Lo sguardo non mente
Silenzio nel tuo viso
rettangolo degli occhi
lieve solco nella fronte
dove nasce il desiderio
come nero arcobaleno.
Silenzio tra le dita
sfiorano le mie
come farfalle gelide
che implorano il sole
e stringono la gola del mio ventre
per soffocarne la menzogna.
Ricopri di neve
questo fardello debole
questa goccia di carne sfinita
già caduta dalle tue labbra
che ora tu porti alla bocca
come un dolce veleno.
*
La gioia dell’ingresso
di una vagante immagine
riposa sul mio petto.
Ringuaina la tua voglia
d’estate e fragole,
lucida pelle salata di sudore
che non conosce rinuncia
e presenta un appuntito dardo
per stillare il succo più prezioso.
Bocche contrarie, croce di labbra
è un mare dolce a spegnere la sete.
Ti piace lo sviare del bambino
la carne giovane del ventre
l’istinto tenero di madre
come un gemito tanto vicino
all’agonia del moribondo.
*
Il tuo corpo ammezzato
che distende praterie di pelle
ombra di seta e muschio scuro
mezza maschera di noia
attende nel meriggio e brulica di vita.
È un corpo di sabbia
un livido deserto di vetro
un tenue ondeggiare sensibile,
è un sentore persistente di fiori
a lungo abbandonati in un cassetto
nell’attesa di una festa improbabile.
*
Angolo largo, gola di sale
seta, penombra. Respiro
in te come tana di bosco.
Sei l’acino rosso che rotola
un caldo riflesso autunnale.
Io, falena incolore, guizzo nel buio
e altro non chiedo
che consumarmi nel fuoco
di una fiamma notturna.
Ferisci la mia carne
scava nel petto una fossa,
così potrei restare
come lieve disegno sul cuore.
*
Sei boccio sul ramo
spicciolo colmo di vita
verde primavera, umida gioia
nel ponente di una sola mano.
Sei spiga dorata che oscilla
ramo selvaggio
il frutto maturo del pane
il succo più amaro da bere.
Sei stagione più bella del sogno
il breve istante
tra ciò che non è,
il passo leggero del gatto
la grande distanza
tra l’avere e il donare.
Sei nudo altopiano
sorgente da bere
possiedi gelosa
tutti i colori del buio.
*
Sempre
il regalo della terra
offre un calice di gioia
da bere insieme
sorseggiando adagio.
Tiepide labbra lusingate
e un lieve decantare d’infinito
un declinare adagio
senza più pace.
Odore di te
che muta
diviene più denso
e sale alla testa,
è un guizzo di pesce
che increspa uno specchio di lago.
VERSI diVERSI
Dolore di sogno
Suono fratello di vento
scuote le strade, le ombre
trasformano un secco orizzonte
nel freddo selciato di ieri.
Ritmo che sfiora la pelle
breve sapore di nebbia
che vela il momento di noi.
Stasera ti vengo a cercare
dolore di sogno, stasera
io calerò l'ancora in te
nel buio di questo ricordo
nel tuo desiderio fuggito
serrando le mani e le labbra.
Cavalcherò neri destrieri
d'inchiostro, nel marchio di guancia
antidoto al mio non amore
che solo al tuo riso si spande
leggero, la stessa sostanza
del nostro uragano, del fuoco
che stolto consuma le foglie
e subito spento diventa
cenere grigia.
Nel giogo
di noi, del nostro portarne
la colpa, così come solo
gli eroi di tragedie sopportano
il peso di essere soli
tessendo le trame del fato
che tutto trasforma e consuma,
noi fummo la voce di pietra
di chi non domò l'impossibile
noi fummo le vele vibranti
di un viaggio senza ritorno.
Solo di me
Torna al buio del silenzio
cercatore di nulla
affama il desiderio
disperdi suoni e voci.
Non perdonare mai
l'oblio del disaccordo
la grigia indifferenza
l'insolita finzione.
Solo mia
rimane l'impronta
di miracolo e di sabbia.
Figlia (per Sara)
Figlia di roccia e fuoco
ruscello di gioia che ride
donna di sensi e passioni
o bambola di porcellana
con gote rosse di bimba
sei spirito scalzo di zingara
zucchero e spezie d'oriente.
Ti ho visto sbocciare prezioso mistero
la tua è una stagione di sole
papaveri e sogni che volano
come larghi aquiloni.
Cavalca la vita
e mai sottomettiti a lei
perché ciò che conta è la meta
e non come navighi il viaggio,
avrai comode scarpe di seta
o camminerai a piedi nudi
su cocci taglienti
ma il porto d'arrivo è lo stesso
ed io resterò ad aspettarti
vestito di luce e futuro
o come un povero vecchio ricordo.
Ti amo di baci e pensieri
come onda di fiume pulito
come candido fiore sulla riva di un fosso,
ti amo come pioggia estiva
un desiderio notturno
come un'ombra di luna bagnata
che cura le notti di pianto.
Entro nella tua vita giovane
sono il ramo d'acacia che batte sul vetro
e ancora ti tengo la mano,
rimani soltanto per sette stagioni
qui c'è una buia finestra
una vecchia poltrona
una coperta sgualcita che avvolge
le mie troppe parole di padre.
Il mio tempo
Occhio che indaga come giudice inquieto
dei silenzi gelidi, frugando gli antri più segreti
senza nemmeno comprendere l'attesa
di un monologo d'attore consumato,
brucia il mio petto
e m'attraversi d'anima e di fuoco
ma sei soltanto poca fiamma di candela
nelle mie stanze maliziose e vuote.
Io uomo di pianura
sono pianura d'uomo
nel mio schernire dei e fortuna
mastico nebbia e rapide illusioni
alla ricerca di ogni sacro voto
celato dall'umana ricorrenza,
in questo camminare temporaneo
nell'oscillare pigro del mio tempo.
La domanda mai posta
Voi sterili parvenze docili
costrette ad abitare una spelonca buia
voi uomini senza il sacrificio della fantasia
siete risposte prive di domande
statue di cera senza l'ombra di un dubbio
vetri spessi che non filtrano luce.
Siete minatori zoppi e monasteri senza croci
un vangelo di redenzione privo
in attesa di un'alba o un favorevole mistral.
Il vostro vagare senza meta
è navigare a vista di marinai frettolosi
con taglio di mano sulle fronti scure
sguardi che abbracciano un orizzonte uguale
calma di mare come tavola smeraldo
che alterna marosi e tempeste.
Il poeta invece è soldato solitario
drizza la prua verso un oceano aperto;
il suo è un legno di parole
un vascello di follia abbacinante
è la primigenia forza della luce
la domanda mai posta
è un mendicante nudo che avanza con mano tesa
chiedendo solo un porto immaginario
per divenire il caldo pasto di sé stesso.
