IL POETA E I LUOGHI |
Paene insularum, Sirmio, insularumque Paene insularum, Sirmio, insularumque ocelle, quascumque in liquentibus stagnis marique vasto fert uterque Neptunus, quam te libenter quamque laetus inviso, vix mi ipse credens Thyniam atque Bithynos liquisse campos et videre te in tuto. O quid solutis est beatius curis, cum mens onus reponit, ac peregrino labore fessi venimus larem ad nostrum desideratoque acquiescimus lecto? Hoc est, quod unumst pro laboribus tantis. Salve, o venusta Sirmio, atque ero gaude: gaudete vosque, o Lydiae lacus undae: ridete, quidquid est domi cachinnorum. (Catullo, Carmina, XXXI) | O Sirmione, delle penisole e delle isole O Sirmione, delle penisole e delle isole pupilla, quante nei limpidi laghi e nel vasto mare l'uno e l'altro Nettuno regge, quanto volentieri e gioioso ti rivedo! Stento a credere d'aver abbandonato la Tinia e i campi bitini e sereno poterti rivedere. O che c'è di più dolce se, liberi dagli affanni, quando l'animo depone il suo peso, e stanchi per il faticoso viaggio, giungiamo alla nostra casa e possiamo riposare nel sospirato letto? Questa è l'unica ricompensa dopo tante fatiche! Salve, bella Sirmione, e fa' festa al tuo padrone; e voi gioite, o lidie onde del lago: ridete, quanti sorrisi siete in casa! (Traduzione di Lorenzo De Ninis) |
Mignon |
| XCIX Non ho dimenticato la nostra casa bianca, piccola ma tranquilla, vicina alla città, con la Pomona di gesso e l'antica Venere dalle membra nude dentro un gramo boschetto e il sole che superbo grondava nella sera e dietro i vetri, ove il suo fascio si frangeva, sembrava, grande occhio aperto nel cielo curioso, contemplare i nostri lunghi e silenziosi pranzi, diffondendo i bei riflessi di cero sulla tovaglia e sulle tende grezze! (Charles Baudelaire; trad. Claudio Rendina) |
Prato La terra s'è velata di tenera leggerezza Come una sposa |
La casa dei doganieri Tu non ricordi la casa dei doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: desolata t'attende dalla sera in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò irrequieto. Libeccio sferza da anni le vecchie mura e il suono del tuo riso non è più lieto: la bussola va impazzita all'avventura e il calcolo dei dadi più non torna. Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria; un filo s'addipana. Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana la casa e in cima al tetto la banderuola affumicata gira senza pietà. Ne tengo un capo; ma tu resti sola né qui respiri nell'oscurità. Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende rara la luce della petroliera! Il varco è qui? (Ripullula il frangente ancora sulla balza che scoscende...) Tu non ricordi la casa di questa mia sera. Ed io non so chi va e chi resta. (Eugenio Montale) |
Trieste Ho attraversata tutta la città. Poi ho salita un'erta, popolosa in principio, in là deserta, chiusa da un muricciolo: un cantuccio in cui solo siedo; e mi pare che dove esso termina termini la città. Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace, con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore; come un amore con gelosia. Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via scopro, se mena all'ingombrata spiaggia, o alla collina cui, sulla sassosa cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa. Intorno circola ad ogni cosa un'aria strana, un'aria tormentosa, l'aria natia. La mia città che in ogni parte è viva, ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita pensosa e schiva. (Umberto Saba) |
Villa chiusa nella campagna romana So d'una villa chiusa e abbandonata da tempo immemorabile, segreta e chiusa come il cuore d'un poeta che viva in solitudine forzata. La circonda una siepe, e par murata, di amaro bosso, e l'ombra alla pineta da tanto più non rompe né più inquieta la ciarliera fontana disseccata. Tanta è la pace in questa intisichita villa che sembra quasi che ogni cosa sia veduta a traverso d'una lente. Solo una ventarola arrugginita in alto, su la torre silenziosa, che gira, gira interminatamente. (Corrado Govoni) |
Settembre a Venezia Già di settembre imbrunano a Venezia i crepuscoli precoci e di gramaglie vestono le pietre. Dardeggia il sole l'ultimo suo raggio sugli ori dei mosaici ed accende fuochi di paglia, effimera bellezza. E cheta, dietro le Procuratìe, sorge intanto la luna. Luci festive ed argentate ridono, van discorrendo trepide e lontane nell'aria fredda e bruna. Io le guardo ammaliato. Forse più tardi mi ricorderò di queste grandi sere che son leste a venire, e più belle, più vive le lor luci, che ora un po' mi disperano (sempre da me così fuori e distanti!) torneranno a brillare nella mia fantasia. E sarà vera e calma felicità la mia. (Vincenzo Cardarelli) |
