Poesie di Vincenzo Melino


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Vincenzo Melino nasce nel 1953 a Colletorto (CB). Ha studiato a Perugia, dove si è laureato in Scienze Politiche. Attualmente vive e lavora a Campobasso. Appassionato del mondo rurale si occupa di tradizioni locali, salvaguardia dell'ambiente e di 'vivere sano'. La campagna e il suo paese natale sono costantemente presenti nei suoi scritti come luoghi di perenne nostalgia. 'Miti e chimere nei ricordi della sera' (Silele Edizioni, 2010) è il titolo del suo primo romanzo, con il quale ha partecipato al Concorso Nazionale Letterario Histonium 2010 di Vasto (CH), vincendo il Premio Speciale della Giuria.
Con il racconto inedito 'La masseria del glicine' ha conseguito il 1° posto assoluto al Premio Insieme nel mondo 2011 (Savona) e il 3° posto assoluto al Premio Histonium 2011 (Vasto).

 

Il respiro dell'anima

Il fragore del silenzio
Attraverso gli occhi
imbevo l'anima di colori:
un raggio di sole,
un prato di papaveri
e il caleidoscopio di un vigneto.

Attraverso nascosti sentieri
nutro il cuore di sapori:
un ciuffo di basilico,
una manciata di more
e la carezza d'un grappolo d'uva.

Appoggio la testa
a un robusto sarmento
e assaporo il fragore del silenzio.
Tra pampini arrossati e acini allegri
ascolto il racconto di un calice.

Accademia dei silenzi
Cielo azzurro,
nuvole bianche,
alberi.

Nell'accademia dei silenzi
le mie dita leggere
sfiorano l'arpa muta.

E le giornate
hanno il sapore
di ciò che non ho.

Vela bianca
Ombre interrotte di fogliame,
canti tremuli d'uccelli,
pozze d'acqua fresca,
prati verdi con papaveri.

Una giornata tra gli alberi,
sensazioni semplici,
profumi di fiori,
attimi di vaneggiamento.

E' un ritiro tranquillo
e non odo neppure
gli echi dei miei gesti.

E la memoria dorme
come in una processione infinita.

Socchiudo gli occhi
e la vita scorre
come la vela bianca
che intravedo in lontananza.

Nei calici della mia meditazione
s'incunea il sorriso di un bimbo.

Pioggia
L'acqua danza nel borgo,
corre per i tetti,
entra nelle case di campagna,
nel parco giochi.

S'infila tra cespugli e pietre
e riempie i campi
di muta tristezza.

La pioggia,
amica di sognatori
e disperati,
compagna di uomini stanchi
e sedentari,
sbriciola le sue farfalle di vetro
sui metalli della terra,
corre sopra le antenne
e sulle torri,
s'infrange contro le case
e sulle strade,
distrugge i desideri
e aiuta la solitudine.

Indifferenza di gesti
Freddo e grigiore,
polvere e fango.
Meditazioni indefinite
s' annullano nella magnificenza
di una disprezzata penombra.

Solitudine immobile
attraversata da nuvole.
Colori umbratili ed evanescenti
come i toni di un paesaggio
disperso in nostalgici sorrisi.

L'aria è fredda
e il vento sibila
tra le foglie secche,
affastellate in impalpabili paludi.

Rumore di mulinelli
fra mura ingrigite
e scrosci irregolari di pioggia.

Sulle onde fiacche
di un lago diafano,
tra stanchezza di palpebre
e indifferenza di gesti,
si spegne la mia sete di verità.

Fuori dell'uscio di casa
suoni tristi e rabbiosi
avvolgono la disperazione dell'anima
con parole assenti di anonima protesta.

Fiori tristi
Sono lucido e mesto
come una giornata fredda
e la mia vita scorre nel conforto
di situazioni nitide ed esposte al sole.

Insulti e umiliazioni
arrivano alla spregevole periferia
della mia sensibilità
ed entrano nel recinto dell'anima cosciente.

Elementi anonimi d'indifferenza,
figure d'altri tempi,
immagini incarnate in libri non letti
e nella casualità di strade deserte.

Assaporo il niente
con una pienezza di bonaccia spirituale
mollemente cadendo
nel grembo azzurro delle mie aspirazioni.

Il mio cuore traslucido
penetra nella sufficienza delle cose
e un dolore vago fiorisce
dietro i muri della rettitudine.

L'aroma e il colore
dei fiori tristi
attraversa il mistero confuso dell'essere
finendo in un mare interiore.

E il fiume della vita
sfocia in sonnolenze esistenziali.

Cella di reclusione
Un silenzio rumoroso
m'invade come livida brezza
e porta sul calvario dell'oblio
la croce dell'esistenza.

Un ultimo barlume di sole
sui monti distanti,
un vento che solleva le foglie
davanti alle deserte soglie.

La mia anima
brandisce le corde di violino
con l'orgoglio spento
d'una misteriosa orchestra.

Porto nel cuore
la nostalgia del tempo vissuto
e il mio pensiero errante
segue la rotta di una nave inesistente.

Le ombre dei sogni
scolpiscono i ricordi
sull'acquiescenza spirituale di un barbone
e sull'immobile esteriorità dei muri.

I miei ideali
odorano di freddo e di dolore
come la monastica putredine
di una cella di reclusione.

Ventaglio chiuso
Vagolo distratto
sotto alberi alti
e ascolto il leggiadro sussurro
della foresta.

Aspre radure
nella casualità di un sentiero,
chiarore evanescente
e intrico di rami.

Sguardo sfuggente
come di chi non vuole vedere,
sdegno diffuso
in ogni lineamento,
sorriso pallido
come labbra di disperazione.

Tedio del crepuscolo
e del turbamento
come in un ventaglio chiuso
sull'esistenza vissuta.

Una strana sensazione di dubbio
s'affaccia sulle mie supposizioni
muovendosi tra le onde lunghe
di verità romanzate.

Giorni lunghi
Occhi pesanti
e cervello annullato.
Con un'assurda matita
scrivo inutili lettere.

Chiudo le imposte
delle mie finestre
e per un momento
godo della libertà.

Sdraiato sulla sedia
dimentico la vita che mi opprime.
Mi duole solo
del male ricevuto.

Giorni lunghi
come filosofie
interpretano la mia esistenza.

Germogli d'umanità
Saggezza antica
come bozzolo scarnificato
ai margini di una mulattiera.

Ascolto il suono del vento,
tocco il battito della terra,
ricevo consolazione dalla pioggia
e mi scaldo dinanzi al focolare.

Schiamazzi in notturne cavità,
ululati vaghi,
accompagnati dal cigolante oscillare
di insegne stradali.

Ribellione e trasgressione
come germogli d'umanità.

Voci ruggenti
da spazi indefiniti,
silenziosi tremori
e sorde paure.

Nell'oscurità
la brezza mi sfiora le gote
e il rumore dei polmoni
mi entra nel cuore.

Con prudenza
assaporo
la possibilità di dormire.

Armonie dell'anima
Mormorii di ruscelli nella notte,
profumi di pane e di frutta.
Attraverso il disegno improvviso del subconscio
la fantasia evoca visioni sentimentali.

Come chi non vuole più fare gesti
abbozzo un desiderio.

Angoscia metafisica mascherata,
grande disillusione,
sorda poesia dell'introspezione.
Suoni di parole che echeggiano
nei sotterranei del pensiero.

Notte silenziosa,
sensazione profonda,
strada senza uscita.
E nella mia ombra intima
s' attaccano fogli
e si conficcano aghi.

Rimuovo le emozioni
e mi riempio di pensieri contradditori
in un movimento di tedio colorato.

Una vasta visibilità del mondo
percorre l'immaginazione desta
e i miei occhi s' offuscano
di nostalgia e di supposizioni.

Come un vento turpe
la stanchezza anticipata
dei paesaggi possibili
affligge il fiore del mio cuore stagnante.

Lungo la spina dorsale
del ricordo
risuonano dolci armonie dell'anima.

Suoni dell'inquietudine
Pazzia gracidante
dell'universo morto,
cadavere ruotante
dello spazio fisico,
bandiera anonima
che fluttua nel vento.

Non so mentire,
non so pensare,
non so volere.

Sono la periferia
di una città inesistente,
il commento prolisso
a un libro non scritto.

Sottile movimento dell'emozione,
intimo linguaggio della coscienza,
assurdi suoni dell'inquietudine.

Da una botola
precipito nello spazio infinito
in una caduta senza direzione.

Il mio pensiero non contiene raziocini,
la mia esistenza non ha emozioni.

La mia anima
è un antro nero,
un pozzo senza pareti,
una vasta voragine
intorno al nulla.

Filosofia e religione
Larve del declivio
e della dispersione,
ombre che riempiono la valle,
vestigia del destino.

Spettri sinistri,
serpenti d'antri assurdi
e di emozioni perdute.

Incoerenze di sogni
aleggiano come pipistrelli
sulle passività dell'anima
e come vampiri
succhiano il sangue della sottomissione.

Come un abisso scuro e vischioso
la mia esistenza
si perde nei miraggi,
nella vergogna delle cose reali
e nella miseria di una vita dignitosa.

Creo una filosofia
e la uso come un abito,
sogno una religione
e la indosso come una maschera.

La malizia dei giorni
e i capricci degli eventi
precipitano nel cuore,
avvelenandolo.

Al suono della grande orchestra
passo nel vortice delle danze
e nelle conversazioni del riposo
sotto gli sguardi sdegnosi ed estranei
degli organizzatori dello spettacolo.

Frammenti di sogni
Picchiettio di pioggia
per tutta la notte.
Nel dormiveglia sento
la sua insistente monotonia sui vetri.

Il rumore casuale di un'auto
arriva dal fondo della strada,
rimbomba sul selciato
e si spegne nel vago sonno
che non riesco a prendere.

Calpestio liquido di passi,
poi silenzio,
altri passi che si smorzano
e la pioggia continua,
fragorosa e abbondante.

Sulle pareti della stanza,
visibili nell'oscurità,
fluttuano frammenti di sogni,
luci vaghe,
righe nere,
cose da niente
che si arrampicano
e scendono.

Vaghi oggetti
nell'ombra della mia insonnia
ammiccano a fragili sofferenze
e a desolanti rimorsi.

Nell'assurdità della tenebra
la solitudine dell'anima
si espande nella putredine.

Impossibile e inutile
Il sole indora
la mia fronte rugosa
annullando propositi
e conseguenze.

Inconsistente monotonia di vita
in feste serali sconosciute.
Sensazioni di tedio
emergono con disagio umiliante.

La brezza porta aria fresca
e l'allegria si manifesta
con gesti di rabbia
che non provo.

Ghermisco fiori spettrali
e intreccio mazzetti di ghirlande
in angoli bui
della mia esistenza.

Vizi e virtù,
castighi e peccati,
ricerco l'impossibile
attraverso l'inutile.

Grido di redenzione
Si spegne in un bianco livido
la luce del sole
azzurrandosi
di fredde sfumature verdognole.

Nell'aria torpori maliziosi.
Come un lago racchiuso tra aspre rocce
il mio cuore contempla
le fragili increspature dell'anima.

Cresce l'ansia dell'immaginazione
in un immobile biancore elettrico,
ritagliato nel remoto
e in fittizie insensibilità.

Nella fossa irraggiungibile
brilla il diamante,
pena dell'universo reale,
stendardo di un esercito incognito.

Un grido di redenzione
sale sulle labbra della mia coscienza.

Tenue nostalgia
Tramonto azzurro verdastro
tendente al grigio bianco,
nebbia rosa spenta
nascosta dai monti.

Giro le spalle
alla finestra grigia,
ai gelidi vetri
e al sortilegio della penombra.

Una grande pace
si disperde fredda
nell'astratta aria autunnale.
Osservo e dimentico.

M'invade, come un oppio,
una tenue nostalgia.

Frantumi di luci
Aria scura
e pioggia violenta.
Cuore oppresso
e ricordi trasformati in angosce.

Gelido sussulto
e cuneo di luce metallica
sul duro silenzio
e sul riposo dei corpi umani.

Sordo nerume
e sussurro prolungato
nel rimbombo del temporale
che si placa in larghe distanze.

Frantumi di luci
come respiri sospesi
feriscono l'anima.

Interludio
Infedele alle promesse interiori
mi riempio le mani di sabbia
e vivo in perpetuo straniamento.

Costruisco con oro e seta
antichi scenari
intrecciando giochi di luci
e musiche invisibili.

Oltre l'uscio di casa
i rumori della strada
parlano a voce alta
con toni solitari.

Fra il nerume opaco
che vibra dappertutto
s'increspano di luce
intensa e pallida
stretti vicoletti.

Sul terrazzo di un palazzo impossibile
consumo l'anima nei graffi
profondi di argentati interludi
e in febbricitanti realtà lunari.

Caverne dell'anima
Tempo eterno
e spazio infinito.
Nitida coscienza
di solitaria esistenza.

Nel vasto silenzio
peregrinano piccoli rumori,
non alterando la percezione
di sensazioni spirituali.

Ansia morale di lottare,
sforzo intellettuale di comprendere,
irrequieta aspirazione artistica
m'inducono a riflettere
su cose inutili,
vuote e lontane.

Uno strano insetto
cerca invano
il caldo ricordo di una luce
nelle oscure caverne dell'anima.

Città
La mia anima
passeggia coscientemente
per le strade notturne
della città.

Viuzze e stradicciole
labirinti di sensazioni,
dolorosa nozione d'irrealtà
e finta esistenza.

Lunghe file di lampioni,
finestre illuminate e buie,
portoni chiusi e aperti,
sagome imprecise.

S'imbattono nel mio udito
frammenti verbali d'invidia,
lussuria e trivialità.

Mormorii sussurrati
ondeggiano dentro la mia coscienza.

Senza di me
Cerco
e non trovo.

Voglio
e non posso.

Il sole nasce
e tramonta senza di me.

La pioggia scende
e il vento geme senza di me.

Non dipendono da me
le stagioni,
il corso dei mesi,
il trascorrere delle ore.

Ellissi assurde
Crepuscolo di spigoli,
finzione dell'interludio,
dilazione dell'alba.

Stagnazione di particolari,
casualità d' ombre
e confusione evanescente.

Il tramonto si diffonde
fra nuvole isolate
e riflessi di ogni colore
riempiono la varietà dell'aria
fluttuando assenti
nelle grandi pene dell'attitudine.

Brandelli di niente
toccati da luci lontane,
frammenti di falsa vita
che il destino indora
con il suo triste sorriso
di assoluta verità.

Fra ellissi assurde e distanti
la vita affranta si disperde
in finti avvallamenti di strade
e nelle inquietudini dormienti.

Sibili d'angoscia
Fontane di ville deserte
ristagnano nel sole
come ricordi di storie infantili.

Carezze di cieli futuri
si dissolvono nel silenzio di una chiesa
come brezze imprecise.

Grandi imperi,
religioni e filosofie
scompaiono nella tenerezza
indifferente dell'autunno

come fiammiferi usati
che ricoprono il pavimento,
come fogli accartocciati
a forma di finta palla.

Incerte lampade votive
oscillano nello scempio lezioso
di privilegi ignoti.

Nell'oscurità del mondo
sento la mia anima vaneggiare
in profondi e discontinui ululati
come sibili d'angoscia nuda.

Inutile tristezza
sull'asperità di giunchi lacustri
e di penombre crepuscolari.

Fremiti di vita
Tonalità di colori lievi
in un cielo vasto.
Ritocchi di fredda brezza
annunciano l'autunno
nella casualità della sera.

Caduta di foglie ingiallite
e vaga angoscia
accompagnano le mie sensazioni.
Tristezza umida
di giorni passati.

Nell'atrio dell'invisibile
tutto è ombra
e polvere agitata,
anche il rumore annoiato
di poche foglie sollevate dal vento.

Luci senza sorriso
orlano di giallo spento
la rotondità confusa
di scarse nuvole.

Immondizia residuale
di stelle e di anime.
Il cuore mi duole
come un corpo estraneo.

Coscienza chiara
di anonima insufficienza.
Fatica anticipata
di ogni gesto,
disillusione preannunciata
di ogni sogno.

Nell'orbita insensata del nulla
produco fremiti di vita
su lastricati puliti
che un sole obliquo
indora di smorzate fobie.

Verdeggianti radure
Svanisce la nebbia
e ogni fessura visibile
ferisce la carne dell'anima.

In sintonia con la sonnolenza
la brezza incerta della sera
mi porta suoni sbiaditi.

Il tedio che patisco
si adatta come un abito
che non graffia la ferita

e l'ubriacatura del non essere
riscalda la superficie stagnante dei sensi
come una sorta di torpore assolato.

Nella fluida futilità dell'esistenza
sentieri del sogno incantato
mi conducono in verdeggianti radure.

Sera
C'è un'atmosfera minacciosa
di cielo vigliacco
come di un temporale non udibile,
fatto solo d'aria.

C'è stagnazione
persino nel volo dei gabbiani.

Rare nuvole alte
poggiano sul nulla,
cirri grigi si sfaldano
su un bianco ingannevole.

La sera scende
nella mia inquietudine
e la brezza
rinfresca a intervalli.

Paesaggio e disperazione,
come speranze dimesse,
navigano in foschie senza nebbia,
tra imbastiture rotte da falsa tempesta.

La bassa marea
lascia scoperto il nerume melmoso
e vedo soltanto attraverso l'odore.

C'è del salmastro
nel mio proposito.

Sensazioni
occupano come foschia
l'estensione del mio spirito:
non penso,
non agisco,
non sono lucido.

Brividi interiori
e nebbia d'intuizioni.
Innocente esistenza
priva d'analisi
e di pensieri.

La mia vita
è un pendio in discesa,
una pianura che giace
di fronte all'elevazione
e alla vetta
che non oso raggiungere.

Attonito trovo riparo
nella vergogna intellettuale,
nelle illusioni perdute
e nel rammarico inutile.

Rammarico inutile
Tra nuvole immobili
l'azzurro del cielo
si sporca di bianco trasparente.

Nel silenzio freddo
i rumori della strada
si tagliano con il coltello.

Dentro di me
una sorta di malessere
di tutte le cose,
una sospensione cosmica
della respirazione.

L'universo intero si ferma
in una tenebra annerita di silenzio.

Impenetrabili sorrisi
M'incammino lentamente
per le strade della città.

Brandelli di frasi cadono
come elemosine dell'ironia
nella scuola invisibile
della mia meditazione.

Rovine d'edifici,
piedistalli grezzi e insudiciati,
superba e unica
s'innalza la statua del tedio.

Sembianze d'impenetrabili sorrisi
oscurano i volti
glorificandoli vagamente di segreto.

L'infelicità si blocca
sulle mie labbra
in un pozzo di gesti abbozzati.

E le tenebre si rischiarano
nei fuochi fatui della putredine.

Vanità
La sera scende monotona
e senza pioggia,
con tonalità di luce
avvilente e incerta.

Il colore dei fiori,
l'ombra degli alberi,
l'allineamento di viottoli e aiuole,
tutto sfuma e si ritrae.

Intrigo e maldicenza,
orrenda consapevolezza
della propria insignificanza.

Vivo tra resti masticati di sensazioni
nell'involontarietà dei sogni
e in croste umide di desideri.

Vivo tra briciole di allegria
nell'imbrunire della coscienza
e nella vanità di spettacoli intervallati.

Guizzi di luce
Tace il vento
e si fermano le foglie.

Tacciono gli uccelli
e le lucertole
si crogiolano nel sole.

Guizzi di luce
si posano su cose e persone
e smantellano angoli bui
e croste opache di sonnolenza.

E le nuvole sembrano appese
ai massi più alti
della montagna.

Ombre e silenzi
Gemito di vento
stormire di foglie
e laceri orli
di nuvole nere.

Nelle ferite del crepuscolo
ombre e silenzi
coprono gli ultimi respiri
della strada.

Vorrei
Vorrei parlarti
attraverso il profumo dei fiori

vorrei ascoltarti
attraverso il suono delle foglie

vorrei guardarti
attraverso il colore dei sogni

vorrei morderti
attraverso un sorso di quiete

vorrei dipingerti
attraverso un raggio di sole

vorrei…vorrei…

Una barriera di rose
Odore di foglie macerate
nel silenzio della luna.

Odore di mirti e rosmarini,
garofani e ginestre,
cardi e ciclamini,
lavanda e corbezzoli,
ginepro e caprifogli.

Odore fresco di vacanza,
odore prepotente d'allegria,
odore d'isola deserta,
di libertà,
di macchia mediterranea.

Dietro una barriera di rose
voci indistinte
come strozzate da imbuti.

Nuvole scure
Come foglie sospinte
dalla strascico
di un manto regio
rubato da mendicanti

i miei sogni
rotolano
nella solitudine
di una tenebra.

E le nuvole scure
dai contorni appena spezzati
diffondono
un anticipo di tragedia
come indefinito rancore.

Verità
La viltà
eccelle
nel disordine,
tra virilità mentali
e debolezze di spirito.

Nobili ideali
caduti nel letame
come ansie di verginità
gettate tra i rifiuti.

Tutto si mescola
e s'intreccia.

E la verità esiste
solo come supposizione.

Reliquia
Mi perdo
nel possesso.

Mi delizio
nelle cose non mie.

E da esse
estraggo l'essenza
che custodisco
come una reliquia.

Calvario
Come ombra errante
nella foresta
popolo i miei sogni
d'alberi e colline,
di filosofie e idee strane.

Come granello di polvere
sospinto dal vento della ragione
cullo la mia fede
nel cielo lontano
e nella vita estranea.

Livide illusioni
trasportano sul calvario
la croce delle mie intenzioni.

Saggezza
Saggio è colui
che rende monotona l'esistenza.
Per esso ogni novità assume
il privilegio della meraviglia.

Riformatore
Riformatore
è colui che vede
i mali superficiali
dell'universo
e si propone di curarli
facendo peggiorare
quelli più gravi.

E come un medico
cerca di adattare
il corpo malato
alla parte sana,
senza conoscere
le malattie
della vita sociale.

Pilastri governativi
Il governo
fonda il proprio potere
su due pilastri:
la repressione
e l'inganno.

Pilastri luccicanti
che ubriacano
e anestetizzano.

Ignote verità
Nuvole silenziose
transitano alte
sopra di me
come verità ignote.

Cala la sera
sulla mia solitudine
e gli occhi azzurri delle fontane
riflettono la morte del sole.

Come perenne nostalgia
la frivolezza di ieri
mi rode la vita.

E la città
dorme algida
al chiaro di luna.

Villa di campagna
Qualcosa che non riesco a sentire
si confonde in me
come in un delirio.

Qualcosa che non riesco a controllare
s'accende in me
come mormorio d'alberi.

Qualcosa d'inarrestabile
s'intromette nella mia esistenza
come rumore d'acqua piovana.

Consegno il mio io
all'ombra di me stesso
e vivo assurde passioni
in una villa di campagna inesistente.

Figlio della notte
Figlio della notte
vai verso la gloria
o verso l'abisso,
vai verso l'ombra
o verso la luce,
vai nei vortici
che t'aspettano
o lungo i declivi
delle circostanze.

Vai lento
come inutile sussurro,
vai pigro
come pensiero attento,
vai molle
come languido sospiro,
vai flemmatico
come sordida voce…

…e fuggi lontano
come un soffio di viltà.

La mia vita
La mia vita
scorre leggera
come un ruscello
in silenzioso movimento
sotto alberi dimenticati.

La mia vita
scorre mansueta
come un mormorio invisibile
oltre la pergola del glicine
e s'adagia lenta
lungo sentieri erbosi.

