Poesie di Maria Luisa Ferrero


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La voce del vento
Fermati un poco
ad ascoltare la voce
del vento:
quel vento strano, lamentoso
notturno esploratore di luoghi
sconosciuti,
che penetra furtivo negli anfratti
più cupi ed intricati
di rupi immense, acuminate,
che si infrange ribelle sulle rocce
con irruenza violenta e vendicativa
facendole tremare come per paura
che parla e tace
che tace e geme
d'un gemito lungo quasi umano
come per un dolore antico, mai sopito.
Fermati ed ascolta:
apprenderai così come nacque
l'antica storia del mondo
col suo fardello greve
di sofferenze amare, di malvagità nascoste
di infelicità infinite.

Muro di pietra
Poiché adesso fra noi
si è frapposto
come un muro di pietra
una distanza
che a me pare immensa
incommensurabile quasi:
una distanza misurabile solo
in una serie infinita
di infiniti silenzi.  

L’ombra di un sorriso
Quanto meno ti penso
più mi opprimi
come un rimorso strano
un fastidio celato.
Racchiudi in te, inconsapevolmente,
l’amaro e gelido segreto
di ogni mio affanno
tesoro grande, a cui io più non credo.
Ogni giorno che viene
io ti perdo e ti ritrovo
così senza speranza alcuna
d’affetti nuovi,
sempre più mutato fino al profondo
non più quello da me tanto desiderato.
Io non so più se ti conosco ancora
io so soltanto
che mai da te
io mi sono sentita così divisa, così lontana
aliena da ogni cosa tua, dai tuoi pensieri.
Tu sei per me come un’attesa estrema
e niente altro
perché non v’è più nulla ormai fra noi
che possa affascinare la mia mente
nulla da ricordare,
solo tristezza e noia
e somma indifferenza.
Si duole forte il cuore
mentre sulle labbra
si va atteggiando lentamente
l’ombra di un pallido sorriso.  

Crepuscolo
Al crepuscolo
un corvo si levò
lento in volo
da un abete fiammeggiante di luce
e con ampi volteggi
s’allontanò battendo con forza
le ali scure come l’illustrazione vivente
dell’idea del nero più cupo.
Una cintura di alberi
complici
cingeva il liquido argento
quasi volesse restringerlo
in uno spazio sempre più esiguo.
Con l’avanzare della notte
l’erba del prato, i fiori
impallidivano piano
confondendosi in un’insieme
imperscrutabile
di colori e profumi.  

Spazi vuoti
Quanti spazi vuoti
di tempo e di emozioni,
di teneri ricordi e sensazioni
hai lasciato sparsi intorno a me,
passerotto dolcissimo.
Riempivi le mie ore
con i tuoi sguardi colmi di stupore,
lunghi silenzi e fragili sorrisi
a cui non rispondevo.
Pensavo di bastare a me stessa
e non volevo che tu occupassi
uno spazio maggiore nella mia vita
di quello che ti avevo assegnato,
non volevo farti partecipe
dei miei sentimenti più profondi,
così ti rinnegavo, respingendoti
e tu tacevi, umile e rassegnata
senza dir nulla.
Ma poi te ne sei andata
portando via con te oltre all’amore
anche la tenerezza
e tutta la mia strana bugiarda sicurezza
non lasciando qui niente,
un guscio vuoto e basta.
E adesso mi manchi in modo doloroso:
senza di te, non ho più certezze
non ho più niente, me ne rendo conto.
Sei andata così lontano da me
in un mondo immemore ed infinito
che anche se io ti chiamo convulsamente
col cuore e con la mente,
so già a priori che è un chiamare vano.   