In ogni istante
Chi teme la paura non perdonerà l'ingiuria
sognando un'implorata redenzione
di opere e intenzioni.
Ognuno è un sé stesso diffidente
inficiato da alibi molteplici
perciò la mia parola è ragnatela spessa
ruvida tela consunta
polvere e passione dalla mia bocca,
è timpano sfondato che risuona
cetra di piombo che dondola tra i rami
scritta nei momenti di gioia e noncuranza
in una stanza quando arriva sera.
Io, denso di attimi,
sono tempo e illusione.
Io, in ogni istante desolato.
Sabbia d'opale
Di nuovo legato a questa terra
di frontiera scavata a mani nude
colmo di languori e desideri
la belva dentro, accanto un inguaribile
bisogno di fame e di penombra
per chiudere l'antro dell'essenza
nello schioccare secco di due dita.
Ebbro d'infinito e di bellezza
colmo di nulla, vuoto di sapienza
ma intriso gaiamente di parole
io mi disegno in questo tempo uguale
a volte come Priapo dei boschi
che insegue nude ninfe di pensiero
e torno a me, più vecchio ed innocente
reduce di una battaglia memorabile.
Moribonda di pace rinasce l'anima malata
sofferta attesa di una genesi nuova
sfioro un pensiero e mi sovviene d'essere
come sabbia d'opale scivolata
tra le dita socchiuse del mio tempo.
Urlo di vento
Nelle sere urlo di vento
inseguo notti e vuote occasioni
cerchi di fumo racchiusi nei palmi
forati da silenzi feroci.
La ruga del viso
stravolge la forma perfetta
e diventa una maschera
di mera apparenza
feticcio di rabbia e bisogno
un tempo qualcosa di umano.
È il gioco del significare,
è cercare pedante una voce
o solo nozioni di un senso raffermo
ma oggi già torbido e vuoto.
Sarò uomo nudo
implorerò la resa pietà
di voglie e intenzioni,
io goccia raccolta per strada
ed ora asciugata sulle tue labbra scure.
Vivo
Vivo nel ventre niveo del cielo
mente insana malata d'allegrezza
nibbio lucente ma senz'ali
di sottratti sospiri.
Firenze brilla di un vispo declino
lavata dal sole e dal vento
le mani accalcate per strada
la ridda di lingue diverse.
Noi ancora per poco astri splendenti
folli di esserlo
sicari spietati del dono più grande
sapori di un frutto negato
come l'abbraccio al figlio di una madre scellerata
un abbraccio senza candore di speranza.
La notte
Arriverà la notte.
Il suono delle mie parole
congiunto in un lamento al dubbio.
Dilegua il giorno.
Chiedimi tu
nell'abisso del sogno
chiedimi solo un piccolo cenno
di risposta sincera.
Nel vuoto ho trovato una voce
come dentro un cassetto
qualcosa smarrito.
Appartenere al cielo (per Nicolò)
Tua la libertà di appartenere al cielo,
non tessere arabeschi di menzogna
amaramente consegnato all'impostura
rassegnata di transitoria immagine
o luce di fiaccola lontana;
percorri invece i tuoi sentieri
a piedi scalzi e lunghi passi
in viaggio tra sorgente e foce
mentre indossi gli anni tuoi
come un vestito nuovo ancora da sgualcire.
Tuo padre è un pazzo sognatore
è il latte acido del peccato
l'arco sfibrato che scagliò un dardo al cielo
è ciò che avanza in tavola
la corda scordata di melodie segrete.
Tuo padre è un uomo,
egli cavalca un selvaggio destriero
è Tamerlano nel deserto gelido
che sfida indomito il destino.
Cremona
Cremona s'arriccia di vicoli e strade
campagne spianate che abbracciano genti
e sdraiano il cielo di un tardo settembre.
Cremona striata di case e viali alberati
respira un letargo che viene da nord
dal gelo di questa provincia assonnata
dal fango del fiume che gonfia la terra già gravida.
Cremona di miele e di mandorle,
uguali selciati a raggiera
e passi leggeri di guglie puntute.
Cremona di storia trascorsa,
di boria e saggezza a misura di uomo
sorrisi sottili di piatta malia.
Biancheggiano i marmi
e svetta la torre come il dito di Dio,
matrona vestita di orpelli e di trini
Cremona sorride
ancora ammiccante di malinconia.
La commedia del vivere adagio
Respiro sogni e allegria
esalo multiple forme di fumo
anelli che rotolano
in nuvole grigie.
Il tempo mi copre le spalle
ammassandosi dietro
e quasi mi chiede consiglio,
sorrido: ho ancora infinite
scatole vuote che posso riempire
di gioia o tristezza.
Mi scopro più forte del buio
che aspetto armato di ferro e lacci di cuoio
questo è un grande proscenio
e noi consumate comparse
recitiamo la parte mandata a memoria
imparata da subito e ora dimenticata,
la commedia volgare del vivere adagio
già un poco assopiti
davanti una vuota platea
di mani che annaspano l'aria.
Di spalle al dolore
Di spalle al dolore ho chiuso il cancello
troppo alto il riscatto
per riavere ciò che diedi in pegno,
sono edera secca che ancora
s'attorce ostinata alla vita
e circostanze spaiate. Non vedi?
Sono l'occhio già chiuso del morto di fame
e ho labbra riarse di rosso corallo.
Stagione d'inchiostro sputato con rabbia
volteggio di musica come aquiloni,
ho sezionato l'anima alla ricerca di lei
come poveri resti sparsi sulla strada di casa.
l'eroe prostrato nel fango
si dissangua lentamente
in perle opache negli occhi,
ognuno cammina solo
e solo si ferma a riposare
arrampicandosi su rocce aguzze
per sprofondare in un abisso nero.
Riapro gli occhi solo un breve istante
e lancio un grido disumano al cielo.
Cucciolo occhi
Sei tra la folla feroce
pugni serrati e mani
alzate come scudi
visi di rabbia distorti
nocche bianche e sudore.
Cucciolo occhi di odio e paura
tu nella sporca lotta
di padri che pregano
e osannano un dio senza cuore
che sbrana, dilania le carni
dei figli degli uomini,
tu nella guerra infame
di lerce bandiere imbrattate
da polvere e sangue
di fantocci riversi
come spighe falciate d'inverno
solo guasti pupazzi
gettati per strada.
A te nessuno parlò
di tolleranza, di pace
o aquiloni legati ad un filo
da correre e perdere il fiato.
Nessuno cantò di uragani
di navi e salsedine, scrigni
nascosti e lidi d'avorio,
mistero di uomini scuri
e volti di rosso colore.
Soltanto una madre
velata di nero sconforto
un giorno indugiò una carezza
sfiorò i tuoi capelli per poco
così tu nemmeno capisci
che c?è un'altra via
oltre il folle possesso
di uno straccio di terra,
oltre l'atroce vendetta di un dio
che mai ti conobbe.