La mia vita
scorre inutilmente,
senza una ragione,
per nulla consapevole,
come un vago bagliore
in lontananza,
fra radure di foglie.

Lampione di periferia
Doveri eseguiti
in una vaga penombra,
in un alone appena visibile,
vicino a cose tranquille
che non riesco a delineare.

La fatica
che talvolta compio
per dimenticare l'anima,
il pensiero
che talvolta elaboro
per dimenticare l'agire,
si tramutano
in una specie di tenerezza
priva di sentimento,
una compassione
logora e vuota.

E assisto attento
a uno spettacolo illusorio.

Una grande calma,
soave come una cosa inutile,
scende nel fondo del mio essere.

E nel cielo dei miei sogni
s'illumina l'esistenza
come un lampione di periferia.

Individualità
Mi sveglio presto
ed esco per strada
senza alcun intento,
senza pensieri,
senza emozioni.

La realtà proietta
luci e colori,
odori e sapori,
vizi e dolori,
ombre e individualità.

E dai vicoli
salgono rumori
e tenui tremori.

E l'andatura dei passanti
è lenta e annoiata
come il mio respiro.

Ricerca dell'impossibile
Un raggio di sole,
una striscia di luce acuta
taglia l'impiantito
come nuda lama.

Una brezza leggera,
una conversazione senza scopo,
una brocca di vino
e fiori di campo
in lontananza.

Sordo nerume,
gelido inferno.

Un marasma d'idee,
come principio di sbornia,
mi rivela l'essenza delle cose.

E la mia vita ristagna
come un lago inesistente
fra paesaggi deserti.

E scivola via
nell'invariabile
monotonia dei giorni
e nell'identica successione
di ore uguali…

…alla ricerca dell'impossibile
mediante l'inutile.

Luna
La luna accarezza
la mia tristezza
e l'ozio ondivago
che rulla nei selciati.

La luna accarezza
il mio orgoglio
e i passi lenti
di un clochard.

Sulle colline
delle mie falsità
e su vuoti ricordi
di neri aironi
la luna stende
il suo pianto.

Come un pirata
depredo coralli
negli abissi
del mio oceano.

Azzurro sfumato
Giornata di pioggia monotona
penombra di vuoti privilegi
azzurro sfumato
di verde notturno.

La pena mi cresce dentro
come cruda verità
in un amalgama di finzioni,
indecisioni e rimorsi.

E cade
sulle mie lacrime
come raspo d'uva
rubato da un ragazzo.

Sconsolato
come seta lacerata
disconosco le mie emozioni
alla luce e al tedio.

Profumo di glicine
Immensa notte
di tiepido chiarore
tra fittizie utilità
e inconsapevoli attività.

Luce di tenebre
riempie di dubbioso grigiore
sconsolate fessure
della mia coscienza.

Nei privilegi
della penombra
svaniscono sussurri
di cascate perdute.

Come fruscio
di sangue lento
il ticchettio della pioggia
inonda l'udito.

E dalla pergola
arriva profumo di glicine
come vociare intenso
di folla in festa.

Madreperla
Chiaro di luna
vago,
occulto,
muto,
pieno di nulla
come la vita.

Differenze azzurrate
di fredda madreperla
irradiano il cuore
come rivoli impetuosi.

Vagabondo su scivoloso nitore
di tetti sovrapposti
tra agglomerati d'ombre
rifiniti di grigio sporco.

Infinita distanza
Vivo lontano
e anonimo,
vestito di fiori
e di erbe.

E trascino i passi
su selciati di pietra,
verso luoghi prodigiosi,
paesaggi migliori della vita.

L'infinita distanza
come un attimo d'assenza
si consuma in dolorosa costanza
e nella quotidiana esistenza.

Mondo sconosciuto
Linea interiore
serena e studiata,
indifferente perché nobile,
fredda perché indifferente.

Il mondo visibile
si crogiola
sotto i raggi del sole.

Il mondo sconosciuto
ci spia
dall'ombra.

Letargo
Accordo la mia esistenza
con l'assenza di passioni,
ambizioni,
desideri,
impulsi,
speranze.

Come un serpente
in letargo
addormento l'odio
nell'agonia
del mio sguardo.

Dolore
Mal di denti,
scarpe strette
che fanno male.

Dolore da ingiustizia,
dolore di non essere amato,
dolore di non conoscere
il mistero del mondo,
dolore della vita
che mi pesa,
mi soffoca,
m'imprigiona.

Alzo la testa
verso il cielo azzurro
e, con le palpebre abbassate,
offro il mio viso
al vento fresco
del mattino.

In lontananza
una piccolissima nuvola,
come un nulla visibile,
mi porta l'oblio
dell'universo intero.

Chiaro di luna
Nasce ad oriente
la luce dorata
del chiaro di luna.

Nell'intimità della sera
i miei sogni viaggiano
verso paesi sconosciuti.

E vedo rasi prolissi,
porpore perplesse,
esotici imbandieramenti
di strade larghe
tra lussurie di baldacchini.

Armi portate
nella dolente lentezza
di marce inutili
lanciano fredde scintille.

E risa distanti
cadono fra ricordi di luci,
alabarde sdegnose
e ombre fascinose
che abbandonano
i contorni di mura merlate.

Virgulti di felicità
Lungo le scogliere dell'anima
muove la risacca dell'orgoglio
e s'infrange in insenatura
di sabbia fine.

Nei boschi della coscienza
s'incunea il vento della ribellione
e strapazza assurde audacie
intrise di falsi miti di libertà.

S'addensa l'ombra del desiderio
nelle radure del cuore
fra virgulti di felicità
e il giallo delle ginestre.

La porta del pensiero
La gioia entra in casa
dalla finestra dell'osservazione
e dalla porta del pensiero.

Figure ieratiche
d'ignote gerarchie
s'allineano nei corridoi
del misticismo.

Ignoro la vita
e mi perdo nella fantasia.

Con un sorriso
deliziato e incredulo
gioco a nascondino
con la mia coscienza.

E scolpisco nel silenzio
i miei sogni
facendo ristagnare nel torpore
i miei pensieri assurdi.

Vivo nell'incanto
scomponendo e
ricomponendo l'universo.

E nelle penombre
della mia caverna
intreccio ghirlande,
mescolo colori sulla tavolozza,
impreziosisco futilità
in ascetiche negazioni.

Vecchia diligenza
Sono un sognatore
felice
e costruisco il mondo
a mia immagine

nella tristezza
d'annoiati silenzi,
tra rumori di pietre
e ilarità di feste.

La mia vita,
mezza luce
e mezza ombra,
fluisce limpida
tra forche e gole,
tra poggi e radure,
tra dolori e paure,
tra sogni e soprassalti.

Ed è gaia e allegra
come il viaggio
di una vecchia diligenza.

Orgoglio
Orgoglio e vanità,
certezze emotive
frammiste a umori di grandezza.

Vanità e audacia,
certezze emotive
prive d'orgoglio.

Coraggio fisico,
coraggio morale,
fiducia nell'ardore
di vana iniziativa.

Sono solo
e parlo ad alta voce
con me stesso.

E trovo consolazione
soltanto nell'orgoglio.

Strade vuote
Mani di bimbo
stringono l'orlo
del grembiule.

Bocche cosparse
di lacrime vere.

Fragilità,
solitudine,
vita adulta.

Come luce di fiammifero
sfregato nel tessuto sensibile
del mio cuore
cerco un sorriso
nelle strade vuote.

Felicità
Risiede nel sogno,
nel pensiero,
nella sensazione…
di felicità.

Vicoli dell'anima
Radicato come un albero
cammino verso casa
tra finte scorciatoie,
percorrendo la bellezza
dei miei vicoli interiori.

E come filo di lana
attorno a un rocchetto
arrotolo il mondo
tra le dita.

Ponte vecchio
Come in un mistero
fluiscono sotto l'ombra dei pioppi
primitive fantasie
e inutili astinenze.

Piange nella mia anima
il desiderio di reincarnazione
in un sasso
o in un granello di polvere.

E il mio cuore
sopravvive alla noia esistenziale
come un ponte vecchio
dove nessuno passa.

Speranza
Passi risuonano
sul marciapiede
come ridicoli
rintocchi di campana.

Il tramonto viola
galleggia sulla collina
e spande immotivati dolori
nelle cerimonie del mio smarrimento.

Tulipani rossi e gialli
come pagliacci
di un circo inesistente
mi strappano sorrisi.

Chiedo alla vita
di non togliermi il sole,
chiedo alla vita
di non togliermi la speranza.

Arrossato tramonto
Il fumo di vivere
toglie i contorni alle cose
e lascia ombre sfuggenti
nelle incastonature
della collina.

Incerta esistenza,
memoria torva,
fiume lontano,
angustie di cancelli.

Bellezza di vita
si rallegra
nella frescura di acque
e in arrossato tramonto.

Sogno incompleto
Un ruscello si lamenta
tra gli alberi,
una rosa spande
indefinita melodia.

Chiaro di luna
nelle strade
e strani brividi
su verdi foglie.

Porpore distanti,
ombre fugaci,
come in un sogno
incompleto.

Il futuro è una nebbia
che cinge il mio cuore
e il domani sa di oggi
appena intravisto.

Una pietra nell'erba
Rumore di foglie calpestate,
rumore di vento incerto,
rumore di passi sul selciato,
rumore di pioggia intermittente.

Sussurro di brezza sconosciuta,
mormorio di margherite tra gli ulivi,
tremolio di parole stanche,
brusio di voci nella notte.

Dormo come una pietra
in mezzo all'erba.

Sera
La mia angoscia
come bruma mattutina
s'incunea in sentieri
di torva malinconia
tra sensazioni attenuate
e vendette dimenticate.

Il sonno è un ricordo lontano
e la nostalgia è solo un'inquietudine.
Svincolo frustrate aspirazioni
e mi sublimo in ansie disilluse.

Tra interludi di cose perdute
e tracce incerte d'inutili memorie
m'immergo in brezze immaginarie
e in frastornanti crepuscoli.

Nel cielo alto e chiaro
contemplo la bellezza della sera
che muore placida
tra imperiture passioni.

Nell'autunno dei miei giorni
Nell'autunno dei miei giorni
la stanchezza delle membra
sa di buono
come le violacciocche
nei prati dei miei pensieri.

Nell'autunno dei miei giorni
contemplo me stesso
e provo sensazioni indefinibili.

Nell'autunno dei miei giorni
la volontà riposa quietamente
in un vetusto canterano
dell'anima.

Nell'autunno dei miei giorni
ricordi,
speranze,
emozioni,
vaghi desideri,
risalgono lentamente
l'erta della coscienza
come confusi escursionisti
sul crinale ventoso
della montagna.

All'ombra del glicine
Ristagna l'aria piena di sole
sulla limpida perfezione del giorno.

Il torpore sensibile dell'ozio
come una piuma leggera
mi sfiora il viso
e riveste l'anima
con i colori della campagna.

All'ombra del glicine
il mio cuore blandisce
tremule passività
e tira fuori
dai cassetti della coscienza:
pensieri,
sentimenti,
desideri,
credenze,
sensazioni.

E come oggetti
li cosparge sul pavimento,
disordinatamente.

Sono stanco
Gioco con le mie emozioni
come un principe annoiato
e torno stanco da un sogno
come dopo un lavoro reale.

Sono stanco e triste
e la tristezza m'angustia
al limite delle lacrime.

E piango
suoni di campagna,
colori del cielo,
perdute libertà.

Sono stanco e stufo
per ciò che non ho
e che non avrò mai.

Sano stanco e infastidito
per le mie sensazioni
inconsistenti.

E porto con me
le ferite di tutte le battaglie
che non ho fatto.

I miei pensieri
Come porpora consunta
la fiamma dell'amore
si riverbera nel mio sguardo.

Rumore di ruscelli
irrora l'udito
dei miei sogni.

Chiome di alberi
coprono di verdi coperte
i miei oblii.

Fluidi, come acqua,
scorrono tra i sassi
i miei pensieri.

La luna veglia
sulla mia esistenza
e le stelle stendono
il loro silenzio
sulle brughiere.

Mirti e tamarindi
Vesto il mio corpo
dell'oro del meriggio
come un re deposto
in un mattino di rose.

E la mia ansia
come un respiro strozzato
muore tra i mirti.

Nel pozzo profondo
del crepuscolo insanguinato
intravedo fantasmi di menzogne
e ombre d'illusioni.

E il mio tedio
come un'anfora vuota
svanisce tra i tamarindi.

Una luce spenta
penetra nell'anima
come un'assidua angoscia.

E il rumore della sera
accompagna le mie emozioni
come nello scorrere lento del fiume
verso maree lontane.

Mirti e tamarindi
Vesto il mio corpo
dell'oro del meriggio
come un re deposto
in un mattino di rose.

E la mia ansia
come un respiro strozzato
muore tra i mirti.

Nel pozzo profondo
del crepuscolo insanguinato
intravedo fantasmi di menzogne
e ombre d'illusioni.

E il mio tedio
come un'anfora vuota
svanisce tra i tamarindi.

Una luce spenta
penetra nell'anima
come un'assidua angoscia.

E il rumore della sera
accompagna le mie emozioni
come nello scorrere lento del fiume
verso maree lontane.

Luci della ribalta
I miei mattini
si frantumano
in rivoli ghiacciati.

Le mie sere
si sfaldano
in fondo a un bicchiere.

Le mie notti
si consumano
nel tormento dell'anima.

Luci della ribalta
danno senso
ai miei giorni.

Nebbia mattutina
Il mattino s'alza in volo
su poggi e radure.

Una leggera nebbia
si sfalda, senza contorni,
nella quieta sonnolenza
delle campagne.

Ed io rimango sospeso
tra la nebbia e il mattino.

Vitreo silenzio
Casto come un eremita,
puro come un corpo sognato,
muto come una preghiera
nell'aria impregnata d'incenso.

Gli anni non scalfiscono
il mio vitreo silenzio,
raggrumato in turbinii di feste
e false esistenze.

E consumo il tempo
tra distrazioni inerti
e vacue nostalgie.

Gomitolo
Come un gomitolo aggrovigliato
la mia vita si srotola
sulla verde radura

e si riavvolge in disadorno
rocchetto abbandonato
sul bordo della collina.

L'odio e l'amore
mi opprimono.
Mi cercano,
mi trovano
e mi lasciano solo.

Indugi
Dietro i miei indugi
s'increspano le acque del lago,
sulle mie riflessioni
si ritira il sole.

E i miei sogni
si spengono
come la luce
oltre la collina.

Serro gli occhi
e la sera
lascia il posto
alla notte.

Nel buio
emergono alghe
e anatre selvatiche
tra scialbi luccichii.

Finta amicizia
Come ultimo sole
che indugia
su un lago morto
tra rocce di montagna

la mia emozione
si dissolve
nell'angoscia
di subdolo raziocinio.

E un impulso di volontà
si perde
nell'indifferenza
di una finta amicizia.

Raggi di sole
Sulla superficie
delle mie debolezze
indugiano
spettri menzogneri.

Le mie parole
e i miei gesti
si perdono
in futili immaginazioni.

E vedo il sole
dietro i monti.

E i suoi raggi dorati
svaniscono
tra onde incerte
di lago.

Timidezze intellettuali
Come da terra estranea
mi sale in testa
un tedio,
una pena.

E strangola i miei desideri,
i miei sentimenti,
la mia libertà,
come un'angoscia esistenziale.

Tra intimi timori
di gesti abbozzati
consumo le mie voglie
in timidezze intellettuali.

Rivoli di felicità
Voci di ruscelli
come respiri di bosco,
mormorii di fagiani
come sapori di fragole,
voli di rondini
come suoni di prati,
odori di libertà
come sussulti di colline,
tepori umani
come rivoli di felicità.

Ardori dell'anima,
tra sublimi incanti,
m'inducono
a godimenti innocenti.

Colori di felicità
Nel chiarore tenue
e diffuso del giorno
l'acquietarsi dei suoni
mi porta toni di soavità.

Con gli occhi chiusi
trasformo in colori di felicità
la bellezza dei sogni
e la realtà della vita.

Interludio
E' parte del mio sangue
il verde degli alberi
e il mio cuore pulsa
nelle striature di una foglia.

Sogni e sentimenti,
idee,
colori,
sapori,
suoni.

Nel marasma indolenziale
della mia incredulità
finzioni d'interludio
coprono astratti amori.

Semplicità
Guardo attraverso la finestra opaca
il vecchio barcollante
che cammina lentamente
sul marciapiede.

Non è ubriaco,
è un sognatore.

E' attento all'inesistente
e forse ancora spera.

La sua felicità risiede
in attimi leggeri
e nel sogno incantato
della semplicità.

Vela bianca
Ombre interrotte di fogliame,
canti tremuli d'uccelli,
pozze d'acqua fresca,
prati verdi con papaveri.

Una giornata tra gli alberi,
sensazioni semplici,
profumi di fiori,
attimi di vaneggiamento.

E' un ritiro tranquillo
e non odo neppure
gli echi dei miei gesti.

E la memoria dorme
come in una processione infinita.

Socchiudo gli occhi
e la vita scorre
come la vela bianca
che intravedo in lontananza.

Nei calici della mia meditazione
s'incunea il sorriso di un bimbo.

Cielo color cenere
Boschi addormentati,
montagne sbadiglianti,
case,
campi,
prati e orti.

Cielo color cenere
alto e compatto.

Vien giù fitta
e quieta la neve
come un sottile crepitio
di grandine sul pioppeto.

E le ore del giorno cadono
in un pozzo di silenzio.

Pastori
Ispida barba
e pelle arsa
dal sole e dal vento.

Fronte solcata
da rughe profonde
come tagli.

Pantaloni di pelle
caprina senza risvolti
e la mantella portata
su una spalla sola,
alla romana.

A tracolla,
a mo' di fucile,
il grosso ombrello
d'incerato verde
e la bisaccia
con il cacio
e il pane indurito.

Fortore
Il Fortore, acquattato
come un cervone,
dietro alture silenti,
compare all'improvviso
nella brughiera ubertosa.

Le sue acque copiose,
veloci, fresche,
scendono agevolmente al piano,
s'infiltrano nella terra tenera
e alimentano, languidamente,
radici di piante e erbe.

Colline emergono sulle sue sponde,
casolari e villaggi perduti
s'appollaiano fiacchi
nel riposo dormiente
del vago orizzonte.

Il fiume dilaga
rumoroso tra le rocce,
allargandosi in prospere piagge,
rinchiudendosi virulento
nelle strozzature di cupe gole,
aprendosi rabbioso la strada
e riposandosi al piano
quietamente.

L'acqua,
con impeto greve,
scorre tra le pietre;
sassi e morge
gli rendono dura la vita,
non gli permettono di ristagnare,
di rodere la terra,
di lordarsi li limo.

Tutt'intorno
clivi coperti d'ulivi,
dolci e flessuosi.

Transumanza
La vampa si diffonde sulle campagne,
giovani ulivi si rivestono, orgogliosi,
di nuovi fiori.
Sulla terra riarsa
troneggiano
spighe di grano ingiallite.

Muretti discontinui
preservano da precipizi indolenti
e mascherano, incautamente,
una lama cupa e inaridita.

Un aspetto feudale e parassitario
si riverbera nel cielo estivo,
su coccetti punici e sanniti
sparsi nella campagna.

Cirri complicati e veloci
nella luce vaga e caliginosa.

Odori di fieno,
tagliato da poco,
di sambuco, terra e bosco.

Turbe di armenti,
ridde di greggi,
in transumanza.

Medico condotto
Esercita la professione di medico
con impegno e umanità,
facendo appello alla sua lunga esperienza
e al senso pratico di cui non difetta.

I gloriosi insegnamenti scientifici
si sono però dileguati
dalla sua mente
e si confondono nella monotonia
di una lunga,
quotidiana indifferenza.

Galleggiano senza più senso
i rottami
delle perdute conoscenze,
in un naufragio di noia,
su un mare di cultura obliata.

Anni sessanta
In quegli anni
la frescura delle sere estive,
illuminata dal brillio alternato
di milioni di lucciole,
si riverberava nella cucina tradizionale,
nel gaudio intrigante
delle feste di piazza,
nei sapori nostrani
e nell'autentico folclore.

Di quelle feste,
inevitabilmente povere,
rimane il ricordo struggente
delle bancarelle di dolciumi,
simili a scenari
da fuochi d'artificio,
e le grigliate di torcinelli
che spargevano fumo e profumo.

E poi giochi semplici
di ragazzi:
a cove, mazz e p'zzill,
zump e t'r'zump,
u cavallone,
u chierchie,
a voche e l'oss,
u strumml,
riempivano di grida festose
contrade e rioni.

Anni cinquanta
In quegli anni
le corriere piene di polvere
e di emigranti,
le vedove bianche,
la furia del Fortore,
le aie assolate,
le masserie operose,
i borghi silenti,
le vite di contadini,
i racconti delle streghe,
le fiere di zingari,
le feste pagane,
le processioni e i pellegrinaggi,
i serpari e le confraternite,
gli arrotini,
i calderai,
gli spazzacamini,
i fabbri ferrai,
gli scalpellini,
maghi e guaritori,
trovavano realtà storica,
vita quotidiana,
nei paesi del Molise.

Canonica
Costruita in modo economico,
non ha carattere;
non è signorile
né contadina,
non ha la nobiltà
rovinata del palazzo
né la miseria dei tuguri,
ma soltanto la mediocrità
stantia del gusto pretesco.

Lo studio e la terrazza
hanno un pavimento
colorato a scacchi,
come in certe sagrestie di campagna.

I muri sono puliti,
imbiancati a calce,
le porte interne verniciate d'azzurro,
le persiane verdi.

Nevica
Per le strade male illuminate
volteggiano fiocchi di neve,
nell'alone di lampade fioche.

Il paese ascolta il suo silenzio:
le voci si spengono,
i passi non fanno rumore,
le impronte si annullano.

Pensieri
Indirizzo la memoria
verso cose distanti,
faccio programmi per l'avvenire,
pensando a una vita raccolta,
a tradizioni contadine,
riti propiziatori,
lavori agricoli estenuanti,
al volteggiare degli uccelli
in primavera.

Penso all'odore di frutti lontani,
alle acque calme del lago di Occhito,
a pietraie di lava
e ad altissime ginestre
con gialle intumescenze.

Penso al brusìo delle api
e alle vibrazioni scaturenti
dai voli delle coccinelle,
all'arsura dei basalti,
alle ametiste e ai porfidi.

Ricordi
Delicato biancore
di vereconda utopia.

Desideri e nostalgie,
lievi rimpianti,
sogni imprecisi.

Ricordi
che entrano nell'anima
a sterminare
inquietudine e insonnia.

Pensieri, paure,
trepidazioni.

Galaverna
Una sorta d'inquietudine m'afferra
nella notte galavernosa
e non riesco a prender sonno.
Contemplo la campagna scura e azzurrigna
nel suo riposo rigenerante
dal ballatoio.

Nelle tenebre cerco un cesto
per metterci dentro,
come lucciole nel buio,
tutti i bagliori della vita.
Una collana di ricordi riemerge
in fondo a un mastello d'acqua
come turaccioli liberati.

Riflessi di luce
nel cielo stellato.

Saltella una faina
sui rami dell'albero,
un topo fugge spaurito,
iridescenze dentro pozze d'acqua,
striature colorate nella roccia,
brillio filiforme in una tela di ragno,
foglie di eucalipti attraversate da aghi di luce,
strani batticuori.