Litania Genova mia città intera. Geranio. Polveriera. Genova di ferro e aria, mia lavagna, arenaria. Genova città pulita. Brezza e luce in salita. Genova verticale, vertigine, aria, scale. Genova nera e bianca. Cacumine. Distanza. Genova dove non vivo, mio nome, sostantivo. Genova mio rimario. Puerizia. Sillabario. Genova mia tradita, rimorso di tutta la vita. Genova in comitiva. Giubilo. Anima viva. Genova di solitudine, straducole, ebrietudine. Genova di limone. Di specchio. Di cannone. (Giorgio Caproni) |
Venezia Venezia. Silenzio. Il passo di un bimbo scalzo sulle fondamenta empie d'echi il canale. Venezia. Lentezza. Agli angoli dei muri sbocciano alberi e fiori: come se durasse un'intera stagione il viaggio, come se maggio ora li sdipanasse per me. Al pozzo di un campiello il tempo trova un filo d'erba tra i sassi: lega con quello il suo battito all'ala di un colombo, al tonfo dei remi. (Antonia Pozzi) |
Il poeta e la sua città Se dai ponti di Parma il bel mattino scopre campagne azzurre e colli lievi nel mistero delle case distanti, se un giorno d'ombre lunghe e di tremanti pioppi promette il quieto fuoriporta, anche tu che da una giornata morta mi chiami del tuo secolo, deluso, accompagna i miei passi nella lieta vacanza, malinconico poeta della città che chiude la mia vita. Così chiuse la tua nella sopita dolcezza degli intonachi dorati, sotto le altane aperte alle nevose invernate, al brio di nuvolose sere d'autunno ormai rosse di fuochi. è questa la pianura poi che i rochi venditori si sono affievoliti alle spalle nei borghi suburbani in cadenze e richiami più lontani sempre e perduti, e questa la stradetta dove la primavera già ci aspetta. Qui a una svolta di magre gaggìe un ponticello offre il suo corroso muretto, il suo riposo alla prima spossatezza dell'anno. Qui dove non dura gioia o affanno al silenzio delle acque e delle foglie stormenti di continuo sulla via, ombre tenere che si porta via il meriggio arrivato all'improvviso sulla città sospesa nel sorriso del tempo e della gente incamminata. Felice gente di oggi e di ieri che ti porti col passo dove speri di godere più a lungo il fresco sole, gente ignara di mie e sue parole. (Attilio Bertolucci) |
Cimitero di paese Cimitero di paese, che lontani monti col pensoso sorriso della prima neve guardano; dove entrano i vivi nel pallido meriggio come in un amato giardino. Portano i bimbi chiari crisantemi colti alle siepi degli orti: incespicano nei lunghi steli, salendo pei gradini di pietra al cancello. Portano le mamme altri bimbi sul petto, quieti nel sonno, rosei come crisantemi più grandi. Sui tumuli, con le corolle più belle, disegnano croci e parole di pace le mani degli uomini: pure nell'amorosa opera come le mani dei fanciulli alle quali s'intrecciano. Vola dai boschi, a brevi intervalli, un trillo d'uccello e s'ode sopra il fruscio dei passi nel viale bianco. (Antonia Pozzi) |
Liguria È la Liguria una terra leggiadra. Il sasso ardente, l'argilla pulita, s'avvivano di pampini al sole. E' gigante l'ulivo. A primavera appar dovunque la mimosa effimera. Ombra e sole s'alternano per quelle fondi valli che si celano al mare, per le vie lastricate che vanno in su, fra i campi di rose, pozzi e terre spaccate, costeggiando poderi e vigne chiuse. In quell'arida terra il sole striscia sulle pietre come un serpe. Il mare in certi giorni è un giardino fiorito. reca messaggi il vento. Venere torna a nascere ai soffi del maestrale. O chiese di Liguria, come navi disposte a esser varate! O aperti ai venti e all'onde liguri cimiteri! Una rosea tristezza vi colora quando di sera, simile ad un fiore che marcisce, la grande luce si va sfacendo e muore. (Vincenzo Cardarelli) |
Sardegna Sul languido cielo s'incidono, Sardegna, i tuoi monti di ferro. Cielo velato come da un polline malsano, che a guardarlo ci si strugge. Malinconica Circe, è con questo richiamo che trattieni il partente, presso il Limbara nostalgico. Ed è così che il sardo mai tradirà la sua terra fedele. Quando il cisto più odora e per le vie marine, messaggio della vita misteriosa che in te si cela, s'avvicina fidente la pernice, io percorsi, o Sardegna, le tue strade saline di Gallura, la terra d'Orosei, bianca, africana, la Barbagia granitica e selvosa, l'Ogliastra rossa, ed oltre il campidano, le cui donne hanno seni di pietra, mi spinsi a Teulada ove il daino saltellava sui gradini della casa ospitale. Sostai fra gli ombrosi aranceti di Milis. Risalii l'altipiano ventoso, verso Mandas, in compagnia d'un canto di soldato, unica medicina a tanta malinconia. E sul corso d'un fiume assiduo e lieto mi