Appartengo
Appartengo a una stirpe maledetta
behemot caduto nel diluvio
agli albori di un'umanità imperfetta
troppo simile all'avvoltoio e al lupo.
Appartengo a una genia fallata
la stessa di coloro che spartiscono
il vino gramo e il pane del bisogno,
la stessa che comprende l'assassino
il baro ed il sicario di parole
il pensatore libero e l'idiota
il boia, il virtuoso e il peccatore.
Appartengo a una razza debosciata
d'ipocriti fattori di parole
briganti faccendieri, di puttanieri
lestofanti e ladri, troppo vicini
a un orizzonte piccolo e terreno
troppo lontani al cielo per comprendere,
meravigliati, la grazia del perdono.
Giorno di vento
Non scrivo parole in questo giorno di vento
aspettando la quiete o una buona occasione,
così breve il tempo che hai avuto
troppo stretto l'istante di te
chinata alla fonte dei miei occhi scuri
le mani a cucchiaio
per berne il succo più amaro.
Io guardo il tuo viso riflesso sorridere
di un triste sorriso ormai consumato
e un poco chiudere gli occhi.
Ognuno percorre differenti sentieri
ognuno diventa ombra e disegno,
non è così lungo il cammino
aspettando il sereno che viene
dopo un giorno di vento.
Differente questo tempo
Troppo differente questo tempo
da ciò che immaginavo e avrei voluto
per me navigatore di confine
ma sempre, oltre ogni disamore
e disilluso battito di mani
oltre ogni volo di falena
nel rosso sangue di un tramonto spento.
Troppo dissonante questo tempo
suono di orchestra avvinazzata e folle
ma resta viva e vera l'illusione
che l'oggi possa macerar la noia
e soffi presto un ponente di redenzione
per trasformare ogni sentore
in vivi endecasillabi sonanti.
Infine
Potrebbero i miei occhi
integri di una fierezza nuova
essere due mani unite
illuminate di tramonto,
un bacile di carne
per coglierne il sangue goccia a goccia.
I tuoi, troppo densi,
intrappolati in dimensioni menzognere
in accessorie ipotesi di vita
ma colmi di speranza e gioia
hanno nel fondo il graffio di un riflesso
una penombra lieve.
La fronte si lava d'eterno
e sgorga già intatto il pensiero,
secche radici non cercano linfa
un nutrimento di latte o vergogna.
Infine
i miei occhi hanno lambito i tuoi
hanno toccato le ossa del tuo ventre
trasformandole in un organo sonoro.
Allegria
Graffiami il collo con la tua allegria
ara le mie nude spalle
forti di vita solitaria,
rivolta le zolle scure
irrigale con acqua pura
che sono terra pregna di malinconia
nutrita da stagioni ingenerose.
Tu contadino abile
con la furbizia antica
di una bambina freschezza
liberami dalla maceria
brucia il roveto
e sfronda i miei desideri
per incidere solchi
profondi e simmetrici
sulla terra della mia pelle polverosa.
La tua casa
Lascio il segno del respiro
come impronta sulla gola bianca,
una piccola goccia vermiglia
che scivola adagio nell'incavo del collo,
una piccola traccia soltanto
che tu possa ricordare il tragitto lieve
di chi non volle rimanere immagine
ferma come cristallo eterno
fisso negli occhi tuoi
ma preferì la fuga di ladro nel buio
e tu possa raccontare
che abitò per un poco la tua casa,
senza togliersi mai le scarpe.
Cacciatrice di farfalle
A mani nude
cacciatrice di farfalle
cogliesti la mia ombra
nel cucchiaio dei tuoi occhi
in movimento eterno
di palpebre, di mani.
Rosa di labbra, petali
esangui e silenziosi
proiezione d'ombra
nell'incertezza di un futuro
troppo luminoso e inconsistente
da te indicato come faro
nel buio di una notte chiara.
Nel bozzolo di fragola
capelli neri, piccole dita
e il desiderio tuo di trattenermi
come si tiene il dono più prezioso
senza sapere che lo perderai
in una primavera rassegnata
alle gelide ferite dell'inverno.
Il vizio
Piana sorvoli la realtà del mondo
di questo rosso meridione d'alba
accesa come fuoco di un racconto
parola che ti vesti di silenzio
inafferrabile, nell'uomo saggio
sei spoglia di significare, tieni
il nulla di passione stemperato
dall'ombra di un celato malumore.
Un'eco più soffiata nella voce
diventa grido simile al fragore
rotondo d'onda. Immonda solitudine,
gioconda noia, stuoia di delizia
ozio riposo e vizio, mestizia
di gioia ricoperta, la scoperta
equivocabile del sé, la sola
strada ovunque vada il passo, ovunque
segni il metro più lontano il cuore
vetro s'incrina, rima come sasso
scagliato con furore, per l'atavica
feroce tua fame di parole.
Fuoco e sale
Tutti quest'anni zingari
tra il ronzio di un tempo folle
e sciarade di risposte
come nubi scure nell'aria
chiamano tempesta
e sono fragili gemme
di primavere sterili,
filo di bianca sabbia
nel piatto del possibile.
l'impronta del mio viso
grida un segreto muto
un piccolo anello di luce
da mettersi al dito nelle feste migliori.
Non ho ritegno e ghigno,
si squarcia lasco il viso
che non teme sentenza o contrizione
quando fluttua nel buio
additando la luce dell'alba.
Oscilla un suono nudo
raggrumato sul vetro,
la parola estatica s'innalza
senza giungere mai
nel preciso incrocio del bisogno.
Rischiara un'alba nuova
si leva nei miei occhi colorati
è un lampo secco e amaro
che grida il nome tuo
diviene scheggia di un ricordo infranto.
Tutti quest'anni di fuoco e sale
eppure ancora non conosco
di cosa raccontare
o in quale dove spargere
o raccattare sillabe
cercando rime di miele e aceto
da versare su labbra sanguinanti.
P.D.
Paola vende gemiti fasulli
negli angoli di strada
a basso prezzo secrezioni
per camionisti o inappuntabili
padri di famiglia,
gli occhi accesi di mestizia
velata da un mascara limaccioso
e grandi mani per nascondersi.
Danilo sciala ore sudate
dietro un tornio in officina
cambia pelle ogni notte
dismette la divisa unta
e vende bianche polveri
di oblio balordo
e triste contentezza.
Sono nuvole difformi e differenti
ma ognuna della stessa
sostanza e consistenza,
si tengono per mano
dentro cieli immobili
sospinte da venti generosi
o dal moto diverso delle stelle.
Ulisse
Sepolcri già chiusi nei polsi
avventato salpare di navi
ormai la mia fronte si gela di pietra
e goccia il rimpianto, non più menzognero.