Meteora
E' una bella notte rigida,
tra poche nuvole bianche che sanno di neve
è comparsa la luna,
dietro la collina.
Bianca, con i corni rossicci,
s'alza lenta sulle campagne.

Da levante viene un vento polare
che ghiaccia l'aria
e fa la barba agli aghi incalliti
del pino alto e antico.

Nel cielo scuro e sereno
le stelle, perse nella fregola dell'orgia,
si abbandonano all'eterno destino
e cadono, cadono roteando come girandole,
spaccandosi come bolidi,
infiorandosi come fontane luminose.

E mi vengono addosso, a sciami,
accarezzandomi il viso.
E mi dissetano la bocca riarsa,
bagnandomi la fronte ardente,
gli occhi bruciati.

Nel buio la strada corre
come una cometa in sfacelo
e mi sembra di perdere
ogni senso di gravezza:
solco gli spazi in un volo
simile a quello delle meteore.

Una coperta di seta bianca
In basso a ponente
i boschi nudi di Ficarola e della Principessa
paiono scheletri bianchi,
quasi come fantasmi
trasfigurati nell'elegia del letargo
e nella clausura dei gesti impossibili.

Il silenzio è solenne,
non si ode alcun verso
di bestie o di uccelli.
Solo un lontano mormorio d'acqua
soffocato nel ghiaccio dei ruscelli.

La neve assorbe ogni sussurro,
anche un colpo di vento
affonda nel bianco.

Gli abeti, carichi all'inverosimile,
si sono arresi piegando i rami
sotto il peso della neve fino in basso.

Alcuni alberi di ulivi,
spinti dal loro fogliame orgoglioso,
hanno opposto resistenza
facendosi spaccare le ossa senza pietà.

Gli alberi spogli, invece,
dormono pacifici;
il cielo di ceramica chiama altra neve.

E con la neve cala dal cielo
una coperta di seta bianca.

Lago di Occhito
Ha smesso di fumare la pipa
il lago di Occhito
ed è fermo come una lastra di ferro.

Lungo i ruscelli luccica il ghiaccio,
le cascate sembrano
grossi pesci azzurri congelati,
i cespugli di ginestre zucchero filato,
i sassi cavolfiori coperti
di spume candide e farinose.

Le forre, le balze, le serrette
sono inguantate di neve
appena striata dai mucchi nerastri
di rupi e morge,
dall'intrico di perastri nani,
dai quercioli e dal groviglio dei rovi secchi.

Hanno il colore glaciale dell'acciaio
le pareti della Maiella.

Suoni di carta vetrata
La collina incrocia le braccia
per proteggersi dal freddo,
le sue ossa gemono e
scricchiolano come un cesto di vimini
stretto fra le ginocchia.

Si spaccano le cascate gelate
con rumori di vetri infranti.

Il vento polare gratta la brina
con suoni di carta vetrata.

Sole d'inverno
Dai lontani contrafforti della Maiella
un pallido sole fa capolino.
E' un sole fiacco,
non scalda ma illumina,
incendia le rocce e la neve.

Il paesaggio all'improvviso
diventa d'oro e meno ostile.
In basso i boschi assopiti
sembrano muoversi,
stiracchiarsi nella brughiera,
distendendo le braccia imbiancate
nei vapori svegliati dal sole.

Con la scomparsa dell'astro
tutto si racchiude
come un pugno che si stringe.

Clandestini
Nell'alveo glabro
della forgia tradizionale
la terra, misteriosa e diabolica,
riposa, quietamente,
sotto la neve.

Il ricordo dei giorni autunnali
dorme ormai sotto la coltre bianca.
E dormono anche boschi e prati,
falde e cime di poggi,
animali in letargo.

Solo volpi e lupi
vagano, clandestini,
sulla terra desolata,
a lasciar profonde tracce
nella neve alta.

Non una voce,
un rumore,
nemmeno un grido di gracchio
o una pietra che rotola.

Niente. Tutto muto,
zittito dal grande maglio del gelo.

Arcaico
Le lancette dell'orologio,
grandi e scure come croci,
scandiscono, inesorabilmente,
il tempo sui crucci dei cafoni,
sui coppi dei tetti tribolati
e sulle strade angariate.

Il paese vive la sua vita invernale.
Le giornate e le notti si confondono,
l'ombra e il buio nascono senza violento contrasto.
Il mattino spruzza un po' di chiaro nell'ombra
con la pigrizia annoiata di un compito eterno.

Radi capannelli di contadini,
avvolti nei loro mantelli neri,
il viso sprofondato nei baveri,
passano ore a guardarsi taciturni
o ad ascoltare la narrazione
di un fatto cui nessuno crede.

Nei vicoli fischiano le raffiche,
nei focolari fuligginosi
crepitano ceppi di ulivi.
Una verbosa eloquenza
affoga il garrulo discorrere
nell'ubertosa sapienza
e nell'arcaicità dei proverbi molisani.

L'immobilità dello spazio
trova il suo correttivo
nella dinamicità della fantasia.

Il vento
Il vento urla impietoso
da giorni. E' uno sballo
che non se ne vuole andare,
è un gatto in amore che,
ossessionato dalla libidine,
gratta con rudezza
sui pinci ingrigiti dal tempo,
un battiloro che assottiglia l'aria.

Tramontana
Pulvina nevischio
nel mantello della tramontana.
Le botteghe hanno i vetri appannati,
gli impiegati camminano frettolosi,
con il naso coperto,
impillaccherati nei loro cappotti
grigi e consunti.

Il gelo avvolge le case, gli alberi,
le forche incupite delle colline
e i fantasmi che vagano nelle gole,
tra gli ulivi addormentati,
come brume sfuggenti
nel gorgo imbronciato.

Tutt'intorno cristalli di ghiaccio
tappezzano il manto bianco
con fiori azzurrini quasi trasparenti.
E dal cielo continuano
a scendere i fiocchi candidi.
La neve, lentamente,
cancella sentieri,
cuori affranti, idee,
e spegne i rumori
sulle speranze degli uomini.

Luce soffusa
Nelle belle sere d'estate
apro la finestra e appoggio i gomiti sul davanzale.

Dipanare di passi lenti
nelle vie ancora tiepide.

Prima di riporre gli attrezzi gli artigiani
si fermano a chiacchierare con i passanti
sulla soglia delle botteghe.

Dirimpetto,
oltre i tetti,
si apre il vasto cielo puro,
rosso al tramonto.

Il sole morente del crepuscolo
diffonde sul pavimento lunghe strie sottili
che si rompono contro gli spigoli dei mobili
e tremolano sul soffitto.

Si riverbera nell'atmosfera
una luce soffusa
e si diffonde fino alle falde basse del camino,
vellutando la fuliggine della lamiera
e rivestendo di un colore azzurrino
le ceneri fredde dell'ultimo inverno.

Mattino in collina
Le ginestre punteggiano
di giallo la collina,
tra perastri e quercioli,
e profumano l'aria
con le loro essenze
blandamente consolatorie.

Fornaci di carbonai
bruciano baldanzose
nel sole del mattino.

Fuma l'acqua del ruscello
dopo il fresco della notte.
Una lince fugge impaurita
ed emerge al volo dai vapori.

Da una masseria giunge
un mansueto belare di pecore,
mentre un sole rosso cupo
sembra imprigionato
dietro un pugno di salici.

Favonio
Il grano, su per le groppe
che rimontano la collina,
china il capo e scroscia
sotto il fiato del vento meridionale
che s'insinua nella valle del Cigno.

Nel crogiolo della brughiera
s'addensa un pesante ardore
che rende foschi gli ulivi.
Cresce sui poggi e nelle gole la calura,
bruciando le ristoppie e le terre aride.

Il vento di favonio, a sera,
scivola adagio e fa gemere le punte dei larici,
rinfrescando l'aria allappata.

Acqua
Sgorga dai rivoli sinuosi delle colline,
dolce e soave come una preghiera,
e instilla nell'animo romantici germi di vita.

Disseta il viandante
attraverso il cavo della mano.

Incoraggia la vita come l'amore
scacciando disperazione e inquietudini recondite.

Scroscia per confondere le grida
che si spandono acute all'orizzonte.
Veglia silenziosa in fondo alla valle.

Ristora il pellegrino che s'inginocchia
e lo riconduce sulla strada bianca e polverosa.

Trine e fuselli
Vecchie case brune
incoronano la collina.
Sicure della loro antica esperienza,
conservano il volto secolare.
L'illusione non le prende
e si fondono con il paesaggio,
con i toni scuri della terra lavorata.

Nelle strade la luce meridiana
fruga affettuosamente
le rughe scure del paese
e crea una festa discreta,
domestica, senza tripudio.

Sulle altane e nei ballatoi
le donne lavorano al tombolo
con un sorriso savio sulle bocche mute.
Il merletto fiorisce,
come un sortilegio,
dai fuselli e dalle trine
in un moto aereo e
musicale delle dita.

In piazza un gruppo di contadini,
con gli occhi fissi
a rappresentarsi mitici misteri.

Pensieri vagano
oltre le nuvole chiare
e si caricano delle tinte del cielo invisibile
con riflessi verdognoli
al di là delle colline.

Temporale estivo
Piove fitto,
una pioggia minuta, querula, bavosa,
tiepida, ristoratrice, ubertosa.

D'un tratto il bagliore intenso di un lampo
solca le sfere alte del cielo
e rimbomba nel vallone di Santa Maria.

Seguono altri lampi
e l'aria si fa improvvisamente nera.

Folate di vento anabatico
frusciano leggere, nella bruma,
la gramigna della Carrafella.

Il temporale flagella la campagna
e rode i sentieri.
Tremano gli alberi.

E' un momento di strana solitudine,
quasi di pace e di silenzio,
nel diluvio.

Energica, superba,
risoluta nel suo fragore
la pioggia riversa sulla collina
la sua tempra satanica.

Nebbie fumanti corrono per la valle
come briganti in assalto.

Salgono dal borgo,
scavalcano il promontorio
come schiume bianche
e si buttano verso le falde
del monte Crocella.

Si sente la massa d'acqua
cadere e muggire.

La terra evapora,
pantani ribollono,
anfratti penetrati e violati.

Poi la brezza soffia greve
sulla pioggia bigia
e tormenta la terra
gonfiandola di polvere e d'ira.

E il diluvio si spegne.
Scompaiono nelle forre i torrentelli d'acqua,
succhiati dai campi riarsi,
e finiscono all'inferno
a spegnere il fuoco del diavolo.

E i maggesi asciugano
come cenci al sole.

Ombre sul crinale
Il sole si pone al centro di una forca
tra i Montazzoni e l'aspro poggio di Bonefro
e dà, morendo
quasi a pelo dei rilievi tondeggianti,
fin l'ultima briciola di delizioso tepore.

Si allungano le ombre
mentre sulla sommità del crinale
una lenta colata di afa,
color d'ombra e ginestre,
occupa la vallata.

Da ponente arriva un vento fresco e vigoroso:
viene dalle alture del Gargano,
dolci e distanti,
ammantate di grossi borghi.

Messaggi misteriosi
La livrea turchese dei ramarri
brilla tra i cespugli
e dal torrente Cigno sale il gracidìo,
sgraziato e tenero, dei ranocchi.

I ciliegi sono fioriti
e il verde dei prati delle Querce di Florio
è costellato da miriadi di violette e ciclamini.

Gazze volano indaffarate
per nutrire i piccoli,
api ronzano
intorno al giallore delle ginestre scoppiettanti,
fino al crepuscolo,
rossigno di sangue vivido all'orizzonte.

Un cane si rotola pigramente
sull'erba pisellina
scaldata dal tiepido sole.

Poi corre avanti, scompare,
riappare dietro i miei passi
e annusa, cerca, scova,
legge misteriosi messaggi nell'aria.

Maggesi
Pascolano nei recinti mucche e cavalli.
Lunghe strisce di maggesi e tigli
si stagliano veementi
alle pendici dei poggi.

Campi in moderata salita,
punteggiati da splendide querce solitarie,
sospendono l'ombroso volume
su distese di grano.

Fiori selvatici risplendono,
con la luminosità delle gemme,
in prati verdeggianti
e l'usignolo inonda il sentiero
con le sue frastornanti note.

Aromi e tepori
Rami di alberi
carichi di foglie verdi
e di fiori.

Siepi risuonano al canto di rigogoli,
fringuelli e passeri in corteggiamento.

L'influenza lontana delle brezze
si articola in aromi e tepori;
anche un fremito
si attenua nell'alito caldo dell'aria.

L'atmosfera è così pulita e leggera
che euforizza i polmoni.

Risveglio
Nelle forre dei Valvidoni e della Principessa
il mormorìo della vita si risveglia
e si sente battere il cuore delle foglie
che escono dal bocciolo.

Nei canaloni della Vellaneta i cardellini
cantano in competizione con i cuculi.
L'erba diventa verde e sale in alto.

Tutt'attorno gli uccelli
si raccontano qualcosa
nel folto del bosco.

Primule
Il bianco dei pruni
ricama boschi, orti e casolari.
Piccole deflagrazioni
di primule in piena fioritura
macchiano di giallo
il verde brillante dei prati.

Il sole scalda le chiome di faggi e pini
e l'odore delle resine vaganti si sente nell'aria.

La primavera risveglia alberi e gemme
e fa stiracchiare il popolo del bosco,
ancora intorpidito e anchilosato
dal gorgo invernale.

Nasi verdastri
Il caleidoscopio tinge le campagne
rinnovando prati e siepi.
Si leva un merlo,
scampato ai massacri dell'inverno,
con rumore concitato
di carrucola mal oliata.

Torna lo scirocco
e tira a lustro l'aria nuova,
staccando dai pennacchi dei tarassachi
i semi a ombrello
che volano dappertutto.

Tuffano i loro nasi verdastri
le colline del Molise
dentro i mammelloni cremosi
del cielo primaverile
che va dal grigio atlantico alla panna fresca,
navigando in apnea in quella delizia celeste.

Lepri
Scorazzano negli anfratti
lepri in amore,
s'impennano sulle zampe posteriori
e si scazzottano,
si abbracciano come pugili stanchi,
si rotolano nei fossi,
perse nel delirio della fregola.

Amoreggiano, corrono,
danzano nel vento affettuoso.

Primavera
I biancospini formano candide siepi.
Spuntano decisi, dai loro vigorosi cespugli,
rododendri e ginestre.
Sotto i mandorli si stendono
placide nevicate di petali bianchi.
Come d'incanto, dai peschi
partoriscono doviziose inflorescenze rosa.
E nell'aria sale intenso
l'aroma delle pergole di glicine,
cariche di grappoli violacei.

Vaporosa nella primavera che avanza
si staglia la torre angioina.
Il campanile del monastero
fende l'aria dell'aurora
come un mastio in navigazione:
ha in sé una certa dose di solidità,
ma non ha ancora riconquistato
la nettezza degli spigoli e degli incastri
e sembra calarsi dietro un velo
di sudore freddo pietrificato.

L'erba verdissima cresce rapida
nei prati collinari
accarezzati dal tepore lieve del favonio.
Non ancora fioriti gli albicocchi,
ma le gemme sono in pressione
e non manca molto
all'ovazione dei fiori rosa sui rami.
L'azzurro del cielo
si scialba nell'ossido di piombo,
perdendo la profondità del cobalto.

Granuli d'alabastro
Dal cielo scende
una coperta di seta bianca.

I fiocchi,
come piccoli granuli alabastrati,
di forma piatta e allungata,
turbinano nell'aspra atmosfera
e crepitano appena
sulle ossa degli alberi spogli.

Il suolo scricchiola gelato,
sotto i piedi,
e l'aria entra nei polmoni
sottile come una lama.

Cielo di ceramica
Bucate dai rantoli
disperati di gufi
e da misteriosi versi
di predatori notturni
le notti
sono interminabili e gelide.

Volpi, linci,
rapaci e lupi
vagano come dannati
in cerca di cibo,
come clandestini in fuga.

Tutto vive sottovoce
nei rigori penetranti e continui
di un'invernata glaciale.

Intorno al borgo
la natura rispetta la quiete
e i cristalli di ghiaccio
rimangono inviolati nel loro candore.

Gli alberi spogli
dormono pacifici
e il cielo di ceramica
chiama ancora neve.

Ombre sfavillanti
In mezzo a un frullare notturno
di neve illuminata
da rari lampioni,
qualche persona lascia orme
che rapidamente la coltre cancella.

Fioche lampadine
ballano al vento,
ombre sfavillanti ed effimere di fiocchi
brulicano sui muri delle case.

Nel manto bianco affondano i rumori,
il pianto assillante di un neonato
e il richiamo lussurioso
dei gatti in amore.

Riserbo
Le pareti incombenti dei monti
hanno il colore dell'acciaio.
Più in basso, i boschi nudi
di Figarola e della Principessa
paiono scheletri.
Sfiorati dalle brezze,
tese e arroganti,
tremano di freddo.

Il silenzio è solenne:
non si ode alcun verso
di bestie o di uccelli.
Solo un lontano mormorìo d'acqua,
soffocato nel ghiaccio delle cascate,
giunge fino al borgo,
portato dai venti polari
che salgono in alto.

Sul villaggio regna
il magico riserbo dell'inverno.
La neve ghiacciata,
compatta, granulosa, dura,
caduta abbondantemente,
a larghe falde,
sul paese, in collina
e nelle campagne romite,
assorbe ogni sussurro;
anche un colpo di tramontana
affonda nel bianco.

Catini di brina
E' un invernaccio crudo,
rigido,
pungente,
acuto,
severo,
glaciale,
assai freddo,
con nevischio costante
e venti laminari
che sembrano rasoiate.

Le valli sono immerse
in catini di brina.
Lungo i ruscelli
luccica il ghiaccio.
Le cascate sembrano
pesci azzurri congelati.
I pini mughi zucchero filato,
i sassi cavolfiori
coperti da spume candide.

Neve
E' arrivata la neve.

Le mani delle donne
si arrossano per il gelo.

Sopra le vesti chiare
compaiono
i grandi mantelli di lana nera.

Contadini,
avvolti nei loro pastrani,
passeggiano a lungo sul marciapiede
per smaltire le sbornie.

Un'immobilità più ferma,
un silenzio più fitto del consueto
pare addensarsi sulle forche solitarie
dei monti molisani.

Tutto è bianco:
tetti, alberi, strade,
recinti, comignoli
e, più lontano,
boschi e montagne.
.
Su tutto, silenziosamente,
cade la neve.

E' bellissima, la neve.
Trasforma le cose.

Casotti di legno
lamiere rugginose,
ferri vecchi di fabbro
diventano attraenti.

Alberi spogli e neri
acquistano un aspetto incantato.

Ebbrezza
Nella vecchia osteria,
boccali di vino
e fumo di tabacco.

Contadini giocano alle carte,
sfoderando recondite
doti di diplomazia,
mista a una sorta di misoginia
malcelata dall'ebbrezza riverberante
dei vapori alcolici.

Ciocchi di carpino
ardono gagliardi nel camino
riscaldando pigramente
gli ambienti quotidiani.

Le fiamme, a sera,
rendono d'oro
gli oggetti appesi al muro.

Inverno
Il freddo è arrivato
con superbia e irruenza.

La brina
avvolge ogni cosa.

Gli alberi hanno perso
la loro orgogliosa baldanza,
gran parte delle foglie
sono oramai cadute
e la mattina è davvero duro
uscire dal tepore del letto.

L'orto dietro casa
sembra il relitto
di un galeone alla deriva.

I tutori dei pomodori
svettano come pennacchi di veliero
e intorno c'è la desolazione più totale:
un po' d'insalata,
il ciuffo solitario di qualche cipolla,
della cicoria troppo cresciuta.

Urlo piagnucoloso
Dal fondo dei burroni
il vento di tramontana
sale con vortici gelidi,
portando gli odori della campagna.

Soffia continuo,
come venisse da tutte le parti,
penetra nelle ossa,
taglia la faccia,
le orecchie,
mozza il respiro
e si perde, ruggendo,
nelle gole dei camini.

La notte,
solo nella mia stanza,
lo ascolto.

E' un grido ininterrotto,
un urlo piagnucoloso,
un lamento mesto,
come se tutti gli spiriti della terra
si lagnassero insieme
della loro sconsolata prigionia.

La violenza della bora
ricaccia il fumo del camino
nelle camere,
il fumo acre e odoroso
dei ceppi di querce e ulivi.

Bisogna gelare o lacrimare.
Con il bruciore agli occhi
lascio passare le ore,
in un'acquosa atmosfera
di dissoluzione.

Profumo di mosto
L'odore d'umidità
sale forte dalla terra
e la sera
non si può mangiare fuori
sotto il pergolato.

Nell'aria
profumi di mosti
e di menta.

I prati risentono ancora
della calura estiva
e tardano a rinnovare il manto verde,
quasi tutti inariditi i fiori,
upupe e rigogoli stanno partendo.

Le vigne alternano
uno spento verde gasolio
al giallo ocra.
I gelsi sono ancora verdi,
come pure i susini e i carpini.
Qua e là gli alberi si interrompono
e un ramo di lago dal costone,
superando la linea d'ombra,
sembra fiammeggiare dolcemente
come sarmento
in un fuoco rovente.

Le giornate si sono
sensibilmente accorciate.
Il cielo, al mattino,
è ancora quasi notturno
e grava con i suoi
grigi plumbei
sulla pianura.

L'aria vaporosa dell'alba
ha perso il riflesso estivo
della caligine.

Autunno
Sussurrano nella campagna
le voci dell'autunno:
i boschi cambiano colore
e iniziano a prendere la ruggine,
striandosi di giallo,
blu, viola e rosso rame.

Con rumore
di poche foglie trascinate,
tra i faggi arrossati,
cala, a tratti, verso valle
il vento soffice della Carrafella.

Sibila sui poggi aridi,
sfiora le orecchie
con morbide carezze,
e in quel venticello zufolante
si avvertono
le prime avvisaglie dell'inverno.

Amo l'autunno
più di ogni altra stagione,
adoro i suoi colori,
i suoi odori;
apprezzo il fatto
che si torna a vivere all'interno,
che si rientra nel raccoglimento,
nella riservata clausura.

Estate
La serenità dell'estate
traspare dalle striature
cangianti del cielo,
tinto di rosa,
verde e viola,
mentre un nugolo di cirri,
alti e radi,
danza nel chiarore dell'atmosfera,
stendendo un'organza
diafana e leggera
sui corpi smagriti delle persone.

Il vento di ponente,
con il suo torrido alito,
favorisce lo schiudersi
molle dei germogli
e le giornate passano uniformi
nell'attesa del tramonto rossicante
e del fresco della sera.

Sulle case deserte,
negli interstizi in ombra,
vegeta un'erba grigio pallida,
carica di polvere
e di nugoli annoiati di moscerini.

La sera, ombre e venti,
rinfrescanti e sonori,
sbuffano furtivamente
su strade e tetti
di case ingrigite,
su panni stesi svolazzanti
e su cascate di fiori impazziti
alle finestre.

Odori di menta
Nella bruma crogiolante della fucina
il fabbro batte e lavora il ferro,
bambini in strada a giocare,
donne intente al ricamo
fuori della porta di casa,
voci di mestieri artigiani nei vicoli
e qualche scambio
di battute salaci fra garzoni.

Il paese conserva
un cuore fresco e antico
con odori di menta,
di fiori e di muffe.

Fienagione
L'estate splende nel suo ardore funesto,
il sole pare fermarsi in mezzo al cielo,
le argille si spaccano per l'arsura.

Nelle fessure della terra assetata
si annidano le serpi.
Grilli e cicale
graffiano il cielo.

