Poesie di Annamaria Gargano


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Nata a Sant'Angelo dei Lombardi, in Irpinia, ha studiato presso il locale Liceo Classico “Francesco De Sanctis” e successivamente si è laureata in Filosofia, con una tesi su Plotino, presso l'Università Statale «Federico II» di Napoli. Ha cominciato ad insegnare, giovanissima, nelle scuole del suo paese, e si è poi trasferita ad Avellino dove, per circa trent'anni, ha vissuto intense esperienze professionali che l'hanno portata ad avvicinare numerose generazioni di alunni. Attraverso le sue opere, in versi e prosa lirica, adottate come testi di lettura in numerose scuole della Campania, l'autrice ci ha regalato degli spaccati di vita quotidiana con un forte elemento autobiografico, trasmettendoci un altrettanto tenace sentimento d'amore per la sua terra e per la natura. E quando il rispetto della natura diventa alimento dello spirito, legame profondo con tutti gli elementi, non può che nascere la Poesia. Poesia che si esprime anche nelle “storie dolci e malinconiche, ma dentro amare come la vita” come sostiene la giornalista-scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti nella recensione di “Tempo di parole" e Interni" apparsa sul Corriere della Sera. Annamaria Gargano ha pubblicato nel 1998 per la prima volta, con l'editore Guida di Napoli, uno struggente libro/diario, “Muri di lillà”. Seguono "Dissonanze" (Guida, 2000), "Tempo di parole" e Interni" (Editrice Scuderi, 2002). Imminente l'uscita di una nuova raccolta di liriche.

 

Cadute
Ho infilato
perle
fin da bambina
con la pazienza ostinata
dell'infanzia
collana fragile
di anni
svaporati
come gocce
di rugiada
resta
un filo spezzato
nelle mani ferite

Inutile volare
Due scale
tre scale
cinque scale
si arrampica
l’anima mia
sui muri scrostati
e raschia
foglie tenere
dolce veleno
da masticare
per non vedere
per non sentire
lo strazio della vita
che grida
dalla strada
inutile volare
in alto
si precipita
senza scampo
all’ultimo lamento
di un cane morente
nell’indifferenza gelida
di agosto

Nel cortile di una casa abbandonata
Gocce innocenti
battono
suoni di fiaba
sotto finestre smarrite
vuote ormai
di volti e risate
gocce stupite
battono
parole anche
su una lamiera
dolorante
di echi lontani
pioggia d’aprile
che porti
profumi di Pasqua
di giorni pieni
nel cortile di casa
io
qui
da sola
non basto
a disegnare
il mondo che avete perduto
cado
goccia anch’io
su una lamiera
dimenticata

Papaveri
Papaveri
ritrosi
permalosi
che svenite
appena colti
piegando la testa
con teatrale languore
io non voglio
farvi morire
io vivo
come voi
mi dissolvo
nell’aria
appena colta
dagli altri

Vite parallele
Unghie tenere
bastano
a piantare
un albero
nell’erba giovane
mani tremanti
bastano
a raccogliere
foglie secche
nell’autunno dell’albero
vite parallele
ora che sono
zolla anch’io
nella terra
che mi copre

Notte di luna
I pensieri
bagnati
dalla luna
sono trasparenti
i desideri
più nascosti

Desiderio
Vorrei tagliare
a fette
l'azzurro
e tenerlo in tasca
per i giorni
di pioggia

Sogno
Ho posato
le dita
sul candore
della luna
ora ho paura
del risveglio

Sola
Sola
in questa piazza
senza occhi
senza parole
sono
caverna cieca
tagliata
dalla tua voce
sono
terra d’estate
in un frutteto
sono
il tempo senza tempo
che t’insegue
sono
attesa senza presente
e senza futuro
sono io
la parte che ti manca
dimmi dove sei
e ti raggiungerò

Ti aspetterò
seduta
sulle scale
di casa
ritornerai
lo so
una sera d'estate
ti fermerai
piano
sui freschi gradini
e mi guarderai
senza parlare
docili
allora
si piegheranno
le dita
ad antiche carezze
ad uno ad uno
raccoglieremo
i nostri respiri
per sempre
insieme
fuori del tempo

Anch'io
Ragno testardo
odiato
somiglio sempre più a te
ora che vado tessendo
intrecci fragili
di giorni finti
rete di salvezza
non adeguata
al peso enorme
della mia angoscia
basterà un soffio
e finirò anch'io
sul muro
grumo insignificante
di vita interrotta

Vuoto
Appoggiate
lo schienale
al muro
voglio
una sedia stabile
letto
di cieli affaticati
di soffitti sfondati
dalla fantasia
di una bambina
tremante
avrò tempo
per riprendermi
l’anima nuda
priva
di ogni movimento
nessuno steccato
permanente
nella superbia
delle attese

Madre
7 luglio 2003

Sento
Madre
i tuoi passi
leggeri
che vanno
verso la porta
non in cucina
dove noi ti aspettiamo
il latte sul fuoco
le tazze vuote
le bocche affamate
noi
non siamo cresciuti
siamo ancora bambini
da acquietare la sera
con carezze e parole
quando le ombre scure
si posano
sulla nostra terrazza
calda di sole
poi
le coperte da rimboccare
e provviste di sogni
sotto il cuscino
non te ne andare
Madre
chiudi la porta
torna da noi
nel nostro giardino

Le compagne di mia zia
Parlavano d'amore
le compagne di mia zia
mentre imbastivano i vestiti
per le vecchie signore
e io ascoltavo senza capire

Parlavano d'amore
le compagne di mia zia
e arrossivano ridendo
quando pronunciavano un nome
mentre l'ago correva allegro
sulle stoffe da cucire
e ridevo anch'io senza sapere