Sciogliti nuvola densa, oggi ho bisogno
soltanto di un povero sogno tangibile
e possa narrarlo ad un figlio.
Solstizio d'estate questa malinconia,
acido succo, tedio che pesa sugli occhi
il bianco tuo ciglio si piega
sommerso da questa realtà decifrata.
Fuggi l'affanno, sii pace
e non questo assurdo crepitare di ossa;
risorgi e sorprendimi,
nel breve rincorrere giorni
ho bisogno di un sogno
che possa squillare di gioia.
Eccomi
Vapore denso riveste la strada
di un dicembre trascorso
uscio di legno grezzo
odore di fresca verbena,
la scala d'un fiato
e ridi sguaiata con occhi di sogno.
Ognuno costruisce il proprio inferno
a nude mani e denti stretti
così come meglio crede.
Eccomi.
Supino, rinchiuso in una corazza spessa
scaccio demoni e angeli
imprecando alla sorte,
vorrei gettare agli avvoltoi
queste mie bianche ossa
e un pesante macigno da portare.
Ovunque tu sia, ovunque tu vada
lasciami soltanto un ricordo gentile
una velata immagine
da consumare adagio
centellinandola come fiele pregiato.
Altro suolo non possiedo
che questa fiacca vita
luminosa e terribile
ma non c'è voce alcuna che possa consolare,
non serve a nulla ormai
frastornarsi d'allegria
premere le tempie
soffocarsi di grigio tedio.
Domani scorderemo
di essere stati simili agli dei,
tratteniamo oggi una tenerezza acuta
che possa ricoprire ancora
le nostre ombre disperse.
L'intuizione
Chiedo la mia notte
dove trovarmi ancora
più candido di oggi
più fanciullo di ieri
come acqua ferma
per riportarmi a riva.
È quasi troppo terso il cielo
lavato da un innaturale azzurro
che tutto sembra raggiungibile
persino la purezza più felice.
Cammino in me
nelle mie lande perdute
cercando solamente l'intuizione
una chiara linea infinita
congiunta al mistero
che non diventi sterile domanda
ma risposta luminosa
un secco risplendere d'astri
per essere eterno
come le pietre o la gaiezza.
Sillaba di sale
Sillaba di sale
perduta in un calice d'argento
sciolta nel lampo acceso
tra capelli spettinati
vola più alto
troverai cielo
una voce d'amore disperato
la purezza sola e l'armonia del suono.
Ecco l'albore
di questo giorno nuovo
il tuo manifestarsi rituale
l'esistere ritmato del suo nome.
Canterai muta tre sole note
malinconia s'adorna nel silenzio
perché vivere è rumore che frastorna
così troppo vicino alla follia.
L'attimo e l'essenza
Tu sei
solamente (frammenti)
L’istante che più non rivedrai trascorrere nei sensi, nella malizia
di giorni quando notturna campana suonava rintocchi sonori
mai sazio d’esistere, mai stanco di essere immagine sacra
di sacro demonio che striscia, che rotola e latra.
Tu sei solamente.
Agiti e gemi che notti dispaiano e svelino albe infuocate
corpi che avvinti su corpi trasudino vita, magnifico esistere
artefice ignoto innalza lo sguardo e delira. Disegni lo spazio
con strani ricami, le tue geometrie corrispondono a gesti,
echi ovattati di voce già tua, seppure smarrita nei labirinti dei sogni.
Osservo e diventi icona sbiadita, lo sguardo che amai come stessa mia vita
è vuota finestra e vuote le mani non serrano più
la tua imperfezione, il gioco o l’essenza sublime di donna.
Hai scalfito la maschera che un tempo serrava il mio viso
infelice di essere pegno, bisogno e risposta al tuo niente
seducendo quell’ingenuità che desiderasti assetata di me,
al tuo povero sempre, simbolo e meta incostanti,
precarie comparse di tua giovinezza.
Tu sei solamente.
Tomba dei miei desideri, gelido marmo di ombre venato
sul quale marchiare per sempre epitaffi dorati,
tela consunta che io stravagante pittore con schizzi di vita dipinsi
tracciando una fragile linea per separare i miei occhi,
me stesso da mia perdizione.
("L'Attimo e l'Essenza" di Guido Mazzolini - Arduino Sacco Editore)
Mare
cinque canti
Voglio restare sospeso nell'immobilità
di questa freschezza che avvolge le membra
e riposa appagato il mio spirito ebbro
di nomadi sensazioni.
Mare.
Fratello e padre.
Nei silenzi immutati
nello spasimo dell'attimo
diventi oasi tranquilla e serena.
Canto Primo
Solo
Innanzi a te
Mare
Risorgono
Grida di anime
Infrante
Che lacerano il cuore.
Rinascono
Schiere di uomini
Infiniti volti
Mutili sguardi.
Ho bisogno
Solamente
Di poche verità.
Un solo simbolo
Ma eterno.
Canto Secondo
Lascia naufragare i nostri corpi
In buie digressioni
Di voluttà cercate.
Alla deriva, o Dea
Navigammo
Agognati piaceri
Come fragile vela.
Canto Terzo
Restavano
Voli di stanchi gabbiani
Su cieli di piombo.
Il mare divenne palude,
Fango e morte
Febbri ed angosce
In un attimo insieme.
Lontano
Fuggiva
Il sereno.
Canto Quarto
Ti dono
Freschezze
Di sale.
Canto Quinto
Navigo straniero
Vascelli di pietra
Con vele di piuma
Nei torbidi flutti
Di un'anima inquieta.
Perso
In mari
Silenziosi.
Il Distacco
Di nuovo in te, mia forza
un'altra volta nutrirmi ancora
di dolci rugiade
che sgorgano purissime.
Voglio seguire
il dolce pendio
dei tuoi fianchi diafani,
perdermi nelle profondità dolciastre
di sangue e miele
come fossi un bambino
smarrito.
La mia bocca cerca il tuo ventre
rifugio di lunghi sospiri,
i miei occhi cercano i tuoi
come fossi un bambino
geloso.
Hai lasciato nella mia anima
spianate di solitudini
deserti di desideri.
Ritorna. Preghiera
Solo questo domando, Dea:
di accogliere
tra le tue braccia
il mio spirito
fuggitivo
come fosse rondine
e tu il suo nido. Canti notturni
Notturno Primo
Vola, anima
In alto dove il sole
Dirada le nebbie delle mie angosce.
Non restare prigioniera
In un corpo fragile
Grandi ali di pietra,
Occhi di uomo appannati.
Eppure ti sento
Odo brutali le voci
I pianti, i lamenti
Morbose euforie
Gli orgasmi rabbiosi
I volti, quei volti
Che incedono pallidi, esausti.
