Ora Ora, proprio ora, una ragazza stringe una siringa, ha rubato per poter morire. Viene violata l’innocenza di un bimbo e il colpevole si assolve. Un contadino getta un seme dove è stata tagliata la foresta. Due amanti si avvinghiano e una vita s’accende silenziosa. Una donna vende il suo corpo fingendo di sorridere. Un giovane si crede immortale ma l’assassino è già entrato. Un vinto abbandona la gara scavalcando il parapetto del ponte. Un ragazzo guarda le stelle ha deciso, ci vuole andare. Una madre ascolta spossata il primo pianto di suo figlio. Un villaggio viene abbandonato e chi s’indugia è ucciso. Ora, proprio ora, mentre stai finendo di leggere il mondo è cambiato, e anche tu sei cambiato. L’orologio ha scandito un minuto che non sarà restituito Pensiero fugace Appare come un graffio di luce tra i nembi, quando tempesta s’addensa in tumulto sui monti, danza sulle gocce appese nell’erba e poi muore. Appare come un guizzo di scaglie lucenti sullo stagno ad afferrare una libellula in volo e restano effimeri cerchi che approdan sui sassi. E’ solo un pensiero che passa veloce e rischiara un mio giorno qualunque. tu esisti, e son io il tuo graffio di luce e il tuo guizzo nel sole. Visita a un pensionato Madama Noia e Donna Pigrizia sedute composte sul mio divano tazza’lle labbra, piattino in mano paion sì vive che metton mestizia. L’una mi dice – ora s’inizia languida vita, non le sia strano. L’altra rincara - non s’agiti invano riposo prenda, e stia in letizia. Care vecchiette, vi chiedo perdono, ma’ l seder vostro veloci levate. Vecchio può darsi, ma grullo non sono ben io conosco chi vi ha mandate: madama Morte veloce afferra chi a voi s’affida, e li sotterra. Nel giorno del Ricordo Ero ragazzo e accompagnavo mia madre in quel dimenticato cimitero di periferia Tra la brutta chiesa e il muro della fabbrica una botteguccia di fioraio ricattava i dolenti Nei vialetti sporchi antiche pietre incrinate mentivano ancora sulle virtù sepolte Tra sterpi e resti di lumi salme putrescenti di fiori alte piccionaie per corpi senza più ali Là c’era mio padre Ma io lo visito ogni giorno, portando i fiori appassiti della mia anima. Dove sia il cimitero più non rammento Prima neve Ha reso l’aria più fine di cristallo lucente Avvolge e distacca gli ultimi aghi dei larici ricopre funghi tardivi e fiori imprudenti. Induce il bosco al sonno affretta e rivela i passi di piccole creature celate in caldi recessi Prepara l’anima a godere di piccole cose come il ritorno d’azzurro e guardare sul ramo la mia esistenza in questo universo che come goccia indugia e poi cade bruciando il suo tempo in un unico lampo di sole. Principi incantati Che tu nell’acqua faccia cerchi con sassi scagliati dalla tua mano, donna dalla pensosa faccia, o che tu cerchi tra scagliati rospi improbabili prìncipi da liberar dall’ incanto sulla riva dello stagno, che tutti partiron per la guerra, con elmi di rame e stagno, qui non ritroverai i tuoi perduti princìpi che svendesti all’incanto. Lia In quel limbo tra il buio e l'aurora comando a Crono crudele di ritornare sui passi suoi che tanto feriscono. Questa notte sul noto arenile dei mie sedici anni . cammino con te, sinuosa Lia. Lontano gli amici danzano E le note ci raggiungono chiare Mentre la sabbia si fa talamo nuziale, le alghe serto e unico velo. Sapore di sale, canzone e realtà, La prima, timida, trepida volta. Prima di Lia nessuna, dopo Lia molte E nessuna. Il mio giorno m'attende, reale. Disserro le mani, ma non sono vuote. Ancora brillano tenui Cristalli di sabbia Bagnati di luna Pioggia a Boccadasse Onda che scroscia e frange, Ostro che scivola e fruscia, Schioccolano i sassi e sguscia un gatto tra le barche ed il muro. Gocciole sposano i flutti altre si rompon sul molo sulla spiaggia l'anziano da solo par ancora più curvo e insicuro. Il gozzo ritorna da pesca beccheggiando, padrone dei venti. I gabbiani si gettan radenti dove il flutto s'è fatto più scuro. Prende il vecchio la strada di casa, un sorriso sul volto bagnato - col piccino - questo ha pensato - domani ritorno, che bello il futuro.