Racconti di Michelangelo Marchingiglio


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Michelangelo Marchingiglio nasce a Trapani il 28.09.1947, fin da giovanissimo coltiva il bisogno dell'anima di dare voce ai suoi pensieri, ai suoi desideri e alla bellezza dei suoi ideali, valori, che gli sono stati impressi dalla madre "anima luminosa". Si è diplomato Capitano di lungo corso presso l'Istituto tecnico "Marino Torre" di Trapani. E'imbarcato, sposato ed ha un figlio. Ha partecipato a pochi concorsi, tutti locali, classificandosi al secondo e al terzo posto per ben due volte.

Indirizzo e-mail: michelangelo.marchin@alice.it
 

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Il Paradiso perduto
Il pullman entrando a Palermo rallentava la sua corsa e, tra una fermata e l'altra, raggiungeva il capolinea dove, pian piano manovrando, il conducente l'arrestava in mezzo agli altri cassoni di ferro, tutti eleganti e convenienti, per la verità, perché dotati di comfort e perché, celeri, permettono di risparmiare tempo e denaro. Piazza stazione, che fa da capolinea, è un punto di gran confusione. Gente che arriva, che parte, che piange. Gente che ti si appiccica addosso chiedendoti di comprare di tutto e, tutto, sembra essere predisposto agli incontri, alle occasioni. Palermo è Palermo. Misteriosa e affascinante come può essere un'amante. Amabile e religiosa come può essere l'icona di S. Rosalia. Palermo con la sua povertà, col suo traffico caotico, con i suoi cunicoli turbolenti, il suo vivere di espedienti e l'unica ricchezza per tirare avanti, il pagherò. Palermo, ormai, città multietnica, non finirà mai di stupire con la sua arte variegata, la musica, il teatro. La genialità di Palermo si nasconde, tuttavia, tra la povera gente che inventa di tutto per arrancare a sopravvivere. Ah! Se si avesse l'opportunità di coglierla, questa genialità, educarla alla vita, plasmarla creando servizi a sostegno dei giovani demotivati, naturalmente, prima che s'inoltrino per vicoli bui o strade serpeggianti e senza uscita. Ah! Se si riuscisse, attorno a loro, a tessere la rete intrigante della conoscenza e del perché di cause ed effetti in un rapporto di fiduciosa e leale armonia che tutto comprende dall'arte alla scienza, dalla politica alla religione, dalla cultura ai rapporti interpersonali, raccoglieremmo a tempo debito dei geni, perché è tra gli ultimi, tra questi giovani che la genialità si nasconde, come le pepite d'oro cercate pazientemente dai cercatori d'oro e trovate in mezzo al fango per poi, pulite e forgiate da mani esperte, trarne gioielli stimati e apprezzati in tutto il globo. Motivare i giovani sbandati, suscitare, loro, curiosità e il fascino della scoperta, della bellezza che regala armonia e dell'interessante incognita potrebbe apparire cosa ardua e difficile, ma non impossibile in personaggi dove, invero, la necessità aguzza l'ingegno. Se pensiamo ai miliardi di euro che si vaporizzano nei giochi di borsa e al nascosto che grava sulle entrate dello stato e di conseguenza sulla povera gente che lavora con dedizione senza sapere o avere la capacità di imbrogliare e altro ancora, il gioco diventa conveniente perché educhiamo alla vita. In pratica si tratterebbe di spostare questa potenziale genialità che scaturisce dalla necessità evolutiva del giovane e dalle ingiustizie sociali, in altri campi che consentono di far lievitare genialità formando "l'uomo" del quale l'occidente o l'intero pianeta ha più che mai bisogno. Sceso dal pullman recuperai dalla sua pancia sottostante, il borsone e mi affrettai ad entrare presso l'ufficio della "Segesta Autonlinee per informarmi a che ora sarebbe partito il pullman per Siracusa e fare il biglietto. Fatto il biglietto, che mi avrebbe condotto a Siracusa, lasciai il borsone in custodia all'impiegata e uscii. Il Pullman partiva alle ore 17:00. Guardai l'orologio, avevo più di un'ora e mezza di attesa. Decisi allora di andare un po' in giro per la città, ma non prima di assaporare il solito gelato al cream caramel di cui vado ghiotto. M'incamminai tra l'indifferenza della gente verso la stazione ferroviaria perché è all'interno di essa che il Mac Donald prospera. Giunto al banco una ragazza carina e gentile nei movimenti mi chiese cosa desiderassi. Risposi con un sorriso:
<<Gentilmente, vorrebbe darmi una coppetta di gelato al cream caramel?>>
La ragazza, rimasta contagiata, annuì con un sorriso ed io incoraggiato aggiunsi: <<Vado matto per il cream caramel.>>
<<Non sia tirchia.>>
<<Lo faccia ricco, ben caramellato perché voglio gustarmi il gelato fino in fondo.>> Ritornò da me dopo un paio di minuti tutta elettrizzata e avvicinatasi di più al banco, quasi a sporgersi, sottovoce, mi disse:
<<La sua coppa di gelato l'ho fatta ricca di cream caramel, ma non se ne faccia accorgere, si metta a sedere in quell'angolino laggiù in fondo il locale.>>
Ci sorridemmo ancora e andai a sedere nel posto indicatomi. Gustai quel gelato più del solito ripensando alla nostra complicità, tutta racchiusa in quei piacevoli sorrisi che mossi dal piacere di gustare un gelato e dalla trasgressione, mi esaltarono i sensi e m'invitavano a conoscerci meglio. Pensieri… , solo pensieri. Pensieri che fanno, sì, parte della vita naturale dell'uomo, ma che credevo fossero affogati in fondo all'oceano. Evidentemente, mi dissi, sono ancora saturi d'aria e ritornano di tanto in tanto a galleggiare. Provai vergogna e uscii dal locale salutando la ragazza da lontano con la palma della mano. Lei sorrise, alzò il braccio e, fingendo di aggiustarsi i capelli, mosse le dita della mano.
