Il Paradiso perduto
Il pullman entrando a Palermo rallentava la sua corsa e, tra una
fermata e l'altra, raggiungeva il capolinea dove, pian piano
manovrando, il conducente l'arrestava in mezzo agli altri cassoni di
ferro, tutti eleganti e convenienti, per la verità, perché dotati di
comfort e perché, celeri, permettono di risparmiare tempo e denaro.
Piazza stazione, che fa da capolinea, è un punto di gran confusione.
Gente che arriva, che parte, che piange. Gente che ti si appiccica
addosso chiedendoti di comprare di tutto e, tutto, sembra essere
predisposto agli incontri, alle occasioni. Palermo è Palermo.
Misteriosa e affascinante come può essere un'amante. Amabile e
religiosa come può essere l'icona di S. Rosalia. Palermo con la sua
povertà, col suo traffico caotico, con i suoi cunicoli turbolenti, il
suo vivere di espedienti e l'unica ricchezza per tirare avanti, il
pagherò. Palermo, ormai, città multietnica, non finirà mai di stupire
con la sua arte variegata, la musica, il teatro. La genialità di
Palermo si nasconde, tuttavia, tra la povera gente che inventa di tutto
per arrancare a sopravvivere. Ah! Se si avesse l'opportunità di
coglierla, questa genialità, educarla alla vita, plasmarla creando
servizi a sostegno dei giovani demotivati, naturalmente, prima che
s'inoltrino per vicoli bui o strade serpeggianti e senza uscita. Ah! Se
si riuscisse, attorno a loro, a tessere la rete intrigante della
conoscenza e del perché di cause ed effetti in un rapporto di fiduciosa
e leale armonia che tutto comprende dall'arte alla scienza, dalla
politica alla religione, dalla cultura ai rapporti interpersonali,
raccoglieremmo a tempo debito dei geni, perché è tra gli ultimi, tra
questi giovani che la genialità si nasconde, come le pepite d'oro
cercate pazientemente dai cercatori d'oro e trovate in mezzo al fango
per poi, pulite e forgiate da mani esperte, trarne gioielli stimati e
apprezzati in tutto il globo. Motivare i giovani sbandati, suscitare,
loro, curiosità e il fascino della scoperta, della bellezza che regala
armonia e dell'interessante incognita potrebbe apparire cosa ardua e
difficile, ma non impossibile in personaggi dove, invero, la necessità
aguzza l'ingegno. Se pensiamo ai miliardi di euro che si vaporizzano
nei giochi di borsa e al nascosto che grava sulle entrate dello stato e
di conseguenza sulla povera gente che lavora con dedizione senza sapere
o avere la capacità di imbrogliare e altro ancora, il gioco diventa
conveniente perché educhiamo alla vita. In pratica si tratterebbe di
spostare questa potenziale genialità che scaturisce dalla necessità
evolutiva del giovane e dalle ingiustizie sociali, in altri campi che
consentono di far lievitare genialità formando "l'uomo" del quale
l'occidente o l'intero pianeta ha più che mai bisogno. Sceso dal
pullman recuperai dalla sua pancia sottostante, il borsone e mi
affrettai ad entrare presso l'ufficio della "Segesta Autonlinee per
informarmi a che ora sarebbe partito il pullman per Siracusa e fare il
biglietto. Fatto il biglietto, che mi avrebbe condotto a Siracusa,
lasciai il borsone in custodia all'impiegata e uscii. Il Pullman
partiva alle ore 17:00. Guardai l'orologio, avevo più di un'ora e mezza
di attesa. Decisi allora di andare un po' in giro per la città, ma non
prima di assaporare il solito gelato al cream caramel di cui vado
ghiotto. M'incamminai tra l'indifferenza della gente verso la stazione
ferroviaria perché è all'interno di essa che il Mac Donald prospera.
Giunto al banco una ragazza carina e gentile nei movimenti mi chiese
cosa desiderassi. Risposi con un sorriso:
<<Gentilmente, vorrebbe darmi una coppetta di gelato al cream caramel?>>
La ragazza, rimasta contagiata, annuì con un sorriso ed io incoraggiato
aggiunsi: <<Vado matto per il cream caramel.>>
<<Non sia tirchia.>>
<<Lo faccia ricco, ben caramellato perché voglio gustarmi il gelato
fino in fondo.>> Ritornò da me dopo un paio di minuti tutta
elettrizzata e avvicinatasi di più al banco, quasi a sporgersi,
sottovoce, mi disse:
<<La sua coppa di gelato l'ho fatta ricca di cream caramel, ma non se
ne faccia accorgere, si metta a sedere in quell'angolino laggiù in
fondo il locale.>>
Ci sorridemmo ancora e andai a sedere nel posto indicatomi. Gustai quel
gelato più del solito ripensando alla nostra complicità, tutta
racchiusa in quei piacevoli sorrisi che mossi dal piacere di gustare un
gelato e dalla trasgressione, mi esaltarono i sensi e m'invitavano a
conoscerci meglio. Pensieri… , solo pensieri. Pensieri che fanno, sì,
parte della vita naturale dell'uomo, ma che credevo fossero affogati in
fondo all'oceano. Evidentemente, mi dissi, sono ancora saturi d'aria e
ritornano di tanto in tanto a galleggiare. Provai vergogna e uscii dal
locale salutando la ragazza da lontano con la palma della mano. Lei
sorrise, alzò il braccio e, fingendo di aggiustarsi i capelli, mosse le
dita della mano.