La calura arrostisce le pietre
e dardeggia sulla terra;
tosta i fieni appena tagliati
e rovescia sulle spalle dei falciatori
secchi di carboni ardenti.

Novembre
Il mese di ottobre,
con i suoi giorni uguali,
è passato.

I primi freddi
e le piogge sono arrivati,
ma il paesaggio non rinverdisce
e rimane identico
nel suo squallore bianco-grigiastro.

Nuvoloni generaleschi
effettuano grandi manovre
attorno al monte Crocella
e pattugliano il cielo del Molise,
bombardando i villaggi
con gavettoni meteorologici.

Il cielo si fende
e rovescia cateratte di luce
sulla campagna appesantita dall'acqua,
trasformando, in uno specchio,
ogni pozzanghera.

La luce netta e improvvisa
smalta di riflessi cerulei
l'erba delle prode
e i fili piegati dalla sferza del temporale
pettinano la veloce acqua fangosa
dei fossi gonfi.

La sera poi,
come un pezzo di pane,
il borgo viene divorato
dalla nebbia.

Il campanile della chiesa,
come una matita di pietra,
disegna nuvole con la sua punta;
un collo smagrito di sassi
su cui, di tanto in tanto,
si avvolge la sciarpa azzurra
a 'pois' neri di un volo di colombi.

Ottobre
Cielo nuvoloso e mobile,
color metallo,
vento fresco,
odori di foglie
macerate e pioggia.

La campagna è offuscata
da una cortina di acquerugiola,
fitta e sonora,
che fa fiorire i fossi
di effimeri tulipani bianchi,
increspandone la superficie lattiginosa.

Nelle vigne l'uva è pronta
e al mattino si vede solo la nebbia.
E' biancastra, spessa,
con la sua coltre copre ogni cosa,
annulla i rumori.

A tratti, soffia il vento occidentale
ma troppo debolmente
per spingere le nubi
e fugare il sole alto e ciarliero
nell'orizzonte maestoso.

Stagione di malinconia
Stagione di malinconia
e di fragile elegia.

Le foglie cadono lente,
con grazia, inevitabilmente.

Alcune vanno a terra
e coprono le radici dell'albero,
altre volano più lontano,
sulla roccia, sulla sabbia
e nell'acqua limpida del ruscello.

Altre ancora,
trasportate da sbuffi imbronciati di vento,
bisbigliano appena
nel gorgo turbolento dell'atmosfera
e si lasciano avvolgere
dalle onde pacate del lago di Occhito,
quasi a volerne rosseggiare
un canto appartato.

La ruggine dei faggi
Gialli intensi
di larici e betulle,
frammisti ai sempreverdi,
chiome viola di sorbi,
accese dal sole autunnale,
ardono come un grande fuoco.

Sui costoni della Carrafella
crepita, piagnucolosa,
la ruggine dei faggi.

Il bosco, come un pavone,
fa la ruota
con i colori più belli.

Settembre
Le ultime rondini
piroettano briose
sopra i tetti scuri
delle case.

Nei bricchi della valle
il sole di settembre,
ancora forte,
esce dai meandri,
dalla terra scura,
tra le viti a filari,
come un riverbero di grillaia.

Settembre pennella di giallo
le foglie degli aceri
e mette il rosso
agli ippocastani.

Settembre ha odori familiari:
odori di vendemmie e fienagioni,
odori e sapori
che si spandono nell'aria
come flutti rutilanti
sulla linea tenue delle colline.

Paese
Allineato sul crinale dell'altura
il paese guarda annoiato
e taciturno il panorama
che si adorna, nei giorni chiari,
della vista lontana del mare.

Spicca da lontano
una gigantesca torre
che sovrasta il diroccato
castello feudale,
palesando l'antichità del villaggio.

Rondini si lasciano trascinare
sui due campanili del borgo
e sui merli della torre.

In ricordo di Sabrina
Cammino lentamente,
con la testa piena di vento,
assorto nel ricordo inebriante
di Sabrina.

La rivedo nella linea morbida
e sonnacchiosa dell'orizzonte,
innocente come un cerbiatto,
gaia e romantica,
serena e smarrita, in indecifrabili
teneri atteggiamenti da diva.

Il suo corpo e il suo spirito
sono qualcosa di incredibilmente fresco,
come una pianta
o un'ostrica appena tolta dal guscio,
piena ancora
dell'umidore ispido del mare.

La rivedo mentre canta
e danza sul palco
come una giumenta irruenta e stalliva,
i capelli sollevati
dallo slancio fisico del corpo.

Dappertutto compaiono, d'improvviso,
come in un ambiente fiabesco,
i segni della sua presenza.

Il sentiero collinare
pare attraversato da una tromba d'aria,
gremito di rosseggianti sfavillii inattesi
e da una cornice crepitante
di seduzioni azzurrine.

Ritrovo, abbandonati sui prati
e nei cespugli della Carrafella,
i suoi nastrini colorati,
le calze a rete,
i sandali argentati,
il vestito con i lustrini,
la borsa con il fermaglio luccicante
e il cofanetto aperto
su una pietra ruvida,
riempito alla rinfusa
di gioielli e gingilli.

Immagino l'animale selvatico
che si cela in Sabrina:
qualcosa della faina,
della volpe
e soprattutto dell'allodola
e mi sembra che sia nata
soltanto per salire in alto.

Concepisco vagamente
il suo canto ilare
e i suoi balli armoniosi,
con l'orchestrina sul palco.

La sua forza selvatica
sembra sfavillare e scricchiolare,
quasi a confondersi
con i luccichii dei gioielli
e i lustrini dei suoi abiti
da palcoscenico.

Roberta
E' ben vestita
e il suo giacchino di raso,
cremisi come il rossetto,
carezza i sussulti del suo seno,
mentre ride allegra
al sopravvenire di una convinzione sublime.

E' desiderabile,
piena di capelli,
di carne turgida,
con un sorriso leggermente impreciso
e i capezzoli appesi addosso
come un invito.

Ha un aspetto indaffarato,
con dei gesti e accenti sentimentali,
vagamente orgogliosi.
Nell'ondeggiare della gonna corta
sulle lunghe gambe,
come tronchi d'albero,

il suo corpo si muove
con andamento lento,
equilibrato, pieno di forza armonica,
portando, erta e fiera,
su quella base monumentale e sinuosa,
la piccola nera testa cavallina.

Pioggia e nebbia
Piogge lunghe e fitte,
continue, insistenti,
uggiose, dirotte,
battenti, abbondanti,
torrenziali, senza fine.

Il paese si copre
di nebbie biancastre
che stagnano nelle valli
e sul lago di Occhito.

Sorgono da uno sfatto biancore,
come isole
su un informe mare di malinconia,
le cime dei colli dauni.

I terreni argillosi
cominciano a sciogliersi,
a colare lenti lungo i pendii
di Cocciabella e Vallepare,
scivolando in basso,
fino alla Piana dei Limiti;
grigi ruscelli di terra
in un mondo liquefatto.

L'urlo metallico delle gocce
che cadono sul tetto
risuona, nella mia camera,
come una pelle tesa
e si unisce ai ringhi
e ai sibili del vento freddo
che strapazza i cavi dell'energia elettrica.

Dalla finestra entra
una luce fosca e incerta.

Le colline sembrano addormentarsi
dolorosamente
in uno squallore brumoso.

Indifferenza di gesti
Freddo e grigiore,
polvere e fango.
Meditazioni indefinite
si annullano nella magnificenza
di una disprezzata penombra.

Solitudine immobile
attraversata da nuvole.
Colori umbratili ed evanescenti
come i toni di un paesaggio
disperso in nostalgici sorrisi.

L'aria è fredda
e il vento sibila
tra le foglie secche
affastellate in impalpabili paludi.

Rumore di mulinelli
fra mura ingrigite
e scrosci irregolari di pioggia.

Suoni tristi e rabbiosi
avvolgono la disperazione dell'anima
con parole assenti di anonima protesta.

Sulle onde fiacche
di un lago diafano
stanchezza di palpebre
e indifferenza di gesti.

Fiori tristi
Sono lucido e triste
come una giornata fredda
e la mia vita scorre nel conforto
di situazioni nitide ed esposte al sole.

Insulti e umiliazioni
arrivano alla spregevole periferia
della mia sensibilità
ed entrano nel recinto dell'anima cosciente.

Elementi anonimi d'indifferenza,
figure d'altri tempi,
immagini incarnate nei libri
e nella casualità di strade deserte.

Assaporo il niente
con una pienezza di bonaccia spirituale
mollemente cadendo
nel grembo azzurro delle mie aspirazioni.

Il mio cuore traslucido
penetra nella sufficienza delle cose
e un dolore vago fiorisce
dietro i muri della coscienza.

L'aroma e il colore
dei fiori tristi
attraversa il mistero confuso dell'essere
e finisce in un mare interiore,
dove il fiume della vita
sfuma in sonnolenze esistenziali.

Cella di reclusione
Un silenzio rumoroso
m'invade come livida brezza
e porta sul calvario dell'oblio
la croce dell'esistenza.

Un ultimo barlume di sole
sui monti distanti,
un vento che solleva le foglie
davanti alle deserte soglie.

La mia anima
brandisce le corde di violino
con l'orgoglio spento
di una misteriosa orchestra.

Porto nel cuore
la nostalgia del tempo vissuto
e il mio pensiero errante
segue la rotta di una nave inesistente.

Le ombre dei sogni
scolpiscono i ricordi
sull'acquiescenza spirituale di un barbone
e sull'immobile esteriorità dei muri.

I miei ideali
odorano di freddo e di dolore
come la monastica putredine
di una cella di reclusione.

Ventaglio chiuso
Passo distratto
sotto alberi alti
e ascolto il vago sussurro
della foresta.

Aspre radure
nella casualità di un sentiero,
chiarore evanescente
e intrico di rami.

Una strana sensazione di dubbio
s'affaccia sulle mie supposizioni
muovendosi tra le onde lunghe
di verità romanzate.

Sguardo sfuggente
come di chi non vuole vedere,
sdegno diffuso
in ogni lineamento.
sorriso pallido
come labbra di disperazione.

Tedio del crepuscolo
e del turbamento
come in un ventaglio chiuso
sull'esistenza vissuta.

Giorni lunghi
Occhi pesanti
e cervello annullato.
Con un'assurda matita
scrivo inutili lettere.

Chiudo le imposte
delle mie finestre
e per un momento
godo della libertà.

Sdraiato sulla sedia
dimentico la vita che mi opprime.
Mi duole solo
del male ricevuto.

Giorni lunghi
come filosofie
interpretano la mia esistenza.

Silenzioso tremore
Saggezza antica
come bozzolo scarnificato
ai margini di una mulattiera.

Ribellione e trasgressione
come germogli d'umanità.

Ascolto il suono del vento,
tocco il battito della terra,
ricevo consolazione dalla pioggia
e mi scaldo dinanzi al focolare.

Rumori in notturne cavità,
ululati vaghi,
accompagnati dal cigolante oscillare
di insegne stradali.

Voce ruggente
da spazi indefiniti,
silenzioso tremore
e sorda paura.

Nell'oscurità
la brezza mi sfiora le gote
e il rumore dei polmoni
mi entra nel cuore.

Con prudenza
assaporo
la possibilità di dormire.

Armonie dell'anima
Mormorii di ruscelli nella notte,
profumi di pane e di frutta.
Attraverso il disegno improvviso del subconscio
la fantasia evoca visioni sentimentali.

Come chi non vuole più fare gesti
abbozzo un desiderio.

Angoscia metafisica mascherata,
grande disillusione,
sorda poesia dell'introspezione.
Suoni di parole che echeggiano
nei sotterranei del pensiero.

Notte silenziosa,
sensazione profonda,
strada senza uscita.
E nella mia ombra intima
si attaccano fogli
e si conficcano aghi.

Rimuovo le emozioni
e mi riempio di pensieri contradditori
in un movimento di tedio colorato.

Una vasta visibilità del mondo
percorre l'immaginazione desta
e i miei occhi si offuscano
di nostalgia e di supposizioni.

Come un vento turpe
la stanchezza anticipata
dei paesaggi possibili
affligge il fiore del mio cuore stagnante.

Lungo la spina dorsale
del ricordo
risuonano le armonie dell'anima.

Suoni dell'inquietudine
Pazzia gracidante
dell'universo morto,
cadavere ruotante
dello spazio fisico,
bandiera anonima
che fluttua nel vento.

Non so mentire,
non so pensare,
non so volere.

Sono la periferia
di una città inesistente,
il commento prolisso
a un libro non scritto.

Sottile movimento dell'emozione,
intimo linguaggio della coscienza,
assurdi suoni dell'inquietudine.

Da una botola
precipito nello spazio infinito
in una caduta senza direzione.

Il mio pensiero non contiene raziocini,
la mia esistenza non ha emozioni.

La mia anima
è un antro nero,
un pozzo senza pareti,
una vasta voragine
intorno al nulla.

Filosofia e religione
Larve del declivio
e della dispersione,
ombre che riempiono la valle,
vestigia del destino.

Spettri sinistri,
serpenti di antri assurdi
e di emozioni perdute.

Incoerenze di sogni
aleggiano come pipistrelli
sulle passività dell'anima
e come vampiri
succhiano il sangue della sottomissione.

Come un abisso scuro e vischioso
la mia esistenza
si perde nei miraggi,
nella vergogna delle cose reali
e nella miseria di una vita dignitosa.

Creo una filosofia
e la uso come un abito,
sogno una religione
e la indosso come una maschera.

La malizia dei giorni
e i capricci degli eventi
precipitano nel cuore,
avvelenandolo.

Al suono della grande orchestra
passo nel vortice delle danze
e nelle conversazioni del riposo
sotto gli sguardi sdegnosi ed estranei
degli organizzatori dello spettacolo.

Frammenti di sogni
Picchiettio di pioggia
per tutta la notte.
Nel dormiveglia sento
la sua insistente monotonia sui vetri.

Il rumore casuale di un'auto
arriva dal fondo della strada,
rimbomba sul selciato
e si spegne nel vago sonno
che non riesco a prendere.

Calpestio liquido di passi,
poi silenzio,
altri passi che si smorzano
e la pioggia continua,
abbondante.

Sulle pareti della stanza,
visibili nell'oscurità,
fluttuano frammenti di sogni,
luci vaghe,
righe nere,
cose da niente
che si arrampicano
e scendono.

Vaghi oggetti
nell'ombra della mia insonnia
ammiccano a fragili sofferenze
e a desolanti rimorsi.

Nell'assurdità della tenebra
la solitudine dell'anima
si espande nella putredine.

Impossibile e inutile
Il sole indora
la mia fronte rugosa
annullando propositi
e conseguenze.

Inconsistente monotonia di vita
in feste serali sconosciute.
Sensazioni di tedio
emergono con disagio umiliante.

La brezza porta aria fresca
e l'allegria si manifesta
con gesti di rabbia
che non provo.

Ghermisco fiori spettrali
e intreccio mazzetti di ghirlande
in angoli bui
della mia esistenza.

Vizi e virtù,
castighi e peccati,
ricerco l'impossibile
attraverso l'inutile.

Grido di redenzione
Si spegne in un bianco livido
la luce del sole
azzurrandosi
di fredde sfumature verdognole.

Nell'aria torpori maliziosi.
Come un lago racchiuso tra aspre rocce
il mio cuore contempla
le fragili increspature dell'anima.

Cresce l'ansia dell'immaginazione
in un immobile biancore elettrico,
ritagliato nel remoto
e in fittizie insensibilità.

Nella fossa irraggiungibile
brilla il diamante,
pena dell'universo reale,
stendardo di un esercito incognito.

Un grido di redenzione
mi sale sulle labbra della coscienza.

Tenue nostalgia
Tramonto azzurro verdastro
tendente al grigio bianco,
nebbia rosa spenta
nascosta dai monti.

Giro le spalle
alla finestra grigia,
ai gelidi vetri
e al sortilegio della penombra.

Una grande pace
si disperde fredda
nell'astratta aria autunnale.
Osservo e dimentico.

M'invade, come un oppio,
una tenue nostalgia.

Frantumi di luci
Aria scura
e pioggia violenta.
Cuore oppresso
e ricordi trasformati in angosce.

Gelido sussulto
e cuneo di luce metallica
sul duro silenzio
e sul riposo dei corpi umani.

Sordo nerume
e sussurro prolungato
nel rimbombo del temporale
che si placa in larghe distanze.

Frantumi di luci
come respiri sospesi
feriscono l'anima.

Interludio
Infedele alle promesse interiori
mi riempio le mani di sabbia
e vivo in perpetuo straniamento.

Costruisco con oro e seta
antichi scenari
intrecciando giochi di luci
e musiche invisibili.

Oltre l'uscio di casa
i rumori della strada
parlano a voce alta
con toni solitari.

Fra il nerume opaco che vibra dappertutto
s'increspano di luce
intensa e pallida
stretti vicoletti.

Sul terrazzo di un palazzo impossibile
consumo l'anima nei graffi
profondi di argentati interludi
e in febbricitanti realtà lunari.

Caverne dell'anima
Tempo eterno
e spazio infinito.
Nitida coscienza
di solitaria esistenza.

Nel vasto silenzio
peregrinano piccoli rumori,
non alterando la percezione
di sensazioni spirituali.

Ansia morale di lottare,
sforzo intellettuale di comprendere,
irrequieta aspirazione artistica
m'inducono a riflettere
su cose inutili,
vuote e lontane.

Uno strano insetto
cerca invano
il caldo ricordo di una luce
nelle oscure caverne dell'anima.

Città
La mia anima
passeggia coscientemente
per le strade notturne
della città.

Viuzze e stradicciole
labirinti di sensazioni,
dolorosa nozione d'irrealtà
e finta esistenza.

Lunghe file di lampioni,
finestre illuminate e buie,
portoni chiusi e aperti,
sagome imprecise.

S'imbattono nel mio udito
frammenti verbali d'invidia,
lussuria e trivialità.

Mormorii sussurrati
ondeggiano verso la mia coscienza.

Senza di me
Cerco
e non trovo.

Voglio
e non posso.

Il sole nasce
e tramonta senza di me.

La pioggia scende
e il vento geme senza di me.

Non dipendono da me
le stagioni,
il corso dei mesi,
il trascorrere delle ore.

Ellissi assurde
Crepuscolo di spigoli,
finzione dell'interludio,
dilazione dell'alba.

Stagnazione di particolari,
casualità di ombre
e confusione evanescente.

Il tramonto si diffonde
fra nuvole isolate
e riflessi di ogni colore
riempiono la varietà dell'aria
fluttuando assenti
nelle grandi pene dell'attitudine.

Brandelli di niente
toccati da luci lontane,
frammenti di falsa vita
che il destino indora
con il suo triste sorriso
di assoluta verità.

Fra ellissi assurde e distanti
la vita affranta si disperde
in finti avvallamenti di strade
e nelle inquietudini dormienti.

Sibili d'angoscia
Fontane di ville deserte
ristagnano nel sole
come ricordi di storie infantili.

Carezze di cieli futuri
si dissolvono nel silenzio di una chiesa
come brezze imprecise.

Grandi imperi,
religioni e filosofie
scompaiono nella tenerezza
indifferente dell'autunno

come fiammiferi usati
che ricoprono il pavimento,
come fogli accartocciati
a forma di finta palla.

Incerte lampade votive
oscillano nello scempio lezioso
di privilegi ignoti.

Nell'oscurità del mondo
sento la mia anima vaneggiare
in profondi e discontinui ululati
come sibili d'angoscia nuda.

Inutile tristezza
sull'asperità di giunchi lacustri
e di penombre crepuscolari.

Fremiti di vita
Tonalità di colori lievi
in un cielo vasto.
Ritocchi di fredda brezza
annunciano l'autunno
nella casualità della sera.

Caduta di foglie ingiallite
e vaga angoscia
accompagnano le mie sensazioni.
Tristezza umida
di giorni passati.

Nell'atrio dell'invisibile
tutto è ombra
e polvere agitata,
anche il rumore annoiato
di poche foglie sollevate dal vento.

Luci senza sorriso
orlano di giallo spento
la rotondità confusa
di scarse nuvole.

Immondizia residuale
di stelle e di anime.
Il cuore mi duole
come un corpo estraneo.

Coscienza chiara
di anonima insufficienza.
Fatica anticipata
di ogni gesto,
disillusione preannunciata
di ogni sogno.

Nell'orbita insensata del nulla
produco fremiti di vita
su lastricati puliti
che un sole obliquo
indora di smorzate fobie.

Radure d'angoscia
Svanisce la nebbia
e ogni fessura visibile
ferisce la carne dell'anima.

In sintonia con la mia sonnolenza
la brezza incerta della sera
porta suoni sbiaditi.

Il tedio che patisco
si adatta come un abito
che non graffia la ferita

e l'ubriacatura del non essere
riscalda la superficie stagnante dei sensi
come una sorta di torpore assolato.

Nella fluida futilità dell'esistenza
sentieri del sogno incantato
mi conducono in radure d'angoscia.

Sera
C'è un'atmosfera minacciosa
di cielo vigliacco
come di un temporale non udibile,
fatto solo d'aria.

C'è stagnazione
persino nel volo dei gabbiani.

Rare nuvole alte
poggiano sul nulla,
cirri grigi si sfaldano
su un bianco ingannevole.

La sera scende
nella mia inquietudine
e la brezza
rinfresca ad intervalli.

Paesaggio e disperazione
sono speranze dimesse,
foschie senza nebbia,
imbastiture rotte da falsa tempesta.

La bassa marea
lascia scoperto il nerume melmoso
e vedo soltanto attraverso l'odore.

C'è del salmastro
nel mio proposito.

Rammarico inutile
Tra le nuvole immobili
l'azzurro del cielo
è sporco di bianco trasparente.

Nel silenzio freddo
i rumori della strada
si tagliano con il coltello.

Dentro di me
una sorta di malessere
di tutte le cose,
una sospensione cosmica
della respirazione.

L'universo intero si ferma
in una tenebra annerita di silenzio.

Sensazioni
occupano come foschia
l'estensione del mio spirito:
non penso,
non agisco,
non sono lucido.

Brividi interiori
e nebbia d'intuizioni.
Innocente esistenza
priva d'analisi
e di pensieri.

La mia vita
è un pendio in discesa,
una pianura che giace
di fronte all'elevazione
e alla vetta
che non oso raggiungere.

Attonito trovo riparo
nella vergogna intellettuale,
nelle illusioni perdute
e nel rammarico inutile.

Impenetrabili sorrisi
M'incammino lentamente
per le strade della città.

Brandelli di frasi cadono
come elemosine dell'ironia
nella scuola invisibile
della mia meditazione.

Rovine d'edifici,
piedistalli grezzi e insudiciati,
superba e unica
s'innalza la statua del tedio.

Sembianze d'impenetrabili sorrisi
oscurano i volti
glorificandoli vagamente di segreto.

L'infelicità si blocca
sulle mie labbra
in un pozzo di gesti abbozzati.

E le tenebre si rischiarano
nei fuochi fatui della putredine.

Vanità
La sera scende monotona
e senza pioggia,
con tonalità di luce
avvilente e incerta.

Il colore dei fiori,
l'ombra degli alberi,
l'allineamento di viottoli e aiuole,
tutto sfuma e si ritrae.

Intrigo e maldicenza,
orrenda consapevolezza
della propria insignificanza.

Vivo tra resti masticati di sensazioni
nell'involontarietà dei sogni
e in croste umide di desideri.