Io ti perdo,
Preziosa
Ti perdo.
Notturno secondo
Il tuo corpo nudo è spiaggia dorata
Sorgente da cui
Le mie labbra avide
Hanno bevuto
Succhi deliziosi, o Dea.
Rugiada che sgorga,
Stilla di luce
Penetra la mia mente
Come io penetro la tua carne.
Santuario dell'anima mia.
Frutto dolcissimo
Bellezza nascosta.
Passione infinita
Notturno terzo
Società, buona intenzione di uomo,
Io lascio ogni cosa
Il migliore dei mondi possibili
Gli occhi dei poeti non guardano così lontano,
Ma solamente nel profondo di loro.
Può l'acqua bucare una roccia?
Può il sole asciugare l'oceano?
Credo soltanto al mio mancare
L'uomo ebbe così bisogno di Dio,
Da immaginarlo nell'alto dei cieli.
Rimando la mia scelta, una pagina bianca,
Una seconda opportunità. Io canto l'Uomo
Io canto l'Uomo, solamente il fragile individuo
nient'altro che l'odore di me stesso
e il suono che si smorza a sera. Canto
il folle desiderio di chi vola
l'istante definito tra le cose
ciò che non c'era, o quasi è in divenire.
Io canto la parola che non disse
il fiore che non colse, l'assassino
di solitarie idee. Io canto Ulisse
vascello luminoso di pensiero
lanciato sulla rotta del mattino.
Io canto ciò che vide il primo Uomo
ciò che conosco appena. La metafora,
l'ossimoro, l'immagine del verbo,
il sangue che fluisce ancora. Canto
il tempo che mi canta, le stagioni,
la musica, le azioni, la preghiera
che disilluso innalzo come un grido
nel fraseggiare rapido e confuso. Il Prigioniero
Fredda dimora, angusta e vuota,
gelida notte.
Definitivo il mio rimpianto.
Ombre di mani soltanto,
accatastate.
Ricordo appena quando tenevo
di fioca luce quel filo teso,
unico appiglio d'inebrianti luoghi remoti.
Sono recluso, sono silenzio.
Definitivo il mio rimpianto
afflitto e muto. Lasciami Vita
Lasciami Vita,
non tessere seriche trame
di ombre o di luci
che scivolano
Non nascondermi
opachi orizzonti. Con dita sottili
Con dita sottili
sgranavi rosari
di fiori.
Lontano.
Lasciando su pagine antiche
albe perlacee, tramonti di sangue.
Ricordo il tuo corpo
già involucro vuoto, leggero
su fredde lenzuola di marmo.
Attendo d'allora
momenti di lucide intese
ascoltando, struggenti,
le sublimità di un pensiero Sensazione
Riposano
le mie solitudini
su tenui giacigli
di vento.
Respiro
l'immenso
del cielo. A me stesso
Uno e mille insieme
il mio sguardo
il mio respiro.
Sbagliavo credendomi unico
sono infiniti occhi
sono infiniti pensieri. In Sogno
Ho abbracciato
nel trine di occhi
deserti candidi
e anime vuote.
Divenni pallida maschera
nel palpito rapido
stanche sembianze di altri.
Divenni musica.
Ancora
invoco saggezza.
Non voglio risposte.
Invano
ricerco
la totalità. Evasione
Correva su spiagge
iridescenti di sabbia dorata
incosciente fanciulla
il vento lambiva
le ambrate sembianze
di un giovane corpo.
Eterna evasione!
Sconosciute libertà
di sediziosi pensieri!
Adunanze
misteriose. Io sono così
Io sono così
come foglio posato
su tavola nuda
fredda di mille ricordi.
Foglio bianco
innumerevoli possibilità
di suoni e parole.
Sono così
o almeno io credo
se chiudo in un attimo
gli occhi. Io non so più
Io non so più
se tutto è immobile
oppure
in danze cadenzate e circolari
potrei osservare le movenze
di quest'apparente
bugiarda confusione.
Io non so più
l'immane respiro del tempo
il rapido incedere
di echi ovattati
oltre i miei passi.
A volte nel sogno
vorrei essere foglia
portata da un fiume. Epigrafe
Tristemente
quell'ansia inebriante
di essere vivo
scomparve.
Vagava in stanze vuote
di passate memorie
tendendo la mano
mendicante
nel fragore di ricordi.
Che pena crudele
la cessata inquietudine!
Così mi trascino
sconsolatamente felice
senza più desideri.
Quella notte
con le mie mani
ho scavato mille, mille tombe
al mio spirito
su ognuna l'identica scritta
"Perduta passione.
Amata e perduta passione". Per Sara
Lascia le eterne promesse
le eterne domande e risposte
le immagini stanche di pallide mani
di bianche fanciulle.
Le false virtù
che incrostano gli occhi,
i tuoi occhi
dischiusi sul mondo.
Lascia tua madre e tuo padre
le cose più care,
le tenui luci
di tragiche albe
i lampi di sere d'estate
che appaiono rapidi e feriscono il cielo.
Lascia le folli passioni
le torbide ire di sangue
la pace.
Vivi. Mai più oltre la sera
Solamente imprecise
traiettorie di ali
congiunsero ai miei passi
terra e aria, per sempre.
Nel gelido avanzare
di un tempo accurato
immane il cielo sparve,
abbracciando frontiere e vuote speranze.
Figlio di troppe madri
mai più getterò sguardi
al di là del presente.
Non fisserò lontano,
mai più oltre la sera. Cantico
Chi siamo, angelo mio?
Io non so più e attendo il giorno ultimo
paziente, rassegnato.
Parole abbiam cantato a cieli bui
seminati di stelle come campi.
Chi siamo, angelo mio?
Cerchiamo forse lucide risposte,
come bambini persi dentro sogni
che portano certi a bianche rive
assolate di mari solitari.
Chi siamo, angelo mio?
Soltanto nulla e quello che vediamo
domani sarà polvere nel volo
di rondini impazzite, dense nebbie,
fumiganti inverni nei ricordi.
Chi siamo, angelo mio?
Di vecchio navigante, sempre quelli
nei giorni interminabili del tempo
conterò malinconico i miei passi
verso lidi lontani e sconosciuti.
Chi siamo, angelo mio?
Io non so più e cerco le tue mani
sicure in questi attimi di pace,
rifugio per chi migra nella notte
senza sapere quale sarà la meta. Dona
Languidi, dolci baratri io bramo.
Ancora amo il tuo esistere
ancora odio, impetuoso,
il tuo turbare placide acque
senza più vita.
Vattene da notti inquiete,
da insani pensieri.
Siamo frutti di opposte stagioni,
immortali amanti
senza pace. Corale ( per Nicolò )
Volgi lo sguardo
sorgono pallide luci,
aride frontiere tra la notte e il giorno
s'aprono piccoli cuori, fragili mani si toccano.