- L'aggiornamento del Cecco S'i' fosse foco, scrivea lo Cecco che distrugger volea la terra intera. Le su' invettive aggiornar io spera Pur se di lesa maestà i' pecco. S'i' fosse Silvio, chiuderei lo becco Che vergognare fò l'Italia intera S'i' fosse Fede del tigiquattro sera Laverei mia lingua, che fin troppo lecco. Una cosa sol rimane uguale Che pur nei secoli mutar non puote S'i' fosse Mario, ed io son cotale, con le scarselle mie da sempre vuote le donne belle approcciar non vale, che null'altro che l'or reputan dote. Al lago della battaglia Erto il sentiero sull'alpe là dove il Rosa si pavoneggia e nei laghi si specchia. Uno si nomina Della Battaglia. Ma nessuno ricorda chi furon, chi venne di sangue a lordare i prati fioriti, le algide acque, le rocce scolpite dal gelo. Poso lo zaino e m'adagio per riposare dal duro cammino. A Maggio nessuno ancor viene ché neve nasconde il sentiero, io sono solo a guardare il ghiaccio che lotta col sole. Qualcuno mi osserva, lo vedo. L'elmo di cuoio, di ferro la spada arrossata, sul petto una cotta a mano forgiata. Di pelle i calzari e lo scudo rotondo. Gialle le lunghe crine e la barba, gli occhi di acqua e di cielo. -Tu siedi dove io dormo da mille e più anni. Mille e più volte ho visto le nevi Coprire il lago ghiacciato. Lievi le zampe dei camosci mille e più volte sono passate sul mio corpo disfatto. Ho sentito il vento spirare da Nord portando gli odori lontani del mio paese dimenticato, dove i miei figli mi attesero invano e la mia donna fu data ad un altro. Gli Dei ci dissero di andare a combattere genti sconosciute, che gli ori, le donne e le messi eran nostri, così era scritto. Uomo, ora io lo so, tutto è un inganno, che non avete ancora imparato. Gli dei sono falsi e crudeli e le stesse cose dicono a tutti. In loro nome ci spingono a morte, bevono vino, mangiano miele e ridono della nostra stoltezza. Mitico addio Certo, non eri né Venere né Atena Certo, non eri nell'arti d' Eros versata e dotta Certo non eri ricca come Creso Certo, non eri Come Ero di Leandro innamorata. Ora comprendo. Certo, io ero pirla e 'cecato come Polifemo L’addio all’ amico Avanti la chiesa attendo, Ezio, sento il rintocco, Lento, della campana ferale, Vedo, la folla ondeggiare e, Muto, perché, figlio vesti di jeans? Penso, perché moglie vesti di, Nero? sappiamo quant’ è il dolore, Tuo. io ho le vesti per andare al lavoro, Dopo, altri hanno messo l’abito, Scuro, ma tutti abbiamo lo stesso, Velo, sull’ animo nostro, Scosso. La campana ora tace, E’ davvero tempo dei saluti Ma cosa dire alla moglie, al figlio di un amico? Vado in silenzio tra tanti che parlano, piano. Il trionfo di Pippo e Giovanna Quant'è bella la vecchiezza che si fugge eccosì sia! Chi vuol essere nonno, sia di pension non c'è certezza. Quest'è Pippo e la Giovanna vecchi, e l'un è senza li denti. mentre l'altra il tempo inganna coi merletti, e son contenti, 'sti vegliardi un po' dementi sono allegri tuttavia Chi vuol essere nonno, sia di pension non c'è certezza. Paion lieti 'sti vecchietti e son pure innamorati Ma le frasche ed i boschetti dove stettero allupati oramai si son scordati non san più che cosa sia. Chi vuol essere nonno, sia di pension non c'è certezza. Le nonnine anche hanno caro dai nonnetti esser amate: lor quattrin fan buon riparo dalle banche e le lor rate ché lo mutuo e le derrate fan paura, mamma mia. Chi vuol essere nonno, sia di pension non c'è certezza. Pippo dice, ed è un po' inquieto al suo coso un poco alieno: Quando io sono ebbro e lieto che di voglia sembro pieno, se non puòi star ritto, almeno fai pipì, per cortesia. Chi vuol essere nonno, sia