Racconti di Giò Sabino


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Vergognarsi di essere uomini
Prima parte

" Vieni Anna qui dobbiamo camminare in fretta, a volte ci sono i cecchini che sparano".
"Si mamma".
"E' scomodo con questa tanica ma dobbiamo farcela, ci occorre l'acqua per la
minestra....Oh Dio!....laggiù c'è un ragazzo morto...".
" Ma è Giuseppe, è un mio compagno di scuola".
"Vieni Anna, vieni, non ci possiamo fermare".
".....E' Giuseppe...."
" Non guardare, cammina in fretta, poi passeranno quelli della Croce Rossa e lo porteranno
all'ospedale,sono sicura che si rimetterà presto".
"..... forse era morto.....non si muoveva.......".
"Non dire sciocchezze, pensa a camminare".
".....Mamma quando finirà la guerra?".
"Non lo so ma penso.....presto".
".....Mamma.....sparano!.....".
"Lo sento, vieni, ripariamoci dietro quegli alberi".
"......Mamma, ho paura......".
"Stai tranquilla, poi quando la guerra sarà finita ci faremo una bella vacanza,andremo al mare".
"Col papà?".
"Certo, col papà. Adesso lui non c'è perchè è al fronte a combattere, ma quando la guerra
sarà finita, lui tornerà e saremo di nuovo, insieme".
" Che bello!".
"Senti Anna, facciamo una cosa. Tu mi aspetti qui, mentre io faccio una corsa a prendere
l'acqua".
"Mamma voglio venire con te".
"No, Anna, è pericoloso, vedrai che farò in un attimo. Vedi, la fontana è laggiù sotto quel
grosso albero. Mi raccomando, non muoverti di qua. Intanto recita qualche preghiera, ciao".
Qualche istante dopo, un boato scuote il piccolo parco. Una bomba è caduta nei pressi
della fontana. In un attimo, tutto è avvolto da un nugolo di polvere.Poi, poco a poco, la
brezza spazza via la polvere, mostrando così una scena di distruzione e di morte.
Ovunque, vi sono grossi rami spezzati, coperti da polvere e sassi. A terra vi sono i corpi
di molte persone. Alcune ferite, altre senza vita.
Anna era stata spinta a terra dallo spostamento d'aria.Si rialzò a fatica.Il vestito era sporco
e le faceva male un braccio.
Si diresse subito verso la fontana, guardandosi attentamente attorno.Nel parco la confusione
era indescrivibile, a terra c'erano molti corpi. Mentre camminava, Anna guardava quei corpi e
si augurava di non vedere tra loro, quello della madre. Sperava che in un modo o nell'altro
si fosse salvata.
Giunse fin quasi alla fontana. c'era una grossa buca.Attorno,solo morti.Alcuni in condizioni
orribili.Anna si sentì venir meno, ma si fece forza.Doveva trovare assolutamente la sua
mamma. Ricominciò a cercare,ritornando verso il punto dove aveva trovato riparo.
Ad un certo punto si accorse che sotto alcuni rami si intravvedeva un corpo di donna.
Si avvicinò e subito riconobbe il vestito della mamma.Sentì il cuore battere forte.
Freneticamente tolse i rami, era proprio la mamma. Il volto era sporco di terra e insanguinato.
le si inginocchiò accanto,le sollevò la testa e la chiamò ripetutamente,ma la donna non si
mosse. Gli occhi erano chiusi,la bocca era semiaperta e ne usciva un rivolo di sangue,
il volto era inespressivo.
Anna la chiamò ancora,poi capì che ormai tutto era inutile.Le accarezzò i capelli.
Poi prese dalla tasca il suo fazzolettino e le ripulì un poco il viso.La baciò teneramente
e si accasciò su quel corpo ormai senza vita.Abbandonandosi ad un pianto sconsolato.
Passarono alcuni minuti.Si udirono degli spari.Allora coloro che erano giunti per soccorrere
chi era stato colpito dall'esplosione,corsero a cercare riparo.
Anna rimase abbracciata alla madre,alcuni la invitarono a scappare :"Vieni via,scappa,
non senti che sparano?". Ma lei restava là,abbracciata a quel corpo inerme.
Aveva ritrovato sua madre e non l'avrebbe certamente lasciata. Poi sentì dietro le spalle
una voce calma: "Bambina, cosa fai qui,scappa, senti che sparano!".
Lei si voltò,era un signore anziano che la guardava con tenerezza.
"Ma è la mia mamma".
L'uomo guarò la donna a terra. "Va bene ma ormai è morta,non si può fare più niente.
Se stai qui uccideranno anche te".
"Non mi interessa, voglio morira con la mia mamma".
L'uomo non sapeva cosa fare.Nel frattempo gli spari erano diventati più intensi,allora
si abbassò verso la bambina.
"Senti, facciamo così : Adesso andiamo a ripararci laggiù.Dopo,quando avranno finito
di sparare,ritorneremo qua". "No,non voglio lasciare la mamma".
"Ma ormai è morta....è andata in cielo".
In quel momento si udì un boato.Una bomba era scoppiata non molto lontano da loro.
Lo spostamento d'aria li gettò a terra.
La bambina aveva battuto la testa ed aveva perso conoscenza.L'uomo si rialzò,la prese
tra le braccia e si avviò verso un'uscita laterale del parco.
Quando Anna si riprese,si accorse di non essere più in quel parco,accanto al corpo
della madre.Ora si trovava in una stanza a lei sconosciuta,illuminata debolmente da
un lume a petrolio.
La bambina non s'impressionò per quella luce così fioca.Da molti mesi infatti, a Petrac
l'elettricità non veniva più fornita, e tutti si erano organizzati con lampade di emergenza
di vario tipo. Si accorse che accanto a lei c'era un uomo.Era quell'anziano signore che
parlava con lei nel parco e l'invitava a scappare.
Quando fu completamente licida e le tornò vivo il ricordo della madre insanguinata a
terra,scoppiò di nuovo in un pianto disperato.
L'uomo lasciò che si sfogasse.Dopo tutto quella bambina aveva tutte le ragioni per
piangere.Poi,a poco a poco,Anna si calmò e l'uomo le disse:
" senti,io mi chiamo Paolo, e tu?".
"Anna". Rispose lei fra i singhiozzi.
"Quanti anni hai?".
"Dieci".
L'uomo le chiese dove abitasse e quali altre persone ci fossero nella sua famiglia.
Seppe così che Anna era figlia unica.Il padre era al fronte.Si erano trasferiti da poco
a Petrac,prima abitavano a Parovic.La loro casa era stata distrutta durante un
bombardamento,loro si erano salvati perchè si trovavano nel rifugio.
A Petrac non avevano parenti e non conoscevano nessuno,la casa era stata
assegnata a loro da poco tempo.
L'uomo comprese che in quel momento quella bambina era rimasta sola col
suo immenso dolore.Che cosa poteva fare per aiutarla?
Le disse:
"Anna,io ti capisco,anche la mia mamma è morta.E' successo molti anni fa,ed
anch'io ho pianto molto come te. Ma vedi,la gente buona come la tua mamma
e la mia mamma,quando muoiono vanno in paradiso,e diventano angeli,quelli con
le ali.E da lassù ci vedono. Perchè gli angeli possono fare tante cose,che noi invece
non possiamo fare.Loro ci possono vedere dal paradiso.
Io sono sicuro che in questo momento la tua mamma ti sta vedendo,allora tu devi
farle vedere che sei una bambina forte e coraggiosa,così lei sarà più contenta".
A questo punto Paolo pensò che queste erano forse parole un pò stupide,ma
lui,in quel momento,non aveva trovato di meglio.
Anna lo ascoltava,ora era più tranquilla.Quell'uomo,dall'aspetto così semplice,
con quel viso così bonario,le riusciva quasi simpatico,lo sentiva un amico.
Ora aveva smesso di piangere.Osservava quell'uomo e ascoltava le sue parole.
Aveva un'espressione molto triste.
Paolo continuò : "Poi,quando faranno il funerale,andremo in chiesa e poi al
cimitero.E porteremo tanti bei fiori.
Io ho un bel giardino con tanti fiori.Domani te lo farò vedere.
Sceglieremo i fiori più belli per la tua mamma,così lei da lassù li vedrà e sarà
contenta. Ed in chiesa potrai dire tante preghiere per lei".
Vedi,questa è la mia casa. Anche mia moglie è morta,così sono rimasto solo.
Ah.....ma io però ho un amico che mitiene compagnia.Adesso te lo faccio conoscere.
Paolo si alzò e uscì.
Anna non aveva assolutamente voglia di conoscere altre persone.Si sentiva distrutta
avrebbe voluto essere morta accanto alla madre.
Ma perchè quell'uomo l'aveva portata in quella casa?,si chiese.
Paolo rientrò quasi subito,teneva tra le braccia un cane,un piccolo cane senza una razza
particolare.Quando Anna lo vide accennò ad un debole sorriso.Amava molto gli animali,
sopratutto i cani e i gatti.
"L'avevo lasciato giù in cortile perchè non ti disturbasse.Ti piace? si chiama Dik".
"Si".Rispose subito Anna.
La vista di quel cane l'aveva come rincuorata.
L'uomo teneva il cane tra le braccia.Poi lo abbassò verso la bambina.Allora Anna
alzò un braccio e posò dolcemente la mano sulla testa del cane,in un gesto di
timida carezza.Il cane dimostrò subito gratitudine: alzò la testa e le leccò la mano.
Poi l'uomo posò il cane a terra e le disse :
"Adesso resta pure lì se vuoi,quando te la senti ti puoi alzare e ripulire un pò.
Di là c'è il bagno.Ed andò nell'altra stanza,che fungeva da cucina. In effetti Anna
appariva in condizioni disastrose.La faccia ed i capelli erano sporchi della polvere
sollevata dallo scoppio della bomba.
Le copiose lacrime si erano poi mischiate con questa polvere,peggiorando così la
situazione.Le mani ed il vestito erano sporchi del sangue della madre.
Anna non sapeva cosa fare,rimase ancora un pò su quel letto,a pensare.Era ancora
frastornata da quanto le era successo così improvvisamente.
Non riusciva a staccarsi dall'immagine della madre distesa per terra,sporca di sangue,
da quel volto ormai inespressivo.Le tornò la voglia di piangere ma si trattenne.
Quell'uomo era stato così gentile con lei,le aveva detto di non piengere,le aveva detto
che avrebbe dovuto essere coraggiosa.