Volgi lo sguardo
ai bagliori di albe
la vita trascina il tuo passo
è voce sonora.
Volgi lo sguardo
tuffa i tuoi occhi in torbide fosse
di miti che cambiano
simboli eterni che mutano forma,
che nutrono gli uomini.
Volgi lo sguardo
spalanca le porte di antiche passioni
atavici riti, sublimi
davanti ai tuoi occhi l'Immenso.
Apriti Vita, inconoscibile
che tutto diventi più piccolo, polvere, nullità.
Volgi lo sguardo
agli eroi di guerre e di pace
eletti da uomini senza risposte
ascolta le loro parole
risuonano vuote
come echi lontani si perdono.
Volgi lo sguardo
brucia per sempre le maschere
che offuscano volti
irremovibili verità
di uomini stanchi.
Volgi lo sguardo
su candide dune di sabbia che acceca
su cieli di piombo
su vele lontane che sfiorano rapide
ignote memorie.
Cogli ogni attimo
come fosse unico
infinito
abisso
di verità.
Metamorfòsi
Di
nuovo il viso smemora
Nei quotidiani assensi
muovo il passo di chi timidamente
una parola urlata o sussurrata
mai disse. Amore a chi raccolse
il tetro biancheggiare della luna.
Fui mestamente avvinto
in ragnatele di ricordi, vivide
immagini del tempo andato
volti che più non affiguro,
parole come musica cantai l'assenza.
Di nuovo il viso smemora
nel gocciolio di attimi rapaci
sfioro una mano e ancora
non rammento il terroso
sapore dell'inganno. Il tempo di un'attesa
Non finirà il migrare
nel tempo di un'attesa
bianche ali avrò
sottili e pallide
di agile libellula
airone senza nido
in lucido cielo
diamante azzurro
senza una meta certa
felice del mio essere
migratore eterno
io questo solamente
e non ambire ad altre
mutevoli sembianze
di uomo o semidio. Non chiedere al poeta
Non chiedere al poeta il senso degli
eterni voli ambigui di nave
senza porto ove ancora calare,
il significare preciso di eventi,
delle idee che come
ragni velenosi il loro nido
nella memoria hanno intessuto.
Non chiedere al poeta, egli trascina
nei corridoi dell'anima passi
moribondi e trame goccianti
sensazioni che mai nessuno scrisse
come uno spettro inquieto: ciò domanda
ai propri versi maledicendo il giorno
in cui parola nacque in altro sole.
Non chiedere al poeta, egli ha soltanto
infami scritti e schizzi da portare,
macabro trofeo alla propria mensa
racchiude in versi solo il proprio niente,
non crede a nulla fuorché al bisogno
alza lo sguardo al cielo e stancamente
traccia parabole che non comprende.
Non chiedere al poeta il risultato
del proprio scrivere cieco e disperato
non ti fidar di lui e di certi versi
soltanto endecasillabi dispersi
son frutto di un inutile operato Padre
Ritrovo ogni attimo sconfinate dolcezze
negli occhi di chi si domanda
e più non conosce verdetti.
Io so, non comprendi i miei giorni
che come animali randagi invadono i tuoi
di vecchio, di saggio che ormai si riposa
e ammaina le vele dell'ultimo viaggio.
Padre per sempre
così come sono
io, che cavalco quest'anni
e un poco trascino più incerto il mio passo
su estremi orizzonti
di te che sei Sogno
ed io Sognatore
di folli miraggi. Sei
Sei inferno e paradiso
pace, guerra
sei assenso e dissenso
tempesta, bonaccia
sei sabbia e granito
spessore sottile
sei fuoco che arde
sei acqua che spegne la sete
sei e non sei
ma se sei
sei presenza insostenibile
ai sensi,
a sussurrati sensi
insaziabili
di sognatore schivo.
Sei l'ansia di sapere
tu, per sempre irraggiungibile
eppure così vicina. Porgi silenzi
Porgi silenzi soltanto,
tacite voci che spesso
fanfare squillanti di ottoni
diventano a chi li raccoglie e geloso ritrae,
come guerriero combatte,
non teme la morte.
Inquietudine, tu delinei sottili parabole
e scuoti nell'intimo chi segue fedele i tuoi passi.
A volte sei come frullare di passero
nel centro preciso di me,
a volte tempesta che scrolla violenta la riva.
A volte non sorgi e pare che tenebra cali.
A volte sei alba.
Metamorfosi
Porto addosso da sempre lo stesso vestito
di grigio affilato, lo porto con cura
ebbro a meste carezze, pensieri di uomo
che percorrono avvinti i ricordi migliori
i più cari, impagati, perduti rimorsi
sono segni indelebili, incisi negli occhi
assonnati da veglie crudeli. Rintocchi
implacabili un poco io perdo, nell'ansia
cerco il suono ovattato di passi per strada
i miei passi che un tempo segnavano i luoghi
di memorie.
È facile alibi il sogno
tiene strette le tracce dei miei disinganni
accorciando distanze che un giorno illudessero
il nome di Dio. Artifici del tempo,
metamorfosi, simboli che non comprendo
e so prigionieri di fallaci rimorsi
riconosco soltanto il colore del buio,
il sapore dei giorni più lieti. Non credo
rinascite se non le mie, premurose
memorie, loculi vuoti hanno colmato
e abissi di sogni più sonori dei passi
che riconosco, cari, su ghiaie di viali
alberati.
Non ho percepito altre immagini,
non serbo rancori che incendiano il petto
sfumando nell'immediatezza del porgersi
nell'essere fuoco, immagini e fiamma
che un poco s'accende balena e s'innalza.
Porto addosso da sempre lo stesso vestito
di grigio affilato, lo porto con cura.
Non essere mai
Non essere mai
visione di cosa
che schiva rapita,
simile a tuono
sommessa s'annuncia,
prelude il boato
insieme scompare.
Non essere mai
pensiero che danza
ma solo, di sguardi
già morti al proscenio
avanza impacciato;
nemmeno più attende
che scenda il sipario,
l'eterno ripete.
Non essere mai
l'inganno di rughe
sottili, di ombra
appena accennata
sul viso già stanco
che più non riposa,
atteso nell'attimo
prepara la sera.
Non essere mai
la voce di un altro
respiro: diventa
soltanto il tuo sangue,
tuo fragile corpo
che pulsa, s'accende
s'affievola, muore
e piano scompare.
Ballata
Terra io vidi in abissi di mondi, nei sogni
che ancora rievoco serrando quest'occhi
imprecisi che vitrei, umani orizzonti hanno lambito.
Morte è collare di piombo che serra la gola
implacabile e taglia il respiro
vita è infinito distare e sorrisi e lamenti.
Noia è misura di vivere, unico metro
che traccio e congiunge più incerti i punti
nell'aria che muovono e danzano.
