L'albero
della vita
Ho dato gemme,
e fiori,
e foglie,
e frutti.
Ora è novembre.
Che sia dolce il riposo.
Cara Befana
Mentre che fuori urla tramontana
ed il televisore ormai si è spento
mi sento solo e penso a te, Befana,
che questa notte voli con il vento.
Com'è lontano il lontano il tempo in cui, bambino,
per te lasciavo il latte sul camino!
E la mattina, dopo aver lottato
per ore contro il sonno, e poi ceduto,
in braccio a mamma e tutto intabarrato,
esultando per quel che avrei veduto,
entravo nella gelida cucina
con i tuoi doni e la tua letterina.
Eran povere cose che portavi:
qualche balocco, noci, mandarini,
e soprattutto non dimenticavi
un pezzo di carbon pei birichini.
Un mondo ormai passato e di già morto
che vive ancora solo nel ricordo.
Ora che quei bei tempi son passati
ed io sono inoltrato dentro gli "anta",
conoscendo di vita tutti i lati,
dovrei lasciarti star, vecchina santa.
Ma non so darmi pace, vivaddio,
che fra i tuoi bimbi non ci son più io!
Perciò tu troverai la mia calzetta,
anche se il mio sentire è assai cambiato,
lo so che tu non sei una vecchietta
e che il tuo volto è dolce e tanto amato.
So che mi curi, mi ami e mi consoli
e sei la mamma dei miei tre figlioli.
Mettici ciò che vuoi (com'urla il vento!)
ma se ci lasci un bacio io son contento
L'ultima sauna
Il fuoco sulla pelle s'è smorzato,
cade l'ultima goccia di sudore,
dalle tavole sale un forte odore
di buon legno di pino riscaldato.
L'accappatoio lo abbiamo già indossato,
ci guardiamo, e negli occhi c'è stupore:
sono dunque finite anche quest'ore?
Un ulteriore anello s'è spezzato?
Fra fumi di vapore e scherzi atroci,
oscene risa e becera gaiezza
abbiam fatto rivivere le croci
e le delizie della giovinezza.
Che non finisca almen quest'allegria….!
Spegni la luce, chiudi e andiamo via.
Ballata di un emigrato in Australia
Quando partisti per la tua avventura
tua madre singhiozzava sul portone,
tu le dicesti "Non aver paura",
ma in fondo al cuore avevi un gran magone.
La realtà che trovasti fu assai dura,
anche se eri più forte di un leone
ti spezzavi la schiena, là in pianura,
a tagliar boschi sotto il solleone.
Le passavi all'ostello le tue sere
a bere birra come gli Australiani,
ma loro vi sputavan nel bicchiere
dicendo "dingos" che vuol dire cani.
Il torrido calore e le miniere
sembravan esser l'oggi ed il domani,
avevi dalla tua sol le preghiere
di tua madre lontana, e le tue mani.
Così lottando, quasi con furore,
riuscisti a risparmiare un poco d'oro
finché un giorno di banca un direttore
venne ad offrirti credito e decoro.
Senza contare del lavoro l'ore
cominciasti ad avere come loro
una casa, una moglie e col suo amore
due bimbi dai capelli come l'oro.
Gli amici dovean essere Italiani
per poter la tua lingua alfin parlare,
con loro andavi in posti assai lontani
a caccia, a pesca, oppure a prospettare.
Al Circolo d'Italia or gli Australiani
venivan per i voti a mendicare,
eran passati i tempi cupi e strani
quando con lor dovevi scazzottare.
Ora sei ricco, ed il tuo braccio è stanco
dopo tanta fatica e gran sudore,
sei ancora in gamba, ma il tuo capo è bianco,
coi figli parli inglese con dolore.
La tua patria lontana l'hai nel petto,
pel ricordo di mamma un grande amore,
quando sei solo guardi in un cassetto
dove tieni piegato un tricolore.
A Franca
La lunga lotta è chiusa finalmente.
Hai combattuto contro la Signora
con la tenacia propria di tua gente
con dignità soffrendo in ogni ora.