Ero appena uscito dalla stazione e stavo per confondermi tra la folla,
quando sentii gridare:
<<Signore!>>
<<Signore!>>
<<Signore, aspetti!>>
Mi fermai. Mi voltai a guardare. Mi correva dietro una ragazza che
riconobbi essere la ragazza che avevo appena incrociato, nella più
totale indifferenza, all'uscita del Mac Donald.
La osservai mentre, ansimante, correva verso di me. Era sporca. I
capelli, color biondo paglierino, erano tutti arruffati e la veste, se
veste poteva chiamarsi, era lunga, sporca, scolorita e stracciata.
Rimasi in posizione di ascolto con la testa abbassata e, lei, con voce
dolce, quasi pietosa mi disse:
<<Signore, è da due giorni che non mangio! Sono entrata da Mac Donald
perché volevo comprarmi un panino ma, siccome, mi mancavano 10
centesimi, mi hanno cacciata fuori.>>
Per la seconda volta, provai vergogna di me stesso. Poi, come se avesse
intuito il mio disagio, riprese:
<<Signore, so di non essere bella. Ho pure i bubboni sul viso, sono
tossicodipendente, ho l'aids e sono tutta sporca. La prego mi dia, lei,
10 cent. perché io possa mangiare.>> Allora alzai la testa e la
guardai. I miei occhi incontrano i suoi per la prima volta. Erano
azzurri, ma di un azzurro, quasi cangiante, come il mare e il cielo. In
quell'attimo le lessi l'anima e mosso non dalla pietà, ma dall'amore
indulgente le donai 10 euro. Mi disse, ancora:
<<Signore, sia gentile, mi accompagni perché con lei vicino mi
lasceranno stare.>>
<<Si, risposi con tono fermo.>>
Entrai con lei ignaro di cosa fosse accaduto in precedenza. Alcuni tra
i presenti si voltarono a guardare e la ragazza del bancone, dapprima
sorridente, non mi degnò di uno sguardo. Comprò un panino con
hamburger, delle patatine fritte e una coccola. Scegliemmo un tavolo e,
sedutomi di fronte a lei, la guardai mangiare con molto appetito.
Finito di mangiare si alzò, si avvicinò al bancone adiacente e comprò
una pizza a taglio. Quando ritornò si riprese il bicchiere con la
cocacola rimasta e, sorseggiandola, mi disse:
<<mangerò più tardi, la pizza.>>
Aggiunse: <<Lei non ha aperto bocca, ma io capisco ... e le assicuro
che il suo silenzio è andato più in profondità di qualsiasi discorso.>>
<<Mi chiamo Emma, ho 23 anni e sono di Brescia.>>
<<Non dissi nulla.>>
Usciti fuori della stazione, mi ringraziò ancora, ma prima di
lasciarla, tristemente bastonato, le dissi:
<<Stai attenta.>> Poi, turbato, mi persi tra la folla.
Avrei voluto dirle:
<<Si, è vero, hai i bubboni sul viso, ma sei ugualmente bella.>>
<<La tua anima è bella. >>
<<E' luminosa.>>
<<E' delicata. Non sporcarla come hai sporcato il suo rivestimento,
abbine cura.>>
<<Ah! Tu non sai, ma l'anima è affidata, in espiazione, al tempo e
custodisce in se un grande mistero. In un attimo di profonda
meditazione l'anima tua mi inebriò di poesia e mi parlò delle tue
frustrazioni, delle tue paure, delle tue incomprensioni e "io" ti vidi
adolescente e casta. Lei stessa, allora, quando le sussurravi: io cerco
una terra bella, nobile, più varia, era inebriata dalla tiepida
dolcezza dei tuoi sogni antichi e dall'estasi che l'amore, solo l'amore
sa dare. Soffrì, l'anima, quando, per la prima volta, vinta da un
briciolo d'amore per il tuo lui, incurante degli effetti devastanti,
gli cadesti sul petto cercando la sua bocca e lasciandoti depredare del
tuo paradiso "vero amore" che unisce e fortifica. Perché, oggi, si è
trascinati ad amare, amare follemente, senza vedere ciò che si ama?
