. Poche robe da mollare è buon prezzo per salpare ma non detta cos'è meta tu potrebbe restar cheta? Fu il necesse o solo ambire? Sol, risolsi il meglio ire che in vent'anni ho ripercorso nel perché mancò quel morso. Non so dire altéro fato di quel me che v'è restato ma i'ho luce, ei nubi svelte: il futuro è solo scelte. (Di umore intriso) Lasciami qui, a due palmi da terra ma sotto. Spandimi di polvere fosca un velo, fine come i tessuti che spingi, duro più dell'oro che stringi, amaro quanto nulla mai addentato. Grave tara di steli sacrificali, frigna nel parlare di chi fui, preci ben certe che sarò. Che trattiene della gloria il detrito, che epura, di umore intriso, la storia il suolo filtra il superfluo e disfà il necessario. (Outing.) Tronfio latra il regime conduttor di immani occasioni gretto se ne fotte sublime d'ogni sommesse ime ideazioni. Sterile di menti acute ad ornarti vorresti senza pretendenti. Sono puttane le membra, i tuoi arti. (Neve in Liguria) fluttuano fermi i fiocchi friggono i fluidi fiotti freddano le fresche fronde (Strano) Si rifanno alte le lancette corte in tanti cerchi sotto vuoto resto attonito, sperduto convinto di avere sempre taciuto potrei fare quello che sbatte le porte stremato di vantare un senso annoiato dal fango melenso laceri e lordi i porci si prenderanno tutto, tutto. (Nel normal pensare) Quasi mi stingo ad impregnare diluito quel vuoto che è illeso tra gli sbràiti dei cenanti tutti ritti, sporti, equipaggiati empatici ad impalcare stupore e sdegno e vezzi li vanno rigurgitando a flaccide boccate inversamente nei fetidi liquami di un apparato fatiscente nel normal pensare. (Mie care ***** isteriche) Pingui conduttrici di urbane motrici castrate dalle mature valchirie obese tese sotto budelli ritmanti il manto sconnesso sottomesso i vizzi gozzi fumano. (Tossicosi) Sensori sovraccarichi recettori drogati ad inibire le propaggini del male a quietare gli istinti sciamannati che fan di un creatore più disperata creatura. (Amanti) Ci rincorriamo dritti come due bulloni in asse sul perno stesso rotanti che se uno piglia l'altro serrano stretti i lembi e più non li dissaldi. (L'ebete insaturo) Emi va a lavorare la casa si vuota perde in turgore e mi lascia a colmare la casa più vuota di vuoto fautore emi impara a volare la casa che è vuota su Bach re minore. (L'ospite del giorno) Composta espertrice di bonton televisiva ti provassi ad educare nel misurare gesti, nel ponderar parole il sangue che pompa i fluidi che t'intridono la polpa; accetti finché, le carni divelte, non t'imbrattano corposi e laidi. (Ti ho sentito morire.) Di nuovo, ecco fatto. Torvo, più e mai sazio, me ne rivengo da quello spazio. Torno da dove si torna soli. (Contro chi scrive.) Che gran versi adotti, li elargisci. Ora parlali tutti, se ci riesci. (Scatto.) Per le vie scorro e mi arroto, giro, volto, torno poi noto. Mi curo del mosso. Un getto! Scatto. ... Qua e là, il medesimo fiato, tornan fluire le macchie di vuoto. Ed io scorro, mi arroto... (Tutte le mie colpe.) Nello stretto, a me stesso inflitto, sto e aspetto. Eppure, anche ora, vuol esondare annegato dal dover. (Il bastone di mia madre.) A dosso riporto, a fondo pigiati, i tondi calcati dal legno materno. Al pian d'aria sommesso, il di lei timpano percosso fu coltre, spessa al mio riposo, fu atro, suolo al suo passar. Ad ogni tocco trasalgo, il dorso straziato, mi traggo e risalgo dal vibrato che'n vien. Al basso dall'alto, fin dentro. (Nomi. -gioco-) Nomi amano altri nomi, si obbediscono, si tradiscono, pensano ai nomi