Parlavano d'amore
le compagne di mia zia
quando aprivano la finestra
per guardare lontano
e guardavo anch'io senza vedere

Succhiavano golose il sangue
le compagne di mia zia
quando si pungevano le dita
ed erano baci baci baci
che non si potevano dare
e mi succhiavo anch'io le manine
vuote ancora
di nomi di sogni di attese

Mi raccontavano fiabe strane
le compagne di mia zia
quando sedevano attorno al fuoco
nelle lunghe sere quiete di neve
e parlavano di cavalieri
venuti da lontano che bussavano alla porta
per farsi vedere
mentre sulle scintille volavano
sguardi e parole
e volavo anch'io senza paura

Sono partite tutte insieme
le compagne di mia zia
lasciando stoffe ago e filo
mentre io crescevo e cominciavo a capire
e sognavo di stare ancora
nella bottega delle fate
del mio piccolo paese
dove sono tornata oggi
a cercare il senso della vita
di una vita diversa
da cucirmi addosso
con una pelle nuova

Solo pietre taglienti
invece
dov'era la bottega
a lapidare l'anima mia
stanca
di aspettare

Uomo
Vennero i nuovi profeti
e misero a nudo
le radici più antiche
dell'anima
la rifecero programmata
cristallizzata
in un modello perfetto
sentimenti emozioni paure
incise dal bisturi della tecnica
più avanzata
caddero
come scorie putrefatte
resta
il nucleo impersonale
senza passato
senza futuro
uguale e matematizzato
in tutti gli uomini
evviva l'uguaglianza!
evviva la fratellanza!
creature perfette
stampigliate in serie
timbriamo il cartellino
su ricomponiamo
l'uomo
pezzo per pezzo
su scale prestabilite
da un'intelligenza
superiore
funziona il modello
uscito
dal mondo asettico
della scienza?
prende la mira
e raggiunge il bersaglio
infallibile impassibile
senza incertezze
è caduto il dubbio
insieme col passato
ora siamo solo noi
i padroni dell'universo
senza la forza di gravità
delle nostre debolezze
senza lacrime di pietra
senza abbracci artigliosi
senza amore anacronistico
gioventù dello spirito
usciamo dalle provette
dosati alla perfezione
nelle azioni e nelle reazioni
(benedette le leggi della chimica
e della fisica! )
arriviamo al collaudo
si frantuma in schegge di vita
questo surrogato
d'uomo

Sotto i portici della Chiesa Madre
Archi
come abbracci materni
che cullano
antichi lamenti
sulla strada di pietre
sono qui
vedete
sono tornata
dopo tanto cammino
sono tornata
e guardo
tutte le vostre ferite
nicchia sicura
per coprire di polvere
le mie attese
deluse
archi dolci
di mani amorose
stringetemi forte
è qui
che mi voglio fermare
piegata per sempre
insieme con voi

Neve
Oggi
ho raccolto
parole
scintillanti di neve
e le ho nascoste
nel nido caldo
del mio cuore
di ragazza
lampi di verde
sotto i cristalli
d’erba
del giardino
dell’infanzia
spezzati
finalmente
dal coraggio
di amarti

Notte
Resti di luna
stillano
arroganza
nell’alba svogliata
di febbraio
è la notte
che vuole avere la meglio
anche su di me

Per Elisa, sposa
14 giugno 2003

Parole spezzate
dal pianto bambino
scivolano
oggi
su sguardi d’attesa
bianco stupito
di una sposa felice
promesse d’amore
su prati di mani
che ti stringono forte
lasciandoti andare
dolce bambina
profumata di giugno
di fiori nuovi
di sorrisi incantati
rimani per sempre
così
come oggi
fragile e forte
su quell’altare

Non mi ricordo
Non mi ricordo
non mi ricordo perché sono qui
a parlare con voi
Non mi ricordo
non mi ricordo i mesi liquidi
piegato in due senza sapere il giorno l'ora
Non mi ricordo
non mi ricordo lo scoppio di luce
gelato dal pianto
violento insicuro
nell'acqua tiepida nei panni caldi
Non mi ricordo
non mi ricordo le mani addosso
a darmi certezze
conforto inutile di un passaggio
non chiesto
carezze d'amore?
Non mi ricordo
non mi ricordo la scoperta del mondo
piccolo il mio
slargato poi da linee più ampie
segnate a stento senza colori
Non mi ricordo
balbettii confusi
suoni e pensieri cuciti a mano
punto per punto su stoffe antiche
stanche
già usate da migliaia di mani
pazienti infinite nel tempo lontano
Non mi ricordo
l'angolo mio di lato
squadrato per bene
per farmi la nicchia e stare piegato
di nuovo in attesa
Non mi ricordo
pugni di pietra ad abbattere muri
confini precisi che mi rubano il fiato
io non volevo
mi avete portato voi
che sapete ogni cosa del mondo
dei suoi segreti
io non volevo
Non mi ricordo
tante cadute a ogni passo
l’anima nuda graffiata a sangue
ma debbo andare
sempre più avanti
lo sguardo teso
l'orizzonte lontano
e cammino cammino
anche di notte
gridando alle stelle il mio dolore
il dolore di tutti
cercando mani
fiati di amici
prati d'amore per riposare
la strada è lunga
non mi posso fermare
non ci sono scalini a darmi una casa
una casa mia
con porte e finestre da chiudere a chiave
e scacciare la vita
e tenerla lontana
gomitolo amaro senza inizio né fine
Non mi ricordo
non mi ricordo
le facce degli altri
la faccia mia
il passato
il presente
il futuro vissuto prima del tempo
che è già passato nei miei pensieri
Non mi ricordo
perché sono
qui a parlare con voi
 


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