Seconda parte

Nel frattempo Paolo stava pensando di preparare qualcosa per la cena. Quella sera avrebbe voluto preparare qualcosa di speciale per quella sua piccola ospite.
Purtroppo a causa della guerra i negozi non venivano sufficientemente riforniti,non si trovava molto.Decise comunque di scendere per vedere se riusciva a trovare
qualcosa di particolare che facesse piacere alla bambina; pensava a dei pasticcini ad esempio.
Decise anche che sarebbe passato dal parco per vedere se il corpo di quella donna fosse stato rimosso.
Tornò quindi nella camera da letto e disse ad Anna :
"Senti Anna,io scendo un attimo,vado a comperare qualcosa da mangiare.Tu resta qui,ti lascio Dik,va bene?".
"Si",rispose Anna.
Paolo non volle rivelarle che intendeva passare anche dal parco,altrimenti lei avrebbe voluto seguirlo. Il corpo della madre avrebbe potuto essere ancora là,a terra,
e sarebbe stato un nuovo trauma per la bambina.
"Ciao Anna",disse l'uomo, e uscì.
"Buona sera",rispose lei.
Paolo uscì.Fuori si sentivano in lontananza colpi d'artiglieria.
Si accorse subito che le strade erano insolitamente animate.Si vedeva gente caricare borse e valige sulle autovetture.Tutti sembravano avere una gran fretta.
Da quando la guerra era iniziata,molti erano sfollati da Petrc esi erano trasferiti in posti più sicuri,non toccati dalla guerra.
Anche Paolo a volte aveva pensato di andarsene.Già, ma dove avrebbe potuto andare?Ormai si sentiva vecchio, aveva raggiunto i 75 anni.
Aveva una figlia che aveva sposato un medico ed ora viveva con lui e i suoi due bambini a Zagabria.
Venivano spesso a Petrac.Vi trascorrevano le vacanze estive e qualche volta i fine settimana.Alloggiavano in una pensione,ma mangiavano spesso tutti
assieme a Paolo.
Quei due nipotini erano una gioia per lui.Durante quelle loro vacanze avrebbe voluto che si sistemassero a casa sua,ma la casa era molto piccola.
Aveva comunque riservato per loro un piccolo armadio,dove Giovanna, la figlia,vi teneva il vestiario dei bambini,adatto alla montagna, e dei giocattoli.
Il genero veniva più di rado, era un medico, si chiamava Mirko.Lavorava alla Croce Rossa e spesso veniva inviato in luoghi dove a causa di eventi tragici
c'era bisogno di medici.
Negli ultimi tempi venivano più di rado.Ora,con la guerra,avrebbe potuto essere pericoloso.L'ultima volta era venuta solo la figlia,ed era rimasta con lui per due giorni.
Petrac era un grosso paese non molto distante dalla frontiera.Era situata in una vallata ed era collegata agli altri paesi dalla strada provinciale.
La figlia, lo aveva ripetutamente invitato a trasferirsi da loro a Zagabria fino al termine della guerra ma lui si era sempre rifiutato.
Sapeva che in quella casa a Zagabria si sarebbe trovato a disagio. Lui diceva sempre che era nato a Petrac e sarebbe morto a Petrac.
Per strada incontrò un amico e questi gli spiegò che era giunta voce che una colonna di soldati nemici si stesse dirigendo su Petrac.Avevano già sfondato la
linea della difesa croata e sarebbero ben presto giunti in paese.
L'amico gli disse anche che i soldati nemici,molti dei quali ubriachi, vilentavano le donne e uccidevano i bambini.
Queste ultime parole turbarono profondamente Paolo.Acquistò del cibo,poi raggiunse rapidamente il parco. Vide che alcuni corpi giacevano ancora a terra,
quello della madre di Anna non c'era più,evidentemente era già stato portato via.Tornando a casa,Paolo ripensava alle parole dell'amico : "Stanno arrivando,
sono ubriachi,violentano le donne e uccidono i bambini".Pensò subito ad Anna. Cosa avrebbe dovuto fare?
Nonpoteva lasciare lì la bambina, doveva assolutamente portarla in un posto sicuro. Già, ma dove?. Pensò alla figlia.
Purtroppo Petrac da alcune settimane viveva come in uno stato d'assedio.Oltre a luce ed acqua che ormai mancavano da due mesi,la posta ed i telefoni non
funzionavano. Gli abitanti vivevano come isolati dal mondo esterno.
Rimaneva la strada, ma lui non aveva un'automobile,non ne aveva mai posseduta una. Anche il servizio degli autobus era stato sospeso perchè,questi,venivano
spesso fatti oggetto di lanci di bombe da parte di elicotteri nemici.
Quando entrò in casa vide Anna seduta sul divano, che giocava col cane. Notò che si era lavata i capelli,la faccia e si era pettinata.
Le disse subito : "Anna, mi dispiace ma dobbiamo andarcene via subito".
Anna non comprese subito il significato di quelle parole,guardava l'uomo e si chiedeva : "Andarcene,ma perchè?". Ma non disse nulla.
L'uomo non aggiunse altro. Prese dall'armadio uno zaino, vi mise il cibo che aveva appena acquistato,vi aggiunse dell'altro cibo che prese dalla dalla dispensa,
poi alcuni indumenti,ed altre cose.Anna lo guardava con stupore ma non aveva il coraggio di fare domande.
Quando tutto fu pronto, l'uomo si caricò lo zaino sulle spalle, affidò ad Anna una piccola borsa nella quale aveva messo alcuni indumenti della nipotina Ersinija
ed uscirono. L'uomo, nonostante il grosso zaino che teneva sulle spalle,camminava speditamente, Anna lo seguiva come inebetita.
L'uomo si infilò in alcune strade secondarie, uscirono dal paese e raggiunsero la montagna,iniziarono quindi a salire per una stretta mulattiera.
Allora Paolo rallentò molto il passo.Le ultime ore del tramonto fornivano ancora una buona luce. Si vedeva il paese allontanarsi lentamente.
Camminavano in silenzio,ora il cane li precedeva; evidentemente aveva capito dove stavano andando e conosceva la strada.
Camminarono per molto tempo, sempre in silenzio. Si sentiva solo il pesante ansimare dell'uomo.