di nomi. Si conoscono a milioni, i nomi. Nomi che stentano, nomi pregano, poi supplicano. Si vendono nomi. Su schermi scorrono, si alternano, ricorrono. Evolvono, mutano i nomi. Sulla pietra, nomi perdurano. (Nel ricorrere.) Ricorrono, istanti, pensier sì feroci, ch'io rinnovo l'istinto a marcarli con croci. Solvo coi tratti di alte intenzioni li grumi corrotti di mie percezioni. Le fiere silenti, sedate, a tacere, dei rei turbamenti mane il pago dolére. (Milano tangenziale - a M. Agnelli) Di qua, per il lungo della via, piove 'n gran brillìo di fuochi ardenti. Di là, all'incontro della mia, fiocca fredda 'na teoria di rincasanti. Dell'une, l'altre stille feron cammino, muoiònsi lente riparando a lor destino. (50 secondi - v4.5) Rosso. di fianco, secco, ho un cane coll'osso. smània la tizia, ticchetta, riparte; un vecchio che invecchia, in maniche corte. declino la mendica senza rimorso: alzo su testi dell'anno scorso. una macchia blocca, ne scendono tacchi, si volta bella, frugandomi gli occhi; non trovo espressione... che il sogno si sperde. Verde. (Scosse) Vorrei essere io mai come forma d'ombra levata sull'uomo che smesso il resistere si lascia tremare e saggia metrica ogni scossa. (Nuovi palinsesti) Molti e volgari radunati i passi lassi ci vanno al trogolo del difforme, ma non si credono di raspar tra i simili riflessi a un braccio senza dire io. (Febbraio) Le tue ultime righe mi dicono in due che non pensi, che non verrai le ho scorse col dito entrambe prima di uscire lo saprò accettare almeno finché cadrà la neve a Milano. (ATM) Gli orari possono subire variazioni in relazione alle condizioni viabilistiche e tra le idee ho appena aperto un nuovo gran cantiere. (I giorni, i disegni) I Caran d'Ache se ne stanno tutti fuori quota sotto la piatta latta stonano i toni che comperai retti e si amano arroccati rotti dai tratti fatti. (Tanto per dire) Salvate gli animali chiudete i centri sociali guarda che umani li vedo su mille canali che bella la pace manifesta e poi tace servirebbe una guerra fuori dalla mia terra basta con la fame e con l'arbitro infame primizie senza additivi nei comizi alternativi schierato coglione tra secoli verrai dopo il Rubicone. (Neanche un po') Siamo alla deriva da giorni da aliti appena mossi ci stiamo composti remucchiando vaghi di ora in ora in tondi dimandiamo splendidi che qui si affonda che non si tocca neanche un po'. (Punge milano.) La città che si basta è una rigida crosta virulenta, semmai attiva più che viva stabili stillano gente cola secreta, gocciolante invischiata, in fuga ne intride ogni ruga tra escrescenze rubinee più per nulla idonee al dilatarsi di lembi offesi sottostanti, pulsanti seppur lesi. (Me ne sto in piedi) Dallo studio risanato presto al mattino dalle donne sono da ieri più distanti le schedine dei manovali. Per i vetri immacolati, questi che li diresti assenti sul querceto una fogliosa brezza mi ricompone. Nel vaneggio di un gran fuoco bevo succo di limone. (Bambini) Sotto il salice rigato di formiche i bambini si odiano avidi e letali fino a che li rompe il pianto. (Leggero) Ancor vivo, vò poco lasciando. (Come volano sicuri gli aerei di Boetti!) Una bell'ansia sciaguatta, bolo che spinge e che frena rode acido, disappunto di 'sti vettori intersezione che si battono alterni io che li lascio fare, fanno. Qual per l'altro sarà Caino? Qual fidato mi sarà Vate? (Sono online) Piove sul ventunoundicizerodue sulla media stagionale temperata rossi, verdi e blu razzolano sullo schermo avvallano il ritiro in ateneo si ciarlano binarie