di pension non c'è certezza. Folla vien drieto a costoro ciò che han, d'altri diventa. E che giova aver tesoro, s'altri poi non si contenta? Truffator pietà non senta e che gli or si porti via. Chi vuol essere nonno, sia di pension non c'è certezza. Ciascun apra ben gli orecchi: di doman nessun si paschi; oggi siàn, nonnine e vecchi, lieti ognun, femmine e maschi; ogni tristo pensier caschi; facciam festa tuttavia. Chi vuol essere nonno, sia di pension non c'è certezza. Or vi vo' tutti esultanti: c'è Viagra, evviva Amore. Ciascun fotta, e siano tanti a rinverdir l'antiche ore! E s'infarto prende il core quel c'ha esser, convien che sia Chi vuol esser nonno, sia: di pension non c'è certezza. Al lago del Miage La neve portata dai venti batte dura sul ghiaccio antico. Tra la nebbia e i crepacci s’accumula e s’alza e abbraccia il mondo di gelo. Per lustri e secoli scivola lenta nei valloni con forza. La roccia incide e spacca e sospinge i massi come mandrie di strani camosci possenti. Giunge al fronte cadendo a schegge, a brani, a costoni e tra le braccia di madre acqua ritorna per morire nel sole in un ultimo fremito di gocce lucenti. Quando ti specchi in quell’acqua grigia tra rocce e larici torti ricorda che vedi il riflesso di passati millenni. Il Lago Blu di Verra Piccolo, antico lago bambino. Forse anche tu sogni. Oggi che Tramontana scende dal ghiaccio di Verra, le tue onde alzi sopra sassi e rododendri e la tua voce s’ode flebile che nemmeno i corvi infreddoliti spaventi. Il tuo colore di zaffiro ed erbe hai mutato in grigio minaccioso. Vuoi essere Oceano in questa valle. Piccolo lago che dormi tra la morena ed il piano, Oceano è lontano. I suoi flutti dividono i popoli. Sotto le sue acque giacciono resti di civiltà lontane, mostri tentacolati s’agitano e sirene e gorghi leggendari abbracciano e avvolgono per sempre atterriti marinai e mille Titanic sono monumento all’ umana fallibilità Le tue acque pure abbeverano marmotte e camosci e affratellano i camminatori. Sui tuoi flutti navigano frutti di larice e piccoli rami rinsecchiti. Sotto le tue acque giacciono lattine e bottiglie, monumento all’umana imbecillità | Il sasso ed il sogno Sono i sogni dell’uomo come sassi sulla spiaggia d’inverno. Uno ne coglie il ragazzo, sicuro lo vuol far volare dove nemmeno i gabbiani osano andare Poi con mossa decisa del braccio e del polso, piatto lo scaglia che rotei, verso il largo, veloce. Vola il sasso sull’ acqua e rimbalza respinto ogni volta un poco più basso perde vigore, vola meno lontano. Quando l’ultimo schiaffo del flutto l’avvolge e lo consegna all’abisso, vinto, cala sul fondo sabbioso delle tante illusioni annegate. A volte, un' onda ancora lo posa sul bagnasciuga, dove tra molti, un giovane illuso ancora lo trova. Lui lo potrà far volare dove solo anime eccelse osarono andareAvevo un amico Gli occhi di castagno vigili e dolci, correvi con me bambino, amico, fratello maggiore morbido gioco consolatore Per me ragazzo lento il tempo scorreva e studiavo, tu in attesa della carezza accucciato ai mie piedi, invecchiato Uomo la vita mi allontanò, di rado tornavo. tu attendevi paziente e mi davi, dopo settimane festoso il tuo amore di cane. Un Marzo arrivai, ancora ne rammento il dolore, ti trascinasti smagrito soffrendo giù per la rampa nella mia mano mettesti la zampa Il tuo cuore aggrappato alla vita aspettando il ritorno lì s’è fermato. Ma non hai voluto davvero mancare l’ultimo gesto d’amore prima d’andare. E se qualcuno afferma che per te non c’è paradiso, perché un' anima non ti hanno dato, che bruci in eterno dove certo i cani non sono, all’inferno. Correrò sulle onde Correrò sulle onde del piacere - miracolo o illusione?