La voce del vento
Fermati un poco
ad ascoltare la voce
del vento:
quel vento strano, lamentoso
notturno esploratore di luoghi
sconosciuti,
che penetra furtivo negli anfratti
più cupi ed intricati
di rupi immense, acuminate,
che si infrange ribelle sulle rocce
con irruenza violenta e vendicativa
facendole tremare come per paura
che parla e tace
che tace e geme
d'un gemito lungo quasi umano
come per un dolore antico, mai sopito.
Fermati ed ascolta:
apprenderai così come nacque
l'antica storia del mondo
col suo fardello greve
di sofferenze amare, di malvagità nascoste
di infelicità infinite.
Muro di pietra
Poiché adesso fra noi
si è frapposto
come un muro di pietra
una distanza
che a me pare immensa
incommensurabile quasi:
una distanza misurabile solo
in una serie infinita
di infiniti silenzi.
L’ombra di un sorriso
Quanto meno ti penso
più mi opprimi
come un rimorso strano
un fastidio celato.
Racchiudi in te, inconsapevolmente,
l’amaro e gelido segreto
di ogni mio affanno
tesoro grande, a cui io più non credo.
Ogni giorno che viene
io ti perdo e ti ritrovo
così senza speranza alcuna
d’affetti nuovi,
sempre più mutato fino al profondo
non più quello da me tanto desiderato.
Io non so più se ti conosco ancora
io so soltanto
che mai da te
io mi sono sentita così divisa, così lontana
aliena da ogni cosa tua, dai tuoi pensieri.
Tu sei per me come un’attesa estrema
e niente altro
perché non v’è più nulla ormai fra noi
che possa affascinare la mia mente
nulla da ricordare,
solo tristezza e noia
e somma indifferenza.
Si duole forte il cuore
mentre sulle labbra
si va atteggiando lentamente
l’ombra di un pallido sorriso.
Crepuscolo
Al crepuscolo
un corvo si levò
lento in volo
da un abete fiammeggiante di luce
e con ampi volteggi
s’allontanò battendo con forza
le ali scure come l’illustrazione vivente
dell’idea del nero più cupo.
Una cintura di alberi
complici
cingeva il liquido argento
quasi volesse restringerlo
in uno spazio sempre più esiguo.
Con l’avanzare della notte
l’erba del prato, i fiori
impallidivano piano
confondendosi in un’insieme
imperscrutabile
di colori e profumi.
Spazi vuoti Quanti spazi vuoti di tempo e di emozioni, di teneri ricordi e sensazioni hai lasciato sparsi intorno a me, passerotto dolcissimo. Riempivi le mie ore con i tuoi sguardi colmi di stupore, lunghi silenzi e fragili sorrisi a cui non rispondevo. Pensavo di bastare a me stessa e non volevo che tu occupassi uno spazio maggiore nella mia vita di quello che ti avevo assegnato, non volevo farti partecipe dei miei sentimenti più profondi, così ti rinnegavo, respingendoti e tu tacevi, umile e rassegnata senza dir nulla. Ma poi te ne sei andata portando via con te oltre all’amore anche la tenerezza e tutta la mia strana bugiarda sicurezza non lasciando qui niente, un guscio vuoto e basta. E adesso mi manchi in modo doloroso: senza di te, non ho più certezze non ho più niente, me ne rendo conto. Sei andata così lontano da me in un mondo immemore ed infinito che anche se io ti chiamo convulsamente col cuore e con la mente, so già a priori che è un chiamare vano.