Sopra il candido letto, stancamente,
si posa la tua mano, e vive ancora
a te dintorno un alito che sente
di gioia e di vita, come fosse allora.
Per rubarti il sorriso e la bellezza
l'immondo morbo t'ha così rapita
quasi geloso della tua gaiezza;
ma la rapina no, non gli è riuscita.
Per chi conobbe te in giovinezza
tu non sei morta, sei solo assopita.
Una domenica in alta Val di Serchio
La notte ha ripulito la calura,
l'aria al mattino è viva, scintillante
e solo il verde dei boschi l'oscura,
alta è l'Alpe Apuana scintillante.
Come sposa si dona la natura
e fresca, e nuova, e pura al proprio amante,
tutto è gioioso, non ve'è più paura:
amico e benvenuto sia il passante.
Festosa suona e chiama la campana
sopra i campi di grano, e il suo richiamo
riporta al cuore una memoria antica.
Un profumo di cibo, e alla lontana
si posa una ghiandaia sopra un ramo
che per il lieve peso appen fatica.
Novembre a Venezia
La cannoniera "Bracco" è addormentata
alla banchina, come cane stanco,
la nebbia della sera è già calata
e avvolge la laguna col suo manto.
L'acqua era viva, ed or pare domata
e bacia lenta della riva il banco,
San Marco, come bara abbandonata
tutta si copre d'un sudario bianco.
Piange novembre e lucida il selciato
con il suo pianto e la mia giovinezza
mi fa sognare un volto tanto amato
che qui stempererebbe sua gaiezza.
Mi sento solo, e triste, e disperato.
Ma com'è dolce questa mia tristezza.
Nelle selve della Garfagnana
Il sentiero di polvere e di sassi
entra nel bosco, e tutto resta muto,
solo il crocchiar di foglie sotto i passi,
un fischio lancia il merlo: il suo saluto.
I fusti dei castagni, vuoti e scassi,
portano a un ciel di verde, sostenuto
da rami folti, e il sole sembra passi
attraverso un fogliame di velluto.
Di muschio e di ginepro il forte odore
stordisce come droga naturale,
lo scampanio di un gregge ed il pastore
vanno verso un pietroso casolare.
Remoto e già sopito è il mio dolore
in quest'immensa pace surreale.
Australia
Oltre l'ala del Jumbo poderoso
sorse dall'infinito, azzurro mare
una macchia di giallo un po' terroso
Era l'Australia, che mi fe' sognare.
E da più basso io guardavo ansioso
i monti brulli e le pianure amare,
tanti eucalipti e l'yacaranda ombroso
ed i mille color di piante rare.
Poi qualche casa, e quando fui disceso
sentii una vampa ardente di calore,
era Natale, e l'albero era acceso,
ma qui tutto è un trionfo di colore.
Il cielo è di cristallo e sembra teso
su nell'immenso, e te ne dà il sapore.
Liguria
L'onda si avventa spumeggiante e bianca
Contro lo scoglio, con furor pugnace,
poi si ritira, come piovra stanca
che cerchi negli abissi la sua pace.
Sorge dal mar la terra e poi si arranca
su verso il cielo, che è color di brace,
e di pini e di viti essa si ammanta,
ma l'urlo del lavoro ancor non tace.
E tutto è bello e ostile, e dal sudore
terso. La terra, altrove generosa,
qui chiede all'Uomo tutto il suo dolore.
Ma da una fascia il giallo di mimosa,
di basilico e pini il forte odore
e da un caruggio il bacio di una rosa.
Livorno
Chi t’ha lasciata non ti può scordare,
o ribelle città dove son nato,
porta con se l’odore del tuo mare
e del libeccio, becero e screanzato.
I Quattro Mori sembrano aspettare
che il cacciucco alla fin venga portato
e Ferdinando, sopra, sta a guardare
un peschereccio in Darsena ormeggiato.
Le tamerici là, verso l’Ardenza,
piegano al vento le stentate chiome
mentre che il cielo avvampa e muore il giorno.
Un pescator riavvolge la sua lenza,
una nave che parte, ed urla come
non volesse lasciarti, o mia Livorno. |