Poesie di Gabriella Garofalo
Home page Lettura Poeti del sito Racconti Narratori del sito Antologia Autori Biografie Guida Metrica Figure retoriche |
Anima, da rigetto di luna infuocata, da eterna guerra grembo nel tuo grembo fermati, se davvero desideri trovarlo, là dove ingenerata corre senza fine acqua che leva placare la tua sete né gratitudine le importa né si cura se in te leva in eterno al desiderio stolta tua luna per giacersi al cielo. Dell’oscuro morbo che t’inserra, anima, tu vivi e ripensi quando di snelle caviglie e blu-cobalto avida ti gettavi bevendo da immenso mare d’erba che coglievi- ma un dio sorse dagli Inferi di nero materiato di nero e invidia per quel blu-cobalto tua erba depredando e quel tuo grembo: cibo il suo stupro eterno ti possiede- ma quel vento, anima, ricorda quel vento amante di chiome tue caviglie quell’acqua che rinnega la tua sete quel vento e la parola per l’eterno ad altri dei si levano gettandoti: accanto a te perché alla tua esistenza a lei persino renda quel tuo nome- di sconosciuto e più lontano seme. Di quanta luce hai fame e sete, grembo, per dar parola ad anima che insieme a te disperde- ma non posso aiutarti, prigioniera di carceri di cielo, di ossessione se in azzardo non leva desiderio e solo arranca schivato da mia luna che anoressica rigetta per l’eterno offerta di tuo pane, esistenza, se per l’eterno insisti e non la cedi. E non dimenticare, enorme minotauro che mi esigi: c’è erba nel mio grembo anima nel cielo e poco importa se il corpo che io cerco di altro sazia mio cibo dispregiando- un dio lieve di vento e la parola infine leveranno a quel mio cielo nel verde più intenso saziando sete dei loro sguardi nel mio grembo. Persefone nuda nell’ombra luminosa, alberi pronti al desiderio sconosciuto, notte,groviglio che tutta mi pervade mentre traccia l’anima sull’ombra strani segni e il grembo da altri grembi si nasconde nutrendosi di attesa che infine poi si levi quel dio lieve di vento e di ricerca. Inospite il grembo, la pelle intatto alabastro che si nega- ma tu,acqua di esistenza,solo rendi mio fuoco alto che leva più ancora famelico ed intenso ai muri prende a case e chiome impervie di slancio si leva fino al cielo in tenace speranza di saziarsi: e se altro cibo,Padre,non bastasse, non fermerà cercare nel tuo grembo. Etereo fuoco di sua fiamma,grembo, e tu,luna che di luce levi assedio al nero della notte guardate guardate la mia anima che priva ormai di vita muove- si levi infine voce per chiamare vento che possa infine carezzarla, vento che possa infine silenziarla dall’oscuro suo fuoco della notte vento che si levi poi disperda avidità di corvi a stormo infame- è morte di anima tua morte, Dio sconosciuto che consenti a lei in eterno denegarti- esistenza. Invano levi tua rivelazione cometa che da nascita mi getti là,dove il desiderio vuol levare: luna che di mia luce si nutre quel suo grembo e cibo soltanto mi consente del blu l’ascesa impervia a eterna scomparsa di ogni grembo- ma tu ricorda: è solo corpo limite che nega altro cibo né di altro sazia se rinserra suo bruciante centro gettando invano a carceri di cielo infertile pianura d’infinito che altri invoca bruciando- il desiderio. Né al padre né al grembo, anima,ti consegno nell’attesa che da tue ossessioni levando a Lui ti ricongiunga per l’eterno- ma a notte,a questa notte del mondo presagio e madre di un inverno che mi bracca d’infame desiderio perché io ceda infine saziando del suo corpo,anima,la fame. E se stolto dissenno mi ha gettato ad accogliere luna nel mio grembo e l’anima gettarle per amore a me fu solo nero di una perdita: io mi dispersi e ancora sto gemendo nella mia thule d’indecifrato segno e di silenzio- ma non voglio,cielo,io non voglio che luna penetrandoti t’incida nell’anima nel grembo perché soltanto a nero e sofferenza tu nasceresti- vattene,cielo,vattene presto, sia slancio tuo in eterno che rinneghi di nostra luna bastardo l’amore e il desiderio. Di mai placata fame ti getti a me levando: e maledetto sia il tuo seme, cielo che divori di un solo avido morso mia anima mio grembo- ma tu luna prosegui, continua nel tuo sguardo, non temere,ricorda, se a tua luce è solo consentito penetrare quel nero che m’inserra: perché possa vedere il Padre di esistenza se infine la mia sfida con l’eterno in eterno divori quel mio nero e luce a grembo ed anima mi levi e a te sia resa luce: quella dispersa fame nel tuo grembo. A Fabio Forse sei vita,ma vita non possiedi grembo che invano trafiggi di tuo sguardo l’astro della sera la stella del mattino in ricerca ansimante di chi leva persino,Padre,di quel fascio d’erba rigettato nel morso di suo fuoco- perché tu solo,grembo,tu vorresti di altro fuoco ardere in eterno e s’inceneri pure quel che resta, di altro ed altra infame sua esistenza. Perché non chiese grembo, Mie mani, luna, che il corpo