Ero appena uscito dalla stazione e stavo per confondermi tra la folla, quando sentii gridare:
<<Signore!>>
<<Signore!>>
<<Signore, aspetti!>>
Mi fermai. Mi voltai a guardare. Mi correva dietro una ragazza che riconobbi essere la ragazza che avevo appena incrociato, nella più totale indifferenza, all'uscita del Mac Donald.
La osservai mentre, ansimante, correva verso di me. Era sporca. I capelli, color biondo paglierino, erano tutti arruffati e la veste, se veste poteva chiamarsi, era lunga, sporca, scolorita e stracciata. Rimasi in posizione di ascolto con la testa abbassata e, lei, con voce dolce, quasi pietosa mi disse:
<<Signore, è da due giorni che non mangio! Sono entrata da Mac Donald perché volevo comprarmi un panino ma, siccome, mi mancavano 10 centesimi, mi hanno cacciata fuori.>>
Per la seconda volta, provai vergogna di me stesso. Poi, come se avesse intuito il mio disagio, riprese:
<<Signore, so di non essere bella. Ho pure i bubboni sul viso, sono tossicodipendente, ho l'aids e sono tutta sporca. La prego mi dia, lei, 10 cent. perché io possa mangiare.>> Allora alzai la testa e la guardai. I miei occhi incontrano i suoi per la prima volta. Erano azzurri, ma di un azzurro, quasi cangiante, come il mare e il cielo. In quell'attimo le lessi l'anima e mosso non dalla pietà, ma dall'amore indulgente le donai 10 euro. Mi disse, ancora:
<<Signore, sia gentile, mi accompagni perché con lei vicino mi lasceranno stare.>>
<<Si, risposi con tono fermo.>>
Entrai con lei ignaro di cosa fosse accaduto in precedenza. Alcuni tra i presenti si voltarono a guardare e la ragazza del bancone, dapprima sorridente, non mi degnò di uno sguardo. Comprò un panino con hamburger, delle patatine fritte e una coccola. Scegliemmo un tavolo e, sedutomi di fronte a lei, la guardai mangiare con molto appetito. Finito di mangiare si alzò, si avvicinò al bancone adiacente e comprò una pizza a taglio. Quando ritornò si riprese il bicchiere con la cocacola rimasta e, sorseggiandola, mi disse:
<<mangerò più tardi, la pizza.>>
Aggiunse: <<Lei non ha aperto bocca, ma io capisco ... e le assicuro che il suo silenzio è andato più in profondità di qualsiasi discorso.>>
<<Mi chiamo Emma, ho 23 anni e sono di Brescia.>>
<<Non dissi nulla.>>
Usciti fuori della stazione, mi ringraziò ancora, ma prima di lasciarla, tristemente bastonato, le dissi:
<<Stai attenta.>> Poi, turbato, mi persi tra la folla.