Perché …? Perché vedere è comprendere e comprendere… Ah! Quanta fatica
costa comprendere. Oggi, amare è come inebriarsi di vino, così da non
sapere più che cosa si beve. Si beve giorno e notte, oggi. I tuoi
occhi, allora, rapivano l'anima e prestavano le ali al tuo sogno. Sogno
ingannevole che ti mostrava, diverse, le persone da come erano. Ora,
vivi in fondo al mio cuore, nei miei occhi. Oh! Gli occhi. Tutto
l'universo è contenuto negli occhi perché essi, per prima, videro le
cose create. Videro le foreste e gli oceani, gli uomini e le bestie, il
sorgere del sole, i tramonti e le stelle. Tutto, essi videro e
continuano a vedere incamerando ogni cosa. Negli occhi c'è l'anima; c'è
l'essere umano che pensa, che ama, che ride, che soffre. Ah! Gli occhi
sono lo specchio dell'anima. Guardate gli occhi acqua marina di lei,
sono profondi come il mare, mutevoli come il cielo, delicati come una
gentile brezza, armoniosi come la musica, dolci come i baci. E' l'anima
che li colora e li anima. Si, l'anima ha il colore dello sguardo, vera
rivelatrice delle sofferenze umane. Gli occhi portano in se i sogni di
una vita vissuta in un tempo apparente e meccanicistico. Essi sono vere
telecamere che contengono il mondo, il colore, il movimento, l'arte,
tutto ciò che è bello e tutto ciò che è brutto e lo traducono in
pensiero, in idee, in arte, in musica. Il mio cuore palpita e il mio
corpo freme dal desiderio d'immergersi in quel profondo azzurro mare.
Oh! Come vorrei starle vicino, ardente e tormentato, sapendo che lei
presto dovrà morire, cogliere vorrei la sua brevissima vita con una
inesprimibile carezza.>>
Dopo aver fatto un largo giro ritornai a piazza stazione.
Guardai l'orologio: <<Erano le 16:45>>
Il pullman era già lì, in attesa che i passeggeri, diretti a Siracusa,
vi salissero. Allora, recuperai il borsone che avevo lasciato in
custodia presso l'agenzia, lo deposi nel bagagliaio e salii sul
pullman. Alle 17:00 il pullman partì puntuale.
Ricordi di un adolescente
Dopo cinque anni, oggi, ho rivisto Sofia. Un caso. Un piacevole ma,
sfortunato incontro. Fugace attimo, fatto di sguardi, di sorrisi, di
svenevolezze, di baci frettolosi e di promesse, visto che, io, scendevo
dal bus, mentre lei, di corsa, si approntava, al sopraggiungere del
suo, a salirvi. Rivedere Sofia è stato un ripercorrere i tempi passati,
quando l'adolescenza irrequieta infiammava l'anima rendendoci, agli
occhi della gente, degli irresponsabili.
Allora, i miei amici, Danilo e Sofia B., abitavano in uno dei tanti
residence di Siracusa. Danilo aveva 15 anni, la mia stessa età. Egli
era mio compagno di scuola. Sofia, invece, era più piccola di un anno.
Loro vivevano con la madre perché, il padre, medico, chissà per quali
ragioni, si era separato da sua moglie lasciandola debole e indifesa.
Danilo ed io, studiavamo insieme, di solito, a casa sua. La signora B
assumeva, nei miei confronti, lo stesso tono forte ma, sicuro,
protettivo e la stessa premura, che dedicava ai suoi figli. Questo
calore, che penetrava nelle mie ossa e nell'anima, mi faceva sentire
come se fossi a casa mia. A volte, vedevo la signora tristemente
abbandonata a se stessa. La vedevo affannarsi, disperarsi e, questo, mi
dispiaceva assai, soprattutto, per i miei amici: Sofia, perché era
molto tenera e affettuosa. Danilo, perché diventava, sempre più,
taciturno. I genitori dovrebbero essere più responsabili verso i loro
figli. Dovrebbero essere, specchio, sul quale, i figli, possono
ammirarsi e cogliere il rapporto armonioso di due persone che si
vogliono bene e si rispettano, anche, nella diversità delle opinioni e
nelle difficoltà che la vita presenta. Dopo la separazione dal marito,
la signora, voleva ritornare nella sua Puglia, ma temeva che i figli
avessero difficoltà ad inserirsi nel nuovo tessuto sociale. In verità,
ho sempre intuito che, in cuor suo, lei, sperasse in un ritorno del
padre dei suoi figli, che, indubbiamente, amava e, del quale subiva
l'assenza. Il tempo trascorreva nella disarmonia più completa e non
cedeva spazio ai frutti, tanto sperati dalla signora che, certamente,
le rimanevano attaccati e le marcivano nell'anima trascinandola
all'esasperazione più nera. Un bel giorno, mossi dal vero desiderio di
cambiamento, decisero di andare a trascorrere una vacanza,
l'equivalente di un periodo di prova, dalla nonna che viveva in Puglia.