Ad un certo punto Paolo disse : "Ora possiamo anche fermarci e riposare un pò". Si sedettero su un masso, il cane si accovacciò accanto alla bambina.
Aveva la lingua fuori, ma era certamente il meno stanco dei tre.
"Dove andiamo?", chiese timidamente Anna.
"In un posto sicuro", rispose Paolo. Poi soggiunse : "stanno arrivando in paese dei soldati cattivi che potrebbero farci del male.Noi ce ne andiamo,così
loro non ci troveranno. Poi quando i nostri bravi soldati li avranno cacciati via,torneremo a casa".
Restarono seduti ancora qualche minuto poi ripresero il cammino.
Camminarono ancora per molto tempo.Ad un certo punto s'infilarono in un sentiero che s'inoltrava nel bosco.
Era un bosco di betulle e faggi.Qua e là, qualche abete.
Camminarono ancora per un poco e si trovarono di fronte ad un vecchio casolare. Una casa rustica, fatta di pietre.
L'uomo infilò nella toppa la grossa chiave che aveva portato con sè,la ruotò alcune volte, poi spinse la porta e questa cogolando si aprì. Entrarono.
Paolo fece luce accendendo un vecchio lume che era appeso alla parete.
La stanza era ampia,con un camino,un grande tavolo di legno,alcune sedie,una cassapanca ed un vecchio divano coperto da un telo.
Paolo si tolse lo zaino dalle spalle e si sedette.Guardò la bambina e le disse : "Vieni,siediti qui vicino a me".
La bambina ubbidì.
"Sei stanca?".
"No".
"E' stata una brutta giornata, vero?".
Anna non rispose.
Allora l'uomo posò la sua rugosa mano sui biondi capelle della bambina,in un gesto affettuoso che Anna apprezzò molto. E lei accennò ad un debole sorriso.
Il cane ,accovacciato di fronte, guardava ora il padrone ora la bambina; lei si accorse, si alzò e andò a fargli una carezza.
"Sai che cosa facciamo adesso?", disse Paolo : "Accendiamo un bel fuoco e ci prepariamo qualcosa da mangiare. Hai fame?".
"No".
"Vedrai che cose buone ti ho portato".
Paolo accese il fuoco nel camino.
Ad Anna piaceva molto il fuoco, si sedette accanto al camino ad osservare il guizzare della fiamma e lo schioppettare della legna arsa dal fuoco.
Mentre la minestra cuoceva, Paolo salì al piano superiore, sistemò la biancheria che aveva portato,nei cassetti dell'armadio, preparò il letto e poi scese.
Spolverò il tavolo e apparecchiò. Poi quando la minestra fu pronta, la versò nei piatti.
Dopo cena tornarono a sedere accanto al camino, e parlarono un pò.Paolo le chiese come trascorresse le sue giornate a Petrac,
Anna gli raccontò cosa faceva prima che cominciasse la guerra, quando andava a scuola, quando a casa c'era il papà e tutti erano felici.
Paolo avrebbe voluto dirle di essere tornato quella sera al parco, e di non aver più trovato il corpo della mamma. Questo voleva dire che era stato portato
via, ed era stato composto probabilmente all'obitorio,in attesa della funzione e della sepoltura.
Ma temeva di riaprire una ferita, temeva che la bambina ricominciasse a piangere. Ora la vedeva così tranquilla, gliene avrebbe parlato l'indomani.
Si era fatto tardi, l'uomo accompagnò la bambina al piano superiore, le mostrò la stanza, le augurò la buona notte e ridiscese, tornando a sedere accanto
al camino.
Anna si mise a letto. Allora gli avvenimenti di quella giornata cominciarono ad affollare disordinatamente la sua mente. Ma era troppo stancaper darci peso
e si addormentò quasi subito.
Paolo lavò i piatti, riassettò la cucina, poi salì di nuovo al piano superiore cercando di non far rumore, entrò nella stanza. Anna dormiva, allora ridiscese
e tornò a sedere accanto al camino.
Si sentì soddisfatto di aver portato la bambina, lì ,in quella sua vecchia casa sulla montagna. Quello era certamente un posto sicuro,nessuno li avrebbe
cercati fin lassù. Per il momento quindi la bambina era al sicuro. Ma quella era certamente una soluzione provvisoria, non sarebbe stato infatti possibile
far vivere per molto tempo una bambina in un casolare sperduto fra i monti. Decise che ci avrebbe pensato in seguito.
Ora la stagione era favorevole.La primavera aveva portato le sue lunghe tiepide giornate, i suoi tenui colori.Il bosco si era risvegliato e fra gli insetti era
tutto unfervore di iniziative.Sarebbe stato molto bello per la bambina. Si sarebbe certamente divertita molto lassù.
Si accorse che stava decidendo lui che alla bambina sarebbe piaciuto quel posto.
Ma che ne sapeva lui dei bambini?.Lui ragionava con la sua testa, lui non aveva 10 anni, ne aveva 75. Era stato anche lui bambino ma era passato così
tanto tempo! E poi quelli erano altri tempi!
Comunque non avrebbe poturo assolutamente lasciare quella bambina in quel parco o abbandonarla a Petrac sapendo che quei soldati stavano arrivando.
Si sentiva tranquillo con la sua coscienza, lui aveva fatto il possibile.E con la soddisfazione di aver fatto una cosa buona,preparò il divano e si coricò.
Il mattino seguente si alzò presto. Fuori,la giornata era stupenda. Attese che Anna si svegliasse per preparare la colazione,intanto sistemò la casa,
cercò le sementi che aveva messo da parte l'anno precedente.Avrebbe dovuto seminare al più presto,pensò a pomodori, insalata e fagiolini.
Il problema del cibo era uno di quelli più importanti che doveva affrontare. Doveva sfruttare tutte le possibilità che quel terreno offriva.
Poi c'erano anche i frutti del bosco come fragoline,more e mirtilli.
Sentì dei rumori provenire dal piano superiore.Poco dopo si aprì la porta.
"Buon giorno",disse Anna.
"Buon giorno",ripetè Paolo e soggiunse : "Hai dormito bene?".
"Si", rispose lei.