Avrei voluto dirle:
<<Si, è vero, hai i bubboni sul viso, ma sei ugualmente bella.>>
<<La tua anima è bella. >>
<<E' luminosa.>>
<<E' delicata. Non sporcarla come hai sporcato il suo rivestimento, abbine cura.>>
<<Ah! Tu non sai, ma l'anima è affidata, in espiazione, al tempo e custodisce in se un grande mistero. In un attimo di profonda meditazione l'anima tua mi inebriò di poesia e mi parlò delle tue frustrazioni, delle tue paure, delle tue incomprensioni e "io" ti vidi adolescente e casta. Lei stessa, allora, quando le sussurravi: io cerco una terra bella, nobile, più varia, era inebriata dalla tiepida dolcezza dei tuoi sogni antichi e dall'estasi che l'amore, solo l'amore sa dare. Soffrì, l'anima, quando, per la prima volta, vinta da un briciolo d'amore per il tuo lui, incurante degli effetti devastanti, gli cadesti sul petto cercando la sua bocca e lasciandoti depredare del tuo paradiso "vero amore" che unisce e fortifica. Perché, oggi, si è trascinati ad amare, amare follemente, senza vedere ciò che si ama? Perché …? Perché vedere è comprendere e comprendere… Ah! Quanta fatica costa comprendere. Oggi, amare è come inebriarsi di vino, così da non sapere più che cosa si beve. Si beve giorno e notte, oggi. I tuoi occhi, allora, rapivano l'anima e prestavano le ali al tuo sogno. Sogno ingannevole che ti mostrava, diverse, le persone da come erano. Ora, vivi in fondo al mio cuore, nei miei occhi. Oh! Gli occhi. Tutto l'universo è contenuto negli occhi perché essi, per prima, videro le cose create. Videro le foreste e gli oceani, gli uomini e le bestie, il sorgere del sole, i tramonti e le stelle. Tutto, essi videro e continuano a vedere incamerando ogni cosa. Negli occhi c'è l'anima; c'è l'essere umano che pensa, che ama, che ride, che soffre. Ah! Gli occhi sono lo specchio dell'anima. Guardate gli occhi acqua marina di lei, sono profondi come il mare, mutevoli come il cielo, delicati come una gentile brezza, armoniosi come la musica, dolci come i baci. E' l'anima che li colora e li anima. Si, l'anima ha il colore dello sguardo, vera rivelatrice delle sofferenze umane. Gli occhi portano in se i sogni di una vita vissuta in un tempo apparente e meccanicistico. Essi sono vere telecamere che contengono il mondo, il colore, il movimento, l'arte, tutto ciò che è bello e tutto ciò che è brutto e lo traducono in pensiero, in idee, in arte, in musica. Il mio cuore palpita e il mio corpo freme dal desiderio d'immergersi in quel profondo azzurro mare. Oh! Come vorrei starle vicino, ardente e tormentato, sapendo che lei presto dovrà morire, cogliere vorrei la sua brevissima vita con una inesprimibile carezza.>>
Dopo aver fatto un largo giro ritornai a piazza stazione.
Guardai l'orologio: <<Erano le 16:45>>
Il pullman era già lì, in attesa che i passeggeri, diretti a Siracusa, vi salissero. Allora, recuperai il borsone che avevo lasciato in custodia presso l'agenzia, lo deposi nel bagagliaio e salii sul pullman. Alle 17:00 il pullman partì puntuale.

Ricordi di un adolescente
Dopo cinque anni, oggi, ho rivisto Sofia. Un caso. Un piacevole ma, sfortunato incontro. Fugace attimo, fatto di sguardi, di sorrisi, di svenevolezze, di baci frettolosi e di promesse, visto che, io, scendevo dal bus, mentre lei, di corsa, si approntava, al sopraggiungere del suo, a salirvi. Rivedere Sofia è stato un ripercorrere i tempi passati, quando l'adolescenza irrequieta infiammava l'anima rendendoci, agli occhi della gente, degli irresponsabili.
Allora, i miei amici, Danilo e Sofia B., abitavano in uno dei tanti residence di Siracusa. Danilo aveva 15 anni, la mia stessa età. Egli era mio compagno di scuola. Sofia, invece, era più piccola di un anno. Loro vivevano con la madre perché, il padre, medico, chissà per quali ragioni, si era separato da sua moglie lasciandola debole e indifesa. Danilo ed io, studiavamo insieme, di solito, a casa sua. La signora B assumeva, nei miei confronti, lo stesso tono forte ma, sicuro, protettivo e la stessa premura, che dedicava ai suoi figli. Questo calore, che penetrava nelle mie ossa e nell'anima, mi faceva sentire come se fossi a casa mia. A volte, vedevo la signora tristemente abbandonata a se stessa. La vedevo affannarsi, disperarsi e, questo, mi dispiaceva assai, soprattutto, per i miei amici: Sofia, perché era molto tenera e affettuosa. Danilo, perché diventava, sempre più, taciturno. I genitori dovrebbero essere più responsabili verso i loro figli. Dovrebbero essere, specchio, sul quale, i figli, possono ammirarsi e cogliere il rapporto armonioso di due persone che si vogliono bene e si rispettano, anche, nella diversità delle opinioni e nelle difficoltà che la vita presenta. Dopo la separazione dal marito, la signora, voleva ritornare nella sua Puglia, ma temeva che i figli avessero difficoltà ad inserirsi nel nuovo tessuto sociale. In verità, ho sempre intuito che, in cuor suo, lei, sperasse in un ritorno del padre dei suoi figli, che, indubbiamente, amava e, del quale subiva l'assenza. Il tempo trascorreva nella disarmonia più completa e non cedeva spazio ai frutti, tanto sperati dalla signora che, certamente, le rimanevano attaccati e le marcivano nell'anima trascinandola all'esasperazione più nera. Un bel giorno, mossi dal vero desiderio di cambiamento, decisero di andare a trascorrere una vacanza, l'equivalente di un periodo di prova, dalla nonna che viveva in Puglia. Ero triste, quel giorno, per la loro partenza inaspettata, improvvisa. Una settimana prima, eravamo insieme a giocare a girovagare per la città con la bici. Purtroppo, presi freddo quel giorno e l'influenza mi tenne a letto. Quando mi ripresi, la sorpresa: << Partiti >>.