L’albero più vicino al cielo
E c’era una luce verde colma
di minuscole gocce di acqua,
c’era il solito tragico dilemma
del vivere e del morire,
ma qui, in mezzo a questi alberi immensi e luminosi
percepivi un linguaggio diverso,
un linguaggio che non offriva parole umane
per definirlo.
Non erano coese queste che un albero potesse capire:
l’albero capiva solo l’altezza,
la maestosità della natura
l’immensità del cielo infinito
la sua meravigliosa dolcissima colorazione,
amalgama di mille frammenti diversi di luce.
Pensavo che quando sarebbe giunto
il momento del lungo sonno
avrei voluto
che mi lasciassero sotto uno di questi alberi,
così che le radici potessero avvolgersi
intorno al mio corpo
come in uno stretto abbraccio
entrare dentro di me, succhiare linfa vitale.
Non sarei mai scomparsa così
sarei salita fra i rami più alti,
sarei entrata per sempre nel tempo,
avrei osservato ogni cosa
dai rami e dalle foglie più verdi
dell’albero più vicino al cielo.  

Come un enigma
E' come uno strappo
una lacerazione violenta
una iattura
che m'è caduta addosso
e non mi lascia
e pulsa disperatamente dentro
e procura dolore
come ferita aperta sanguinante.
Tu davi un senso al nulla
e il nulla diventava all'improvviso
cosa importante.
Ora che non ci sei
pulsa dentro di me
senza esaurirsi mai
il desiderio di ritrovarti
per un solo momento
fosse pure in un gesto
o un'abitudine nota
a me sola.
Una parola tua
stenta o impudente
resta la sola cosa
che più mi appaga
pure se è mutato
oltre all'accento anche il calore.
Mi abituerò a sentirti
anche per poco
e a decifrarti
così come un enigma.   

La neve che copriva la conchiglia della valle
La neve che copriva la conchiglia della valle
scendendo quasi ad accarezzare le rive muscose
del lago blu intenso,
mandava sotto i tenui raggi del sole
bagliori rosati
e tratteneva lievissime ombre turchesi.
C'era dappertutto una luce come battesimale
un paesaggio di purificazione.
Giornate azzurre, limpide, in cui l'aria
sembrava diafana, rarefatta,
simile a morbido sottilissimo velo;
mentre la vallata laterale
composta d'abeti folti e di silenzi cupi
sembrava contaminata da strana malìa
e come sopita in un incantesimo vago.
Tutto pareva più lento, a tratti quasi fermo
come se non ci si dovesse aspettare più nulla:
i nessi stretti fra un pensiero e l'altro
la percettività come intorpidita,
le emozioni prigioniere dell'incomunicabilità.
E all'imbrunire le stelle a milioni
foravano il blu sempre più fondo del cielo
indicavano tremando una strada
sconosciuta e remota
bella e fulgente come un sentiero incantato  

Dormi bambina dormi
(Per Nicoletta)

Dormi bambina dormi
Chiusi i begli occhi scuri
Cancella questo inutile mondo di sofferenza.
Dormi tranquilla
Ché fili d’erba e margherite
Chinano il capo sulla tua estrema stanchezza
Dimentica tutto
E incamminati nella buia distanza
Dove la tua lieve ombra bianca
Tessuta di lacrime
Lascerà una sottile traccia
Di rugiada argentata.
Dormi in un cielo infinito
Dove nascerà un fiore eterno di stelle
Sogna estati di luce, inverni di neve abbagliante
Dormi nell’oblio della tua giovane vita
La tua immagine è ormai
Ombra di sogno
I tuoi occhi sono estasi di ricordi
Nebbie di mattini ambrati
Dolci rimembranze di tempi perduti
Vai ora tranquilla
Nell’aria lieve che ti sfiora
S’addensano petali di bianche rose profumate.

Ricordo di un amico
Non cerco più, in nessun luogo attorno
il tuo viso sì caro, il tuo sembiante forte;
l'ho lasciato sfuggire a poco a poco
insieme ad un groviglio di ricordi
che le mie spalle ormai troppo stanche
non erano più in grado di portare.
Per troppo tempo, ti ho tenuto accanto:
ora non ci sei più
eppur mi manchi
così come mi mancano i ricordi
e se mi volto indietro
altro non scorgo che un oscuro vuoto
arido e strano
che mi tormenta inutilmente e invano.