Vivo tra briciole di allegria
nell'imbrunire della coscienza
e nella vanità di spettacoli intervallati.

Notturno
Come un velo di vapore caldissimo,
l'afa si riversa dai tetti
e si stende per i vicoli,
per le strade affossate,
che si coprono di un pulviscolo
pesante, oscuro, lunatico.

Sulle tettoie azzurrigne
luccicano i comignoli;
abbaini e pinci, verdognoli
come un'acqua distesa, riflettono
la luce diafana delle stelle.

I due campanili del borgo
appaiono grigi e incorporei,
nel cielo d'antracene,
fosco ancora di calura.

Anche l'antica torre angioina,
in tutto il suo incanto,
emana una luce grigia e sinistra,
intrisa di tempo.

Grida di bambini
che giocano a rincorrersi
rimbalzano tra le mura vetuste,
sugli acciottolati deserti,
blandamente illuminati.

La luna falcata sorge
sul filo nero delle cime dei monti
e, piena di emottisi,
resta a lungo sull'orizzonte,
in un vapore sanguigno
che non vuole diradarsi.

Nei campi e lungo le mulattiere,
fino a notte fonda,
qualche cane randagio abbaia alla luna,
alternando i suoi cupi latrati
al lampeggio vivace delle lucciole.

Nella quiete oscura
intensi profumi
salgono dai prati in fiore,
fronde di alberi
ondeggiano sotto la brezza,
uccelli notturni cantano,
un tepore amico
accompagna il loro riposo.

Dalle brughiere filtra, a tratti,
un odore di rose e di ginestre.

E sull'orlo dei monti lontani
naviga un'aria stigia e bassa.

Mattino
Rami ditarosati di un pescheto
rivolti al cielo,
punte intinte nel rosso
dei primi raggi mattutini
emergono dalla luce sublime
e ubriacante dell'alba.

Nel lago di Occhito
un airone cinerino in fuga,
spaventato dall'incombente
ombra di una nuvola scura,
batte l'acqua con le ali
e buca in volo radente
le brume di accesi vapori
che si levano dalla sua superficie,
lasciando una scia
di onde concentriche.

Sulle alture del Gargano
il sole investe la brughiera
con una vampata di fotoni.

Tra le vigne vapori incendiati,
spezzati da veloci lame d'ombra
generate dai pali d'acacia,
irrompono come un'esplosione gassosa,
come una deflagrazione silente,
come un affascinante
disastro luminoso.

Pioggia di giugno
Cade la pioggia turgescente
alle prime luci dell'alba.

Dietro il palazzo dell'Educandato
spuntano nuvole minacciose
dalle quali scende una pioggerella fine,
sottile, che inumidisce l'aria tiepida,
teneramente.

Negli angoli delle strade
si sente un gorgoglìo
come di acqua che cola,
con tumidezza,
in una quartara stretta.

L'aria è zuppa di acquerugiola violetta
come una prugna.

Sembra che anche l'erba abbia
odori e colori di acquazzone,
di un verde carico,
che lo scirocco pettina a ondate,
scovando l'ombra.

I confini blu,
ritagliati in cielo
dai monti lontani della Maiella,
soffocano nella caligine grigia.

Le narici dei cafoni annusano
ricordi di infanzie trascorse;
e gli occhi arrossati
baluginano in solchi lievi
che una vela indolente
traccia nel lago di Occhito.

E la pioggia di giugno
continua a scendere piano, minuta;
gira lenta dietro gli angoli delle case,
lacrima sul campanile,
spande il suo sudore greve
sulla chiesa del monastero,
alletta la campagna
con gocce insistenti.

Illusione
Non posso far nulla
per trattenere l'idillio
e prolungare la festa.

Il tempo li porta via
e li annulla inesorabilmente.

La natura elusiva
e stregata del tempo
sembra far esistere le cose,
ma in realtà non fa
che creare l'illusione di esse,
disgregandole senza rimedio.

Tutto ciò accade,
corre continuamente dal futuro al passato,
ruzzola nel non-essere,
dando la sensazione ipocondriaca
di esistere soltanto perché
v'è una durata delle cose dentro di loro,
un ricordo più o meno vicino di esse,
simile alla persistenza delle immagini
sulla retina dell'occhio.

Uomini taciturni
Al mattino, asini e muli,
in processione interminabile,
bisacce a traverso,
bidente infisso nelle costole del basto,
vanno verso la campagna,
seguiti dalle donne che sferruzzano,
dagli uomini che fumano taciturni;
percorrono, a passi rapidi,
un sentiero che scende a zig zag
fino al vallone di Santa Maria,
fino a un bosco sconfinato di ulivi.

Quello è il passaggio obbligato
che ogni giorno i contadini
coprono per raggiungere i loro campi
oltre il vallone, verso la Difesa.

La sera, al tramonto,
il rivolo di uomini e di animali,
con i loro carichi di olive,
torna indietro come un dannato
in fuga dal gorgo infernale.

Al vespro le cucine a piano terra
si illuminano delle fiamme
che ardono sotto i paioli;
gli uomini sugli usci,
in attesa della cena,
con la sera che scurisce
nel freddo del cielo,
scambiano rade parole
con i vicini di casa,
intorno al lavoro del giorno:
arare, seminare, mietere, trebbiare.

Atti eterni
di un immobile ciclo adunco.

Crepuscolo estivo
Il tempo è ferrigno e uggioso
e soffia il vento che alza la polvere.
Nella luce diffusa e fredda dei cirri
le case appaiono più rilevate
e forse meno tristi
della loro selvaggia e grezza uniformità.
Volano rondini nel cielo, al crepuscolo,
e nella piazza arrivano per la conversazione serale,
come d'abitudine, i signori, i professionisti
e le autorità istituzionali del borgo.

Passeggiano lì ogni sera;
al primo brunire si fermano a sedere sul muretto
o ai tavoli del Bar Centrale e,
volgendo la schiena all'ultimo sole,
aspettano il fresco,
accendendo le loro griffate sigarette allogene.
Dall'altra parte, addossati alle case,
stanno i contadini, tornati dai campi,
e non si sentono le loro voci.

Al centro della piazza,
in posizione equidistante,
una dozzina di indolenti scarcatagliole,
propaganda, con enfasi, l'ultimo credo politico,
mentre nei vicoli adiacenti,
gli artigiani ripongono gli usuali attrezzi,
prima di chiudere, con la consueta flemma,
le loro polverose botteghe.

Vene d'aria fresca,
nello scirocco caldo,
punzecchiano le schiene dei villani
con brividi improvvisi.
Sullo sfondo la mole imponente
e grigiastra della torre angioina
solca la profondità del cielo.
Il campanile, come una spada,
trafigge il firmamento,
come un pugnale, infisso nel tramonto,
sanguina nembi accesi,
come il mastio di una nave di pietra
naviga nel tempo.

Su tutti loro e sui tetti delle case
scende dalla cima del colle Crocella
l'ultima luce vespertina,
prima che l'ombra della sera
soffochi, nel suo gorgo,
ardori residui e tremuli desideri.

Ritratto
Sulle guance flaccide e incavate
una barba a bioccoli grigiastri
e un paio di baffi radi
con gli orli rossicci.

Gli occhi severi
incutono scrupoli
e non sanno divertire.

E' un uomo all'antica,
gonfio in petto
e pieno di vento.

Di esso si pasce
nelle sue giornate vuote e assurde,
restando, alla fine,
con le mani intrise di brezze bavose
e di groppi densi di fumo misantropico.

Dall'alto della sua posizione boriosa
non dà confidenza ai derelitti.
Vive di chiacchiere
e, come tutti gli uomini finti,
gli vengono in testa idee, come zanzare.

Contadini
Corazzati di silenzio e pazienza, i contadini
sono taciturni, verecondi, impenetrabili.

A prima vista sembrano tutti uguali,
piccoli, bruciati dal sole,
con gli occhi neri che non brillano
e non sembra che guardino,
come finestre vuote di una stanza buia.

Una fraternità passiva,
un patire insieme,
un'indulgenza secolare,
un'eterna rassegnazione,
curvano brutalmente
le loro schiene dritte.

Lo Stato, per loro, è più lontano del cielo
e più maligno;
è il gorgo ineluttabile,
la brina feculenta e lubrica
delle notti senza luna
e sta sempre dall'altra parte.

Per i contadini
la Patria e la Legge
hanno solo diritti
e vogliono il sangue
dei figli della miseria.

Piacevole tormento
Aerea, leggera, quasi trasparente,
è una miniera di esperienze,
di gesti possibili,
di cortesie e situazioni imprevedibili,
è generatrice di contatti umani,
d'incontri.

E' avventura,
pellegrinaggio,
parola che acquista peso
e senso nell'andare.

E' il mio piacevole tormento.

Con lei tocco terra
senza mai mettere giù un piede.

Incanto e magia
Taglia l'aria,
infonde buonumore,
lava lo stress,
e fa partire i pensieri,
come una legge fisica,
facendoli sgocciolare uno a uno.

Ha una proprietà inutile ma sublime:
genera complicate ombre di ogni lunghezza,
sculture effimere di luce,
ombre che ipnotizzano,
divenendo entità amiche.

La bicicletta
è incanto al mattino
e magìa nella sera.

Foschia autunnale
Vagolo nella foschia autunnale
che trasforma i pioppeti in plotoni di fantasmi.

L'aria di piombo,
ossidata da una leggera bruma,
attutisce profili e rumori.

L'umidità ammorbidisce
la fragilità scoppiettante dei colori
e la bicicletta incede tra il fogliame
con un rumore quasi acquatico,
librandosi sullo sfacelo autunnale.

La caligine attenua
le sagome degli alberi
e spegne i colori,
sospendendo il paesaggio
in uno strano e incantato
punto di equilibrio.

Vibrazioni
Pedalo in leggera salita
e avverto gli effetti che mutano,
si esaltano,
s'inteneriscono.
Sembra una recita di colori.

Il rumore dei pneumatici sulla strada
ha un suono grasso,
saporito, gradevole,
come di mani che accarezzano il velluto.

Dove l'asfalto è più umido
sento vibrazioni acute,
come di donna intenta
a grattarsi la calza nera
con le unghie lunghe.

Nell'aria lilla spenta,
nel cielo pallido dove soffia già l'autunno,
il fruscio delle gomme
s'accorda con le gambe che si scaldano,
con il respiro che immette
vento fresco nei polmoni,
con lo sguardo che sbadiglia
esplorando il paesaggio.

La catena scende sull'ingranaggio più piccolo,
con un colpo di pollice,
e la velocità aumenta.
L'asfalto corre più rapido
sotto le ruote.

L'odore dei campi
Sale incessante nella bruma autunnale
l'odore dei campi arati da poco.

La terra scura fumiga
e si riverbera nel sole germogliante del mattino.

I cipressi del camposanto, in quella chiarità,
s'inzuppano d'ombra greve
come fossero spugne di buio.

Pensieri innocenti
mi portano in luoghi lontani,
nell'inquietudine di molti uomini,
nell'elegia evasiva
riflessa nei volti dei contadini
e nelle emozioni picaresche
delle genti molisane.

Sarmento
Pedalo sotto un pallido sole autunnale,
appena filtrato da una nebbiolina alta nel cielo.

L'ombra lunghissima
della bicicletta in corsa
s'infila tra gli alberi,
s'arrampica per un attimo
sui muri stinti di un casolare,
sussultando, come cuore spaventato,
su ogni covone di fieno.

Si spezza sulle zolle scomposte dall'aratro,
s'avvolge per un secondo,
come sarmento, al palo della vigna,
precipitando nei vuoti spazi dei filari.

Dilaga, infine, nei campi liberi
e nei gorghi infuocati dell'anima.

Rapsodia
Luce cinestrina di lampada,
rumore di voci
sfrenatamente volgari
nel silenzio disincantato.
Vita glabra,
nostalgie
come piccole cicatrici,
pruriti
leggeri ed effimeri.

La realtà e la vita
come un miraggio:
non si lasciano raggiungere,
si posseggono solo nel ricordo,
nella fantasia, nella parola,
nel racconto.
Ombre sfocate,
assurde passioni.

Come un rapsodo
di antiche civiltà
giro il mondo,
zingaro ricco
di storie e visioni.

Forzieri della vita
in un paese aspro
e pieno di neve.
Nuvola d'illusioni,
sfinge dalle ali iridescenti
su un clivio assolato.

Sogni e apparenze
si spostano più in là
come un arcobaleno.

Brezza
Un vento leggero
sale dal torrente
e porta odori
di cicuta e di menta.

E' la brezza che parla
nelle porte spalancate,
nelle bocche dei pozzi
e nelle bige quartare.

Felicità
La catturo nella luce del sole,
nei verdi boccioli
e nel profumo dei fiori.

La colgo in uno sguardo d'amore.

E scopro la terra
nel profondo meandro
della sua nudità,
assaporando profumi,
vivendo emozioni
in boschi di betulle
e in estese brughiere.

Ogni sentimento emana
musica e immagini.
Ogni sensazione irradia un'eco.

Eterno dolore
Portano dentro
l'eterno dolore del mondo,
perciò sembrano tristi
e piangono in silenzio.

Con le braccia alzate nel vento
gli ulivi emettono
un urlo senza voce,
un grido a gesti,
uno strazio senza fine.

Frutti drupacei
Venti umidi del sud
lambiscono i clivi del Molise
e la campagna si accende
di un baluginìo argentato.

Foglie di ulivi sparsi
espongono al sole
la pagina inferiore,
rivoltata dal libeccio,
lucida e brillante
come un metallo prezioso.

Gemme, fiori ermafroditi,
inflorescenze a grappoli.

Frutti drupacei
con bucce verdi,
rossicce, violacee, nere.

Dal polposo mesacarpo
i frantoi ricavano l'olio:
anima espressiva e variegata,
intrisa di penetranti sfumature,
serbevoli fragranze,
tenere sapidità.

Ulivi
Ondate argentee di ulivi
cavalcati dal vento,
abbacinanti e cangianti
al rilancio di qualche raffica calda
che disidrata l'aria e le genti.

Ulivi vecchi sparsi nella campagna
come un gregge al pascolo,
ulivi nuovi in filari ordinati.

Piante bizzarre e rugose,
segnate dalle intemperie,
sorgono dal terreno,
sospese su radici filiformi,
mostrando le cavità
scure come bocche silenziose.

Un popolo sterminato
di legni contorti,
dissimuli uno dall'altro.

Profumo di viole
Ritorna il sole lungo
e il paese si fruga l'anima.

L'aria odora di letame
e di viole.

Il vapore rossastro
delle gemme dei pioppi
si gonfia in un tenue color salvia.

Tra vigne, uliveti e campi
dilaga il rosso carminio
dei papaveri.

Rane e grilli
ravvivano l'ambiente
con le loro colonne sonore.

Al bar centrale ricompaiono
i tavoli all'aperto.

Gerani e begonie
fioriscono alle finestre.

Il borgo, lentamente, si riveste
della sua decrepita giovinezza.

Sere grigie
Il cielo cade sul borgo.
L'aria si spegne.

Non c'è un filo di vento
e cumuli di nubi
toccano i tetti delle case,
avvinghiando in un abbraccio,
sordido e turgescente,
usci, davanzali,
ringhiere di balconi
e piccole altane.

Sere grigie
si smorzano nella notte
senza un fiato di vento.

Torre angioina
Nuvole sfiorano le case
e le montagne si annullano nei cirri,
bianchi come visi in clausura.

Per le strade strati di fanghiglia.
Macerati nell'umido della bruma
finestre e balconi.

Le solide pietre
della torre angioina
affidano la tristezza,
la solitudine,
l'inadeguatezza,
all'acqua piovana
che le blandisce
nel cupo autunno.

E dalle pietre
affiorano storie antiche,
ricordanze che imbrigliano
il cuore e la fantasia.

Sapori di sale
In avvallamenti scoscesi
il grano maturo
rosseggia di papaveri.

Un venticello birichino porta,
da luoghi remoti,
sapori di sale
e lascia cadere, a tratti,
della sabbia sui monti.

Dalle alture dell'Abruzzo
parte una mirabile tensione
che allontana i sottofondi delle colline,
dilata le piante
in pennacchi fumosi
e illumina la sommità
di forche spiritate,
nell'aria iridata.

Calanchi
Al di fuori di strepiti appenninici
e di cinture di selve
svaniscono i pensieri coerenti,
fusi in fievoli ombre
di colline.

Aspri sentieri,
venuzze di bronzo,
selci celesti,
si sciolgono in turgidi calanchi
e affiorano, come da un caleidoscopio,
in filettature verdazzurre,
nella buccia rutilante
di fichi e mandorle.

Chiarore lunare
Il cielo, sopra di me,
stagna in una cupa immutevolezza.

Al di là delle chiome di ulivi
il chiarore lunare
ruota su costoni renosi
e su formazioni argillose,
rotti da dossoni di zolle.

Torrenti d'acqua chiara
Strane ombre
mi vengono incontro
d'ogni parte.
Vacuità di fenomeni
senza senso.

Nella notte inquieta
stempero le idee affastagliate
trascinando negli occhi
boschi sconfinati e
doviziosi torrenti d'acqua chiara.

Caleidoscopio
Il verde ciarliero delle colline
si mescola con i prati fioriti
in un caleidoscopio
di colori iridescenti.

Giovani spighe di avena
si piegano blandamente
sotto le carezze dello scirocco.

Oltre il sentiero
ombre profonde di ulivi
lasciano il posto a ginestre,
faggi, ontani.

Grandi querce
punteggiano, leggiadre,
campi di frumento.

Borgo antico
Il sole aureola le nuvole
di una luce diffusa
e la chiarezza del giorno
soverchia ulivi e perastri dirupati.

Le colline affondano
in una polvere azzurrigna
che ne sfuma i profili.

Il borgo sonnecchiante
affiora dalla sua eterea stanchezza
e s'immerge nella campitura
del cielo giallastro,
come un intonaco vecchio
e sfinito dalle piogge,
sovrastando campi
di mais e grano,
gelsi e pioppi,
quasi soffocati
nelle prime foschie.

Sommossa popolare
Arrivò la notte buia
e l'estremo anelito
si spense negli angoli tenebrosi
del piazzale desolato,
oltre il circolo di luce
della luna piena,
alta e gagliarda nel cielo.

Il mare scatenato nella tempesta,
nella fosca oscurità,
non consentì più di pensare
che la vita,
la felicità,
la speranza,
la luce,
potessero splendere nuovamente
sulla sinistra devastazione di quella piazza.

I mutamenti accaduti
a seguito della sommossa popolare
portarono in quel remoto paese
sorprese e illusioni;
ma, per finire,
pure quell'anno
arrivò il caldo estivo,
mutarono ciclicamente le stagioni,
piovve e nevicò,
come tutti gli altri anni,
e i poveri rimasero poveri.

Nella solitudine della stanza
assaporai l'aria ilare della libertà,
respirai con voracità
il profumo intenso del glicine,
sperimentai la quieta malinconia
della notte agiata;
e l'agrezza nottivaga
dell'impeto percettivo
entrò nel nido iridescente
del mio cuore,
attraverso un'indefinibile
breccia dell'anima.
Ero io stesso la notte.

Ombre al crepuscolo
Un'alluvione di gente insofferente
avanza come una torma di randagi,
uno stormo di cavallette.
Un popolo, taciturno e lapidario,
vissuto sempre nella miseria,
eternamente prevaricato e sopraffatto,
lontanissimo dal Paradiso,
emarginato anche dalle
anticamere del Purgatorio.

E' l'ora del crepuscolo,
nel cielo volano i corvi
e nella piazza
il tumulto sfocia in guerriglia.
La Capitanata è piena d'ombre
e le ombre avvolgono
i monti viola e neri
che serrano l'orizzonte.

Brillano, oltre le colline,
le prime stelle;
scintillano, di là dal Fortore,
le luci di Serracapriola
e più lontano, appena visibili,
quelle di Lucera e San Severo.

Il corso d'acqua,
i monti e le colline
hanno un'aria cupa e cattiva
che fa stringere il cuore.

Scarcatagliole (1)
Gente fiacca
e, d'ordinario, vile.
Gente servizievole
verso i potenti,
a patto d'immunità
nelle cattiverie contro i poveri.
Gente senza scrupoli.
Gente senza famiglia,
senza onore, senza fede.
Gente infida, poveri
ma nemici dei poveri.

Di stare tutti insieme
hanno bisogno
per darsi coraggio
e fare gruppo, branco,
come un gregge.
Puzzano di vino
già al mattino
e se li guardi negli occhi
non osano sostenere lo sguardo.

Gente povera, pure loro,
senza terra e senza mestieri,
o con molti mestieri,
e ribelli alle attività pesanti.

Troppo deboli e meschini
per ribellarsi ai ricchi e alle autorità:
preferiscono servirli
per avere il permesso di rubare
e opprimere gli altri poveri,
i cafoni, i villani,
i fittavoli, i braccianti.

Incontrandoli per strada, da soli,
sono, abitualmente, umili e ossequiosi;
a stuolo o in piccoli crocchi
cattivi, malvagi,
traditori e bastardi.
Sono sempre al servizio
di chi comanda
e sempre lo saranno.

(1) Scansafatiche.

Nobiltà
Quando siedono ai tavoli
del bar centrale
poggiano le mani sulle cosce,
con l'inforcatura dei pantaloni allargata,
il cui panno lucido brilla
più del cuoio delle grosse scarpe.

Hanno panciotti di velluto
con larghi risvolti
e orologi con sigilli ovali di corniola.

I loro visi scialbi,
un po' bruciati dal sole,
riverberano il colore del rosolio dolce
e le guance abbondanti
vengono fuori dai favoriti
che si adagiano
su grandi colletti duri,
sostenuti da cravatte bianche
con le trine ben stirate.

I volti farisaici del potere
e il colorito della ricchezza
risaltano nel pallore delle porcellane,
nel lucido cangiante delle sete,
nei fazzoletti con orli ricamati
emananti un odore soave.

Negli sguardi
indifferenti e profanatori
vaga la calma delle passioni
quotidianamente soddisfatte.

Dalle maniere gentili
trapela una particolare brutalità,
derivante dal dominio di cose
non troppo difficili,
nelle quali esercitano la forza
e compiacciono la vanità,
come nel maneggio
dei cavalli di razza
e nella compagnia
di donne perdute.

Virilità
Sensualità rattenuta
nella tumefazione di gesti arcani.

Uomini imbrattati di virilità,
rozza e umbratile.

Pazienza e rassegnazione
scritte sui loro volti,
foschi e grifagni,
e nella desolazione del paesaggio.

Desiderio di evasione nell'aria,
disilluso nel miraggio bolso,
nell'eterna speranza.

Cicale
Catapecchie sbilenche,
accumulate una sull'altra,
una di fianco all'altra,
perdono il loro umidore,
si fanno aride
e scottano come forni.

Campagne infestate
di biancospini e ginestre.
Aria piena di odori.
Cicale grattano l'etere
e le foglie degli alberi.

Dietro i muri calcinati delle masserie,
sotto le piante di noci e fichi,
s'intuisce il calpestio iroso
di cinghiali affamati.

In paese c'è gente
sulle scale e sui ballaturi,
chi a cicalare,
chi a sferruzzare,
chi a filare,
chi a ricamare a cerchio.

Il sole taglia le case,
i muri affumicati,
e i ragazzi vociano a schiere
dietro nuvole di rondini.

Dal davanzale
Il vallone di Santa Maria
si è inaridito da un po' di giorni
e vedo biancheggiare
il letto sassoso
in un luccichio accecante.