I giorni, le settimane, passavano velocemente, ed io aspettavo, aspettavo con ansia che mi scrivessero o, quantomeno, mi facessero pervenire l'indirizzo al quale scrivere. Finalmente, un giorno, rientrando a casa dalla scuola, dalle mani di mia madre ricevetti la loro lettera tanto attesa.
Era Sofia a scrivere. Mi scriveva dei suoi problemi, delle sue incomprensioni con i genitori, delle sue cose. Mi vergognavo. Perché, mi accorgevo, per la prima volta e con grande meraviglia, che le ragazze maturano molto prima dei ragazzi. Così, fortemente emozionato, trasferivo, ogni sera, nel mio diario le più profonde sensazioni, i miei piccoli segreti e le riflessioni, d'ogni giorno, che rafforzavano la nostra amicizia, la cui fantasia espressiva e coinvolgente, faceva, il mio diario, complice di tante assurde ma piacevoli dolcezze. Queste cose le confidavo al mio diario, mai aperto o letto ad alcuno, tanto meno a Sofia.
Rivederla, quindi, dopo tanti anni e, per giunta, già fatta donna, i ricordi mi bagnarono l'anima di gioie remote, molte vagheggiate, altre vissute, tantissime perdute.


Adolescenza
adolescenza
dall'anima,
un brivido vitale m'assale
e m'incatena fortemente a te.

Tu vivi nel mio cuore
libera,
sacra
assieme ad un buffo volto di bimba
che ora guardo
rapito come da un sogno,
quasi vicino ad una realtà misteriosa.


Sofia, quando ti vidi per la prima volta, avevi, appena, sette anni. Quella domenica d'agosto indossavi un abitino bianco, molto fresco e merlettato.
Allora, m' apparisti così luminosa che a stento riuscivo a dominare i battiti del mio cuore. Certamente, il bianco ti dona molto. Vedendoti abbronzata al punto giusto mi sono, talmente, emozionato che avevo quasi paura a starti affianco. Tu, anche, apparivi emozionata, quando siamo rimasti soli. Grazie ai nostri amici e a Danilo, che preferirono il gelato alla nostra compagnia, abbiamo fatto amicizia e ci siamo piaciuti, un sacco. Quanta strada abbiamo fatto quella domenica, mai, c'eravamo allontanati tanto. Poi, presi dalla paura, perché le strade di periferia, la domenica, sono, quasi, sempre deserte o poco frequentate, siamo tornati indietro. Questa adrenalina ha rafforzato, in noi, il desiderio di crescere e stare sempre insieme.
Siamo cresciuti bene insieme, sino all'amarezza per la tua partenza improvvisa.
Ti sogno. Nel mio sogno delizioso mi sei sempre accanto, gioiosa e, al risveglio, mi riaffiora nella mente la cantilena che tu mi ripetevi, quando stavamo giorni senza vederci. Essa diceva così:


Il mio amore è come il canto
d' un bellissimo uccellin
che saltando tutto il dì
se ne và di qua e di là,
cosicché,
io gli domando:
<< Il mio amore come sta? >>


Questo ed altro, vado pensando. Tuttavia, mi rassereno perché se hai acquisito nuovi amici, significa che ti trovi bene nella tua nuova casa e, Io, sono contento. Da quando sei partita, tre mesi fa, solo oggi ricevo la tua lettera. Meglio, così avrò più cose da raccontare al mio diario. Adesso, sto sottraendo un po' di tempo al riposo notturno, tanto, domani è domenica e il riposo è d'obbligo. Ha ragione mia madre, quando dice, che la notte mette le ali alla fantasia. Si, perché, essa, scende silenziosa sulle case, sugli uomini e acquieta l'anima. Mio padre, invece, non vede l'ora che io spengo la luce. Troppo consumo, in tempi difficili, non va bene e, poi, non è educativo tenere i figli alzati sino a tarda sera, dice lui.