tuo discendono | Se anche leva tua implacata falce a morire ogni spiga che si leva non levi sperso seme nel mio campo la luce la parola- perché ben altro seme ed altro grembo l’anima mia ricerca che al mio cielo si negano,alla terra, più ancora di te, Morte, rigettando. A te non siano spiga o nutrimento, anima, se quell’antico morbo che disfrena di sua falce implacata la recide- cometa del mio cielo, padrona del mio tempo ritorni di suo nero a illuminarmi contro di me levandosi parola: perché al suo nero scandalo in eterno l’estranea luce, anima, che insegue, altro da nostra sorte e nostro grembo in dissennata offerta dissipando. Nella lontana volta del cielo dalla lontana notte dei tempi ed è tua luce, luna, quel mio grembo che solo leva al gelo e non rischiara: e tu di quella luce ed io di grembo viviamo nel rigetto e nulla serve a te la luce a me non serve il grembo se insiste rinnegarti quel tuo cielo ed altro grembo mi respinge in eterno al nostro nero. La vita negli occhi a te, Dio Padre, l’ombra luminosa se dei luoghi la forza sconosciuta sfrena più intensa perde la sua luce di altra luce a sfregio poi s’incarna. Pure, non ceda l’anima e rimanga, Padre di Assurdo accanto a te rimanga, così stella che cielo non intende, ma di sua luce tutta ama quel cielo e a nero non leva né abbandono. Respira luce, anima, vivendo tua Morte più di luce più ancora di luce di altri cieli: se leva il desiderio e trasfigura non più storpia che arranca la tua luce nell’assurdo che luce inverandosi rinasce: sarai fecondo campo di silenzio dove soltanto il Padre nel suo segno darà più vera forma a recondito senso di ogni grembo. Abrasa da seme che non vive né nascita né amore livido cielo l’anima nel grembo io non posso seguirti mentre scrodi da nuda roccia di peccato e levi il cielo redimere di stelle- io non posso, Padre, fin da quando a quella roccia mi affissi di altre stelle che a volere di anima e del grembo, Padre, non si cercarono redente. Non luce che riscalda né acqua che disseta né erba che nutre mi possieda, ma disfreno di stelle mia ossessione- e l’anima poi renderti, mio Eterno, moneta senza più valore impervia mia roccia che mio grembo eterna mi discerpa e quel mio sguardo. Mio grembo, solo quando non più da altro grembo disperso più fredda luce infine ti raccoglie forse darà suo frutto quel tuo seme braccata preda di una guerra eterna tra cuore aspro di lava, pietra ustoria, nero che invade penetrando ogni spazio ogni crepa di mia mente- mia implacata dracena, depressione. Perché fede prestai ad aspra tua contesa, anima, di grembo con il grembo ora in eterno muori disseccata se verde desiderio che ad albero di vita ti teneva recise per l’eterno luce adirata, unica risposta di quel Padre di astri e di comete- di colpo solo stelle raggelate implacato diniego che si leva perché tu non rinasca di altre foglie altro verde intatto grembo- intatto quel grembo che non sente ospite negarsi da altro grembo. Anima, nasconditi nel buio, tuo nero abitato da quel grembo che grembo non possiede, ma in eterno leva a vortice di fame e nutrimento sazietà e mai saziata sete: Dio, mio Dio, mancanza che incalzando preme un’estate di luce in svendita: la sua merce non m’incanta, mi rigetta d’ inganno e sue certezze. Non per volere di sangue di corpo e desiderio progenie di altro seme, anima, sarà tua vera vita: sia solo seme seme d’infinito a penetrare mia terra nel profondo e se a gramigna seme tu sei terra- ebbene, a voi sia infine morte, a voi, mio corpo e grembo. A Marta Nata per morte di una stella, anima che invano gridi al grembo di fermare- ma abita altri luoghi quel tuo grembo se sua voce non leva ad urlo a pianto luna che implacabile prosegue di storpia sua luce sorda esangue a sofferenza che più non la possiede- e non levano voce,anima,ricorda, tutte le spighe che ti sono accanto, a implacato disfregio di paura di tua paura che ferma e non azzarda levarsi sfida ad altre spighe: gettando a vita e suo più vero senso. Come la Morte nuda nel suo grembo mia anima mio cielo, a te si levi, luna, la parola perché in eterno levi a penetrarci a penetrare, luna, mel mio cielo, di luce che pure non possiede dissennata violenza di quell’astro che troppo e troppo a lungo illumina e disvela- sia solo luna grembo a mia ricerca e solo luna desideri mio cielo- e ci rischiari quella luce fredda d’intatto suo segno e suo silenzio che grembo inchiavardando ci disserri. Perché fede prestai ad aspra tua contesa, anima, di grembo con il grembo ora in eterno muori disseccata se verde desiderio che ad albero di vita ti teneva recise per l’eterno luce adirata, unica risposta di quel Padre di astri e di comete- di colpo solo stelle raggelate implacato diniego che si leva perché tu non rinasca di altre foglie altro verde intatto grembo- intatto quel grembo che non sente ospite negarsi da altro grembo. |