Terza parte

Paolo si accorse che il vestito che la bambina indossava,era molto sporco. Anna infatti indossava lo stesso vestito del giorno precedente
sporco di terra e del sangue della madre.
Si ricordò che la sera precedente,nella sua casa di Petrac,aveva preso da quell'armadio che aveva riservato alla figlia,alcuni indumenti
della nipotina Ersinija,che la madre lasciava a casa sua.
Ricordò di averli messi in una borsa che aveva poi affidato ad Anna. Si guardò attorno e la vide in un angolo. La prese e la vuotò sul tavolo.
Ersinija aveva quasi nove anni ma era già alta per la sua età. I vestitini sarebbero andati bene per Anna,che invece era più minuta.
Scelse un paio di pantaloni ed una camicetta.Anna li indossò. Sembravano fatti apposta per lei.
Così Paolo potè mettere a bagno in una bacinella il vestito sporco.
La primavera aveva risvegliato il bosco dal suo lungo sonno. I tronchi bianco-argentei delle betulle si ergevano sul tenue verde dei prati
e portavano al cielo le flessuose chiome.
I penduli rami creavano delicati disegni,fra le sottili e lucide foglie appese ai loro esili piccioli,gli amenti maschili e quelli femminili si
fondevano in un matrimonio che la natura effettuava per continuare la vita del bosco e mostrare così all'uomo la bellezza del creato.
Paolo cominciò a spiegarle come si riconoscevano le varie piante.Lui le conosceva molto bene e cercò di fare come una piccola lezione
introduttiva,poi in seguito,se Anna avesse mostrato interesse avrebbe approfondito gli argomenti.
Anna parve subito molto interessata,amava molto la natura. Ad un certo punto vide uno scoiattolo su un ramo,lo guardò meravigliata
e fece e fece un bel sorriso.
Paolo se ne accorse, era la prima volta che la vedeva sorridere,e quel sorriso gli diede una grande gioia. Si sentì pervadere da un
enorme soddisfazione per quello che aveva fatto per quella bambina,allora sorrise anche lui e in quel momento gli parve che il bosco
fosse diventato più bello.Trascorsero così i primi giorni di quella vacanza un pò particolare,in quella vecchia casa sui monti di Petrac.
Paolo aveva preparato il terreno ed aveva seminato. il tempo si manteneva bello.
Trascorrevano buona parte del tempo all'aperto. Paolo continuava le sue lezioni sugli alberi,ma le parlava spesso anche degli insetti
e dei piccoli animaletti del bosco.
Anna si interessava molto. In casa c'erano alcuni lbri sulle piante e lei li consultava spesso.Aveva iniziato a raccogliere campioni delle
foglie degli alberi, le metterà a seccare sotto le pagine di vecchi giornali.
Disse che quando sarebbero tornati in paese le avrebbe applicate su cartoncini,come le avevano spiegato a scuola,ed avrebbe creato
così un piccolo erbario.
Naturalmente, nelle loro passeggiate nel bosco c'era sempre Dik,il simpatico cagnolino, che era senz'altro il più felice di stare lassù.
Poteva liberamente correre,saltare,abbaiare. C'era stato altre volte in quel posto e sapeva che prima o poi quella pacchia sarebbe
purtroppo terminata.
E si chiedeva perchè il padrone si ostinasse a ritornare in quel piccolo appartamento quando si stava così bene lassù.
C'era un ruscello non molto distante dalla casa e lui ogni mattino appena sveglio correva a tuffarsi dentro. Era certamente più
divertente che lavarsi in un catini come facevano il padrone ed Anna.
Col passare dei giorni Anna appariva sempre più serena, ma sivedeva che non era felice, il ricordo della mamma la tormentava, e spesso
di notte aveva gli incubi.
Paolo se ne era accorto allora di notte lasciava dormire Dik nella stanza della bambina. Lei era contenta e dormiva più tranquilla.
Paolo aveva spiegato al cane che avrebbe dovuto dormire ai piedi del letto. Ma Dik aveva capito subito che si dorme meglio sopra
il letto. Così quando di notte Paolo,nel massimo silenzio entrava nella stanza per vedere se Anna dormiva, lo trovava regolarmente
sopra le coperte.
Una volta si era addirittura infilato sotto,e Paolo entrando vide accanto alla faccia di Anna,la coda di Dik che spuntava dalle coperte.
Trascorse così la prima settimana,Paolo si accorse che il cibo cominciava a scarseggiare,occorreva sopratutto dello zucchero e del latte
in polvere. Disse quindi ad Anna che sarebbe ben presto sceso in paese.
Lei gli chiese se avesse potuto accompagnarlo ma lui rispose che sarebbe stato meglio di no. Se il paese era stato veramente occupato,
avrebbe potuto essere pericoloso per lei.
Dagli inizi della guerra,Paolo aveva accumulato e nascosto in casa una discreta quantità di cibo : c'era riso,pasta,zucchero ed altro.
Lui aveva vissuto la seconda guerra mondiale e sapeva che in quei periodi diventa difficile procurarsi del cibo. Aveva anche provato cosa
significa la fame,quindi si era premunito. Ora avrebbe dovuto solo fare una capatina a casa sua a prendere quanto gli occorreva.
Paolo lasciò la baita che era ancora notte,una notte di luna piena,il sentiero si vedeva molto bene.Giunse in paese che stava albeggiando.
Arrivò a casa sua,aprì la porta e accese il lume. Tutto era a posto,come aveva lasciato quella sera. Cercò di non fare rumore.
Il cibo era nascosto nel sottotetto.Prese quanto gli occorreva e mise tutto nello zaino.
Improvvisamente udì dei rumori provenire dalla strada. Spense il lume,aprì le antine a vetri della finestra e lasciando le persiane chiuse
guardò fuori.
Vide alcune autoblindo militari che avanzavano lentamente,stavano pattugliando il paese.Si accorse con terrore,dalle loro uniformi,che