- Ti sei mai chiesto perché Gesù è nato di notte e non di giorno?
- Perché la notte è magica, mentre, il giorno, è caotico,dirai.
Penso, sia proprio così. Se Gesù fosse nato di giorno, nessuno, penso, avrebbe assaporato la gioia e la magnificenza dell'evento grandioso. La gente, troppo indaffarata, non sarebbe accorsa, in massa, a visitarlo. Oggi, che navighiamo nell'indifferenza, tutti i giorni, sono un percorrere interminabili labirinti popolati di povera gente che soffre e vive nell'emarginazione, nella solitudine più nera. Per far tacere la pancia ci si arrangia; ma l'amarezza per il buio dell'anima, non si può farla tacere. Essa, è, dentro di noi, sempre, sino al riposo delle membra, stanche, dell'iter giornaliero.
Sono pochi, pochissime, le persone, che si soffermano ad ascoltare i gemiti del loro cuore. La gente corre sempre, più veloce per arrivare alla conquista della valle incantata, tristemente appariscente, come il risultato della cura meticolosa dell'immagine, dell'apparire e, qui, inevitabilmente inghiottita dall'indifferenza, si disperde nel nulla.
Ecco, perché Gesù è nato di notte!
La notte, come una dolce carezza annulla i sensi e ci avvolge nel tepore domestico, specie, davanti ad un camino o attorno ad un braciere.
La notte, unisce, rende la gente più disponibile all'amicizia, al dialogo, al confronto, alla riflessione, anche se fuori è tempestosa e buia.
Essa è stata creata per farci riposare, meditare, sognare.
Da quando sei partita, qui, è cambiato tutto.
- Li ricordi, i nostri bellissimi cani: Lilli, Zanna, Pippo e Bianchina?
Bé, ora, a parte Bianchina, ci sono nuovi cani: Brago, Yuri, Fulmine, Crissy. Lilly e Pippo, sono stati presi e portati al canile, mentre, Zanna è morta in maniera tragica. Forse è stata avvelenata. Io le ero accanto, quando è morta.
Non sono cambiati, sai, solo i cani ma, anche, la nostra bellissima montagnetta.
- Li ricordi, i grandiosi momenti di gioia trascorsi insieme, e le interminabili avventure, nelle quali, venivano coinvolte, inspiegabilmente, anche i nostri genitori?
- Le nostre complicità, li ricordi?
Ricordo, quel giorno, sopra la montagnetta. Allora, i grandi, ci avevano incolpato di aver legato Zanna su in cima, e noi a piangere, a gridare, che non eravamo stati noi.
- Che macello!
Quella volta, è intervenuta la Polizia perché un ragazzo si era fatto male. Poi, qualcuno ha chiamato gli ambientalisti.
- Li ricordi, gli ambientalisti? Erano in due: Un omone grasso e una ragazza. Erano venuti per liberare la principessa Zanna. Abbaiava, Zanna, perché non capiva tutta quella strana situazione che si era creata attorno a lei, perciò, non permetteva a quell'omone grasso e grosso di avvicinarsi. Siamo andati a liberarla, in cima alla montagnetta, Danilo ed Io perché, per poco, egli, con la sua stazza, non ruzzolava giù. Fu, allora, che ti vidi sorridere per la prima volta. Sembrava, quasi, tu avessi vergogna di sorridere, perché, con le mani, ti nascondevi il viso e abbassavi ripetutamente la testa.
- Io ricordo ancora Zanna, sai.
- Ricordo i suoi cuccioli che ho cresciuto con tanto amore.
- Ricordo, quello che ha fatto per me, quando, in difficoltà, mi difendeva dalle prepotenze dei più grandi del quartiere.
Zanna, è stata la prima creatura che ho conosciuto. Grazie a lei ho conosciuto persone e avuto molti amici con i quali ancora sto.
Grazie Zanna, perché, mi hai fatto vivere i primi veri grandi momenti di felicità!
Grazie Zanna, per avermi fatto capire il vero senso dell'amicizia!
Grazie, per avermi fatto crescere. Grazie, grazie, grazie.
- Ti vorrò sempre un casino di bene, Zanna!
Io trascorro il mio tempo libero a studiare e a giocare con i cani. Per la festa di carnevale, l'altro giorno, con Isidoro e Marco, ci siamo fatti il giro dell'intera città con la bici, siamo arrivati fino al mercatino, giù, ad Ortigia e poi… Se mio padre sapesse dove siamo stati, mi toglierebbe la bici. Siamo passati per tanti vicoli, dove abitano gente molto povera e abbiamo visto tanti cani abbandonati per le strade, specialmente, nei vicoli bui e sporchi.
<< Quanti cani! >>.