L’albero più vicino al cielo E c’era una luce verde colma di minuscole gocce di acqua, c’era il solito tragico dilemma del vivere e del morire, ma qui, in mezzo a questi alberi immensi e luminosi percepivi un linguaggio diverso, un linguaggio che non offriva parole umane per definirlo. Non erano coese queste che un albero potesse capire: l’albero capiva solo l’altezza, la maestosità della natura l’immensità del cielo infinito la sua meravigliosa dolcissima colorazione, amalgama di mille frammenti diversi di luce. Pensavo che quando sarebbe giunto il momento del lungo sonno avrei voluto che mi lasciassero sotto uno di questi alberi, così che le radici potessero avvolgersi intorno al mio corpo come in uno stretto abbraccio entrare dentro di me, succhiare linfa vitale. Non sarei mai scomparsa così sarei salita fra i rami più alti, sarei entrata per sempre nel tempo, avrei osservato ogni cosa dai rami e dalle foglie più verdi dell’albero più vicino al cielo. Come un enigma E' come uno strappo una lacerazione violenta una iattura che m'è caduta addosso e non mi lascia e pulsa disperatamente dentro e procura dolore come ferita aperta sanguinante. Tu davi un senso al nulla e il nulla diventava all'improvviso cosa importante. Ora che non ci sei pulsa dentro di me senza esaurirsi mai il desiderio di ritrovarti per un solo momento fosse pure in un gesto o un'abitudine nota a me sola. Una parola tua stenta o impudente resta la sola cosa che più mi appaga pure se è mutato oltre all'accento anche il calore. Mi abituerò a sentirti anche per poco e a decifrarti così come un enigma. La neve che copriva la conchiglia della valle La neve che copriva la conchiglia della valle scendendo quasi ad accarezzare le rive muscose del lago blu intenso, mandava sotto i tenui raggi del sole bagliori rosati e tratteneva lievissime ombre turchesi. C'era dappertutto una luce come battesimale un paesaggio di purificazione. Giornate azzurre, limpide, in cui l'aria sembrava diafana, rarefatta, simile a morbido sottilissimo velo; mentre la vallata laterale composta d'abeti folti e di silenzi cupi sembrava contaminata da strana malìa e come sopita in un incantesimo vago. Tutto pareva più lento, a tratti quasi fermo come se non ci si dovesse aspettare più nulla: i nessi stretti fra un pensiero e l'altro la percettività come intorpidita, le emozioni prigioniere dell'incomunicabilità. E all'imbrunire le stelle a milioni foravano il blu sempre più fondo del cielo indicavano tremando una strada sconosciuta e remota bella e fulgente come un sentiero incantato Dormi bambina dormi (Per Nicoletta) Dormi bambina dormi Chiusi i begli occhi scuri Cancella questo inutile mondo di sofferenza. Dormi tranquilla Ché fili d’erba e margherite Chinano il capo sulla tua estrema stanchezza Dimentica tutto E incamminati nella buia distanza Dove la tua lieve ombra bianca Tessuta di lacrime Lascerà una sottile traccia Di rugiada argentata. Dormi in un cielo infinito Dove nascerà un fiore eterno di stelle Sogna estati di luce, inverni di neve abbagliante Dormi nell’oblio della tua giovane vita La tua immagine è ormai Ombra di sogno I tuoi occhi sono estasi di ricordi Nebbie di mattini ambrati Dolci rimembranze di tempi perduti Vai ora tranquilla Nell’aria lieve che ti sfiora S’addensano petali di bianche rose profumate. Ricordo di un amico Non cerco più, in nessun luogo attorno il tuo viso sì caro, il tuo sembiante forte; l'ho lasciato sfuggire a poco a poco insieme ad un groviglio di ricordi che le mie spalle ormai troppo stanche non erano più in grado di portare. Per troppo tempo, ti ho tenuto accanto: ora non ci sei più eppur mi manchi così come mi mancano i ricordi e se mi volto indietro altro non scorgo che un oscuro vuoto arido e strano che mi tormenta inutilmente e invano. |
Foglia vizza
Le stanze non riecheggiano più
lo scintillio sonoro della tua voce,
lo scricchiolio leggero dei tuoi passi,
sono vuote oramai di ogni suono
d'ogni rumore, d'ogni riso o pianto.
E d'armonia gioiosa erano i gesti,
canto per me le tue parole
canto soave, canto ammaliatore
che ora non sento più
come non sento
la pesantezza delle tue braccia forti
che si stringevano strette sul mio corpo
tremante;
sono leggera e vuota d'ogni cosa
adesso
sono diventata come una foglia vizza:
se mi cogliesse un refolo di vento
potrebbe certo ormai farmi volare
volare fino all'indaco più fondo
fino alle nuvole più scure e più lontane,
forse anche più su
fino a scomparire.
Estranei
Forse per me, per te
non esiste un unico tempo:
battiamo noi due
strade diverse
ed in diversi sensi:
per rare volte camminiamo
insieme
in altre ancora
percorriamo nastri sincroni o paralleli,
rarissimamente poi ci intersechiamo.
L’autentico smarrito
Di me, di te
tutto mi sembra
di conoscere, tutto mi è noto
e invece tutto io ignoro.
Mi domando talvolta
perché i fili della vita
si siano talmente voluti
aggrovigliare
e se non sia una mia colpa
l’autentico smarrito
oppure io stessa
un’immagine falsa,
la brutta copia
del tuo autentico io.
Tardi
È tardi adesso
forse anche troppo tardi
per continuare quest’inutile diatriba.
Già una giunca di nuvole
viola sanguigno
cerca di ancorarsi al pallido orizzonte
violando il buio illividito della notte.
Allunga svelto la tua mano chiara
e spegni con un rapido gesto
la candela ormai quasi consunta
che per innumeri ore ha fatto luce
rendendo vivi e tormentati
gli inganni, l’ansie, gli scoramenti dolorosi
di questo ambiguo opaco periodo
della vita.
Spegnilo adesso
Che nemmeno un afflato
un guizzo vano della fantasia
rimanga vivo nell’opacità profonda.
Troppo ha brillato,
troppe parole abbiamo pronunciato a vuoto
in quella luce:
potremmo poi pentirci di averle dette
di aver scavato così a fondo
nell’anima nostra,
di aver messo così a nudo
verità scottanti e sentimenti ascosi.