Ero triste, quel giorno, per la loro partenza inaspettata, improvvisa.
Una settimana prima, eravamo insieme a giocare a girovagare per la
città con la bici. Purtroppo, presi freddo quel giorno e l'influenza mi
tenne a letto. Quando mi ripresi, la sorpresa: << Partiti >>.
I giorni, le settimane, passavano velocemente, ed io aspettavo,
aspettavo con ansia che mi scrivessero o, quantomeno, mi facessero
pervenire l'indirizzo al quale scrivere. Finalmente, un giorno,
rientrando a casa dalla scuola, dalle mani di mia madre ricevetti la
loro lettera tanto attesa.
Era Sofia a scrivere. Mi scriveva dei suoi problemi, delle sue
incomprensioni con i genitori, delle sue cose. Mi vergognavo. Perché,
mi accorgevo, per la prima volta e con grande meraviglia, che le
ragazze maturano molto prima dei ragazzi. Così, fortemente emozionato,
trasferivo, ogni sera, nel mio diario le più profonde sensazioni, i
miei piccoli segreti e le riflessioni, d'ogni giorno, che rafforzavano
la nostra amicizia, la cui fantasia espressiva e coinvolgente, faceva,
il mio diario, complice di tante assurde ma piacevoli dolcezze. Queste
cose le confidavo al mio diario, mai aperto o letto ad alcuno, tanto
meno a Sofia.
Rivederla, quindi, dopo tanti anni e, per giunta, già fatta donna, i
ricordi mi bagnarono l'anima di gioie remote, molte vagheggiate, altre
vissute, tantissime perdute.
Adolescenza
adolescenza
dall'anima,
un brivido vitale m'assale
e m'incatena fortemente a te.
Tu vivi nel mio cuore
libera,
sacra
assieme ad un buffo volto di bimba
che ora guardo
rapito come da un sogno,
quasi vicino ad una realtà misteriosa.
Sofia, quando ti vidi per la prima volta, avevi, appena, sette anni.
Quella domenica d'agosto indossavi un abitino bianco, molto fresco e
merlettato.
Allora, m' apparisti così luminosa che a stento riuscivo a dominare i
battiti del mio cuore. Certamente, il bianco ti dona molto. Vedendoti
abbronzata al punto giusto mi sono, talmente, emozionato che avevo
quasi paura a starti affianco. Tu, anche, apparivi emozionata, quando
siamo rimasti soli. Grazie ai nostri amici e a Danilo, che preferirono
il gelato alla nostra compagnia, abbiamo fatto amicizia e ci siamo
piaciuti, un sacco. Quanta strada abbiamo fatto quella domenica, mai,
c'eravamo allontanati tanto. Poi, presi dalla paura, perché le strade
di periferia, la domenica, sono, quasi, sempre deserte o poco
frequentate, siamo tornati indietro. Questa adrenalina ha rafforzato,
in noi, il desiderio di crescere e stare sempre insieme.
Siamo cresciuti bene insieme, sino all'amarezza per la tua partenza
improvvisa.
Ti sogno. Nel mio sogno delizioso mi sei sempre accanto, gioiosa e, al
risveglio, mi riaffiora nella mente la cantilena che tu mi ripetevi,
quando stavamo giorni senza vederci. Essa diceva così:
Il mio amore è come il canto
d' un bellissimo uccellin
che saltando tutto il dì
se ne và di qua e di là,
cosicché,
io gli domando:
<< Il mio amore come sta? >>
Questo ed altro, vado pensando. Tuttavia, mi rassereno perché se hai
acquisito nuovi amici, significa che ti trovi bene nella tua nuova casa
e, Io, sono contento. Da quando sei partita, tre mesi fa, solo oggi
ricevo la tua lettera. Meglio, così avrò più cose da raccontare al mio
diario. Adesso, sto sottraendo un po' di tempo al riposo notturno,
tanto, domani è domenica e il riposo è d'obbligo. Ha ragione mia madre,
quando dice, che la notte mette le ali alla fantasia. Si, perché, essa,
scende silenziosa sulle case, sugli uomini e acquieta l'anima. Mio
padre, invece, non vede l'ora che io spengo la luce. Troppo consumo, in
tempi difficili, non va bene e, poi, non è educativo tenere i figli
alzati sino a tarda sera, dice lui.
- Ti sei mai chiesto perché Gesù è nato di notte e non di giorno?
- Perché la notte è magica, mentre, il giorno, è caotico,dirai.
Penso, sia proprio così. Se Gesù fosse nato di giorno, nessuno, penso,
avrebbe assaporato la gioia e la magnificenza dell'evento grandioso. La
gente, troppo indaffarata, non sarebbe accorsa, in massa, a visitarlo.