Erano cani di razze diverse come: Pitbool, Pastori tedeschi, Bassotti, e tanti, ma tanti meticci. C'era un cagnolino bianco e nero, un vero amore. Certamente, avrei voluto portarmelo a casa ma: << Ahimé! >> I miei genitori non vogliono. Così, dispiaciuto, dissi ad Isi e Marco che li avrei lasciati perché dovevo andare da mia nonna. Invece, No. Sono andato alla marina e mi sono messo a piangere appollaiato ad una ringhiera. Ho pianto per la gente povera, ma, soprattutto, per i cani randagi che non hanno un vero padrone, un amico. In quel momento, è successo qualcosa d'inspiegabile. Ad un tratto, mi sono sentito leggero e avvolto da una fitta nube. Pian piano intorno a me, era un lievitare di luci. Fu, allora, che, in quel tratto di mare luminoso, vidi cadere, lentamente come una piuma, una mia lacrima. Sentivo parlare la mia lacrima e, il mio cuore, sentivo entrare in fibrillazione, mentre scivolava, lentamente, verso il possente e maestoso mare. Poi, per un attimo, la mia lacrima s'è angosciata perché pensava di perdersi, ma il mare sapiente, che custodisce con infinita saggezza e forza, tutti i segreti della storia umana, si preparava ad accoglierla aprendole le braccia. Lentamente, vedevo scivolare la mia lacrima nell'immenso mare, la sentivo parlare di me, con un linguaggio fatto non solo di luci, ma di suoni forti e soavemente leggeri, melodiosi, in ugual tempo.
Un linguaggio nuovo, mai sentito prima. Era un linguaggio che m'infondeva gioia, fiducia e rendeva mite e leggiadro il mio cuore. Vidi, allora, la mia lacrima immergersi nel profondo, luminoso mare. Fortunatamente, esso s'accorse in tempo, che poteva soffocare la mia lacrima, quando, avrebbe richiuso le sue possenti braccia. Così, abbandonando quest'idea, chiamò a se, tutte le risorse per salvarla. Prontamente, vidi spuntare, come dal nulla, una conchiglia e la vidi catturare la mia lacrima, prima, che si disperdesse tra, chissà quali, rovinose storie di civiltà nascoste, di galeoni scomparsi, di famiglie e ragazzi dispersi. Tutto, è avvenuto in maniera molto veloce perché è risaputo: << Una lacrima, nell'immenso mare, è come un granellino di sabbia nel deserto >>.
La conchiglia accolse gioiosa la mia lacrima e la vidi prendersene cura con infinito amore.
Era come se il tempo si fosse fermato. Poi, pian piano, vidi la mia lacrima divenire una perla. Una perla splendente che emanava una luce abbagliante e riscaldava il cuore. Poi, vidi, lontano, seduto sulla riva del mare, un pescatore che controllava, riparava e stendeva la sua rete. Egli fabbricava le reti e andava per mare su una misera barca per prendere dei pesci. Ne prendeva solo, il giusto, per soddisfare il suo bisogno quotidiano.
Un giorno il pescatore, sul finire di una magra giornata di lavoro, gettò la sua rete e catturò la Perla.
<< Essa, era più splendente che mai! >>
Il pescatore vide quella Perla, la prese delicatamente tra le sue mani dure e rugose, rovinate dal sale, dalle reti, dal sole e la conservò nel suo cuore. Era troppo importante, troppo bella e pregiata per lui. Allora, ebbe per la prima volta paura che, qualcuno, vedendola, potesse bramare di possederla facendogli del male, togliendogli la vita.
Col tempo, però, le amarezze della vita ebbero il sopravvento e la vita del pescatore si ridusse all'essenziale. Egli, poteva vendere la Perla acquistando fama e ricchezza, ma non pensò mai di farlo, perché quella Perla rivestiva di luce tutta la sua esistenza fatta di privazioni, d'angherie subite, di solitudine.
Fu allora, che ebbe veramente paura perché, più di qualcuno, intuì, dal modo come egli viveva la sua solitudine, che nascondeva qualcosa di prezioso e incominciò a incuriosirsi. Potevano benissimo, accusarlo che aveva rubato delle preziosità e, venire a frugare tra le sue cose, sino a denunciarlo. Decise, allora, di affidare la Perla ad un uomo di Dio perché n'avesse cura. Il Sacerdote vide la Perla, n'ebbe costatato la purezza, tutta la sua magnificenza e s'ingelosì.
Disprezzò il pescatore e lo allontanò in malo modo dicendogli, che era troppo indaffarato a salvare le anime e, pertanto, non poteva prendersi cura delle cose che non gli appartenevano. Deluso, il pescatore pianse molto amaramente, ma non si perse d'animo. Egli Lavorò giorno e notte, per mesi, forse anni senza concedersi momenti di svago, ma, solo, il giusto riposo, alternato, allo studio della costruzione di una casa più bella, più forte, la sua casa.