Un ballatoio scarnamente rialzato
mi nasconde la brughiera
che, arida e dorata,
s' allunga attorno al paese.
Osservo la cresta dei colli dauni,
uguali, senza asperità,
pieni di campi seminati a frumento,
intervallati, a tratti,
da forre cosparse di ulivi.

Nell'immobile elegia
di giorni quieti
e inconsapevoli,
con i gomiti poggiati sul davanzale,
seguo, con lo sguardo assorto,
il corso vuoto del torrente
perdersi in una valletta
piena di ciclamini
e cardi polverosi.

Indovino la mia immagine
nel riflesso di un bicchiere,
nella chioma degli alberi,
nei fiori che spuntano lievi
dalla terra verde,
nel vento che trema
e agita appena le fronde del glicine.

Granello di polvere
Ombra errante
in foresta impossibile:
gli alberi sono case,
idee, religioni, filosofie.

Granello di polvere
che il vento solleva
e fa ricadere, cautamente,
sulla collina.

L'ora è sempre incerta,
il cielo sempre lontano,
la vita sempre estranea,
il gesto sempre assurdo.

Silenzio
Il silenzio è nelle cose
e negli uomini.

Il silenzio si riempie
di un brulichio di pensieri.

Il silenzio accompagna il pianto,
difende una lenta agonia,
e penetra, dimesso, nelle gioie.

Il silenzio circoscrive
la solitudine
e la morte dell'anima,
divenendone condizione e misura.

Stille di silenzio,
scabre e difformi,
come umili emblemi,
tenui e reietti.

Aspro contegno
Nelle sere brune di giugno
il cielo cupo
s'incurva sul monte Crocella
in uno scintillio di stelle,
basse come nuvole bianche.

Nel silenzio delle tenebre
odo il fruscio
delle frasche d'ulivi,
profondo e complesso
come il brusio ansioso
di una folla.

La felicità si riverbera
nello scorrere lento del tempo
e nei voli liberi della fantasia.

Il contegno aspro
di gente povera
sopravvive spavaldo,
tra ombre sfuggenti,
nel nitore sublime
di un'evasiva elegia.

Oltre le fronde di platani
Oltre le fronde di platani,
stormi d'uccelli
affollano la luce cinerea.

Folate di piume e garriti,
chiazze nere che oscillano,
si sfiorano senza ferirsi,
si aprono,
si disperdono,
prima di tornare a serrarsi
in un altro volo.

Lento scorrere di attimi
Lento scorrere di attimi,
giorni carichi di tensioni
e fatiche,
di scalate alla sussistenza grama,
alla sopraffazione
e all'impotenza.

Canto di cicale
e un po' di polvere
lasciata da un cavallo in fuga.

Ai confini della sera
Sul versante opposto del pendio
il tramonto arde
in decine di finestre,
in un alto riverbero
di fuoco freddo.

Nella soavità del giorno morente,
dai confini della sera,
una brezza leggera si alza
colorandosi di scorci fiammanti.

Incoerenze del visibile
Una lievissima nuvola
indugia vaga sopra la luna
come un nascondiglio.

Nel chiarore lunare
della notte lenta
il vento agita cose
che creano ombre in movimento.

Il mistero del mondo
s'illumina algidamente
di luce malevola,
falsi intervalli,
dislivelli assurdi,
incoerenze del visibile.

Profumi di campagna
Contemplo le stelle
per leggerne i segreti.

Aria fresca della notte,
silenzi e profumi di campagna.

Paura di fruscii,
rumori del bosco
mi tengono alle corde.

Nel buio ogni albero
sembra animarsi
e la collina si popola
di figure enormi e orrende,
nere stagliantisi,
nel blu profondo del cielo.

Ambizioni
Le ambizioni,
come certi detriti,
si posano sul fondo della coscienza.

Una stretta di mano,
un abbraccio,
un'intensa emozione.

Lunghi anni
trascorsi senza vedersi
divengono una pausa insignificante,
un attimo sfuggito
al controllo dei sensi.

Conto finale
Non arriva mai da sola
la morte.
Segni,
tempi,
storie,
l'annunciano.

Stanchezza,
disperazione,
rinuncia,
esaurimento,
tenacia,
si scontrano
e poi un giorno
la storia chiede
il conto finale.

Tormento e tribolazione.
Porto il carico
di mille pensieri.

Trasporto l'anima
e la solitudine dell'esistenza,
nel silenzio interrotto
dal fischio dei merli
e da un lontano
scampanare di mucche.

Una nube mi raggiunge
e mi frena
con la sua presenza ingombrante.

Viaggio lungo e impervio,
tormento e tribolazione,
quotidiano assillo.

Briganti
Fame,
freddo,
solitudine,
rabbia,
sopravvivenza,
girovagare sui monti
come famigerati briganti.

Timori di servile monotonia,
sapore di sconfitta.

Speranze
Odori di fieno tagliato
e di erba greca.

L'alba si preannuncia
con la luce dorata
di un giorno ventoso.

Eccitato
fiuto gli odori.

Sento il fresco delle sorgenti
sul volto
e il fiato di un cavallo
sulle mani.

Dimentico tutto
e la vita si allunga,
prendendo viottoli conosciuti,
bevendo in fresche fonti,
cavalcando puledri arzilli,
cogliendo ciliegie, fichi e uva.

E i ricordi si trasformano
in speranze.

Silenzi
Silenzi
esasperanti e lenti,
parole come ringhi.

Silenzi amari,
permeati dalla mestizia
dei pensieri.

Scende la sera
e la violenza delle emozioni
si trasfigura
in esausta serenità.

Amore
Come un grimaldello
squarcia porte saldate
da ruggini di tempo,
scardina finestre incollate
da paure e moralismi,
spiana montagne
di timori e titubanze.

Corre senza freni
su prati verdi
e danza nei roseti.
Apre strade
e sentieri l'Amore.

Rende possibile l'assurdo,
facile l'arduo,
semplice il complicato,
glabro il ruvido.

E smussa l'acuminato:
l'Amore.

Parole

Un mormorio
cicaleggia nelle orecchie,
voci che vibrano
come corde metalliche.

E le parole si snodano
sciolte,
veloci,
intercalate da brevi risate.

Parole sferzanti
che sfidano il silenzio,
la prudenza,
il buon senso.

Lupo mannaro
Ruderi intristiti,
coperti d'erba maligna
e di lucertole guizzanti.

Case a un solo piano,
senza intonaco,
di pietra grezza e dura
e tagliente
come la gente che le abita.

In certe sere
di luna crescente
il lupo mannaro,
col suo tormento,
si ferma fino all'alba
e calma la sua arsura
nell'acqua freschissima
dell'abbeveratoio.

Odori di libertà
Odori d'allegria,
di libertà,
di macchia mediterranea.

Odori di mirto
e agavi,
di rosmarini,
aloe ed eucalipti,
cedri e ginestre spinose,
mentuccia e finocchio selvatico.

Odori di mille giorni
sotto il sole
e sapori di foglie macerate.

Odori di mille notti
sotto il silenzio della luna.

Odori di cardi e ciclamini,
ginepri e gelsomini.

Pruriti d'avventura
e voglia di perdersi
in arabeschi amorosi.

Nuvola di fumo
Rumoreggiare di storie
tra anime perse
e cupe gole.

Gusto terrigno
di lava e polvere.

Consistenza effimera
del sogno.

Nuvola di fumo
si dissolve nell'aria
come nebbia.

Fantasie primitive
Terra affascinante,
di bellezza aspra
come le sue uve,

e amara come
le sue mandorle acerbe.

Terra ricca di leggende,
di storie,
di fantasie primitive.

Testardaggine
Odore di boschi resinosi,
di faggi ed eucalipti.

Odore di piogge autunnali
dal suolo che fuma
come un vecchio con la pipa.

Guardo le piante oscillare
sotto la spinta del vento.

Ascolto il canto degli uccelli
e lo scroscio del torrente.

Nel grigiore della campagna
scopro le curve
sinuose dei frassini,
le venature armoniche
degli abeti,
le striature e le gobbe
nodose dei carpini,
come la mia testardaggine.

Vita trascorsa
Erosione del tempo,
malattie,
fiacchezza senile.

E' scritta negli occhi
di un vecchio
la vita trascorsa,
con tutto il suo
peso di dolore.

Rassegnazione e attesa
dell'ultimo passo.

Eternità
Cammino con le mani nelle tasche
e sento il sole sulla pelle.

Respiro tempo libero
e aria di vita
sui crinali della contraddizione.

L'ombra dei tigli pare risucchiata
dalla terra, coperta di ristoppie,
in parte nere e bruciate,
con gli ulivi dardeggiati dalla calura.

D'un tratto una barriera di rovi
nelle pieghe sotterranee dell'esistenza.

Voci non chiare
come strozzate da imbuti
nei sonnolenti meandri della storia.

Dal clivio arriva un'aura soave,
un soffio caldo
che viene da occidente.

E' il vento del destino
che muove le cose.
E' un fluire di brezze lontane
che fa danzare gli uomini
e li porta via.

Li porta altrove
sui sentieri dell'eternità.

Emozioni
Cielo basso, nero
come fondo di culo
e le stelle che dilagano
in fumosi precipizi.

Scorci di tetti consunti
che ogni notte raccontano
antiche storie d'amore
e di gloria.

Un tappeto d'emozioni,
soffice come i ricordi
del tempo incantato.

Terra mia
Terra di borghi antichi,
con vecchi selciati
e torri merlate.

Terra di boschi secolari,
di silenzi incantati,
di suoni naturali.

Terra di monti solenni,
di garruli torrenti
e prati percorsi da gioiosi cavalli.

Terra di cinguettii
e di campane,
di panchine di pietra
e variopinti roseti.

Terra di pane fresco
con la crosta che crocca
e la mollica che s'intenerisce
in rilevate mollezze.

Terra di dolci colline
e di ulivi ancestrali
le cui foglie tremano appena
in tenui sbuffi di brezza.

Terra di antiche civiltà,
di arcaiche vestigia,
di profonda spiritualità.

Esistenza
Provò a sfiorare
la levigatezza di un foglio di carta,
provò a distinguere
le nervature di una foglia d'albero,
provò ad abbracciare
il calore della cenere del camino,
provò ad accarezzare
la morbidezza della pelle del viso,
provò a gustare
la sofficità di una mollica di pane,
provò a calpestare
la ruvidezza di una pietra di strada,
provò a saggiare
la fluidità dell'acqua di ruscello.

Provò a leggere il buio,
una notte.

Alzò le mani
e andò tastando
lo spessore scuro
intorno al letto.

E la notte,
impigliata
tra le sue dita,
si addormentò
silenziosamente
fino all'alba.

Notte di San Lorenzo
Animali luminosi
e misteriosi
pascolano
nel grande campo scuro
della notte.

Cuccioli,
vogliosi di tornare
sulla terra,
si staccano, talvolta, dal cielo
nelle notti infuocate d'agosto.

Luci si arrampicano per le finestre,
su altane e ringhiere,
e i treni piangono lontano,
prima di entrare nelle campagne.

Desideri si accendono
e si spengono
come stelle cadenti.

Urli di maestrale
Le tenebre, d'un rosso polveroso,
scendono prestissimo;
le serate accanto al fuoco
che stride e sfrigge,
soffia e fuma,
sono lunghe e tristi.

Si apre il mio orecchio
agli urli struggenti
del maestrale e al richiamo
lontano dei lupi.

Suoni e pensieri
Frinio di grilli
starnazzare di fagiani,
gracidio di rane.

Nell'aria
profumo muschioso di tigli
e sottili volute di fumo azzurrastro
dall'aroma pungente.

La calura svuota i sentieri
di suoni e di pensieri,
snodando la brullità del terreno
in ritorti passaggi.

Un alone di luce diafana
come un velo di nebbia argentata
mi avvolge nel fruscio
lieve della brezza nascente.

Una siepe di prugnole
chiude l'orizzonte,
e all'orizzonte s'intravedono nuvole
e cose lontane.

Chimere di sera
Calmo il respiro
come il lago dietro la collina,
nel rimpianto cristallizzato,
cupo e silente.

Sogni esaltanti sfumano
in morigerate passionalità,
nel vicolo cieco
bagnato di brina.

Sbasire di chimere
nella sera:
le cerco nel riverbero poroso
di acque lacustri,
azzurre e d'alabastro.

Amicizia
Scrigno di emozioni,
complicità e ricchezza.

Scrigno di affetti,
gioie e rinunce,
fedeltà e attenzioni,
ascolto e silenzio,
disponibilità e condivisione.

E' un sentimento nobile e gratuito
e non conosce il linguaggio del prezzo.

E' un rapporto che lega due persone
come il manico alla scure,
come il neonato alla mamma,
come l'albero ai rami,
come il lampo al tuono,
come la rondine al nido.

E' un cesto di bontà
e accomuna gli uomini, irrefrenabilmente,
come la neve all'inverno,
come l'afa all'estate,
come la malinconia alla solitudine,
come l'inquietudine alla pazzia,
come il dubbio alla verità,
come la verità all'amore,
come l'infinito al colle,
come l'eclissi alla luna,
come il crepuscolo alla sera,
come l'aurora al mattino.

E' un intreccio indissolubile
che stringe le pareti del cuore,
mette profonde radici nell'anima,
e vincola il ricordo alla bellezza,
il mito alla chimera,
la tristezza all'abbandono,
la libertà al vento di tramontana,
l'orgoglio al pregiudizio,
il diritto al dovere,
il vizio all'assurdo,
il mestiere di vivere al lavoro che stanca,
il sintomo al dolore,
il suggello al patto,
l'autunno alla caduta delle foglie,
la primavera al risveglio della natura,
la fame al pane,
la sete all'acqua,
la tenerezza all'amore,
la speranza al rosso di sera,
la felicità all'arcobaleno.

E' un grillo parlante
che urla nella quiete delle coscienze,
tempestando il castello dei sogni,
di favole e racconti,
di fantasie e libertà,
di pianti e singhiozzi.

Escursione in collina
E' una giornata piena di sole,
fresca, pungente, odorosa di viole,
di fiori di tiglio
e di nuove foglie di eucalipto.
Parliamo poco, io e il mio amico,
e stiamo chini a guardare la terra brulla.
In lui la curiosità s'impasta con la fierezza
e spesso non è l'una o l'altra a prevalere,
ma piuttosto entrambe,
in una bizzarra mescolanza.

La mulattiera s'insinua tra colli e boschi,
nel silenzio rotto solo dal vento e dagli uccelli,
e s'affaccia sull'ocra degli appezzamenti ondulati
e sulle rare chiazze di pini e perastri.
Camminiamo per la campagna
che lunghe piogge di aprile hanno nutrito;
steli d'erba hanno succhiato fino all'ultima
stilla di umore per verdeggiare i prati meravigliosi.

Attorno a noi c'è una barriera di rovi
e di là si vedono gli ulivi del piano
le cui foglie tremano appena
per un po' di brezza che si è levata.
E' un soffio caldo che viene da occidente.
E' un fluire di venti lontani.
Ci sdraiamo un po' sull'erba del prato,
lasciando scorrere nelle orecchie
il rumore del vento
e dell'acqua che sfrigola sulle pietre del ruscello
e fissiamo il cielo azzurro tra i rami,
mentre luce e ombra giocano
magie da fiaba nordica
nei boschi di faggi e di ontani.

Chiuso da ulivi secolari,
sempre più fitti, adesso il sentiero
si snoda e sale in ritorti passaggi,
vere gole in cui procediamo piegati.
Più avanti il viottolo s'allarga
e s'imbianca in schisti anfrattuosi
che nascondono un dirupo.
Agavi alla nostra destra, alte,
con le foglie dure e puntute.
Poi la salita si fa più ripida
e bisogna aggrapparsi alle sporgenze;
soltanto sul versante di sinistra
la terra si addolcisce, giù giù,
in un largo costone
da cui arriva un rodìo inesorabile di grilli.

Infine il viottolo diviene
meno erto e meno pietroso,
liberandosi anche delle fronzute siepi di rosmarini,
in un montare d'aria più fina
che arriva da fondovalle.
Camminiamo da ore
con passo da tranquillo vagabondaggio,
per salite e discese di poggi.
Caliamo nelle vallette,
rimontiamo nelle serre del monte Crocella,
attraversando macchie di rovi e lentisco.

I raggi del sole, rotti dalle rocce,
illuminano un breve tratto del cielo
di luce folgorante, lasciando il paese
e il suo agro nell'ombra.
Nel primo pomeriggio
risaliamo un pezzo del crinale
che affaccia sul lago
e sulla fontana di Mattice,
quando il sole già basso sulla pianura
la riempie tutta di pulviscolo
e le gaggie cominciano
a tremolare alla brezza.

Procediamo taciturni,
con il vento nelle maniche
e il sole nei capelli,
fermandoci ogni tanto
a dare un'occhiata alla pianura.
A tratti, ci sembra di scorgere,
nella voragine
della caligine pomeridiana,
le casupole del paese sottostante,
mentre un refolo,
tra i cespugli,
emette piccoli sbuffi
che accarezzano i nostri visi.

Sera d'autunno
La sera scende veloce
e i tetti delle case,
digradanti sul pendio accidentato,
si fanno cupi,
con i coppi sospesi
entro la nuvolaglia irrequieta.

Villani tornano dalla campagna
per viottoli tortuosi
pieni di sassi
e di sole morente.

Si leva, a tratti,
una tramontana fine
e batte i vicoli del borgo
che si oscurano
mentre lontano, verso
i colli turgescenti della Daunia,
nascono cumuli biancastri di nubi
che salgono e mandano
un bagliore sanguigno
sulle distese, infinite,
del Tavoliere e della Capitanata.

I ragazzi si arrampicano
per le scalinatelle erte del colle
dove le donne chiamano le galline
che, a gruppi, corrono verso le stalle,
chioccolando.

L'orologio del Purgatorio
lancia e dissolve le ore nell'aria brumosa,
scandendo il brillio del crepuscolo
nel riverbero dei monti violacei
che chiudono il cielo.

Il campanile della chiesa del monastero
si staglia enorme nella rossedine nebbiosa
e manda un'ombra gigantesca che oscilla,
al muoversi di pochi e sperduti lampioni,
sulle case, nella china scoscesa
e lungo la scalinata che mena in piazza.

La notte,
con rapide incombenze,
soffoca il teatro di luci
e un'oscurità monsonica e tiepida
avvolge tutto,
inghiottendo nel suo vortice
l'ultimo arcobaleno e l'orizzonte
infuocato di mango e di arancio.

E vado a dormire
con voglia di freddo,
di vero e duro freddo
dell'inverno imminente.

In chiesa
Chiesa del monastero,
domenica mattina,
messa cantata.

Il prete inizia
lentamente a litaniare
con una vocetta acuta di testa
cui risponde il mareggiare folto
del coro riveniente dalla folla
sprofondata nell'ombra di piccole navate.

Una lunga lama di sole
filtra dal rosone e attraversa
la parte centrale della chiesa,
rendendo ancor più cupi
i passaggi laterali e gli angoli.

In fondo al transetto
l'altare sorge dalle tenebre,
illuminato da una lampada di rame
piena d'olio d'oliva
su cui naviga un lumino
che naufraga e, di tanto in tanto,
riaffiora, come per sortilegio,
con appena un sospiro di luce.

Satana passeggia per le vie del mondo,
abita in tutte le case,
si annida come un predace avvoltoio
in tutti i cuori, predica don Carlo,
nel cerimoniale liturgico.

Il mondo si ricarica di peccati lussuriosi,
di pensieri lubrichi,
di immagini spudorate,
di desideri sfrenati e inverecondi.
Il demonio soffia nelle menti
i suoi perversi disegni
e le donne, le fanciulle,
le spose, le vedove
hanno le carni infuocate
dalle fiamme fervide dell'inferno.

Al termine del rito religioso
la voce del sacerdote
diviene tenue, accasciata,
cavernosa e si spegne,
tra nuvole d'incenso,
in una specie di borbottio doloroso.

I corpi dei fedeli,
stretti l'uno all'altro,
fermentano
nel calore di fiati roventi.
E le donne si sentono invase
da un feculento turgore demoniaco.

Le mani del prelato,
al postutto, non indicano più
il cielo tenebroso dell'abside,
ma si stendono affrante sui fianchi.

Lucciole
Notti frastornate
dal canto ossessivo di cicale.
Aria densa di odori di rose,
di tigli, eucalipti e frassini.

Nelle viuzze infestate ancora
dall'aroma amarognolo dei lampascioni
soffritti nelle nere sartaine,
sui tetti consunti dall'acqua piovana
e dall'incuria umana,
nei cespugli frastagliati di more
e intorno ai rododendri
rischiarati dalla luna,
bivaccano, a stormi,
le lucciole.

Le notti estive sono placide,
le stelle ammiccano indifferenti
e le lucciole,
con il loro sfavillìo,
piroettano a migliaia negli angoli bui.

Avanzano ondeggiando
prima da una parte
e poi dall'altra,
si sparpagliano, girano,
sembra che giochino.

Vanno su a gruppi,
qualcuna resta indietro,
altre si affollano intorno
agli arbusti di rosmarini.

Danzano nell'aria
un ballo antico come l'uomo,
una piccola,
incantevole magìa notturna
che riporta
ai sogni dell'infanzia
e ai sbalordimenti strazianti
dell'adolescenza.

Forse per comprendere meglio
le ansie degli uomini
potremmo provare a volare
come le lucciole
o quantomeno a sollevarci da terra,
come San Giuseppe da Copertino,

levitando sopra le miserie,
le inquietudini,
le violenze,
il mondo senza grazia,
la storia orfana
dei miracoli.

Come le lucciole
potremmo regalare più luce
ai paesi e alle campagne,
agli uomini pigri,
a quelli con la fregola,
a coloro che, inconsciamente,
anelano al delirante progresso universale.

Come le lucciole
potremmo partecipare
anche noi al grande ballo sotto le stelle,
accoppiandoci in mezzo ai cespugli
di more e lavanda:
un godimento estremo
e poi la morte a suggellare l'incanto.

Inno alla luna
Il sole non c'è più
ma la sua luminosità permane.

Cipressi, pini, querce,
sono soltanto sagome scure
e il cielo assume tutti i colori del cambiamento:

un filo dorato sull'orizzonte
e poi l'azzurro trasparente,
l'azzurro più intenso, il blu chiaro,
il blu indaco della notte,

le stelle che s'accendono a una a una
e la luna che, ancora pallida,
sovrasta ogni cosa.

Dall'alto della collina
contemplo la sua brillanza luminosa;
con i bordi rossicci
sale lenta sul paese,

sfiora il campanile della chiesa,
accarezza il monastero
e il suo luccicore, come una cupola di vetro,
si struscia, irriverente, sui tetti delle case.

E' grande e bianca,
senza una macchia
e la sua luce è bassa
sulle strade vuote,

dove si vedono solo i lampioni
che perdono i contorni,
sfumando, lentamente,
entro una polvere azzurrigna
densa di chiarore.

Ritorno a casa,
percorrendo il sentiero illuminato
dai bagliori lividi della luna;
la malinconia degli alberi si riverbera
nello scintillìo incupito
dei miei passi affrettati
e ogni cosa appare bianca,

anche i monti del Matese,
nascenti da un lontano candore
come a festa.
Camminiamo in silenzio


Insieme al mio amico
camminiamo in silenzio.

Camminiamo
nella tranquillità incontrastata
di un bosco di cedri,
misto a pini d'Aleppo,
che urla messaggi di pace
nelle nostre orecchie.