si trattava di soldati nemici.Questo significava che il paeseera stato militarmente occupato.Allora andò in camera da letto,spostò il letto,
sollevò una mattonella del pavimento,sotto c'era qualcosa avvolto in stracci. Lo prese e lo sciolse. Era una vecchia pistola,che appariva
pulita e lucida.
Durante l'ultima guerra l'aveva tolta ad un tedesco morto,e l'aveva sempre tenuta con sè. A volte la portava sulla montagna e la provava.
L'aveva sempre tenuta in perfette condizioni, "Non si sa mai",aveva sempre pensato. Ed ora era arrivato il momento che avrebbe potuto
anche servirgli. Prese anche i proiettili e richiuse la mattonella.
Prima di uscire infilò nello zaino anche una piccola radio a pile,che stava su una mensola, ed un orsacchiotto di peluche della nipotina.
Uscì. Facendo la massima attenzione,riprese la mulattiera che portava alla baita e cominciò a salire.
Quando arrivò. Anna si era già alzata ed aveva fatto colazione.Lei gli chiese subito se avesse saputo qualcosa riguardo il corpo della mamma.
Lui le spiegò che il paese era stato militarmente occupato dalle forze nemiche e che non gli era stato possibile informarsi.
Le rivelò di essere tornato nel parco quella sera stessa dello scoppio della bomba e di non avere più visto il corpo, e soggiunse :
"Probabilmente ora avranno già fatto il funerale e l'avranno sepolta al cimitero". Non appena sarà possibile ci andremo,te lo prometto.
A queste parole Anna si sentì intristire, il ricordo della madre era sempre vivo in lei. Paolo capì e cercò subito di distrarla dandole
l'orsacchiotto che le aveva portato dal paese.
Anna lo ringraziò, gli diede un bacio sulla gota irta di pungenti peli bianchi. Prese l'orsacchiotto,disse che voleva fargli conoscere gli
alberi attorno alla casa,ed uscì seguita dal cane.
Si allontanòun poco,si sedette sotto una grande quercia,non ce la faceva più a trattenere le lacrime e scoppiò in un pianto dirotto.
Dik la fissava,nella sua povera mente di cane capiva la disperazione di quella bambina. Le si avvicinò,le si sdraiò al fianco e cominciò
a leccarle una mano.
Quando si fu sfogata,si asciugò le lacrime,non voleva che Paolo si accorgesse che aveva pianto. Era così buono quell'uomo,Anna
sentiva di volergli bene,capiva quello che aveva fatto e che stava facendo per lei,e gliene era molto grata.
Ripensò alla sua situazione,la madre morta, del padre non avevano più notizie ormai da molto tempo,poteva essere morto anche lui.
E lei era lì,sola,in quella vecchia casa sulla montagna,isolata dal mondo.
Ripensò a prima,quando non c'era la guerra,quando vivevano ancora a Parovic,a quando andava a scuola,ai suoi compagni,ai cuginetti,
agli zii. Si accorse che se avesse continuato con quei pensieri si sarebbe messa di nuovo a piangere,cercò di distrarsi,prese l'orsacchiotto,
lo mostrò a Dik e gli parlò un poco degli orsi e gli disse che erano amici dei cani.
Dik guardò quello strano animale di stoffa,decise che gli era simpatico e lo leccò sul muso.
Anna si alzò,fece ancora uno sforzo per allontanare alcuni pensieri che le erano tornati alla mente e s'incamminò verso casa.
Quando Paolo la vide,si accorse subito che la bambina aveva pianto,ma non disse nulla.Anche lui a volte veniva voglia di piangere.
Trascorse un'altra settimana,a Paolo occorrevano delle sementi per l'orto,delle pile per la radio ed altre cose.
Decise così che sarebbe sceso nuovamente in paese,ma questa volta ci sarebbe andato di giorno,quando i negozi sarebbero stati aperti.
Quel mattino si alzò che albeggiava,fece colazione,si preparò. Prese la pistola che aveva nascosto,la caricò e se la mise in tasca.
Poi si infilò lo zaino sulle spalle. Dik gli girava attorno,non sapeva se avesse dovuto seguirlo. "Tu stai qui e bada ad Anna,mi raccomando",
gli disse il padrone.Dik aveva capito. Avrebbe voluto abbaiare per dimostrarlo ma sapeva che se lo avesse fatto avrebbe svegliato la
bambina. Allora si sfregò contro i pantaloni del padrone e tornò di sopra.
Cercando di non fare rumore saltò sul letto e si sdraiò ai piedi di Anna.
Paolo arrivò in paese.Tutto sembrava tranquillo, poca gente per la strada, molti militari nemici. Si diresse verso casa sua.
Incontrò alcune persone che lo conoscevano bene, si accorse che lo guardavano in modo strano e scappavano via senza salutarlo.
Lui avrebbe voluto fermarsi e fare quattro chiacchere, anche per informarsi di quale fosse la situazione in paese,ma loro se ne andavano.
Non sapeva spiegarsi quel comportamento così strano. Decise di chiarire subito la situazione e passò dal cugino Ivan che abitava in una
villetta poco distante dalla sua.
Quando lo vide, Ivan si spaventò,ma lo fece entrare,assicurandosi che nessuno li avesse visti.
In casa gli spiegò che i soldati nemici che avevano occupato il paese erano andati in tutte le case,avevano schedato gli abitanti ed avevano
regostrato come ricercati coloro che non avevano trovato e che erano sfollati altrove.
Avevanp anche pubblicato dei manifesti con i nomi di queste persone le cui case erano da considerarsi requisite.
Vi era anche la proibizione assoluta per coloro che invece erano rimasti in paesae,di ospitare o avere contatti con queste persone,
pena la morte.
Lo pregò quindi di andarsene al più presto senza farsi notare da nessuno.
Paolo uscì e si diresse verso casa sua. Vi trovò la porta forzata.Dentro vi era una confusione incredibile. Avevano rovistato dappertutto
ed avevano portato via tutto quanto potesse loro servire.
Stava aprendo l'armadio quando sentì una voce dietro di sè : "Mani in alto".