Alta. Sopra la roccia la costruì, con l'estremità superiore a forma di cupola. La costruì ermetica e interamente di cristallo pregiato; all'interno, di essa, pose la Perla, la sua Perla. Quella Perla, che ancora, oggi, emana una gran luce è guida, punto di riferimento, per tanti uomini che cercano un cammino luminoso.
Pian piano, la nebbia che mi aveva offuscato l'anima, si disperse e mi ritrovai completamente rinnovato, in una realtà nuova. In quel pescatore riconobbi mio padre; La sua forza e le sue paure. Nella conchiglia riconobbi mia madre; Delicatamente possessiva, premurosa e amabile.
Nella Perla, riconobbi me stesso; Inesperto delle insidie della vita e combattuto, tra la chiamata all'obbedienza e, il desiderio di scoprire, di impormi alla vita in una lotta impari, perché privo di conoscenza e d'esperienza.
Pensai, allora, di dovere << Io >> custodire i miei affetti, le gioie, le mie pene che, solo i miei genitori, e mai, nessun altro, avrebbero avuto considerazione delle mie prime esperienze di vita vissuta, occasionalmente, luce per tanti ragazzi, lanciatisi, per la prima volta, nelle strade tortuose della vita.
Rientrato a casa, quel giorno i miei genitori m'abbracciarono intensamente. Non ho capito, il perché, ma ho scoperto e raccolto, l'amore. Quel calore lo tenni stretto, per un po' nel mio petto.

A Gramos perché cresca forte nella fede
Un signore, ambasciatore di un lontano paese a Roma, aveva un figlio di nome Sargom. Era più di un mese che il genitore si era stabilito a Roma con tutta la famiglia, tuttavia, non riusciva a trovare il tempo per far visitare, al ragazzo, le immense ricchezze monumentali, ancora, pulsanti di storia, di vita e di cultura che fanno della città eterna, "il patrimonio dell'umanità". Sargom aveva tredici anni appena compiuti. La sua intelligenza viva e fantasiosa, spesso, era velata da un pizzico di malinconia. Non riusciva, infatti, ad essere disinvolto e spensierato come tutti gli altri ragazzi della sua età perché, a cinque anni, i medici, gli diagnosticarono una malattia, un tempo, rara, chiamata "la malattia dei ricchi", oggi, di facile lignaggio: il diabete. Malattia, questa, che invita, Sargom, ad essere coerente con se stesso e a educare la propria vita secondo le sue necessità, avendo cura del proprio corpo, così, come Dio glielo ha concesso.
Il giorno del suo compleanno, Il padre, gli regalò una bella festa, invitando, non solo, i suoi compagni del college, ma, a sorpresa, anche Asha e Olaf, gli amici d'infanzia del suo paese natio. Purtroppo, la gioia di Sargom, nell'apprendere l'arrivo imminente dei suoi giovani amici, presto si ombrò, quando seppe che Asha, la sua candida amica, non poteva essere presente alla sua festa perché l'influenza la tratteneva a letto. La festa di compleanno, tuttavia, è stata per Sargom indimenticabile. Olaf rimase ospite di Sargom ancora un mese, così, i due amici, in piena libertà, ma accompagnati da un giovane forzuto addetto alla security service, ebbero modo, non solo, di visitare bene la città, ma, anche, di divertirsi e gioire dei bei momenti senza badare tanto all'etichetta o, diciamo pure, ad un certo tipo di comportamento forzatamente rigido. Un giorno si recarono a visitare un vecchio monastero; appena arrivati, i due ragazzi accompagnati dalla guardia del corpo, furono accolti da un vecchio monaco e sotto la sua guida videro cose che i loro occhi, mai, avrebbero immaginato di vedere. Ad un tratto, si trovarono a passare attraverso un lungo corridoio le cui, mura, affrescati da dipinti famosi, opere di alta qualità, lasciavano intravedere con l'occhio dell'anima le meraviglie della creazione. La voce del vecchio monaco rimbombava come un eco negli immensi corridoi alti e solitari. I ragazzi, pian piano, mossi dalla curiosità dello scoprire, si distaccarono dal vecchio monaco guida e dalla guardia del corpo. Poi, giunti in fondo al corridoio, si trovarono al centro di un'immensa sala ricca di mosaici e furono attratti da luminose immagini impresse nelle pareti, nella volta a forma di cupola e dal marmo finemente decorato. In fondo la sala v'erano due uscite una a destra e una a sinistra. Queste due uscite svegliarono la fantasia di Sargom e Olaf e li costrinse a dividersi. Olaf, s'incamminò a sinistra verso un lungo corridoio senza uscita e ricco di statue gigantesche poste ai due lati del corridoio. Sargom, invece, s'incamminò a destra verso il corridoio più ricco di luce di tutto il monastero. Gli affreschi, sotto il tocco, quasi magico, della luce stranamente bianca, pulita, quasi brillavano. Mentre, Sargom era intento a guardare quelle meraviglie che lo coinvolgevano e lo incuriosivano, in ugual tempo, un dipinto lo attirò particolarmente. Avvicinatosi, si fermò ad osservarlo meglio. Al centro di quel dipinto, lo colpì l'immagine di una ragazza dai capelli lunghi che, egli, riconobbe essere la dolce amica Asha. La ragazza, stava ai margini di un sentiero e sembrava lo stesse aspettando. Tutto preso a guardare, gli sembrò, quasi, che quella figura lo attirasse a sé. Pian piano, infatti, ebbe la sensazione che il suo corpo non avesse più peso e che, egli stesso, s'innalzasse nell'aria, come portato da una nube e condotto in quel sentiero. Ecco, il desiderio, pensiero dell'anima, trasformarsi in operosità e, meraviglia delle meraviglie, non solo si trovò, al centro di quel sentiero e all'interno di un mondo fantastico, paradisiaco e armonioso ma, era lì, con lui, sorridente e felice, Asha.