La mente ogni simbolo può significare
ma nulla comprendere; è solo inutile
correre di nostri pensieri, delirio febbrile
che notti preziose ha macerato lasciando
soltanto al risveglio l'amaro sapore del poco,
giorni che seguono a giorni, attimi a istanti più brevi.
Mi vedo e non sono che più, giullare attendendo
l'assenso di splendide corti, reami e contrade
un tempo di ori e di sfarzi già colme e preziose.
Mi vedo e non sono che più, impronte di passi
e fluire costante di immemore stirpe che solchi
ha lasciato nel tempo.
Mi vedo e non sono che più, randagio animale
io rotolo e impregno i miei sensi di polvere
acre che brucia la gola.
Mi vedo e non sono che nulla, riflesso del nulla
e piano sorseggio impassibile il nettare tuo
o vita di gioie e di strazi, di pace e di scempio!
Parlavi sommessa
Parlavi sommessa.
Celata la voce e fragore
di suoni sgarbati
a sera inoltrata.
In mille parole,
zelante, ti confidai
al gesto preciso di un'ansia già tua
rimorsi e passioni che timidamente
giocavano nei nostri sguardi.
Ancora rivedo quei gesti:
io immobile consumando
rabbia di averti lontana,
a un passo da me, incolmata distanza
mai raggiungibile; tu a fingere
gioie, affetti precisi che io percepivo
odorare di antico e di chiuso,
meticolosamente riposti
e da te ingenuamente additati
come unica via.
Perché non comprendi?
Perché non permetti che ali maestose
dei sensi s'involino alte, dove nulla è sicuro?
Squillante è il richiamo che cerco.
Instabilità come strada maestra
percorro serrando i miei occhi, che nulla
mai vedano se non movimento,
liquido gioco di forze ed estremi;
baluginare incostante tra fuochi
lontani che incidono il buio con sprazzi
imprecisi di luce, appaiono rapidi
per poi scomparire.
Monològo
Quale libertà fuggisti di bianche ali e memorie
sconfinate, uomo cieco in una sola esistenza?
La mia, la tua, le nostre vite
che incerti eroi hanno additato
assaporando il miele dolce della ribellione.
Eco di mille voci non udisti nel frusciare del ricordo;
epigono di chi, di quale idea?
Hai cavalcato bianchi destrieri, immagini e memorie
come scudieri folli al seguito tuo di condottiero
che più non raccoglie l'essenza del viaggio
o del riposo, l'esistere di un tempo per migrare,
il senso del coraggio e il suo sapore.
Stringi soltanto nel pugno le poche cose che già
t'appartengono: crolla l'orgoglio che muta e non coglie
del cambiamento pallidi riflessi di luce.
Un tempo sei alba che sorge e prelude
di tinte sfumate rimbalza nel giorno e labile mai si rinnova;
diventi poi notte di gelo e stupore, incubi vividi
appaiono e scorrono immagini, la fronte rivesti di lucida brina.
E' il tempo che sgretola tempi.
Avanzano eserciti, armate invincibili
io più non combatto; ho alzato le mani che appaiono
bianche nel buio e mi arrendo, ostaggio di troppi ricordi.
Mi arrendo e misuro, soppeso gli istanti che gocciano lenti
e che piano fluiscono. Non perderà nulla chi nulla possiede
tempo non è di precise intuizioni, non più sfavillanti utopie
che balenano rapide, non più l'inarcarsi maestoso dei sensi,
il tronfio addrizzarsi dell'Io.
Il riflesso
Il riflesso di me trasuda perdizione.
Rammarico denso peccato non solo,
guardando la china di prossime aurore,
immagino e sono futuro.
Proseguo i miei giorni,
incerto accadere di rapidi eventi
rallento quel passo rapido un tempo
ed ora più saggio, di navigatore
che approda nel buio.
Possiedo le idee
e ciò che feconda il mio tempo.
Sensualità
Sensualità, ti cerco nei recessi
nell'intimo più osceno
del mio stare folle e imperdonato,
miserabile, esecrabile agli sguardi
compiaciuti e al giudizio
di chi non ti conosce.
Sensualità, desidero carezze
preziose ai miei bisogni,
che trasudando vita innalzino
precisi sacrifici di commiato
a muti sensi.
Sangue che tiepido fluisci
in me che sono carne e umori
di elevato animale
randagio e vagabondo
io migro nei tuoi regni,
sensualità dolcissima:
spalanca le tue porte.
Sarò per te scudiero,
imperdonato e folle.
Diventerai me stesso.
Le tue mani
Rivedo ancora le tue mani, bianche
sulle mie, pigre, un poco indifferenti
alle lusinghe del tuo sesso tiepido
alle carezze, agli echi più distanti
di nostre voci, nostri smarrimenti.
Perduti o ritrovati, nel silenzio
degl'ovattati "t'amo" mai appagati
da nessun'altro nome. Eri perduta
nell'ansia di tenermi ancora un poco
tra le tue dita, come ragnatele
tessevi fili e il gioco della vita
squillava la fanfara del piacere.
Rivedo ancora la tua pelle casta
e quel pallore che non sai celare
del corpo tuo, del sangue tuo da bere
avidamente. Lasciami guardare
io stesso che ti osservo pigramente
con quegli stessi occhi che tu amavi.
Concedimi un istante, solo questo
io ti domando sottovoce, certo
che quel che resta di un ricordo andato
non paga quel ricordo da scordare.
L'inventario
Ho tutto ciò che serve,
maschera di cera imperscrutabile, liscia
levigata dal mestiere di fingere certezza;
lama affilata per difendere me stesso da me stesso
lottatore cieco, nemico dei miei sguardi;
scudo e corazza di barbaro antico
falco implacabile, feroce rapace
affamato di sogni e desideri, selvatico animale.
Ho tutto ciò che serve,
conobbi e misurai distanze tra terra e cielo,
tra fuoco e mare, tra notte e luce; solitario
incolpevole amante, araldo senza voce, messaggero
di pensieri che tenui sciolgono nel divenire
perché tutto è immagine ed io sono
semplicemente chi approda a nuova riva
pallida, di sabbia sconosciuta.
Ho tutto ciò che serve,
l'aratro dei ricordi incide solchi
nella memoria come terra tenera, arrendevole;
paziente attendo i frutti nel dipanare
lento di stagioni. Da quanto tempo, ormai,
cavalco le mie idee? Da quante notti
algide, di albe ho spento i fuochi?
Chi ero e chi sarò non riconosco,
traccio soltanto e annoto, minuzioso,
il tempo di cui più non comprendo l'esistenza,
meticoloso, inutile inventario dei miei giorni,
di questi attimi randagi.
Per me
Per me che sono popolo di cieli freschi
brulicanti di vita.