gesta mediocre, non afferro, dovrei infame, assemblo vocaboli coi byte reietto mi connetto. Oso online. (Loop) Come gli spiccioli, resti che mi cavo di tasca al brunire d'un dì fuori casa, così ciascuna mia intenzione riecheggia umane transazioni concluse nel fodero del già stato. (Glaciale) il sole affilato rifulge purissimo macera le pelli il gocciolìo distillato da lembi gotici di freddo inerte che fonde discernere a stento tra masse glaciali moli di metallo contratto e unto la luce rade la piana ritaglia le forme le schianta sul ghiaccio. (Notte dicembrina) Sveglio la pella brilla reso insonne dal brusìo dei legamenti cedo infine desto mi concedo un foglio singolarmente bianco e presto tacciono. (Osmosi) Volontà su corpo su biro su foglio su tavolo su edificio su suolo tra carta carbone supina, come un poppare fluido il suggere assenso al senso inverso il senso traverso terra e cemento e legno e carta e pigmento e carne e ragione, come uno spillare diafano plasma da sangue rotto l'esorcizzare degli estremi sordo il cozzo. (Cena con ghirigori) Mi intrattiene ebro il calice che si giostrano le dita ne imperna lieve l'indice i turbinii di volta ardita. l'ampio piede trita e cerca arzille briciole sul panno scansando macina, arando solca, sbilenchi archi che s'en vanno. sghembo il gambo imbizzarrito sfila il fulcro perde attrito corteggia il bordo poi lo rade ci pensa molle, mi riflette, quindi cade. (Sarà, Sara) legge di Sara chi legge dei tondi scuri che fissano dalla tela lasciata al muro in ottobre dell'indovinarne il forse pensare forse lieve nel rondare al fuoco ombrando del bene accennato e negato da noi cauti per quel che l'altro mima di sé. (Ingialla) Ristagno nel torpore di gusto alieno nel bagliore che ingialla del farsi men rada la domenica mattina evasa, sfrangiata da stipiti festivi nel dormiveglia vigile e sfatto baratto attenzioni con un corpo che giro ricévone i frizzi tremulo sospiro e, torto, mi tiro. (In carriera) Educate palpebre lappano languide globi ferini. Colmi di fuoco che non brucia. (Sul sentiero per il mare) Sento già i tonfi e mi figuro la zuffa dei grani scuri che arruffa in ciaccioli in scrosci, sale lo scoglio e bisticcia al saliscendi che arriccia si infrange con pacche sputa al vento lo sciocco, appena è asciutto mi lecco. (Profumo) S'è perduta l'essenza della mia tuta dalla tua partenza la spingo col viso ne indago l'intriso io che odio smaniare ne voglio ma ne può bastare l'imbroglio. (L'avresti mai detto?) E così sotto sotto s'è freddato anche l'amore degli occhi quello nato di marzo e disfatto a febbraio. (Tante, poche) Cautamente fiero ogni notte muoio ogni giorno sorgo che val bene mollare la vita insonne un solo principio un'unica fine. (Latente in casa d'altri) Tu dici ma io divago e mi sfugge il fiotto dei vocaboli il fiotto il tuo discorso che unge i lobi che si fa sfatto che trova il dotto mimato, il fiotto, ma astratto dalla tua bocca forse detto a me cosciente a me distratto. (Convesso) Il mondo delle cose serra valli già chiuse ritorto e convesso glabro in punti di flesso tangerne a vista le piane non basta s'insinua un neo senso ed avvalla ciò che penso. (Toscana) Un milione di ranocchi e il loro craccrare m’incrinano l’imposta e le liste verdi su Montepulciano quest’ora si fan d’un bruno e i dorsi di luna arrosti che dal letto appena rigoso d’ogni grido m’incurioso. (Sei tornata senza di me) I nidi che indicasti penzolare da pioppi sfatti io solo li ho rivisti vagando lento, al rientro. Così, da rami morti non se ne cadono le foglie. |