ritrovai fra la tua fiera gente barbaricina, che giù dal Gennargentu, dove fra il bianco granito frondeggiano le querce e l'elce nera, calava un tempo alla pianura fertile e fangosa. Così dal monte al piano m'avventurai, per folti paradisi di selvaggina e terre così sole che a percorrerle qualunque cavalcante è paladino. Ti conobbi dovunque, isola ardente e varia, coi tuoi costumi, i tuoi canti ieratici. E già l'estate lungo gli arsi greti sbiancava l'oleandro, persistendo sui monti un colore indicibile di primavera isolana. E sul tuo suolo vergine affioravano qua e là, sollecite, le prime, rudi reliquie dell'uomo che ti fan grave e cupa in tanta luce. Favoloso viaggio ch'io rifeci in un attimo, allontanandomi nella sera, mentre ormai più non eri che un cielo sognante all'orlo d'una montagna. Terra di vini forti, patria di antichi pastori e di donne calde, fior del Mediterraneo, fiorito al tempo che tutto era chiuso nel nostro mare, tu porti in te il profumo d'un secolo cortese e venturoso. Lo sentii nella grazia del tuo linguaggio, nei venti che respiri. E vidi Pisa, là dove a un tratto sull'alpestre cima due vecchie mura castellane, orrende, rammentano il conte Ugolino. Ma dimmi tu qual nome, se non Roma, fa lampeggiare l'occhio del tuo pastore. (Vincenzo Cardarelli) |
Momento epico Addio, grassa Bologna! e voi di nera Canape nel gran piano ondeggiamenti, E voi pallidi in lunghe file a' venti Pioppi animati da l'estiva sera! Ecco Ferrara l'epica. Leggera La mole estense i merli alza ridenti, E specchiando le nubi auree fuggenti Canta del Po l'ondisona riviera. O terre intorno a gli alti argini sole, Ove pianser l'Eliadi; a voi discende La tenebra odïata, e a me non duole. A me ne l'ombre l'epopea distende Le sue rosse ali, e su 'l mio cuore il sole De le immortali fantasie raccende. (Giosuè Carducci) |
Tardo autunno a Venezia La città più non fluttua come un'esca a captare ogni giorno che s'affacci; ora al tuo sguardo i vitrei palazzi dànno un suono più crudo. E dai giardini penzola l'estate come marionette in mucchio, a testa in giù, estenuate, uccise. Ma dal fondo, da antichi scheletri di foreste, una volontà sale, come se l'Ammiraglio dovesse in una notte raddoppiare le galere nell'Arsenale in veglia a incatramare già la prossima brezza mattutina con una flotta che a forza di remi avanza e empiendo il giorno di pavesi prende il gran vento, raggiante e fatale. (Rainer Maria Rilke, trad. Giacomo Cacciapaglia) |
Addio a Napoli A molti ho stretto la mano, ieri ed oggi, ora a te volgo l'ultimo cenno di saluto, o mia Napoli. - Addio! - felicissima sponda... Nella luce purpurea, che ad oriente risplende, sta il mare fremente, e come uno sposo ti abbraccia, stanno le cupole d'oro delle tue chiese: addio, o Napoli. Ed addio anche a voi, Capri ed Ischia, per sempre. Sui vostri lidi andavo solitario, sognando, quando la tremula acqua cullava il riflesso lunare... Addio, Sorrento! Ecco, sulla tua roccia scintilla la dimora di Tasso: aleggia sul flutto il suo spirito, e mormora, simile a un canto, quando l'onda si eleva e si abbassa. E ti saluto, o montagna dalla duplice cima, nel cui grembo di fuoco brucia eterna la lava. Ahi! io vedo ancora mentre già tutto scomparve, per l'ultima volta il tuo capo. Quando il tempo futuro giorni più oscuri mi porti (presto nell'aere chiaro si formano nere le nuvole), io, a voi ripensando, mi rasserenerò nel ricordo. Come un uomo gioisce, se alla stagione ripensa del suo primo amore, quando per la prima volta strinse nelle sue braccia, tremanti d'amore, l'amata. (C. A. Mayer) - Segnalata da Ida Guarracino - |
Gondola a Santa Lucia Non più le silenti acque della Laguna cullano il tuo fragile scafo; ma le onde canore del mare di Santa Lucia. Ti senti spaesata come un raro gingillo. Non più gli austeri palagi antichi di antichi signori veneziani, tu vedi riflessi sotto la tua chiglia; ma l'alta mole del Vesuvio, la splendida Riviera ove perenne echeggia il canto di Partenope. (Licia Chiarelli) - Segnalata da Ida Guarracino - |
Campane a sera Le campane di Oria Ad occidente il sol si discolora, vien l’ora — de le tenebre. Da gli spiriti mali Signor, guarda i mortali! Oriamo. Le campane di Òsteno Pur noi, pur noi su l’onde moviam da queste solitarie sponde voci profonde. Da gli spiriti mali Signor, guarda i mortali! Le campane di Pùria Pur noi remote ed alte tra le buie montagne odi, Signore. Da gli spiriti mali guarda i mortali! Echi delle valli Oriamo. Tutte le campane Il lume nasce e muore; che riman dei tramonti e de le aurore? Tutto, Signore, tranne l’eterno, al mondo è vano. Echi delle valli è vano. [...] (Antonio Fogazzaro) -Segnalata da Rosalba Anzalone- |