Quarta parte

Paolo, terrorizzato alzò le mani,poi si voltò lentamente. Un soldato dell'esercito nemico lo teneva sotto la minaccia della sua
pistola. "Chi sei, fai vedere i documenti".
Paolo rispose di essere un amico del proprietario e che era passato a fargli visita. Quanto ai documenti disse di averli lasciati
a casa e che sarebbe andato subito a prenderli.
Nel frattempo si udirono degli spari provenire dalla strada sottostante. Il soldato, con la pistola in pugno,si diresse verso la
finestra. Aprì le antine a vetri, vide che le persiane erano state chiuse con del fil di ferro che passava tra due occhielli.
Allora mise la pistola nella fondina e si apprestò a slegare quel filo.
In quel momento Paolo vide il soldato di spalle,pensà ad Anna, capì che doveva tentare il tutto per tutto per togliersi da quella
drammatica situazione, allora mise rapidamente la mano nella tasca, estrasse la pistola e sparò.
Il colpo raggiunse il soldata alla schiena e lo fece stramazzare al suolo.
Fuori intanto si sparava ancora.
Paolo guardò il soldato. Aveva gli occhi aperti, fissi nel vuoto. Non sapeva se fosse morto oppure no. Accostò la canna della
pistola alla sua tempia e fece fuoco di nuovo. Poi andò nel sottotetto,il cibo non era stato scoperto,riempì lo zaino e se lo
mise sulle spalle. Prima di uscire diede un'occhiata a quel soldato riverso sul pavimento.
Era giovane, avrà avuto poco più di vent'anni. Scrollò la testa e uscì.
Per la strada si sparava ancora. Si accorse che si trattava di alcuni soldati ubriachi, che festeggiavano qualcosa sparando in
aria. Si affrettò, e facendo la massima attenzione raggiunse la montagna. Per strada ripensò a quel soldato che aveva ucciso.
Lo aveva guardato bene quando era a terra. Era poco più di un ragazzo. E lui l'aveva ucciso.
Lui che cercava di non uccidere nemmeno gli insetti, ora aveva ucciso un essere umano. Non sentiva rimorso, era stato
costretto a farlo. Se non lo avesse fatto certamente ora non sarebbe potuto essere lì su quella strada, libero di tornare lassù
in quella sua casetta nel bosco.
Pensò alla guerra, pensò che a volte per l'arroganza e la presunzione di alcuni uomini, altri dovevano soffrire e morire.
Quel giovane che aveva ucciso,non lo conosceva, non lo aveva mai visto prima, non gli aveva mai fatto nulla di male,eppure
lui l'aveva ucciso.
O meglio, era stato costretto ad ucciderlo.
Pensò al dolore che aveva dato ai genitori di quel giovane quando avrebbero saputo della morte del loro figliolo.
Mentre per la testa gli passavano questi pensieri, ripeteva a bassa voce : " che schifo, che schifo la guerra!" e proseguiva
il cammino. Gli venne in mente la bomba che era scoppiata nel parco di Petrac. Rivide quei corpi a terra,feriti o dilaniati
dall'esplosione, rivide i corpi di alcuni bambini, orrendamente mutilati.
Allora, con una smorfia di raccapriccio, scrollando la testa, tornava a ripetere : "Che schifo,che schifo la guerra!".
Quando arrivò alla baita si sentiva fisicamente e psicologicamente distrutto. Si accasciò sulla sedia.
Ora sapeva di essere un ricercato. Se lo avessero preso, lo avrebbero senz'altro fucilato.
La situazione era diventata molto difficile. A lui non importava di dover morire, aveva ormai vissuto abbastanza, ma ora che
si era assunto la responsabilità della bambina, non poteva farlo,almeno finchè non l'avesse sistemata in modo più sicuro.
Ci pensò molto ed infine decise che l'unica soluzione sarebbe stata quella di affidare Anna a sua figlia Giovanna.
Ma come avrebbe potuto comunicare con lei? I telefoni erano interrotti, la strada principale era bloccata e tutti venivano
controllati. Se sua figlia avesse cercato di entrare in paese, avrebbe potuto essere arrestata.
Lui conosceva molto bene quella zona. Da giovane aveva girato in lungo e in largo su quelle montagne e sapeva che
dall'altra parte di quella montagna, in territorio croato, c'era un paese : Nuzac che si poteva raggiungere dalla sua baita dopo
cinque ore di cammino. Era probabile che in quel paese i telefoni funzionassero, così avrebbe potuto comunicare con la
figlia. Decise che ci sarebbe andato il giorno successivo.
Partì che era ancora notte, lo attendeva un lungo cammino, doveva raggiungere a tutti i costi quel paese, sul versante
opposto della montagna.
Il sentiero era molto ripido, la fatica, notevole per un uomo della sua età, ma Paolo,ansimando continuava per quella erta
salita, la disperazione gli dava la forza per proseguire. Quei soldati non lo avrebbero preso, non avrebbero fatto del male
alla bambina, non poteva permetterlo.
Quando raggiunse la cresta del monte e vide da lontano il paese di Nuzacsi lasciò cadere a terra e guardando il cielo,
lui che non era mai neanche stato in chiesa, ringraziò Dio.
La discesa fu molto più facile ed in breve Paolo raggiunse il paese.
Sulla piazza principale c'era una cabina telefonica. Quando Paolo vi entrò il cuore gli batteva forte : per la strada fatta e
per l'apprensione di non udire alcun suono da quella cornetta.
Con la mano tremante sollevò il ricevitore ed il suono che udì gli sembrò la musica più bella che avesse mai udito in vita sua.
Introdusse i gettoni, la mano gli tremava e dovette stare molto attento ad infilare il dito al punto giusto.
Quando udì la voce della figlia si sentì quasi mancare dall'emozione.
Le spiegò in breve la drammatica situazione in cui si era venuto a trovare e le chiese aiuto.
Giovanna naturalmente fu felicissima di udire la voce del padre. Le notizie di guerra che giungevano da quella zona erano
drammatiche. Aveva saputo dell'occupazione militare di Petrac da parte delle forze nemiche ed era molto preoccupata per lui.
Giovanna gli disse che Anna avrebbe potuto vivere con loro a Zagabria. Anche per sempre se lo avesse voluto.
Proprio qualche sera prima, il marito le aveva detto che si stava occupando di collocare presso famiglie di Zagabria un gruppo
di bambini provenienti dalle zone di guerra e rimasti orfani, e le aveva proposto di accoglierne uno anche nella loro casa.
Giovanna disse al padre che conosceva Nuzac e che il paese era raggiungibile con l'automobile. Lei si sarebbe trovata lì,
ilgiorno successivo e li avrebbe portati con lei a Zagabria.
Quando Paolo posò il ricevitore avrebbe voluto anche lui piangere come aveva fatto Anna, ma il suo pianto sarebbe stato
diverso, sarebbe stato un pianto di gioia, una immensa gioia.
Ma ora non poteva permetterselo, lo attendeva un lungo cammino. Doveva infatti ripercorrere tutta quella strada che aveva
fatto per giungere fin lì.
Però era diverso ora, ora era contento, si sentiva dentro una gran gioia che forse non aveva mai provato in vita sua.
Uscì dalla cabina, si sedette su una delle panchine di pietra della piazza e mangiò qualcosa che si era portato.
Si accorse che c'era un piccolo negozio di generi alimentari e terminato il suo frugale pasto ci andò.
Acquistò del salame, del formaggio, del vino, e dei piccoli dolci che facevano sul posto. Quella sera si sarebbe fatto festa,
lassù in quella sua vecchia baita nascosta tra faggi e betulle.
Stava uscendo e gli venne in mente che per una festa che si rispetti ci vuole della musica, chiese allora se avessero delle
pile per la sua radio portatile. Il proprietario prese dallo scaffale una scatola e gli mostrò il contenuto.
C'erano pile di diversi modelli. Paolo riconobbe il modello adatto per la sua radio e le acquistò. E pensando alla sua festa,
sorridendo, uscì dal negozio e s'incamminò sulla via del ritorno.
Era stanco per la lunga camminata già fatta ma ora la montagna gli pareva meno ripida. Mentre camminava pensava ad
Anna. Sarebbero andati a Zagabria, lei avrebbe trovato una famiglia,avrebbe potuto stare con i ragazzi della sua età,avrebbe
potuto frequentare la scuola, l'avrebbe vista sorridere,sarebbe tornata ad essere felice.