 

Foglia vizza
Le stanze non riecheggiano più
lo scintillio sonoro della tua voce,
lo scricchiolio leggero dei tuoi passi,
sono vuote oramai di ogni suono
d'ogni rumore, d'ogni riso o pianto.
E d'armonia gioiosa erano i gesti,
canto per me le tue parole
canto soave, canto ammaliatore
che ora non sento più
come non sento
la pesantezza delle tue braccia forti
che si stringevano strette sul mio corpo
tremante;
sono leggera e vuota d'ogni cosa
adesso
sono diventata come una foglia vizza:
se mi cogliesse un refolo di vento
potrebbe certo ormai farmi volare
volare fino all'indaco più fondo
fino alle nuvole più scure e più lontane,
forse anche più su
fino a scomparire.

Estranei
Forse per me, per te
non esiste un unico tempo:
battiamo noi due
strade diverse
ed in diversi sensi:
per rare volte camminiamo
insieme
in altre ancora
percorriamo nastri sincroni o paralleli,
rarissimamente poi ci intersechiamo.

L’autentico smarrito
Di me, di te
tutto mi sembra
di conoscere, tutto mi è noto
e invece tutto io ignoro.
Mi domando talvolta
perché i fili della vita
si siano talmente voluti
aggrovigliare
e se non sia una mia colpa
l’autentico smarrito
oppure io stessa
un’immagine falsa,
la brutta copia
del tuo autentico io.

Tardi
È tardi adesso
forse anche troppo tardi
per continuare quest’inutile diatriba.
Già una giunca di nuvole
viola sanguigno
cerca di ancorarsi al pallido orizzonte
violando il buio illividito della notte.
Allunga svelto la tua mano chiara
e spegni con un rapido gesto
la candela ormai quasi consunta
che per innumeri ore ha fatto luce
rendendo vivi e tormentati
gli inganni, l’ansie, gli scoramenti dolorosi
di questo ambiguo opaco periodo
della vita.
Spegnilo adesso
Che nemmeno un afflato
un guizzo vano della fantasia
rimanga vivo nell’opacità profonda.
Troppo ha brillato,
troppe parole abbiamo pronunciato a vuoto
in quella luce:
potremmo poi pentirci di averle dette
di aver scavato così a fondo
nell’anima nostra,
di aver messo così a nudo
verità scottanti e sentimenti ascosi.
È giunta l’ora di stendere
un fitto velo di tenebre e silenzio
su tutto quello che ci ha tormentato
dimentichiamolo:
facciamo come se non fosse successo
altro che il nulla
e noi solo due ombre
fragili e furtive
che han vagato a lungo
per una notte intera
raccontandosi inutili bugie.

Riflessioni al centro del solstizio
Circondata da zefiri leggeri,
da azzurre magie limpide e traslucide,
dove stille ed ombrature dorate
vibravano intermittenti e leggere sull’acqua
riempiendo di bagliori preziosi
la conca aperta della baia,
godevo una calma serena e docile:
tutto sembrava immoto e fragile,
come racchiuso in una conchiglia iridescente
in un’irreale assenza di tempo e di spazio.
Eppure a tratti si avvertivano
strani sussulti, percettibili cambiamenti,
intervalli di maggiore e minore incandescenza
come se in quell’infinito trepido e lucente
qualcosa di nuovo si stesse ammassando,
qualcosa di blu, di dorato, di antico.
Da tempo ormai le forze della maturazione
e del deterioramento
si muovevano sincrone verso un’unica direzione
senza apportare visibili mutamenti,
soltanto una quiete sconfinata
una sonnolenta profondità
che non si contraddicevano né si contrastavano,
ma riuscivano insieme a infondere
una sensazione di pace spossata,
un’impronta di nostalgica malinconia dolcissima.
La natura, nella sua pienezza, si stava preparando
lentissimamente
al mutamento annunciato,
al primo scatto infinitesimale
di luce discendente
il primo tiepido lampo opaco
di un autunno forse ancora lontano
ma già vivo e palpitante
nella colorazione più violenta del cielo.
Vi era musica nell’aria
musica vibratile e profonda insieme
con un sottofondo di ottoni e di timpani
che sembravano farle da controcanto.
Le api e i piccoli insetti
avrebbero percepito chiaramente
questo nuovo passaggio,
piccole scintille elettriche
minuscole schegge impazzite
avrebbero nuotato nell’aria,
avrebbero vagato ebbre di suoni e di canti
nella limpidezza della baia
fino ad esaurirsi.