Insieme al mio amico
camminiamo in silenzio.

Camminiamo
su antichi selciati,
in angusti vicoletti,
e, alla fine, rimaniamo storditi
dalla quiete circostante.

Insieme al mio amico
camminiamo in silenzio.

L'incedere è una metafora centrale
del pensiero e della parola,
una semplice azione che va a braccetto
con filosofia, letteratura e religione,
ma anche con quotidianità,
tradizione, cultura e meditazione.
E racchiude in sé
mille e nessuna motivazione.

Insieme al mio amico
camminiamo in silenzio.

Camminando apprendiamo la vita,
avanzando conosciamo gli aspetti delle cose,
spostandoci saniamo le ferite del giorno prima.
Non riusciamo a meditare
se non camminando;
appena ci fermiamo non pensiamo più
e il nostro intelletto
si mette in sincronia con i piedi.

Insieme al mio amico
camminiamo in silenzio.

Il camminare è la cosa più ovvia
e più oscura del mondo,
è l'antidoto contro la vulnerabilità
che deriva dalla complessità della vita,
è un'attività poetica
che può guarire la società dai suoi mali.
Camminando superiamo la paura della fatica
e la mente diviene più lucida e aperta.

Insieme al mio amico
camminiamo in silenzio.

E i nostri passi smarriscono facilmente
nella religione, in politica, nella storia,
nel suono aulico di un pianoforte,
nel paesaggio, nell'anatomia,
lungo i dirupi e sulle colline,
nell'allegoria e nel crepacuore.

Insieme al mio amico
camminiamo in silenzio.

E non sono solo gli occhi
a cogliere la bellezza dei luoghi.
I sassi delle strade sono briciole,
la polvere dei sentieri è nebbia di cristallo,
giallo è il colore dei campi
e giallo è il colore di una masseria
risistemata da poco,
bianca è la luce
che arriva dritta nelle pupille,
mentre nel cielo avulso
si dimenano mandrie di nuvole.

Insieme al mio amico
camminiamo in silenzio.

E il cammino è una terapia antidepressiva
che realizziamo, lentamente,
a contatto con la natura
e nel cammino ritroviamo noi stessi
e l'essenza briosa della vita.
Così l'incedere diventa un caleidoscopio,
un fine, una sintesi,
un'alba luminosa,
un tramonto incantevole,
una connessione, quasi dimenticata,
tra corpo e mente,
tra gambe pesanti e testa leggera.

Insieme al mio amico
camminiamo in silenzio.


E dopo il cammino
portiamo a casa i canti,
i suoni del silenzio,
le parole non dette,
le risate con i viandanti:
tutti miti dell'amore
per il lento incedere.

E portiamo a casa, soprattutto,
la voglia di camminare ancora.

Presenza di Dio
La neve cade abbondante
turbinando nel vento alacre di grecale.
Nelle sere cupe
si posa sui cuori della gente
e, contrita, sgattaiola nell'anima dei derelitti,
originando ansie e paure.

Nevica ormai da alcuni giorni:
come fiati stanchi
i fumi dei comignoli
salgono a confondersi con i fiocchi di neve,
subito assorbiti e cancellati
dall'immenso grigiore del cielo.

Il paese affonda
in un silenzio querulo, inquietante.
Appare triste e disumano
e sembra aver spento
il suo respiro più profondo.
Va a pezzi e gira senza amore.

E' diventato come una palla sgonfia
che si accartoccia,
soffocando le bellezze della natura,
distruggendo l'armonia
tra le persone
e spegnendo i sogni dei bambini.

Ma Dio non abbandona il borgo
e assicura la sua paterna presenza:
abita nei tuguri dei contadini,
si corica nei loro letti rozzi,
li accompagna nei lavori dei campi,
li chiama confidenzialmente per nome,

s'impegna con loro per fare
più bello e più giusto il villaggio,
gioisce e soffre con essi
e non li lascia mai soli,
neanche quando il male
e la morte fanno loro paura.

Tramonto
Il sole sornione si appoggia
stanco sui pioppi
e l'odore della paglia secca
stringe la gola.

Bruciano nel tramonto,
fosco e polveroso,
le cime rutilanti delle colline,
con il rosso cocciniglia
dardeggiante nell'aria
come il lamento di un mondo stregato.

La luce rossastra
tinge il ciglio della strada,
i tetti spioventi,
i muri delle case,
colorando bizzarramente, nel riverbero,
i capelli delle persone.

Nelle sere, chiare e serene,
si cena all'aperto
sotto il pergolato d'uva fragola,
non lontano dai tigli e dal glicine
che emanano le loro dolci fragranze,
con il cielo turchino e bluastro del Molise
che sfavilla di stelle e di lucciole.

Di fronte la sommità di Monte Calvo,
con la sua severa brullità,
si confina nel remoto orizzonte.

Stella cadente
Andò via
una sera di maggio
attaccata alla coda
di una cometa.

Forse ad agosto
tornerà sulla terra
sotto forma di stella cadente.

Un bambino
Vedo il risveglio
e il mattino
negli occhi dolci
di un bambino.

Vedo virgulti
e grandi alberi
nel sorriso innocente
di un bambino.

Vedo prati verdi
e flessuose colline
nei sogni fantastici
di un bambino.

Vedo pampini arrossati
e brume serali
nelle claustrali paure
di un bambino.

Vedo ombre sfuggenti
e castelli fatati
nelle pieghe dell'anima
di un bambino.

Vedo il sole
e luccicanti riverberi di luce
negli occhi dolci
di un bambino.

Vedo profumi di fiori
e uzzoli di frutta fresca
nel sorriso innocente
di un bambino.

Vedo aironi
e aquiloni
nei sogni fantastici
di un bambino.

Vedo cupi groppi
e turgori notturni
nelle claustrali paure
di un bambino.

Vedo fiabe mirabili
e sempiterne chimere
nelle pieghe dell'anima
di un bambino.

Vedo lacrime
e dolori
negli occhi dolci
di un bambino.

Vedo albe algide
e azzurrati crepuscoli
nel sorriso innocente
di un bambino.

Vedo emozioni
e palpiti salmastri
nei sogni fantastici
di un bambino.

Vedo lupi mannari
e voli di pipistrelli
nelle claustrali paure
di un bambino.

Vedo gesti inconsapevoli
e torrenti d'acqua chiara
nelle pieghe dell'anima
di un bambino.

Un bambino
apre e sfoglia
il libro dei giorni,

scoprendo pulviscoli effimeri
e chiarori lunari
sul sagrato delle confessioni.

Un bambino
apre e sfoglia
il libro dei giorni

e scova assurde finzioni,
rose d'inverno,
profumi e sapori d'eternità.

Provvidenti, agosto 2011.

Paura
Distruggo tutto
dentro di me:
amore,
odio e fede,
perfino il dubbio.

Rimane la paura.

Sottile,
indistruttibile
e terribile
la paura pervade
il mio essere,
permea i pensieri,
sta in agguato
nel mio cuore
e spia sulle labbra
la lotta dell'ultimo respiro.

Stimoli di vita
Camminiamo commossi,
uno vicino all'altro,
e sorridiamo
e parliamo di lavoro
e di progetti.

Intorno a noi
il mormorio del vento
e il profumo stuzzicoso
della terra nera
infondono stimoli di vita,
carezze che aprono
l'animo alla speranza.

Palpiti
Nel vaso delle emozioni
affluiscono dolcezza e amore,
spavento e agitazione.

Palpiti violenti
di cuori liberi.
Toni di voci provocatori
e canzonatori,
mascherati da sfrenata allegria.

Una pesante ironia
aleggia su eccessi d'ira,
muti rimbrotti,
speranze perdute.

Vento di grecale
Il vento di grecale,
a grandi strisce nere,
si dirama su strade e tetti,
e solleva, di tanto in tanto,
dei mulinelli di terriccio asciutto
che oscurano l'aria.

Parla a bisbigli con gli usci,
cupi e granati, delle case
e s'insinua sibilante,
come qualcosa di acquoso,
fra le imposte verde-malva
socchiuse.

Danza con le foglie,
arrossate e incupite,
e cerca, fiuta e smania,
trasformando il borgo
in una palla grande e scura
librata sul vertice della collina.

Il fragore del silenzio
Alcuni alberelli mascherano
il rudere di un casolare.

Angoli pieni di tempo stagnante,
di polle d'ombra
nel gaio tepore del mattino.

Il guaito di un cane
spezza la pace solenne
che regna nella romita
valle del Fortore,
immobile come un respiro trattenuto
nella quiete castigata di una clausura.

Vaga una volpe affamata
nella monastica clandestinità
di anfratti e dirupi.

Dietro il vigneto
si leva in volo un fagiano.

Tra macchie di acacie e ontani
assaporo il fragore del silenzio.

Passioni sdrucite
Emozioni arruffano la memoria
nell'assurdità di passioni sdrucite
e di gesti inconsapevoli.

Nell'incanto del vespro
fasci di chiarore evanescente
lambiscono la collina,
accarezzando prati e fronde di alberi;
e la campagna sembra gioire
di questa benevolenza porporina,
come un finimento prezioso.

Risplendono comignoli e pietre,
di luce propria,
interna, non comunicata.

Una grande luna esile,
trasparente, irreale, falcata,
s'affaccia, incredula, dai colli dauni,
sopra gli ulivi grigi
e le case fatiscenti,
nell'aria rosata del crepuscolo,
come un osso di seppia
corroso dal sale
sulla riva del mare.

Gesti inconsapevoli
Come acque fresche di fiume
la vita scorre.
Giorni e mesi
fluiscono lenti,
raggrumandosi in anni
carichi di vicende umane.

Pigro macinare
di gesti inconsapevoli.

Il tempo mitiga paure,
impeti di commozione,
lacrime di tenerezza.

Ragnatele
Un profondo respiro,
sguardo gettato lontano,
sorriso languido nelle pupille,
impercettibile movimento di labbra.

Inquietudine sulla porta
dei segreti.
Spiragli di luce
a rianimare spazi d'incertezza
e ragnatele in agguato.

Solitudine
Paura e incanto,
ispirazione e prodigio
mitigano l'inquietudine.

Un lamentevole mormorio
penetra la solitudine
e l'indifferenza sublime.

Suoni esitanti e vaghi
fluttuano nell'aria:
una forza religiosa,
una specie di orazione,
una somiglianza di clamore.

Un sorso di quiete
Anima sottomessa
al destino quotidiano,
al sogno inutile,
alla speranza senza fondamento.

Anima estranea
alla solennità del mondo,
indifferente al divino,
sprezzante delle umane passioni.

Attraverso gli occhi
imbevo l'anima di colori:
un raggio di sole,
un prato di papaveri,
un sorso di quiete.

Maschere
Nei volti della gente,
sul finire dell'estate,
leggo sempre una grande,
allappata malinconia.

All'ora del vespro
cammino da solo
per le stradine del paese,
arrossate dal sole declinante,
e osservo i volti,
le espressioni della gente,
scruto i loro corpi,
i movimenti, gli sguardi bassi.

E più li guardo
e più mi chiedo:
"Dove sono le persone?"

Più che esseri umani
vedo maschere:
maschere di tristezza,
maschere di risentimento,
maschere assatanate di disperazione
che vagano rutilanti nella sera.

Con le narici protese
captano l'odore forte
e stallatico dello strame,
riveniente dai vicoli della taverna;

con lo sguardo evanescente
inseguono fumi di comignoli
che azzurreggiano, svogliatamente,
il cielo grigiastro di settembre;

con il cuore affranto
rincorrono il vento
negli sbuffi sublimi
di giorni perduti.

Anche la luce dei lampioni
sembra morire
nei gorghi dell'anima,
nell'ombra incerta di un sussulto.

La collina, invece,
quasi intimidita dagli eventi,
avvampa, come un bisonte,
nel cavernoso orizzonte
e nei fiori cremisi del crepuscolo.

La voce dell'Eterno
Gocce di sudore scendono
sul viso bluastro
immerso nell'esalazione
di un vapore metallico.

Un urlo rauco,
un confuso crepuscolo invade il cervello.

Il lamento del suo povero cuore,
dolce e indistinto,
come l'ultima eco di una sinfonia,
si dilegua nell'aria vuota.

E si lascia scivolare
nei meandri degli arcobaleni primaverili;
e presta orecchio alle arpe sui laghi,
ai canti dei cigni morenti,
a ogni caduta di foglie,
al vento soffice che sbuffa nelle valli romite,
agli Angeli che librano le candide ali
nel cielo infinito
e alla voce dell'Eterno
che parla, tenebrosa, nelle brughiere.

Le membra contratte,
il corpo cosparso di macchie scure
e il polso che scivola sotto le dita
come un filo teso,
come la corda di un'arpa
in procinto di spezzarsi.

Mento abbassato sul petto,
palpebre enormemente spalancate,
mentre le povere mani
annaspano nel caleidoscopio ingrigito.

Negli occhi l'espressione di serenità
s'immerge nel misticismo del
curato che recita il miserere.

Poi una grossa lacrima solca il viso
e la sua testa ricade sul guanciale.

Un marezzare di increspature cangianti
sulle lenzuola ricamate.

Tutto si perde, confusamente, nel silenzio
e nelle ore che passano lente,
nel vento soffice che muove le tende,
nei sentori umidi che salgono dall'anima.

Querule preghiere si forgiano
nei fiori vermigli e nell'ipocondria
feculenta del tramonto.

Ora il corpo riposa
davanti al tabernacolo,
tra il nitore soffuso di pareti monastiche
e vaghi nugoli di incenso fumante.

E il giovane arbusto,
solo rimasto, cerca di suscitare in sé
la devozione, di abbandonarsi
alla speranza di una vita futura,
dove poter rivedere suo padre.

E lo immagina partito per un viaggio,
molto lontano, distante nel tempo.

E si raffigura paesaggi nordici
irrorati dalla luce dell'alba,
baite avvolte nei tenui colori autunnali
e nelle brume vespertine.

E si raffigura diafani diademi
rivestiti di fiori e di diamanti,
buie e claustrali miniere del Belgio
come malinconie impietrite
in notti senza luna.

E si raffigura nubi vaganti
su darsene sublimi,
effimere clandestinità,
pittoresche elegie,
vele nivee,
nella solitudine di un lago immobile.

Cupola di grandi ombre
Cupola di grandi ombre
sovrasta miti e leggende.

Collere, profezie,
racconti, indignazioni:
infinita ripetizione di eterno archetipo
nell'effimero senso umano.

La follia è una parola,
cartello delirante
che affiora dalla nebbia,
lettere fumose senza significato.

Il respiro dell'anima
La vita è una sonnolenza
che non arriva al cervello.

Vago indefinitamente
per strade silenziose
e blindo lo spirito
per vivere dentro i sogni.

Il silenzio totale dell'anima
si riconosce incapace di agire
e come un attento scrupolo
sceglie i modi per poltrire.

Un disprezzo che dorme
nel mantello del mio avvilimento.

Passare dai fantasmi della fede
agli spettri della ragione
è solamente un cambiar di cella.
Occorre dare personalità
a ogni emozione,
occorre trasformare in sentimento
ogni stato d'animo.

Il tedio esiste
nei paesaggi inesistenti
e nei libri non letti.

Al suono di un violino
la mia anima si quieta.

Frammenti di canzoni
Cupi e tremendi rumori,
urla repentine,
frammenti di canzoni
provengono dal manicomio.

Dardeggiano striduli e acuti
in getti di suoni discordanti
e sembrano slanciarsi
oltre il muro

a cacciare ogni pace
sotto le stelle.

Inquietudine
Da un angolo indefinito
della memoria
strappo angosciosi segreti.

Animo crudo,
labbra serrate,
occhi rimpiccioliti
dal sole estivo.

Solchi profondi
si sbriciolano freneticamente
nell'inquietudine.

Disperazione e sofferenza,
ricchezza e povertà:
infinite verità di pace.

Gesti inutili
Scandaglio gli abissi
dell'orrore
e della disperazione.

Trovo riposo nel convincimento
che la vita non ha più segreti.

Vecchi pensieri,
odi e amori,
gesti inutili e incomprensioni
come vizi assurdi,
rispetto e trasgressione,
hanno una nuova luce.

Ostinata lucidità
fra disadorne follie.

I colori della mente
Nel silenzio della notte arrivano lamenti,
sorde imprecazioni,
suoni di bestiale disperazione,
aspirazioni al vizio assurdo
e al gesto inutile.

I matti sono come fiumi in piena
e qualche volta straripano.

Essi non fingono mai
e i loro pensieri sono liberi
di andare oltre i corpi,
oltre ogni legge,
al di là di tutte le bugie del mondo.

Connessioni sentimentali e poetiche
crescono nei loro cuori
e si sviluppano liberamente,
come la lupinella e le erbacce selvatiche
che infestano i terreni incolti.

Come l'edera si arrampicano
sulle pareti murate
e sulle umane debolezze,
senza alcun senso.

Smanie di speranza,
frenesie irraggiungibili,
fervori di felicità
assurdi come temporali estivi,
come chimere incartate
nelle brume rossigne della sera.

Frantumi di parole stellate,
seta sbriciolata tra raggi di sole.

Scavando nei meandri dell'imponderabile
ritrovo steli ghiacciati,
parole senza sangue,
volti senza religione,
tensioni e pulsioni,
sarcasmi e furori,
sussurri e deliri,
inconsapevolezza assoluta,
generosità claustrale,
candore infantile,
inattesa nobiltà.

Nella Casa di cura non ci sono luci
che irradiano gli occhi dei pazienti
e la putredine quotidiana
insanguina i crepuscoli vermigli.

Il respiro dell'anima corre lontano
e i cuori danzano su prati verdi,
come piedi nudi di un evaso
sull'asfalto rovente.

Sentieri dell'anima
Dalla finestra osservo strisce di vigne
e il respiro assurdo dei solchi nei campi,
della terra aperta a maggese.

La terra, ondulata e ampia,
come la schiena di un cavallo,
fuma generosa
nel sole germogliante del mattino.

All'interno della stanza
l'immenso lago del nulla,
l'opacità dei sentimenti,
il cielo plumbeo della psiche
e un sottile sorriso di pietà umana.

Nella Casa di cura
il lassismo della vita,
la mancanza di sussulti
nei gorghi dell'anima,
fa appassire le gemme di felicità
ancor prima che le falene
s'impadroniscano del buio della sera.

Minuti, ore, anni,
scivolano lenti lungo il fiume della vita,
quasi a voler levigare il marmo duro del cuore,
quasi a voler stemperare la disillusione
che, a tratti, s'incrosta nell'ardito sentiero,
diluendosi poi nel livore tenue
di una felicità impossibile.

Nei cameroni e lungo i corridoi
pazienti sventurati, non si lamentano,
non palesano le stille di malinconia,
non esternano i loro deliri vespertini.

Piangono di notte negli antri oscuri,
lontano da sguardi
indiscreti e indagatori.
Piangono con dignità e orgoglio
e non chiedono affetto,
non si lasciano amare.

La malinconia accompagna la loro fierezza
e punge, gelosa, l'intelligenza,
il sentimento, le azioni.

La malinconia crea in essi
il dubbio sulla vita.

La malinconia chiede informazioni
su tutti i 'perché'
e nessuna parola cancella il dubbio.

E allora mi accorgo che
le ombre sono più importanti delle luci,
il silenzio delle parole,
la solitudine del rumore.

Ogni parola diventa un inganno,
ogni azione naviga nel tarlo dell'inutilità.

E allora cerco di vedere al di là
delle parole, degli eventi,
per scoprire la compostezza dell'ombra,
per scandagliare il mistero.

Deserto
La potenza dell'amore
supera la dispersione
e l'irretisce sull'uscio
della mia fortezza.

Nella frescura di un convento
e in clausure ideali
mi perdo tra indefinite meditazioni.

Incontro il deserto
in un vagone ferroviario,
nelle strade del mio paese,
e in metropolitana.

Incontro il deserto
in una grande città
e vedo tutte le cose con occhio nuovo,
le tocco con spirito nuovo,
le amo con sentimento rinnovato,
le abbraccio con un cuore casto.

Scovo il deserto
in una nicchia di solitudine
e nella frenesia quotidiana.
Oggetto misterioso,
e fonte inesauribile.
Luogo di silenzi
e d' inquietudini.

Come un ponte sospeso,
gettato dall'anima
sull'abisso tenebroso
del mio spirito,
vacillo sui profondi crepacci
della tentazione e
sui precipizi insondabili
delle mie paure.

Come una dimensione fondamentale
della mia esistenza
trovo il luogo idoneo
per riprendere coraggio
e pronunciare parole di verità.

Come un'oasi di purificazione
piena di carboni ardenti
m'imbatto in un desiderio di felicità
vasto quanto l'oceano,
bello più della luce,
caldo più del fuoco di un vulcano.

E ricerco il mistero
nel silenzio della notte.

Radici di quercia
Radici di quercia
forgiano il carattere
come i boschi dei dintorni.

Radici centenarie
coperte di terra e di speranze.

Cumuli di amarezze
e di ricordi radicati
nelle zolle dure da coltivare.

L'agitazione cede il posto
alla fredda determinazione,
lo sguardo diviene
specchio dell'anima
e i pensieri zampillano in racconti
e descrizioni come dopo un viaggio.

Nel vago orizzonte
miseria e frustrazione
e un brusìo d'insetti
che fascia i pensieri
come un lamento familiare.

Turbinio di pensieri
Come uno spasimo metafisico
irrompe la mia vita passata.

Gesti sicuri,
idee chiare,
propositi logici.
Ubriacatura innata,
follia naturale,
immensa ignoranza.

Depongo sui mosaici delle anticamere
tutti i miei giorni trionfali,
nel sogno e nel tedio,
e salgo la scalinata della memoria
in un turbinio di pensieri.

Estrema elemosina
della mia desolazione.

Nugoli di speranze
Scende nel cervello,
tra pensieri e immagini,
una certa nebbiolina
che turba la quiete
e mi costringe a sognare.

Nugoli di speranze
scivolano come valanghe in precipizio
e franano sulla ragione.

Occhi luminosi e dolci
penetrano nel fondo della coscienza
in un delirio d'angoscia e rassegnazione.

Panico sarcastico della vita
e sfiducia che oltrepassa i confini
della mia individualità.

Acquerugiola
Come polvere d'argento
un'acquerugiola insistente
si posa sui vestiti della gente,
bagna i volti,
rende lucidi i lastroni del selciato,
scurisce i muri,
scivola dagli ombrelli.

Come polvere d'argento
un'acquerugiola insistente
gorgoglia nei canali,
singhiozza su tetti e comignoli,
schizza sopra gli alberi spogli
e mormora la sua solitudine
alla lussuria dei gatti vaganti
nella notte buia.

Come polvere d'argento
un'acquerugiola insistente
scroscia attraverso gli ombrinali,
si adagia sui cuori degli uomini,
accarezza la loro anima
e lava le coscienze.

Luna falcata
Voci lontane,
soffici ombre,
ricordi svolazzanti
avvolti nel buio dell'esistenza.

La solitudine taglia i pensieri
come una falce di luna.

Testa china
e occhi senza speranza.

Nell'aria odore di lacrime
e singhiozzi bloccati in gola.

Percuote l'orizzonte
e rimbomba sulle acque
tranquille del lago
una malinconia incupita.

Stagno d'indifferenza
Piove da un cielo invisibile
oscurato di nebbia
come fosse notte perenne.
Nelle strade
fango attaccaticcio.

Pensieri si rincorrono
rapidi come fulmini.
Impulsi d'uggia e d'affetto,
di rammarico e dispetto
nel rimbombo di voci cavernose e remote.