È giunta l’ora di stendere
un fitto velo di tenebre e silenzio
su tutto quello che ci ha tormentato
dimentichiamolo:
facciamo come se non fosse successo
altro che il nulla
e noi solo due ombre
fragili e furtive
che han vagato a lungo
per una notte intera
raccontandosi inutili bugie.
Riflessioni al centro del solstizio Circondata da zefiri leggeri, da azzurre magie limpide e traslucide, dove stille ed ombrature dorate vibravano intermittenti e leggere sull’acqua riempiendo di bagliori preziosi la conca aperta della baia, godevo una calma serena e docile: tutto sembrava immoto e fragile, come racchiuso in una conchiglia iridescente in un’irreale assenza di tempo e di spazio. Eppure a tratti si avvertivano strani sussulti, percettibili cambiamenti, intervalli di maggiore e minore incandescenza come se in quell’infinito trepido e lucente qualcosa di nuovo si stesse ammassando, qualcosa di blu, di dorato, di antico. Da tempo ormai le forze della maturazione e del deterioramento si muovevano sincrone verso un’unica direzione senza apportare visibili mutamenti, soltanto una quiete sconfinata una sonnolenta profondità che non si contraddicevano né si contrastavano, ma riuscivano insieme a infondere una sensazione di pace spossata, un’impronta di nostalgica malinconia dolcissima. La natura, nella sua pienezza, si stava preparando lentissimamente al mutamento annunciato, al primo scatto infinitesimale di luce discendente il primo tiepido lampo opaco di un autunno forse ancora lontano ma già vivo e palpitante nella colorazione più violenta del cielo. Vi era musica nell’aria musica vibratile e profonda insieme con un sottofondo di ottoni e di timpani che sembravano farle da controcanto. Le api e i piccoli insetti avrebbero percepito chiaramente questo nuovo passaggio, piccole scintille elettriche minuscole schegge impazzite avrebbero nuotato nell’aria, avrebbero vagato ebbre di suoni e di canti nella limpidezza della baia fino ad esaurirsi.
Il disegno pazzo Ormai per me tu sei soltanto l’ombra di un ricordo, un’ombra dolce e amara una fantasticheria bugiarda come una follia incominciata in quel lontano tempo quando mi abituai a volerti un po’ di bene e poi sempre di più fino a disperarmene fino a non rendermi ragione che il reale era diverso e tu lo stesso: eri soltanto come un profilo diaccio tracciato da una mano di svagata forse cattiva o forse assai distratta perché nel suo disegno pazzo aveva messo nel centro solo il mio cuore. Il senso del tempo È vero tu sei più vicino di me alla vita: per questo sei così spensierato, avido, gioioso; io sono giunta ad un punto in cui percepisco il senso tormentato del tempo che fluisce rapido e piano, con difficoltà, me ne sto allontanando. Eppure sono ancora la pioggia, la rugiada che vivifica la terra: ma tu, tu sei la pianta che cresce vigorosa e forte che tende le sue braccia verdi verso l’alto e sfida il cielo e la natura stessa. Io sono l’origine, la terra da cui sei nato, tu sei la pianta dal luminoso contorno pronta ormai ad entrare nella vita ad attingere ad essa a piene mani. Io sono soltanto l’essere che lentamente volge verso il sonno, il lungo sonno e che a questo dolcemente ed in silenzio tende ad abbandonarsi. In fondo alla valle In fondo alla valle c’è una stella tranquilla una stella lucente una stella che brilla di luce insolente una stella… caduta nell’acqua addormentata di uno stagno… innamorato. Mia madre Percepivo nell'oscurità della stanzetta squallida la tua figura esile coperta da un telo leggero, il tuo viso stanco, gli occhi che ti ostinavi a tenere chiusi. Tutto mi tormentava: la mascherina dell'infermiera i suoi guanti asettici la bombola dell'ossigeno ma soprattutto tu piccolo essere importante già preda di un sonno profondo – Sfioravo la pelle bruciante, carezzavo i capelli di stoppa, indugiavo col dito sulle labbra riarse che a fatica riuscivano ad articolare qualche parola. Ogni giorno salivo da te, per imboccarti con lentezza obbligandoti a mangiare anche quando non volevi – e le lacrime ti scendevano lente sulle gote scavate – Avevi sulla schiena piaghe, che sembravan crateri di febbre bruciante e che io non volevo guardare anche se il loro funesto fascino mi obbligava ad incremarle a coprirle di bende come per cancellarle. Ti chiamavo piano supplicandomi di rispondermi per mantenerti viva e afferravo la tua piccola mano ormai rinsecchita come la zampa di un uccellino ogni volta che pronunciavo piano la parola mamma, che mi chiamavi, così come io gridando in silenzio, chiamavo te mia mamma, mio amore dolcissimo mia bambina bellissima – bellissima e cattiva che mi sei morta. Riflessione Mi sono seduta un attimo in un vuoto di tempo. Era uno stagno placido dove stelle gioiose giocavano a baciarsi fra loro nel bianco silenzio. |