Quinta parte

Giunse alla baita che era quasi sera, Anna e Dik gli corsero incontro. Entrarono, Paolo si sdraiò sul divano, era sfinito
ma contento.
E raccontò ad Anna della sua camminata fino a Nuzac, della sua telefonata alla figlia, disse che avrebbero lasciato quel
posto, sarebbero andati a vivere in una grande città. Le disse che la casa della figlia a Zagabria, era molto bella e grande,
che i suoi nipoti Ersinija e Mauro erano dei bambini molto simpatici ed Anna sarebbe andata d'accordo con loro.
E avrebbe frequentato di nuovo la scuola.
Avrebbe voluto dirle anche che Giovanna sarebbe stata come una mamma per lei, ma non lo disse, cercava di evitare
sempre quella parola.
Le disse solo che Giovanna era sempre stata buona e le avrebbe voluto molto bene.
Anna si sentiva felice, ma più per le notizie che Paolo aveva portato, era felice perchè vedeva quell'uomo così contento,
vide che gli luccicavano gli occhi per la commozione. Era contenta per lui, si accorse che gli voleva bene come se fosse
suo padre. Gli saltò al collo e si tenne stretta a lui per qualche istante.
Allora Paolo si accorse si accorse che quella lacrima che lui era sempre riuscito a trattenere,questa volta era caduta.
Dik non aveva ben capito cosa fosse successo, ma quando vedeva il padrone contento, si sentiva contento anche lui
e girava intorno a quel divano abbaiando e dimenando la coda.
Non aveva ben capito, evidentemente, quello che lo aspettava cioè che l'indomani avrebbero lasciato quel bel posto
sulla montagna per trasferirsi un appartamento in città.
Forse era un bene che non lo avesse capito altrimenti non sarebbe stato così contento.
Quella sera comunque festeggiarono, ci fu una cena speciale, con vino e dolcetti, e cantarono alcune canzoncine che
conoscevano, poi andarono subito a letto, l'indomani si sarebbero dovuti alzare prestissimo.
Prima di coricarsi sul vecchio divano, Paolo riordinò la casa. Chissà se l'avrebbe ancora rivista quella sua vecchia baita.
Ripensò alla sua gioventù quando vi trascorreva diversi mesi dell'anno accudendo il bestiame.
Si sentiva molto stanco, gli facevano male le gambe, pensò che l'indomani avrebbe dovuto raggiungere di nuovo Nuzac,
doveva arrivare assolutamente, doveva affidare Anna alla figlia poi avrebbe potuto anche morire, lì, su quella piazza.
Sarebbe morto contento. Caricò la sveglia e la puntò alle cinque.
I primi bagliori dell'alba vedevano quelle tre figure uscire da quella vecchia casa nel bosco. Il silenzio era totale, si udiva
solo di tanto in tanto lo stormire delle fronde delle betulle mosse da una tiepida brezza.
Paolo infilò nella toppa la grossa chiave, la fece girare, poi la tolse e s'incamminò seguito da Anna e preceduto da Dik.
Fatto qualche passo si fermò, e si girò a guardare per l'ultima volta quella casa. Anche Anna si girò e la guardò.
In quell'attimo i pensieri che passavano tra quelle due menti erano differenti ma certamente in ambedue c'era dell'affetto
per quella casa. Il cane invece non si fermò e continuò a correre sul sentiero, dimenando la coda.
Anna era giovane, non sentiva la fatica, e anche Dik, che di strada ne faceva più degli altri correndo continuamente
avanti e indietro.
Ma per Paolo quella salita era estenuante e fu costretto a fermarsi più volte. Quando finalmente raggiunsero la cresta
della montagna si lasciò andare a terra esausto.
Ripresero il cammino, ormai il paese era in vista e la discesa sarebbe stata certamente meno faticosa.
Ma improvvisamente Paolo si accasciò a terra. Anna gli si avvicinò subito, vide che era molto pallido, lo liberò dello zaino
si guardò attorno, il paese si vedeva laggiù ma era ancora distante, non c'era nessuno che potesse aiutarli.
Paolo con un filo di voce le disse : "non è niente, è questo vecchio cuore che fa i capricci, non preoccuparti,adesso
riposo un pò, poi continuiamo il viaggio; manca poco vedi, il paese è laggiù, ormai siamo quasi arrivati.
Anna era molto preoccupata, le venne in mente la madre quando era a terra in quel parco. Anche Dik che conosceva
bene il suo padrone e non lo aveva mai visto con quella faccia, guaiva e gli girava attorno.
Quando l'uomo si sentì sufficientemente riposato, si alzò con fatica, fece qualche passo e poi si sedette di nuovo.
Sentì che non ce l'avrebbe mai fatta a raggiungere il paese.
Chiamò a sè Anna e le disse : "Senti Anna io non ce la faccio, ascoltami bene, laggiù vedi c'è il paese, tu lo raggiungi
con Dik, vai sulla piazza, dove arriva la strada principale, c'è anche la chiesa,vedi che spunta il campanile.
Lì troverai mia figlia Giovanna che ci attende. Ha un'automobile bianca.
Tu le spiegherai cosa è successo e le dirai di chiedere aiuto a qualcuno e tornerai qui con loro. Hai capito bene?
Vai Anna, vai subito".
Anna annuì. Lo fissò, le sembrò che stesse meglio, ora non era più pallido come prima, e preceduta da Dik si avviò
correndo sul sentiero che conduceva a Nuzac.
Trovò subito la piazza, c'era un'auto bianca con una donna accanto.
Quando Giovanna vide il cane lo riconobbe subito, ma prima di rispondere alle manifestazioni di affetto di Dik,disse
subito :
"Tu sei Anna,vero?".
"Si" rispose la bambina.
"Ma dov'è mio padre?".
Anna le spiegò in breve quanto era successo.
Givanna si rivolse ad alcuni giovani che chiaccheravano, seduti su una delle panchine di pietra della piazza.
Disse loro che suo padre si era sentito male e aveva bisogno di aiuto.
Immediatamente quei giovani, preceduti dal cane e seguiti da Anna e Giovanna, si avvicinarono di buon passo verso
il punto dove Anna aveva lasciato il vecchio.
Lotrovarono, padre e figlia si strinsero in un lungo abbraccio, Giovanna abbracciò anche Anna, scusandosi per non
averlo fatto prima.
Poi quei giovani, a turno si caricarono Paolo sulle spalle e lo portarono in paese.

C'era un medico che visitò Paolo, disse che la crisi ormai era passata e sarebbe stato in grado di affrontare il viaggio
fino a Zagabria.
Sulla piazza c'era una trattoria, Giovanna invitò a pranzo quei giovani così pranzarono tutti assieme poi si lasciarono
e partirono.
Arrivarono a Zagabria che era quasi sera.
Giovanna abitava in una casa molto grande, una villa nella zona alta della città. Si occupava della famiglia e saltuariamente,
scriveva dei libri. Anna conobbe i figli di Giovanna : Mauro ed Ersinija.
Ersinija le disse che sarebbe stata molto felice di dividere con lei la sua cameretta e le mostrò il lettino che era già stato
preparato.
Per il nonno ed il suo cagnolino era stata invece preparata una stanzetta che veniva abitualmente usata per gli ospiti.
Anna, che era un pò timida, all'inizio si sentì a disagio in quella casa così grande e bella, ma poi i bambini la invitarono
a giocare con loro e a poco a poco cominciò a sentirsi a proprio agio.
Poi andarono tutti a cena. C'era molta luce in quella casa, c'erano tanti piatti, tante posate e una tovaglia bianchissima
tutta ricamata.
Anna non vi era più abituata e guardava tutto con grande meraviglia.
Ma c'era sopratutto una grande allegria ed anche a questa non vi era più abituata.
Terminata la cena, Giovanna fece un piccolo discorsetto : disse che da quel momento la loro famiglia avrebbe avuti due
persone in più.
Ed anvhe un cane,soggiunse poi, e tutti risero. Ora i fratellini sarebbero stati tre e non più due, e lei sarebbe stata molto
felice di essere la mamma di tre bambini.
Trascorsero così i primi giorni, si stava veramente bene in quella casa. Durante il giorno, Mauro ed Ersinija andavano a
scuola, allora Anna stava con Paolo, e uscivano a passeggio con Dik.
Paolo si trovava abbastanza a disagio in quella casa. Con tutte quelle luci accese, tutta quell'acqua sprecata, gli avanzi
di cibo buttati nell'immondizia. Era una vera sofferenza per lui.
A Petrac viveva con una piccola pensione, limitava al massimo le spese e non sprecava niente.
cercò di abituarsi al fatto che la vita in una grande città è diversa da quella che si svolge in un paese. Ma era molto
difficile.
Sognava il momento in cui sarebbe potuto tornare nella sua casetta, sperando che la guerra l'avesse lasciata in piedi.
Però quando vedeva Anna giocare felice, con i suoi nipotini, e la vedeva sorridere, sentiva dentro di sè una grande gioia per
quello che aveva fatto. Per aver contribuito a dare un pò di gioia a quella sfortunata bambina.
Anche Dik sognava di tornare a Petrac. Veramente avrebbe preferito quella casa lassù nel bosco. Ma non si può pretendere
tutto. Sentiva di non essere un cane adatto alla città. Si sentiva un cane di campagna, o meglio, di bosco.
Quando camminavano sui marciapiedi, non si rendeva conto di come facessero gli altri cani, sempre puliti e pettinati,
a camminare così impettiti al guinzaglio dei rispettivi padroni. Lui aveva sempre paura che con tutte quelle scarpe, gli
schiacciassero qualche piede.
Ai giardini aveva cercato di fare amicizia con altri cani, ma non vi era riuscito.
Un giorno aveva dedicato le sue attenzioni ad una graziosa barboncina, ma questa lo aveva snobbato per uno stupido cane
nero, pieno di presunzione.
Comunque quel soggiorno in città presentava anche dei lati positivi.
Uno dei quali era costituito dal cibo. Bisognava riconoscere che in quella casa si mangiava molto bene.
Lui avrebbe gradito ogni tanto anche qualche buon osso da sgranocchiare ma fino a quel momento non se n'erano trovati
in quelle scatolette di latta o in quelle di cartone, colme di croccantini, che aprivano per lui.
Ma avrebbe rinunciato volentieri a tutte quelle leccornie pur di tornare lassù in quel bosco. Dove poteva rincorrere le
farfalle e si poteva buttare nel ruscello.
Ad Anna piacevano molto i grandi magazzini, con tutte quelle luci, tutta quella merce sugli scaffali, non ci era abituata.
Ma sopratutto era entusiasta di poter camminare liberamente per la strada, senza dover temere che qualcuno le sparasse
addosso.
In casa, si sentiva circondata da molto affetto. Ersinija e Mauro erano bambini molto simpatici, le volevano bene come ad
una sorellina e lei stava bene con loro.
Anna era una bambina molto intelligente e lo aveva capito. Lei da parte sua faceva ogni sforzo per sentirsi parte di quella
famiglia. Solo quando sentiva Ersinija o Mauro pronunciare la parola mamma, allora si ricordava che lei era solo un'ospite
di quella famiglia e che quella non era la sua vera casa e Giovanna non era la sua mamma.
A volte la sera quando si coricava, prima di addormentarsi, pensava al papà lontano, a combattere. Pensava a quando
sarebbe finita la guerra e lui sarebbe tornato a Petrac e non avrebbe trovato nessuno ad attenderlo.
Paolo le aveva promesso che dopo la guerra sarebbero tornati a Petrac e lei avrebbe potuto restare lì con il suo papà.
Pensava alla mamma, a quando stavano insieme. Ora la mamma non c'era più e non sarebbero mai stati più così felici
come allora.