Oggi, che navighiamo nell'indifferenza, tutti i giorni, sono un
percorrere interminabili labirinti popolati di povera gente che soffre
e vive nell'emarginazione, nella solitudine più nera. Per far tacere la
pancia ci si arrangia; ma l'amarezza per il buio dell'anima, non si può
farla tacere. Essa, è, dentro di noi, sempre, sino al riposo delle
membra, stanche, dell'iter giornaliero.
Sono pochi, pochissime, le persone, che si soffermano ad ascoltare i
gemiti del loro cuore. La gente corre sempre, più veloce per arrivare
alla conquista della valle incantata, tristemente appariscente, come il
risultato della cura meticolosa dell'immagine, dell'apparire e, qui,
inevitabilmente inghiottita dall'indifferenza, si disperde nel nulla.
Ecco, perché Gesù è nato di notte!
La notte, come una dolce carezza annulla i sensi e ci avvolge nel
tepore domestico, specie, davanti ad un camino o attorno ad un
braciere.
La notte, unisce, rende la gente più disponibile all'amicizia, al
dialogo, al confronto, alla riflessione, anche se fuori è tempestosa e
buia.
Essa è stata creata per farci riposare, meditare, sognare.
Da quando sei partita, qui, è cambiato tutto.
- Li ricordi, i nostri bellissimi cani: Lilli, Zanna, Pippo e Bianchina?
Bé, ora, a parte Bianchina, ci sono nuovi cani: Brago, Yuri, Fulmine,
Crissy. Lilly e Pippo, sono stati presi e portati al canile, mentre,
Zanna è morta in maniera tragica. Forse è stata avvelenata. Io le ero
accanto, quando è morta.
Non sono cambiati, sai, solo i cani ma, anche, la nostra bellissima
montagnetta.
- Li ricordi, i grandiosi momenti di gioia trascorsi insieme, e le
interminabili avventure, nelle quali, venivano coinvolte,
inspiegabilmente, anche i nostri genitori?
- Le nostre complicità, li ricordi?
Ricordo, quel giorno, sopra la montagnetta. Allora, i grandi, ci
avevano incolpato di aver legato Zanna su in cima, e noi a piangere, a
gridare, che non eravamo stati noi.
- Che macello!
Quella volta, è intervenuta la Polizia perché un ragazzo si era fatto
male. Poi, qualcuno ha chiamato gli ambientalisti.
- Li ricordi, gli ambientalisti? Erano in due: Un omone grasso e una
ragazza. Erano venuti per liberare la principessa Zanna. Abbaiava,
Zanna, perché non capiva tutta quella strana situazione che si era
creata attorno a lei, perciò, non permetteva a quell'omone grasso e
grosso di avvicinarsi. Siamo andati a liberarla, in cima alla
montagnetta, Danilo ed Io perché, per poco, egli, con la sua stazza,
non ruzzolava giù. Fu, allora, che ti vidi sorridere per la prima
volta. Sembrava, quasi, tu avessi vergogna di sorridere, perché, con le
mani, ti nascondevi il viso e abbassavi ripetutamente la testa.
- Io ricordo ancora Zanna, sai.
- Ricordo i suoi cuccioli che ho cresciuto con tanto amore.
- Ricordo, quello che ha fatto per me, quando, in difficoltà, mi
difendeva dalle prepotenze dei più grandi del quartiere.
Zanna, è stata la prima creatura che ho conosciuto. Grazie a lei ho
conosciuto persone e avuto molti amici con i quali ancora sto.
Grazie Zanna, perché, mi hai fatto vivere i primi veri grandi momenti
di felicità!
Grazie Zanna, per avermi fatto capire il vero senso dell'amicizia!
Grazie, per avermi fatto crescere. Grazie, grazie, grazie.
- Ti vorrò sempre un casino di bene, Zanna!
Io trascorro il mio tempo libero a studiare e a giocare con i cani. Per
la festa di carnevale, l'altro giorno, con Isidoro e Marco, ci siamo
fatti il giro dell'intera città con la bici, siamo arrivati fino al
mercatino, giù, ad Ortigia e poi… Se mio padre sapesse dove siamo
stati, mi toglierebbe la bici. Siamo passati per tanti vicoli, dove
abitano gente molto povera e abbiamo visto tanti cani abbandonati per
le strade, specialmente, nei vicoli bui e sporchi.
<< Quanti cani! >>.