Occhi cosparsi di melma invernale,
ombre del viso percorse da lampi d'ira.
Il diavolo digrigna i denti
e incendia le coscienze.

Il tempo, come tornio,
lima sussurri e infedeltà,
consuma i ricordi
e modella figure inanimate.

Uragano di dolore,
sisma d'afflizioni,
stagno d'indifferenza.

Pianto di libertà
Notte della vita e dell'anima,
silenzio del pensiero e dello spirito.

La libertà piange in silenzio
come la luce che entra dalla finestra.

Nella quiete parlano
il sole e la pioggia,
alberi e prati,
pietre e ruscelli.

Il silenzio, come una tomba,
mi avvolge con fremiti notturni.
E nel silenzio della natura
mi difendo dalla vita.

Gatti innamorati
L'erba secca,
sospinta dal vento,
s'impiglia nei capelli
e graffia il viso,
mentre le chiome degli alberi
mormorano parole sconnesse.

Gatti innamorati
miagolano alla luna.

Sdraiato sulla nuda terra
ascolto il frinire dei grilli,
il canto roco di uccelli notturni
e l'ululare di cani in lontananza.

Sipario di tenebre
Aria raggrumata di pigrizia.
Strade imburrate di quiete
s'indorano di voci umane.

Canto di grilli
dispersi nel buio,
stormi di lucciole
in brulichio tra i cespugli.

Guizzi di luce si posano
su case e persone
smantellando angoli bui
e croste opache di sonnolenza.

Magica veste di ombre e silenzi,
ultimi respiri della strada
in un sipario di tenebre.

Fuoco dell'anima
Rumore di torrenti,
sole scherzoso tra le nuvole
e pietre che danzano
nei sentieri di campagna.

Alito di cavalli,
freddo di montagna
e odori di erbe secche
rassegnate al proprio destino.

Brontolio di tuoni lontani,
gemiti di vento
e stormire di foglie
nella putredine del bosco.

Striature cariche di tensione
solcano il cielo
e nascondono il fuoco dell'anima
dietro mandrie di nuvole nere.

Frammenti di parole
Incaprettata tra due cirri famelici
la luna falcata libera il suo ghigno
nel riverbero assurdo delle falene.

Un fulmine caldo percorre la mente,
lampi improvvisi serpeggiano
fragorosamente nel cuore,
un tuono assordante sconquassa l'anima.

Occhi rappresi nell'incendio di sogni,
ricordi, dubbi corrodenti.

Frammenti di parole
articolate con spasimo
in suoni gutturali.

Senilità
Viso segnato
da un intrico di rughe
profonde e nere
come culo di tegame.

Stecchino incastrato
tra i pochi denti superstiti.

Sguardo marchiato
da privazioni e angustie,
patimenti e umiliazioni
lungo i selciati dell'indifferenza.

Voce spenta e tremula,
accartocciata come foglia infreddolita
in una mulattiera dell'anima.

Fedeltà
Sentieri, pause, fatica
e frescura di acqua
bevuta nell'incavo delle mani.

Ombra di grandi alberi
per riprendere fiato in salita.

Falò per accompagnare
interminabili notti
e bivacchi sotto le stelle.

La vita si perpetua
nel viso dolce
di un agnellino appena nato,
nella fedeltà di un cane da gregge,
in una foglia
strapazzata dalla tempesta.

Un raggio di sole
Nella stanza priva di luce
lo spazio sfuggente
mi riempie d'angustia.

Movimento silenzioso di labbra,
vaga indecisione degli occhi,
lieve mutare della voce
e vacua inclinazione
verso la guerra inutile
di un esercito senza stendardi.

Mi volto indietro
ad osservare le schiene
dei poveri vinti.
Immensa vile sconfitta.

Tra il fango e i giunchi
affiorano vaghi pensieri
e il sogno si smorza
in un raggio di sole
che indora il letame.

Negli occhi trascino
la miseria di tutte le incongruenze
e porto con me
il futuro nel passato.

Attraverso una ripida scala a spirale
scendo pensoso nella mia anima.

Pulviscolo floreale
Mi crogiolo al sole
come un lago ghiacciato
circondato di fiori
e lascio nell'ombra
la fierezza nobile dell'individualità.

Vita di passioni
ai margini del tedio,
vita lontana dalle emozioni
e dai pensieri.

Nell'anima disattenta
si snodano paesaggi di abdicazioni,
aiuole di sogni
e gesti incoerenti,
come muri di bossolo
che separano cammini vuoti.

Tutto s'ingarbuglia
e appare povero nel triste disordine
delle mie sensazioni confuse
come vecchie fontane senza zampillo vivo.

Un vento sconosciuto
solleva tracce di vita
come pulviscolo floreale
nella brezza della sera.

E il torpore dell'imbrunire
si perde nella musica
del mendicante affamato
e nella reliquia di un pellegrino.

Tristezza da crepuscolo,
spossatezze e false rinunce,
dolore come di singhiozzo soffocato
o di verità ottenute.

Dal pozzo delle emozioni
contemplo astri infiniti
e l'azzurro scuro dell'orizzonte.

Vita estranea
Vuota immensità dell'universo
entra nella mia coscienza
come malinconia di sera inutile.

Tranquilla insoddisfazione,
lucida emozione,
sentimento del vacuo
e del tedio.

Grande oblio del cielo e del cosmo
scende lieve e leggero
come naufragio esistenziale.

Fragile speranza
inonda la terra fredda
come foschia senza nebbia.

Fradicia illusione
irradia le foreste
e muove le foglie arrossate
come un quadro esteriore,
spettacolo senza trama,
balletto senza senso.

Nello specchio
del pozzo profondo
contemplo il mio volto
e scopro il tedio senza torpore
che scivola dalla collina
come cenere invisibile
su vecchie strade
tracciate casualmente
in punti insoliti della città.

Felicità dell'incoscienza
brandisce il mio cuore
come onda di luce esausta
su spettri timidi e furtivi.
E l'inquietudine dell'anima
assapora l'amarezza sostanziale
di una vita estranea
come dolente monotonia.

Naufragio dell'anima
La pioggia è cessata,
l'allegria dell'aria
è troppo fresca sulla pelle.

Il giorno sta finendo
non nel grigiore
ma in un pallido azzurro,
un vago azzurro che si riflette
sul selciato delle strade.

Fulmini di razionalità
evidenziano il nerume dell'esistenza.
Inerzia e falsità,
inutilità laboriosa
di giorni uguali.

Trascino la mia vita,
assurda come un orologio fermo,
nel privilegio della mia penombra.

M'invade un sentimento
peggiore del tedio,
un sentimento di desolazione,
di naufragio dell'anima intera.

Tutto diventa niente
nella luce ancora calda
delle ultime nuvole colorate.

E il mio tedio
assume tratti di orrore,
la mia noia è paura.

Il mio sudore non è freddo
ma è fredda la mia coscienza del sudore.

Il malessere dell'anima
penetra nei pori del corpo
e lo inonda.
Sono come uno scaffale vuoto.

Funerale della speranza
nel silenzio dorato di cieli inerti
e di grandi pianure biancastre.

Giaccio sotto la vacuità precipitata
dell'universo intero.

Lacrime senza pianto
Tristi giunchi sulle rive
di un fiume senza barche
nereggiano nitidamente
fra i margini distanti
come indefinito pallore
di sera acquatica.

Sentimenti irrazionali,
emozioni intense,
ansia di cose impossibili,
nostalgia di ciò che non è stato
desiderio di ciò che sarebbe potuto essere,
tristezza di non essere altro,
insoddisfazione dell'esistenza.

Lenta follia dello sconforto,
reminiscenze di un altro mondo,
reminiscenze intrecciate e mescolate,
come viste in sogno,
assurde nell'immagine
ma non nell'origine.

Lacrime senza pianto
ardono nei miei occhi induriti.

La finzione mi accompagna
come la mia ombra.

Una sorta di angoscia inesistente
si rigonfia nella gola secca.

Cado addosso
alle speranze e alle certezze
come il tramonto
sulla collina.

Anagramma del grigiore
Afferro ombre di uccelli,
ghermisco spettri d'erba nel vento,
come in un gioco di bimbo
al crepuscolo.

Metafisica di sagome autonome,
poesia della rimembranza
e della disillusione,
tra diplomazie di sorde battaglie.

Analisi lenta di vibrazioni,
scienza atomica dell'anima,
musica della volontà,
fragile anagramma del grigiore.

Parole oziose,
perdute in sciolte metafore,
incatenano le mie ombre
in vaghe angosce.

Cornici che inquadrano sensazioni,
rilegature di ciò che pensiamo.

Paesaggi colorati
di case e comignoli,
di prati e foreste,
di speranze e felicità.

Paesaggi scialbi
di anime monotone
che salgono in superficie
con parole antiche
e gesti logori.

Fondamentale stupidità
dell'espressione umana.

Ghirlande di astri
Nuvole atone
insaponano di grigio il cielo,
nuvole che soffocano la luce
con coperte di lentezza.

Come un raggio smorto
di sole fosco
che si adagia sul verde scuro
degli alberi
trascino per strada
i miei piedi
e la mia spossatezza.

Come una matassa
aggrovigliata
trascino per strada
la mia anima.

Come ghirlande di astri
nella notte,
tra unzioni di quiete
e viali di solitudine,
faccio naufragare
il mio deambulare.

In vaghe ombre di luce
assaporo, senza pensare,
il piacere di errare per la città
e cammino come se nulla
avesse una soluzione.

Libro di pietra
Sensazioni come elastici
si tendono
in una flaccida continuità.
Mero riflesso dell'esistenza.

Ho la bocca chiusa
come se le labbra
si dovessero incollare.
Una tristezza diffusa mi accompagna.

Tra nuvole desolate,
leggere e monotone,
vago e sfoglio la mia coscienza
come un libro di pietra.

Le cose morbide
su cui mi adagio
hanno spigoli
per la mia razionalità.

Aspetti fluttuanti,
macchie di movimenti,
voci d'incertezza,
cose che passano
e non accadono.

Grandi fruscii di alberi
intorno a me.
Da isole lontane
osservo la pianura
della mia meditazione.

Finzione e turbamento,
disordine e fredda pietra tombale.
L'anima ricorda e piange.

Sogni di gloria
Truppe di un esercito in ritirata
si perdono nel fango di paludi
e nei sogni di gloria.

Riempiono fessure del fare quotidiano
come la polvere gli interstizi dei mobili
non puliti a dovere.

Nella luce incolore
di un giorno qualunque
brillano come tarli grigiastri
sul mogano rossiccio.

Si possono estrarre
con un piccolo chiodo
ma nessuno ha la pazienza di farlo.

Resta solo la nozione di grandezza,
la coscienza di essere appartenuti all'esercito
e un silente vuoto di memoria.

Nel fango di fossi e canali
salutano la vittoria
che non hanno potuto ottenere
e di cui rimangono false briciole
tra le macchie della tovaglia
che qualcuno ha dimenticato di scuotere.

Nuvole nel vento
Volontà di non pensare,
desiderio del nulla,
disperazione cosciente
mi brucia dentro.

Come un fantasma informe
il mistero della vita
s'incarna in verità
di profondissimo orrore.

Ambizioni squarciano
la coscienza del mondo
come nuvole nel vento.

Il respiro dell'anima
diviene cenere di nebbia,
straccio di ciò che non è.

E dietro la sconfitta
sorge la solitudine,
nera e implacabile,
del cielo deserto e stellato.

Torpori di follia
Rumori di pioggia
si diffondono nel silenzio
e sulla grigia monotonia
di un vicolo cieco.

Voglio abbandonare i miei doveri,
ripudiare il focolare domestico
e vivere di indeterminatezze
tra grandi torpori di follia.

Come una filigrana in movimento
abbandono falsi merletti di maestà sognate,
come amarezza d'intima vacuità
trascino l'uggia della pioggia esterna.

Un soffio lieve di vento
squarcia in dislivelli aerei
la caduta rettilinea degli scrosci
rischiarando una parte di cielo.

Dopo il piovasco resta
un pulviscolo di diamanti piccolissimi
come nello scuotere di briciole
da una grande tovaglia azzurrata.

Come memoria d'infanzia
chiusa nella soffitta polverosa
di casa altrui
vago senz'anima e pensiero
per strade che contornano montagne.

Inconsciamente sgambetto
per valli nascoste
tra impervi pendii,
perdendomi nel paesaggio
come in un quadro.

Non c'è quiete in fondo al mio cuore
e non c'è neppure desiderio di averla
come in un vecchio pozzo
al confine del podere venduto.

Danze scaramantiche
Volgo lo sguardo al cielo
con aria di sfida
e disperata follia.

Spinto da una voce interiore
raccolgo freneticamente
rami spezzati,
pezzi di tavole tarlate
e foglie secche
accatastate sul selciato.

Il mio animo turbato
si acquieta dietro fiamme
crepitanti di scintille.

Nell'opacità della notte
bagliori intermittenti penetrano l'etere
come lame incandescenti
e annientano le tenebre.

E mentre l'odore acre del fumo
riempie le narici
un dio amico
trascina sorrisi di bimbi
in un girotondo
di antica memoria.

Trovo stimoli di vita
in sogni bui
e nei suggerimenti del maligno.
Trovo serenità
in danze scaramantiche.

Impulso di vita
Mi perdo in un vuoto d'aria,
in uno stordimento allucinante
che trasporta il pensiero
oltre le fragili pareti della coscienza,
oltre le sponde dell'ignoto.

La stanchezza sfibra l'anima,
gli incubi l'assottigliano
e l'istinto di sopravvivenza
si rifugia in un pianto di solitudine.

Discorsi strani,
scatti d'ira
stringono il cuore.
La mia razionalità
trova conforto nell'essenza del tempo
e nel contatto diretto con l'Eterno.

Un'impercettibile corrente d'aria
mi offre un impulso di vita.

Ombre del passato
Come sbuffi di vento caldo
le ombre del passato
si scontrano in un banco di nebbia.

Come cervoni a primavera
le ombre del passato
sgusciano nell'erba dello stradone
perdendosi tra le siepi
e gli ispidi cardi
del vasto tratturo.

Mi rifugio nei ricordi
e in un flusso di sangue fresco
che scorre lento
nelle vene indurite.

La luce degli occhi illanguidisce
e lo spirito annaspa
in una coltre di vapore,
caracollando come una nave
tra i marosi.

Soffro in silenzio
e mi mordo le labbra
sfogando la rabbia
nel desiderio di sopravvivenza.

Come un relitto
avvinghiato in una morsa d'acciaio
diffondo il mio respiro asmatico
in ogni angolo della casa.

Voglia di paternità
Rumore d'acqua tra gli alberi,
risacca di grandi fiumi,
fresco di pomeriggi tristi
e lento respiro in petto.

Dormo senza avere sonno
nel crepuscolo di me stesso
come un'indolenza infantile
sul clivio della contemplazione.

Cecità dell'anima
e nullità separata
come in un sogno futile.

Orrore della vita interiore,
nausea fisica per i misticismi
e le meditazioni.

Rocce del trascendente
e dell'occulto
come in una sublime aspirazione.

Vaga inquietudine di lontananza
si attenua nel piacere incerto
e nell'orgoglio soave dell'esilio.

Nella cenere di un focolare
si stempera la banalità.
In una nicchia di felicità
si riverbera il desiderio d'infinito
e la voglia di paternità.

Mendicante
Spengo la mia sete di sogni
in case inespressive,
volti inespressivi,
gesti inespressivi.
Pietre, corpi, idee,
tutto è inanimato.

Nella mia anima,
vedova e claustrale,
visioni di fuga,
un dolore intenso e invisibile,
una tristezza come il lamento
di chi piange in una stanza buia.

Nel mio cuore
si spalanca un abisso
e un soffio freddo
mi sfiora il volto livido.

Come un mendicante
piango il silenzio chiuso
di tutte le porte.

Una voce,
un canto,
un profumo occasionale
alza il sipario
dei miei ricordi.

Pretendo
Molti parlano di fame nel mondo
ma pochi offrono ristoro:
pretendo pane per gli affamati.

Molti parlano di speranza
ma pochi infondono fiducia:
pretendo speranza per i rassegnati.

Molti parlano di giustizia
ma pochi si comportano con equità:
pretendo giustizia per i diseredati.

Molti parlano di carità
ma pochi danno briciole di bontà:
pretendo misericordia per gli indigenti.

Molti parlano dei poveri
ma pochi parlano con i bisognosi:
pretendo dignità per i poveri.

Molti parlano di felicità
ma pochi regalano gioia:
pretendo felicità per le anime assopite.

Ingredienti dell'anima
Guardo la luce
che si diffonde
sui tetti delle case
e trascino nei miei occhi
il lieve agitarsi
degli alberi alti
sul declivio.

Ingredienti dell'anima,
erbe raccolte nei recessi
delle rovine dei sogni,
papaveri neri
accanto alle tombe dei propositi,
lunghe foglie di alberi osceni
agitano i rami
su rivoli inascoltati
della coscienza.

Inizio il quadro
della consapevolezza
perché non ho
la forza di pensare,
termino la tela
della razionalità
perché non ho
il coraggio di interrompere.

Confusione di vari intervalli
getta sterminati silenzi
nella mia conversazione interiore
e nella dissimulazione irreale della coscienza.

Mi perdo nel vaneggiamento
di un sentimento sincero,
mi ritrovo in un'emozione trasognata
e in vacue tenebre di vita.

Il mio cuore si svuota,
senza volerlo,
come un secchio rotto.

Nuvole del sud
Esistono metafore
più reali delle persone
che camminano per strada.

Immagini nelle pieghe
nascoste di un libro.

Falsi sorrisi,
inganni di tenerezze,
astuzia di carezze.

Vestigia di ore migliori
vissute lungo viali alberati.

Lampada spenta
il cui oro brilla nell'oscurità
attraverso il ricordo
della luce estinta.

Parole affidate al vento
e alla terra,
fatte scivolare sulle dita
senza presa,
come foglie secche.

Nostalgia di fontane
situate in ville altrui,
razionalità di ciò
che non accade mai.

Ore d'ansia
nella mia azzurra tranquillità.
Tra le nuvole del sud
perdo la mia anima.

Stalagmiti
La mia vita inquieta
piange in ogni goccia di pioggia
e la malinconia spegne i desideri
negli acquazzoni notturni.

Come la mia tristezza
il temporale rovescia inutilmente
i suoi strali sulla terra.
Le grondaie vomitano
torrenti d'acqua,
la mia anima è umida,
la mia carne è liquida.

La pioggia batte
contro la vetrata
e scende sulla mia coscienza
con un rumore molesto
come di acqua su stalagmiti.

Un freddo smanioso
cinge con gelide mani
il mio povero cuore.

Ore grigie si allungano,
si fanno pianura nel tempo
e trascinano oscurati momenti.

Romantico
Non mi indigno
perché l'indignazione è dei forti,
non mi rassegno
perché la rassegnazione è dei nobili,
non taccio
perché il silenzio è dei grandi.
Soffro e sogno.

Mi lamento
perché sono debole
e romantico.
Mi diverto
a rendere musicali
i miei lamenti
e ad arrangiare i miei sogni.

Mi spiace solo
di non essere bambino
per continuare a credere
ai miei sogni,
di non essere pazzo
per potermi uniformare
all'anima di tutti coloro
che mi circondano.

Porto con me
la coscienza della sconfitta
come uno stendardo di vittoria.

Il mondo piange
Il mondo piange
su sguardi distratti
e su ansie di vita,
su sorrisi ondulati
d'aria inquieta,
su volti immersi
nella putredine di un ghetto,
su labirinti di cunicoli
senza via d'uscita.

Il mondo piange
la sordida monotonia
di voci piatte e rauche,
di urla sprezzanti
e ghigni felini,
di facce purpuree
nello sforzo di gridare,
di strepiti clandestini
riflessi in dolorose afflizioni.

Il mondo piange
su guance scavate,
su occhi infossati,
su visi esaltati e tetri,
su sussulti spasmodici
e crisi di paura,
su movimenti imbrigliati
nell'essenza del tempo
e nella giustizia del cuore.

Il mondo piange
nei santuari della coscienza,
in grigi riverberi d'isteria,
in opachi scandagli morali,
nel sospiro profondo
di uno spirito vagante
alla ricerca di un raggio di luce.

Il mondo piange
su schegge di pietra,
su argini di tempo perduto,
su plumbei sepolcri di nuvole,
su fragili dignità umane
e sulla rassegnata solitudine
di una fermata d'autobus.

Una nebbia triste
mi entra nell'anima
spegnendola.

Grumi di verità
Viso rugoso
come guscio di noce,
zigomi sporgenti
e bocca infossata.

Capelli crespi
e baffi che coprono,
come una fettuccia di neve,
tutto il labbro.

Grandi mani callose
radicate in zolle di terra,
temprate in austera fierezza
e nella dignità di aspre briciole.

Fragili parole artigliano
la coscienza in grumi di verità.
Sguardo assente e incupito
nel tormento dell'esistenza.

Languida come il cielo al crepuscolo
la luce degli occhi
assorbe l'infinito
col tremore di un groppo in gola.

La forza dei ricordi
Rimorsi e rimpianti
come rovi
intralciano il sentiero.

Se non li spezzi
t'intrigheranno sempre.

Ma i rovi ricrescono
e i sentimenti smarriti ritornano.

E allora occorre
un nitore incessante
per spazzolare i dolori
e renderli levigati
come ciottoli di torrenti.

E allora occorre
un nitore incessante
per ridare serenità
ai sentieri della coscienza.

Come una falce
la forza dei ricordi
taglia i tristi fieni dell'oblio.

Chimera
Appoggio la testa
al tronco di un albero,
alle pietre, alle rocce
e ascolto la voce delle foglie,
il racconto del ruscello.

Appoggio la testa
sul dorso della collina
e odo le musiche tradizionali,
le fiabe autentiche,
i discorsi folcloristici del popolo.

Nel riverbero soffuso
di una chimera
rivedo l'alba algida,
il tramonto rutilante,
il sorgere della luna
sulla solitudine
delle campagne molisane.

Accordo musicale
Nelle orecchie il respiro
leggero degli ulivi
e un accordo musicale basso
come la luna nel cielo.

Negli occhi le ombre quiete
dei monti molisani che si stagliano
ingrugnate, nel remoto orizzonte,
simili a bisonti addormentati.

Nelle orecchie il fruscio
di un richiamo sommesso,
indefinibile, come un vento carico
incuneato nel folto del bosco.

Negli occhi la calotta azzurrigna
che trabocca di stelle,
un buio pieno di luce scordata
come dopo uno spettacolo pirotecnico.

Bozzolo di quiete
Case di pietra
raggrumate su un colle,
gente povera.

Una piazza,
una chiesa,
un ritaglio di storia.

La masseria dei nonni,
un ciuffo di basilico,
un cespuglio di rosmarino,
l'androne delle scale.

Un odore,
un ricordo,
un colore,
un'amore.

Il naso dentro
le pagine di un libro nuovo,
non ancora sfogliato.

Belle visioni nel cuore
e un bozzolo di quiete.

Una vita volgare
Le pareti della stanza
generano nel mio spirito
la nausea quotidiana
della vita volgare.

Desidero fuggire
per non vedere più questi volti,
queste abitudini
e questi giorni.

Voglio riposare,
estraniandomi
da questa assurda monotonia.

Voglio sentire arrivare
il sonno come vita
e non come riposo.

Una capanna
in riva al mare,
un pagliaio
sul terrazzo ruvido
della montagna.



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