- e poi senza fretta approderò - come nocchiero giunge alla terra - al sublime dove la tua mano - inseguendo la stella polare – risveglia Impudica sapiente - dopo il sonno dei sensi - esplora e toglie ogni altro senso - Eros tutto pretende- Marea che s’innalza verso la luna - berrò flutti di luce Spada e fodero dardo infocato e faretra - dolci alle labbra - uccidimi impietoso tra liquido umore - un sangue di altro colore - Per lei Conoscevo una donna minuta d’acciaio umile con unghie da fiera affilate sulle pietre del destino Raccontava le storie quelle sue vere di gioie e di tristezze di un unico difficile amore di amati luoghi lontani -che incanto ascoltare- di guerre e vili nemici di morti sfiorate Conosco una donna minuta e piegata senza più luce negli occhi senza speranze e fra i ricordi uno soltanto rimane -che pena ascoltare- di quell' unico seme dal suo grembo germogliato che pure le è accanto che non vorrebbe vederla per serbare l’immagine dell’antica bellezza La morte ancora la sfiora e non la raccoglie. La morte, tutti lo sanno è davvero crudele Da Cullodeen Straziato e trafitto dalle marce orgogliose di venti cornamuse Tra echi di pietra e ferro colori grigi e verdi e rossi di tartan estinti e proibiti. Nel torbido fossato sotto la torre spezzata danzano gli spettri dei clan annientati dove un principe vile fuggì la morte gloriosa vestito da donna La stagione che non vorrei Ecco l’estate dei sensi sudati dei giochi sempre roventi di segreti esplorati. Noi solo il piacere seguiamo Ci attrae e ci avvince come animali innocenti. Ecco l’autunno dell’amicizia di complici amplessi di confidenza e mestizia. Di sole e di nebbia di piogge e tempeste D’esser in due per esser se stessi. Ecco l’inverno arrivato col gelo Buio è il giorno eppur breve tutto s’avvolge in un velo perché più amici non siamo e neppure amanti nascosti. Ora l’amore è maturo, ma c’è la neve Ipocrisia Gelo di nordico inverno che ghiaccia parole acuminate intinte nei veleni del tempo. Indifferenza di cose remote come avvenissero dall’ altra parte del mondo, là, nella camera accanto, oltre gli oceani di rancore. Seduta sul cumulo di inutili bugie, appoggiata ad un polveroso cuscino di abitudini e avvolta in un sudario d’ipocrita educazione giace corrotta la salma di quello che fu un amore. Cento giorni Ridi parli e prendi il bicchiere. Ti specchi nell'ambra e mi guardi. Ascolto sorrido e gioco col vino. Ti guardo, tra tutte ancora ti voglio. Per cento notti ti ho avuto. Per cento giorni ho atteso la notte Per cento volte solo all'alba è giunto il riposo. Tu ora sai, ora io so. le luci gli odori i sapori le voci di tutti gli estranei non hanno corpo e sostanza. Rido parlo e prendo il bicchiere mi specchio nell'ambra e ti guardo. Ascolti sorridi e giochi col vino Mi guardi, tra tutti ancora mi vuoi. Solo un'ora, ora anche meno. C'è un orologio che avanza spietato. Ora sono minuti, ora anche meno. Lasciamo quel mondo indifferente. Lasciamo il nostro mondo di cento giorni, lasciamo ad altri i nostri corpi teniamo soltanto i nostri ricordi nel posto più nostro e segreto. Usciamo nel buio Io vado, tu vai. Voi che sapete Voi che sapete cosa è l’amore e lo cantate in prosa e’n rima, il pensier vostro alfin mi dite. E’ quando due corpi, come calamite s’attraggon e vanno ad esplorare ogni sentiero che al piacer conduce? E’ quando, se lontani, non v’è luce e il tempo dell’incontro che verrà par lungo e un’ora ne val cento? Vere son tutte, certo, ma or sento di rivelarvi ciò che non sapete. Il vero amore è un’ardua via che parte dall’onde della gelosia i cui frangenti superar bisogna. Indi le alte vette del rispetto, di tolleranza, cura e affetto occorre salir con devozione, per arrivar infine alla pianura. Forse già vecchio sarai, ma la paura lontano fuggirà siccome serpe dall’aquila cacciata nella tana. ché l’tuo autunno sarà come primavera e l’aurora ti parrà, anche se è sera. La ballata di Ser Liutprando Cavalier era Liutprando dal gran fallo smisurato, che quel dì ei stava usando