Erano cani di razze diverse come: Pitbool, Pastori tedeschi, Bassotti,
e tanti, ma tanti meticci. C'era un cagnolino bianco e nero, un vero
amore. Certamente, avrei voluto portarmelo a casa ma: << Ahimé! >> I
miei genitori non vogliono. Così, dispiaciuto, dissi ad Isi e Marco che
li avrei lasciati perché dovevo andare da mia nonna. Invece, No. Sono
andato alla marina e mi sono messo a piangere appollaiato ad una
ringhiera. Ho pianto per la gente povera, ma, soprattutto, per i cani
randagi che non hanno un vero padrone, un amico. In quel momento, è
successo qualcosa d'inspiegabile. Ad un tratto, mi sono sentito leggero
e avvolto da una fitta nube. Pian piano intorno a me, era un lievitare
di luci. Fu, allora, che, in quel tratto di mare luminoso, vidi cadere,
lentamente come una piuma, una mia lacrima. Sentivo parlare la mia
lacrima e, il mio cuore, sentivo entrare in fibrillazione, mentre
scivolava, lentamente, verso il possente e maestoso mare. Poi, per un
attimo, la mia lacrima s'è angosciata perché pensava di perdersi, ma il
mare sapiente, che custodisce con infinita saggezza e forza, tutti i
segreti della storia umana, si preparava ad accoglierla aprendole le
braccia. Lentamente, vedevo scivolare la mia lacrima nell'immenso mare,
la sentivo parlare di me, con un linguaggio fatto non solo di luci, ma
di suoni forti e soavemente leggeri, melodiosi, in ugual tempo.
Un linguaggio nuovo, mai sentito prima. Era un linguaggio che
m'infondeva gioia, fiducia e rendeva mite e leggiadro il mio cuore.
Vidi, allora, la mia lacrima immergersi nel profondo, luminoso mare.
Fortunatamente, esso s'accorse in tempo, che poteva soffocare la mia
lacrima, quando, avrebbe richiuso le sue possenti braccia. Così,
abbandonando quest'idea, chiamò a se, tutte le risorse per salvarla.
Prontamente, vidi spuntare, come dal nulla, una conchiglia e la vidi
catturare la mia lacrima, prima, che si disperdesse tra, chissà quali,
rovinose storie di civiltà nascoste, di galeoni scomparsi, di famiglie
e ragazzi dispersi. Tutto, è avvenuto in maniera molto veloce perché è
risaputo: << Una lacrima, nell'immenso mare, è come un granellino di
sabbia nel deserto >>.
La conchiglia accolse gioiosa la mia lacrima e la vidi prendersene cura
con infinito amore.
Era come se il tempo si fosse fermato. Poi, pian piano, vidi la mia
lacrima divenire una perla. Una perla splendente che emanava una luce
abbagliante e riscaldava il cuore. Poi, vidi, lontano, seduto sulla
riva del mare, un pescatore che controllava, riparava e stendeva la sua
rete. Egli fabbricava le reti e andava per mare su una misera barca per
prendere dei pesci. Ne prendeva solo, il giusto, per soddisfare il suo
bisogno quotidiano.
Un giorno il pescatore, sul finire di una magra giornata di lavoro,
gettò la sua rete e catturò la Perla.
<< Essa, era più splendente che mai! >>
Il pescatore vide quella Perla, la prese delicatamente tra le sue mani
dure e rugose, rovinate dal sale, dalle reti, dal sole e la conservò
nel suo cuore. Era troppo importante, troppo bella e pregiata per lui.
Allora, ebbe per la prima volta paura che, qualcuno, vedendola, potesse
bramare di possederla facendogli del male, togliendogli la vita.
Col tempo, però, le amarezze della vita ebbero il sopravvento e la vita
del pescatore si ridusse all'essenziale. Egli, poteva vendere la Perla
acquistando fama e ricchezza, ma non pensò mai di farlo, perché quella
Perla rivestiva di luce tutta la sua esistenza fatta di privazioni,
d'angherie subite, di solitudine.
Fu allora, che ebbe veramente paura perché, più di qualcuno, intuì, dal
modo come egli viveva la sua solitudine, che nascondeva qualcosa di
prezioso e incominciò a incuriosirsi. Potevano benissimo, accusarlo che
aveva rubato delle preziosità e, venire a frugare tra le sue cose, sino
a denunciarlo. Decise, allora, di affidare la Perla ad un uomo di Dio
perché n'avesse cura. Il Sacerdote vide la Perla, n'ebbe costatato la
purezza, tutta la sua magnificenza e s'ingelosì.
Disprezzò il pescatore e lo allontanò in malo modo dicendogli, che era
troppo indaffarato a salvare le anime e, pertanto, non poteva prendersi
cura delle cose che non gli appartenevano. Deluso, il pescatore pianse
molto amaramente, ma non si perse d'animo. Egli Lavorò giorno e notte,
per mesi, forse anni senza concedersi momenti di svago, ma, solo, il
giusto riposo, alternato, allo studio della costruzione di una casa più
bella, più forte, la sua casa.