Sesta ed ultima parte

Una settimana dopo il suo arrivo giunse Mirko, il papà di Ersinija e Mauro. Giovanna lo aveva avvertito della presenza
di Anna e Paolo e lui ne era molto contento.
Mirko era un medico della Croce Rossa e veniva spesso inviato in zone di guerra, dove si dovevano organizzare
ospedali di fortuna. Quando poi tutto funzionava, tornava al suo lavoro nell'ospedale di Zagabria.
Mirko riuscì molto simpatico ad Anna. Mirko disse che si sarebbe fermato a Zagabria solo qualche giorno, poi sarebbe
ripartito, era stato destinato a Boronic che era una località non molto distante da Petrac. In quella zona infuriava la
guerra ed occorreva installare con urgenza un ospedale da campo.
Quando lo seppe, Paolo gli chiese se poteva fare una capatina a Petrac per vedere come fosse la situazione.
Lui come medico della Croce Rossa non avrebbe avuto problemi per entrare nel paese occupato.
Mirko gli disse che lo avrebbe fatto senz'altro, ma avrebbe fatto di più sarebbe infatti andato al cimitero di Petrac
a portare dei fiori sulla tomba della madre di Anna. Così sapendolo, Anna ne sarebbe stata contenta.
Paolo lo ringraziò commosso. Mirko era sempre stato una persona di una incredibile generosità. Si era sempre
prodigato per alleviare le sofferenze della gente, specie nel periodo di guerra. E Paolo era sempre stato molto contento
che la figlia avesse scelto quell'uomo così buono, per marito.
Passarono i giorni, Mirko partì.
Aveva detto che sarebbe rimasto via per due settimane ma invece alcuni giorni dopo era già di ritorno.
Disse che aveva qualche problema da risolvere a Zagabria e sarebbe ripartito il giorno successivo. E dato che Anna
era a casa, le chiese di accompagnarlo nel suo viaggio a Boronic.
La cosa sorprese un pò tutti ma non osarono fare domande.
Pensarono che Mirko volesse approfittare dei suoi viaggi per mostrare ad Anna altri luoghi.
Quel viggio in macchina fu molto piacevole, quel medico era un uomo così simpatico e con lui la conversazione era
molto piacevole.
Mirko si fece raccontare del soggiorno sulla montagna di Petrac e si fece spiegare qualcosa sui boschi e sulle piante.
Giunsero così a Boronic.
Mirko diresse l'auto verso il locale ospedale, vi entrò e poi portò Anna in uno studio.
Le disse di attendere che sarebbe tornato subito.
Tornò infatti qualche minuto dopo e le disse :
"Anna, visto che tu sei un'esperta di piante, voglio farti vedere il giardino di questo ospedale dove ci sono degli alberi
dei quali vorrei sapere il nome.
Ad esempio ce n'è uno che non so se è una quercia o una betulla.
Anna sorrise, pensando alla enorme differenza che esiste tra la quercia e la betulla. Mirko era certamente un ottimo
medico ma in fatto di botanica proprio non capiva niente.
Lui la prese per mano ed uscirono all'esterno. Grarono attorno all'edificio. Sul retro c'era il giardino. Alcuni vialetti si
insinuavano tra le aiuole, adornate di fiori. Vi erano alberi e panchine per sedere. il giardino appariva deserto.
Mirko, tenendo Anna per mano s'incamminò molto lentamente in un vialetto. Improvvisamente in fondo a quel vialetto
di fronte a loro apparve un'infermiera che accompagnava una donna.
La donna doveva essere una paziente di quell'ospedale, perchè indossava una vestaglia azzurra.
Mirko ed Anna continuavano il loro lento passo verso quella donna.
Poi quando furono abbastanza vicini si fermarono.
Le due donne continuavano ad avanzare molto lentamente verso di loro, l'infermiera stava leggermente più indietro.
Ora erano abbastanza vicini.
La donna improvvisamente si fermò e cominciò a fissare Anna.
Anche Anna cominciò a guardarla.
Poi la donna fece ancora qualche passo tremante verso la bambina.
Ora erano una di fronte all'altra. Il dottore guardava Anna che non sembrava impaurita, ora fissava quella donna come
se fosse in estasi davanti alla Madonna.
Ci furono attimi di silenzio, poi si udì un grido :
"Anna!".
Subito seguito da un'altro :
"Mamma!".
La donna e la bambina si strinsero in un profondo abbraccio.
Il medico sorrideva felice. Mentre l'infermiera non riusciva atrattenere le òacrime.
Più tardi, nel suo studio, Mirko spiegava ad altri colleghi medici che quella donna era effettivamente la madre di Anna.
Nell'esplosione della bomba nel parco di Petrac era rimasta gravemente ferita ma non era morta.
Era stata in coma per diverso tempo, poi si era ripresa ma il recupero non era stato completo.
Non aveva recuperato la memoria e non ricordava nulla del passato.
Mirko era venuto a conoscenza del caso ed aveva pensato che proprio quella donna potesse essere la madre di Anna.
Anche perchè dalle sue indagini non risultava il suo nome sull'elenco dei morti per la bomba al parco di Petrac.
Purtroppo aveva scoperto invece che il marito della donna era morto al fronte ed ora che lei si era ripresa, avrebbe
dovuto dirglielo.
Lui sapeva che in casi come quello, la vista improvvisa di una persona cara,come in quel caso la figlia, avrebbe potuto
procurarle uno shock, che sarebbe stato utile per il recupero completo della mente.
Poi, usciti i colleghi, Mirko seduto sulla poltrona dello srudio, si mise a pensare.

Pensò alla guerra, a quella guerra e a tutto ciò che aveva visto in quella guerra.
Alle atrocità, alle violenze. Aveva visto tanti bambini uccisi.
In quella guerra la cattiveria dell'uomo aveva raggiunto livelli incredibili.
"C'è da VERGOGNARSI DI ESSERE UOMINI",concluse.


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