Felice, Asha lo abbracciò e disse:
<< Corriamo, facciamo presto, perché il Re dal volto luminoso è già qui. Egli è giunto al villaggio su di un carro tutto d'oro, non perdere l'occasione d'incontrarlo >>.
Sargom rispose: << Asha, dolce amica, è venuto per me, lo sento. Con Lui condividerò le mie sofferenze >>.
<< Dai, andiamo! >>, disse Asha
Allora, s'incamminarono, quasi correndo, lungo il sentiero che conduceva al villaggio e, appena, giunti in un punto, certi, che di lì passasse il Re della luce, si fermarono ad aspettare.
Infatti, come se fosse venuto, solamente, per vedere Sargom, il Re, appena gli fu vicino, fece fermare il carro e sorridente, allungando la mano verso di lui, gli disse:
<< Che cosa hai da offrirmi? >>
Il ragazzo rimase stupito e fortemente deluso. Lì per lì, non seppe rispondere. Mille domande gli frullarono per la testa. Si chiedeva, infatti:
<< Si prende gioco di me? >>.
<< Sarà, questa, l'esperienza di una nuova sofferenza? >>. Poi, vedendo che il Re non smetteva di sorridere, mentre gli volgeva lo sguardo luminoso e la mano tesa, cercò nella giacca e, presa la penna e un striscia di carta, vi scrisse sopra: << Sono diabetico, vorrei tanto guarire da questa malattia che mi impedisce d'essere come tutti gli altri. Questo, e il mio amore, è quanto posso donarti, altro, non ho >>. Finito di scrivere, Sargom, piegò accuratamente il pezzo di carta e lo diede al Re. Egli, ringraziò e volò subito via sul carro d'oro incredibilmente veloce.
Intanto, nei corridoi del monastero, tutti lo cercavano perché avevano notato la sua scomparsa.
<< dov'è andato? >>, chiese la guardia del corpo al vecchio monaco.
<< Certamente non può essere molto lontano >>, rispose il vecchio monaco.
Poi, rivolto verso il dipinto, all'insaputa di tutti, disse: << Signorino, che cosa vi trattiene ancora lì? >>.
<< Vi aspettano! >> Suvvia, venite.
Sargom, allora uscì dal muro con lo sguardo fisso e le gambe tremanti. Poi, ritornò a guardare il dipinto sul muro e osservò la fanciulla. Questa volta, lei aveva la mano alzata come se stesse salutando qualcuno. Imbarazzato dalla presenza del vecchio monaco, che l'osservava cogliendo il suo stato d'animo, abbassò lo sguardo e disse, fingendo di essere sorpreso: << Guardavo con stupore la fanciulla che, prima, non aveva la mano alzata >>. Il vecchio monaco rispose :
<< Le visioni nascono dall'infinita saggezza, da un continuo cercare nella luce. La ricerca nella luce appaga l'anima o, quanto di più bello, nel profondo dell'anima, desideriamo si realizzi in noi. E' un lungo cammino da percorrere in silenzio perché, come la bellezza di un uccello è il suo canto, così, la bellezza di un saggio è la sua sofferenza. Pertanto, se durante il cammino non troviamo, quanto, può appagarci l'anima, o, quanto, nell'intimo desideriamo, troveremo, certamente, qualche altra cosa che al buio o nell'oscurità dell'anima è impossibile trovare>>.
Silenzioso, ma con la gioia nel cuore, Sargom uscì dal monastero sotto gli occhi attenti della guardia del corpo e del suo amico Olaf.


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