Alta. Sopra la roccia la costruì, con l'estremità superiore a forma di
cupola. La costruì ermetica e interamente di cristallo pregiato;
all'interno, di essa, pose la Perla, la sua Perla. Quella Perla, che
ancora, oggi, emana una gran luce è guida, punto di riferimento, per
tanti uomini che cercano un cammino luminoso.
Pian piano, la nebbia che mi aveva offuscato l'anima, si disperse e mi
ritrovai completamente rinnovato, in una realtà nuova. In quel
pescatore riconobbi mio padre; La sua forza e le sue paure. Nella
conchiglia riconobbi mia madre; Delicatamente possessiva, premurosa e
amabile.
Nella Perla, riconobbi me stesso; Inesperto delle insidie della vita e
combattuto, tra la chiamata all'obbedienza e, il desiderio di scoprire,
di impormi alla vita in una lotta impari, perché privo di conoscenza e
d'esperienza.
Pensai, allora, di dovere << Io >> custodire i miei affetti, le gioie,
le mie pene che, solo i miei genitori, e mai, nessun altro, avrebbero
avuto considerazione delle mie prime esperienze di vita vissuta,
occasionalmente, luce per tanti ragazzi, lanciatisi, per la prima
volta, nelle strade tortuose della vita.
Rientrato a casa, quel giorno i miei genitori m'abbracciarono
intensamente. Non ho capito, il perché, ma ho scoperto e raccolto,
l'amore. Quel calore lo tenni stretto, per un po' nel mio petto.
A Gramos perché cresca forte nella fede
Un signore, ambasciatore di un lontano paese a Roma, aveva un figlio di
nome Sargom. Era più di un mese che il genitore si era stabilito a Roma
con tutta la famiglia, tuttavia, non riusciva a trovare il tempo per far
visitare, al ragazzo, le immense ricchezze monumentali, ancora, pulsanti
di storia, di vita e di cultura che fanno della città eterna, "il
patrimonio dell'umanità". Sargom aveva tredici anni appena compiuti. La
sua intelligenza viva e fantasiosa, spesso, era velata da un pizzico di
malinconia. Non riusciva, infatti, ad essere disinvolto e spensierato come
tutti gli altri ragazzi della sua età perché, a cinque anni, i medici, gli
diagnosticarono una malattia, un tempo, rara, chiamata "la malattia dei
ricchi", oggi, di facile lignaggio: il diabete. Malattia, questa, che
invita, Sargom, ad essere coerente con se stesso e a educare la propria
vita secondo le sue necessità, avendo cura del proprio corpo, così, come
Dio glielo ha concesso.
Il giorno del suo compleanno, Il padre, gli regalò una bella festa,
invitando, non solo, i suoi compagni del college, ma, a sorpresa, anche
Asha e Olaf, gli amici d'infanzia del suo paese natio. Purtroppo, la gioia
di Sargom, nell'apprendere l'arrivo imminente dei suoi giovani amici,
presto si ombrò, quando seppe che Asha, la sua candida amica, non poteva
essere presente alla sua festa perché l'influenza la tratteneva a letto.
La festa di compleanno, tuttavia, è stata per Sargom indimenticabile. Olaf
rimase ospite di Sargom ancora un mese, così, i due amici, in piena
libertà, ma accompagnati da un giovane forzuto addetto alla security
service, ebbero modo, non solo, di visitare bene la città, ma, anche, di
divertirsi e gioire dei bei momenti senza badare tanto all'etichetta o,
diciamo pure, ad un certo tipo di comportamento forzatamente rigido. Un
giorno si recarono a visitare un vecchio monastero; appena arrivati, i due
ragazzi accompagnati dalla guardia del corpo, furono accolti da un vecchio
monaco e sotto la sua guida videro cose che i loro occhi, mai, avrebbero
immaginato di vedere. Ad un tratto, si trovarono a passare attraverso un
lungo corridoio le cui, mura, affrescati da dipinti famosi, opere di alta
qualità, lasciavano intravedere con l'occhio dell'anima le meraviglie
della creazione. La voce del vecchio monaco rimbombava come un eco negli
immensi corridoi alti e solitari. I ragazzi, pian piano, mossi dalla
curiosità dello scoprire, si distaccarono dal vecchio monaco guida e dalla
guardia del corpo. Poi, giunti in fondo al corridoio, si trovarono al
centro di un'immensa sala ricca di mosaici e furono attratti da luminose
immagini impresse nelle pareti, nella volta a forma di cupola e dal marmo
finemente decorato. In fondo la sala v'erano due uscite una a destra e una
a sinistra. Queste due uscite svegliarono la fantasia di Sargom e Olaf e
li costrinse a dividersi. Olaf, s'incamminò a sinistra verso un lungo
corridoio senza uscita e ricco di statue gigantesche poste ai due lati del
corridoio. Sargom, invece, s'incamminò a destra verso il corridoio più
ricco di luce di tutto il monastero. Gli affreschi, sotto il tocco, quasi
magico, della luce stranamente bianca, pulita, quasi brillavano. Mentre,
Sargom era intento a guardare quelle meraviglie che lo coinvolgevano e lo
incuriosivano, in ugual tempo, un dipinto lo attirò particolarmente.