con l’amata, spensierato. Ma li mori di soppiatto traversaron le frontiere. Cento vergini d’un tratto furon fatte prigioniere. “Cento vergini? Che strano” fa re Artù molt’accigliato -Se ’l mio conto non è vano nei confini del mio stato pur mettendo li conventi, le neonate in ospedale, le bruttone senza denti, forse un par è più reale. Tuttavia noi non possiamo lasciar fare al Saladino. Di ‘stò passo tal marrano la cadrega e’l seggiolino ruberà sotto ‘l mio naso. Di principio è la questione, e decido, in questo caso che sia dura la reazione. Qui ci vuole ser Liutprando! Sia portato al mio cospetto già munito del suo brando e di guerra in pieno assetto!- Ser Liutprando fu cercato e raggiunto sul più bello ché la dama avea agguantato, voi pensate?.. Si, è ver, quello! - Ser Liutprando, a questi mori porterai lo mio messaggio: se qui vieni, tu qui muori non val scusa né coraggio! Al ritorno, in guiderdone del servizio e del periglio te n’avrai, prode campione, da diporto un bel naviglio - Va Liutprando sul destriero va li mori ad agguantar. Taglia, infilza e tutt’intiero il drappello fa squagliar. Ma la pugna fu cruenta, chi le piglia pur le dà. A narrar la lingua stenta, ma purtroppo s’ha da fa. Con la spada un tapin nero che già stava per schiattar, di Liutprando tutto intero riuscì ‘l fallo ad asportar! Or si veda, qual disdetta: Le due vergin ritornaron, lo re Artù s’ebbe vendetta. Solo i conti non tornaron a Liutprando, il più meschino. Viril asta fu tagliata ma la nave ebbe il tapino, possiam dir, ’na gran Fregata! Dei bivi e della Saggezza Quanti bivi ho superato con leggerezza consapevolmente tra i tormenti. Quante volte ho sbagliato prendendo il cammino più facile più razionale meno doloroso. Devo lasciarti, ma non vorrei Questo lavoro non ha futuro Là c’è la gioia, qui il dovere. Svolta, svolta, svolta. I bivi arrivano così veloci che non puoi pensare. Ho fatto la maggior parte del mio percorso o forse tutto, non so. Ora la Saggezza sale al mio fianco bastarda megera e mi dice di volgermi a guardare una vecchia mappa spiegazzata. con segnate tutte le mie svolte. No, è tempo di fermare la corsa e assaporare i frutti aspri e velenosi degli errori. Diana che corre Corri Diana sotto al sole Sciogli le grida gioiose Racconta all’erba e alla sabbia Racconta all’albero e al fiume Perché sei felice. L’erba gentile si piega La sabbia si lascia segnare L’albero china i rami e t’accarezzano le foglie Il fiume scorre e risponde acciottolando tra i massi Corri Diana a gara con Luna che si alza tra i monti e t’insegna ruffiana la via della mia casa. Quando la pallida Dea si nasconde Dormi Diana spossata d’amore Dormi Diana con le stelle Dormi Diana con la brezza Dormi Diana nella mente Dove si tengono i sogni Dove il tuo viso di bimba mi guarda con occhi di donna Mentre corri, Diana lontano da me. Se questo è un mondo Se questo è un mondo dove svendono le anime la giustizia l’onestà la salute i corpi la fede il voto delle folle Se questo è un mondo dove se non spendi sei nulla non sei degno di guarire e di vivere solo di essere sepolto o bruciato. Se questo è un mondo dove bambino sei venduto ucciso per un dio liquido nero la vendetta di una madre dare i ricambi per il corpo di Creso. Se questo è un mondo dove una siringa un fumo una pillola una polvere bianca donano mortale felicità impune ricchezza al tuo assassino. Se questo è un mondo dove i ministri di un Dio istigano a sgozzare agnelli umani benedicono ricchezze sfrontate promettono falsi paradisi corrompono corpi innocenti di bimbi. Se questo è il mondo, e se esiste un mondo ove non regnano Sapiens, ma tigri e leoni e lupi e aquile e iene e naja e crotali e squali e orche selvagge, là voglio recarmi, dove la violenza è natura è fame, è perpetuare la specie non mai vile crudeltà o sete di ricchezze. Perché è l’uomo l’unica belva feroce. |