Per me che son di terra, nascondo agli occhi miei
le verità di simboli precisamente decifrati.
Per me lontano fuoco, scintilla viva
eterno, immobile di trascendenza.
Per me che non comprendo
l'insondato disordine
del mondo.
Per me.
A P.P.P.
Questa città conosco, le case, gli usci, il viale,
interpreti precisi di soffi millenari
del giorno che precede il troppo tempo uguale
al tempo che percorro. Bene rammento i cari
momenti di vagante istinto d'animale
che l'aria fiuta; solo chi freme dei più vari
istanti, degli odori che porta il vento, sale
senza timore alcuno e senza più associare
domanda, morte, dubbio. Cercando ciò che vale
il sogno non è mai bisogno di restare
ma semplice diritto all'irrealtà del viaggio,
al mesto disinganno o al semplice vagare
da porta in porta. Ancora assisto il tuo coraggio
di uomo che seduto, contempla la memoria
nei tempi già sfioriti, l'inutile miraggio
è riverita idea di gente, luoghi e storia,
della diversità che dolorosa cela
il freddo recitare di vita provvisoria.
Il suono della voce che nel silenzio svela
il folle senso tuo è ingenuo tentativo
di chiudere in un cerchio, quasi che la tua tela,
inutile pittore, si perda nel tardivo
bisogno d'esistenza da bere con le mani
sorbita goccia a goccia nell'estro d'esser vivo
ma vanamente. Siedi su metri che, lontani
dal raffinato artefice di morte, buio, vizio
hanno tracciato simboli magnifici ma vani.
E' il giorno tuo. Rimangono nell'ora del supplizio
frammenti di parole dispersi ormai dal vento
di preparati simboli, di pena e di giudizio.
In un istante, solo un semplice momento
capii che la ragione, il senso del tuo stare
immobile figura, del tuo poetare lento
è schietta comprensione, bisogno di gettare
il dogma e la morale nel carcere dell'Io
spietatamente chiuso dal semplice tuo alzare
la mano verso il cielo a maledire dio.
Eroe di una tragedia che sussurrata migra
nell'incostante tremito di possedere il mio
più schietto desiderio: che questa vita pigra
s'immoli ancora in albe di miti e passione
volando, breve fuga, da un mondo che denigra
e mai potrà comprendere la folle sensazione
della diversità che porto come un vanto,
come un monile raro, una maledizione.
Stagione tua di luce, sospesa nell'incanto
di strane forme che la sera, miracolosa,
delinea e mi sorprende nei ricordi. Quanto
di te possiede vita che innalza fragorosa
il macabro scenario di certezza? Quale
sentiero percorrevi nel sogno, misteriosa
presenza del tuo essere sembianza disuguale?
Ora non sei. Alzati, guerriero di parole
con rabbia urlate contro moralità e morale
la forza dei tuoi versi risplende come sole.
La voce del poeta
Ascolta la voce del poeta
a volte sussurra parole
a volte di strazi sommerge silenzi
cristalli che infrangono
canta ove tutto è quiete o rumore,
patibolo gelido osceno di sangue
grondante su troppe bandiere
stendardi di uomo che erigono al cielo
parvenze di mani,
di volti già freddi
usurati di morte.
Essa risuona perché questo è il suo tempo,
urla blasfema e lacera il cielo.
Amo
Amo di bizzarro sentimento,
ammalorato.
Amo di dolore sordido
di sangue e umori.
Amo il tuo restare, l'impenitente ardire.
Amo, ma d'amore stanco,
imperfetta immagine di perfezione,
metafora insana, gelido artiglio.
Amo l'incedere lento delle tue mani arse
sul mio corpo di pietra.
Amo essere ancora,
amare e gemere, fluire il tuo corpo
per saziarmi di tua sembianza
e ricordarti, immobile,
muta com'eri un tempo.
Tu sei solamente (frammenti)
L'istante che più non rivedrai trascorrere nei sensi, nella malizia
di giorni quando notturna campana suonava rintocchi squillanti;
mai sazio d'esistere, mai stanco di essere immagine sacra
di sacro demonio che striscia, che rotola e latra.
Tu sei solamente.
Agiti e gemi. Attendi che notti dispaiano e svelino albe
infuocate, corpi che avvinti su corpi trasudino vita, magnifico esistere,
artefice ignoto innalza lo sguardo e delira; disegna preciso lo spazio
con strani ricami, le tue geometrie corrispondono a gesti,
echi ovattati di voce già tua seppure smarrita nei labirinti
dei sogni. Ti vedo e diventi icona sbiadita: lo sguardo che amai
come stessa mia vita è vuota finestra e vuote le mani non serrano più
la tua imperfezione, il gioco o l'essenza sublime di donna.
Hai scalfito la maschera che un tempo serrava il mio viso, infelice
del mio essere pegno, bisogno e risposta al tuo niente, seducendo
quell'ingenuità che desiderasti assetata di me, al tuo povero sempre,
simbolo e meta incostanti, precarie comparse di tua giovinezza.
Tu sei solamente.
Tomba dei miei desideri, gelido marmo di ombre venato sul quale
marchiare per sempre epitaffi dorati, tela consunta che io
come pazzo pittore con schizzi di vita dipinsi, tracciando preciso
fragile linea per separare i miei occhi, me stesso da mia perdizione.
Così trascorse il tempo ( per A.M.)
Così trascorse il tempo,
divenne inganno di un'attesa
dal lento appassire, inesorabile.
Non odi suoni, non hai parole;
i gesti più non avvicinano alla poesia dell'estasi
al ditirambo folle che ingenua danzavi
nei giorni tuoi di tragica purezza
ove cielo spietato, incapace di perdono
è vuota stanza di desideri irraggiungibili.
Urla il tuo folle cuore, prigione dei poeti
di sentimento minuzioso e muto.
Urla la sete tua di amore immenso,
di semplice candore.
Urlano i tuoi versi splendenti
affamati d'aria. A te vicino
io accolgo mani che stringono la gola.
L'urgenza che senti è solo bisogno di vivere
schietto nutrimento, linfa vitale.
Null'altro.
Canzone
Lo specchio rimanda un'immagine ardita
di me che non sono null'altro, ombra di un'ombra.
Osservo impietoso e sono di nebbia e di polvere,
avvolto in parvenze di cose che addito, ubriaco di nulla.
Ipotesi forse di altra esistenza,
non sono reale o di mondi diversi
ove dispari amanti s'inseguono.
Soltanto il silenzio, nei miei labirinti fumosi, dispersi.
Credi davvero possibile una simile attesa?
Credi davvero al sembiante che geme?
Lo specchio rimanda un'immagine ardita
osservo paziente i miei occhi, i graffi dei giorni
ad uno ad uno perduti e simmetrici.
Non sono che io, immobile e vivo.
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