Avvicinatosi, si fermò ad osservarlo meglio. Al centro di quel dipinto, lo
colpì l'immagine di una ragazza dai capelli lunghi che, egli, riconobbe
essere la dolce amica Asha. La ragazza, stava ai margini di un sentiero e
sembrava lo stesse aspettando. Tutto preso a guardare, gli sembrò, quasi,
che quella figura lo attirasse a sé. Pian piano, infatti, ebbe la
sensazione che il suo corpo non avesse più peso e che, egli stesso,
s'innalzasse nell'aria, come portato da una nube e condotto in quel
sentiero. Ecco, il desiderio, pensiero dell'anima, trasformarsi in
operosità e, meraviglia delle meraviglie, non solo si trovò, al centro di
quel sentiero e all'interno di un mondo fantastico, paradisiaco e
armonioso ma, era lì, con lui, sorridente e felice, Asha.
Felice, Asha lo abbracciò e disse:
<< Corriamo, facciamo presto, perché il Re dal volto luminoso è già qui.
Egli è giunto al villaggio su di un carro tutto d'oro, non perdere
l'occasione d'incontrarlo >>.
Sargom rispose: << Asha, dolce amica, è venuto per me, lo sento. Con Lui
condividerò le mie sofferenze >>.
<< Dai, andiamo! >>, disse Asha
Allora, s'incamminarono, quasi correndo, lungo il sentiero che conduceva
al villaggio e, appena, giunti in un punto, certi, che di lì passasse il
Re della luce, si fermarono ad aspettare.
Infatti, come se fosse venuto, solamente, per vedere Sargom, il Re, appena
gli fu vicino, fece fermare il carro e sorridente, allungando la mano
verso di lui, gli disse:
<< Che cosa hai da offrirmi? >>
Il ragazzo rimase stupito e fortemente deluso. Lì per lì, non seppe
rispondere. Mille domande gli frullarono per la testa. Si chiedeva,
infatti:
<< Si prende gioco di me? >>.
<< Sarà, questa, l'esperienza di una nuova sofferenza? >>. Poi, vedendo
che il Re non smetteva di sorridere, mentre gli volgeva lo sguardo
luminoso e la mano tesa, cercò nella giacca e, presa la penna e un
striscia di carta, vi scrisse sopra: << Sono diabetico, vorrei tanto
guarire da questa malattia che mi impedisce d'essere come tutti gli altri.
Questo, e il mio amore, è quanto posso donarti, altro, non ho >>. Finito
di scrivere, Sargom, piegò accuratamente il pezzo di carta e lo diede al
Re. Egli, ringraziò e volò subito via sul carro d'oro incredibilmente
veloce.
Intanto, nei corridoi del monastero, tutti lo cercavano perché avevano
notato la sua scomparsa.
<< dov'è andato? >>, chiese la guardia del corpo al vecchio monaco.
<< Certamente non può essere molto lontano >>, rispose il vecchio monaco.
Poi, rivolto verso il dipinto, all'insaputa di tutti, disse: << Signorino,
che cosa vi trattiene ancora lì? >>.
<< Vi aspettano! >> Suvvia, venite.
Sargom, allora uscì dal muro con lo sguardo fisso e le gambe tremanti.
Poi, ritornò a guardare il dipinto sul muro e osservò la fanciulla. Questa
volta, lei aveva la mano alzata come se stesse salutando qualcuno.
Imbarazzato dalla presenza del vecchio monaco, che l'osservava cogliendo
il suo stato d'animo, abbassò lo sguardo e disse, fingendo di essere
sorpreso: << Guardavo con stupore la fanciulla che, prima, non aveva la
mano alzata >>. Il vecchio monaco rispose :
<< Le visioni nascono dall'infinita saggezza, da un continuo cercare nella
luce. La ricerca nella luce appaga l'anima o, quanto di più bello, nel
profondo dell'anima, desideriamo si realizzi in noi. E' un lungo cammino
da percorrere in silenzio perché, come la bellezza di un uccello è il suo
canto, così, la bellezza di un saggio è la sua sofferenza. Pertanto, se
durante il cammino non troviamo, quanto, può appagarci l'anima, o, quanto,
nell'intimo desideriamo, troveremo, certamente, qualche altra cosa che al
buio o nell'oscurità dell'anima è impossibile trovare>>.
Silenzioso, ma con la gioia nel cuore, Sargom uscì dal monastero sotto gli
occhi attenti della guardia del corpo e del suo amico Olaf. |