Il disegno pazzo
Ormai per me tu sei soltanto
l’ombra di un ricordo,
un’ombra dolce e amara
una fantasticheria bugiarda
come una follia
incominciata in quel lontano tempo
quando mi abituai a volerti
un po’ di bene
e poi sempre di più
fino a disperarmene
fino a non rendermi ragione
che il reale era diverso
e tu lo stesso:
eri soltanto come un profilo diaccio
tracciato da una mano di svagata
forse cattiva o forse assai distratta
perché nel suo disegno pazzo
aveva messo nel centro solo il mio cuore.

Il senso del tempo
È vero tu sei più vicino di me
alla vita:
per questo sei così spensierato, avido, gioioso;
io sono giunta ad un punto
in cui percepisco
il senso tormentato del tempo
che fluisce rapido
e piano, con difficoltà,
me ne sto allontanando.
Eppure sono ancora la pioggia,
la rugiada che vivifica
la terra:
ma tu,
tu sei la pianta
che cresce vigorosa e forte
che tende le sue braccia verdi
verso l’alto
e sfida il cielo e la natura stessa.
Io sono l’origine, la terra
da cui sei nato,
tu sei la pianta dal luminoso contorno
pronta ormai ad entrare nella vita
ad attingere ad essa a piene mani.
Io sono soltanto l’essere
che lentamente volge verso il sonno,
il lungo sonno
e che a questo
dolcemente ed in silenzio
tende ad abbandonarsi.

In fondo alla valle
In fondo alla valle
c’è una stella tranquilla
una stella lucente
una stella che brilla
di luce insolente
una stella… caduta
nell’acqua addormentata
di uno stagno… innamorato.

Mia madre
Percepivo nell'oscurità della stanzetta
squallida
la tua figura esile
coperta da un telo leggero,
il tuo viso stanco,
gli occhi che ti ostinavi a tenere chiusi.
Tutto mi tormentava:
la mascherina dell'infermiera
i suoi guanti asettici
la bombola dell'ossigeno
ma soprattutto tu
piccolo essere importante
già preda di un sonno profondo –
Sfioravo la pelle bruciante,
carezzavo i capelli di stoppa,
indugiavo col dito sulle labbra riarse
che a fatica riuscivano
ad articolare qualche parola.
Ogni giorno salivo da te,
per imboccarti con lentezza
obbligandoti a mangiare
anche quando non volevi –
e le lacrime ti scendevano lente
sulle gote scavate –
Avevi sulla schiena piaghe,
che sembravan crateri
di febbre bruciante
e che io non volevo guardare
anche se il loro funesto fascino
mi obbligava ad incremarle
a coprirle di bende
come per cancellarle.
Ti chiamavo piano
supplicandomi di rispondermi
per mantenerti viva
e afferravo la tua piccola mano
ormai rinsecchita come la zampa
di un uccellino
ogni volta che pronunciavo piano
la parola mamma,
che mi chiamavi, così come io
gridando in silenzio, chiamavo te
mia mamma, mio amore dolcissimo
mia bambina bellissima –
bellissima e cattiva
che mi sei morta.

Riflessione
Mi sono seduta un attimo
in un vuoto di tempo.
Era uno stagno placido
dove stelle gioiose giocavano
a baciarsi fra loro
nel bianco silenzio.


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