Poesie di Stefania Menegatti


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Vivo corpo
Arrotondato vento turco,
sgombra nubi astratte
nell'acidulo argento diurno.

Uccelli rari a simular stagioni
rasentano rami arresi
al mancar di linfa.

Stropicciato sole indulge
e spalma carezze alate,
tepor di cartapesta.

Assonnato rivolo allunga
dita mentee tra le ninfe,
acqueo solletico al suo passare.

Bionde chiome di fieno
bruciano odor di mar dolce
nel campo spogliato.

Britannica l'erba suona,
antico canto a rimembrare
il tempo della mia pace.

E nel ventre del momento
mie ossa, mia carne, mio sangue,
son vivo corpo su viva terra.

Lo chiamo Dignità, questo silenzio che mi accompagna.
Non ho più occhi per te,
che mi rigurgiti dentro,
rinnego il corpo che ti chiama
e gli rammento il fango
lasciato sull' ombra sua
dopo maschere d'amore
subdolamente celanti
la fame cruda del tuo fine unico.

Parole umiliate dalla menzogna,
buttate lì a riempire il tempo
da ipocrita mendicante
di ciò cui non sai dar valore;
tu, involucro firmato arroganza:
prendere è meglio che dare,
essere amati meglio che amare,

alibi in prestito dalla banalità.

Scacciarti dal mio inferno
è ormai scopo abituale,
il che decreta la mia sconfitta;
mi consumo potando emozioni,
a disinnescare sentimenti
pericolosi quanto mal posti,
e rifiutando ciò che tossicamente desidero;
ma trovo la giusta prospettiva, salvifica:

e lo chiamo Dignità, questo silenzio che mi accompagna.

Il poeta
Vesti burattine indossano la dannata ombra
per vicoli irriconoscenti trascinandola,
fiochi movimenti orizzontali
a cantilena di morte
il polveroso respiro di non-vivo essere.

Corteccioso volto di apolide profeta
straniero fin'anche a se stesso,
stretto in angoli pisciati per maledizione,
è alitato lamento fuori coro
l'incubatore del seme di un frutto impossibile.

Irriso folle invisibilmente stigmatizzato,
vagante latore di incognita segreta
chiave dell'umano,
eroico incompiuto destino
in ciò solo adempiente.

Tollerato soltanto per licenza poetica,
è condanna a irrilevante assenza
necessaria ai posteri,
monito della natura all'anima che anela!

Chiarastella
Nascesti, come Gesù,
in poco più che una capanna;
teli gialli strappati e filamentosi
furono culla scarna;
ruvido inverno ti accolse
e gli occhi materni
tempo non ebbero di scaldarti.

Graffi di campo sulle cosce pallide
furono il tuo dovere prematuro,
lontano da camini di Natale
e calze cioccolatose,
mangiasti aria in attesa di stelle buone
ma assai difficili da immaginare.

Poi una pelle ti sfiorò i sogni
e tu sentisti che era promessa,
nel carillon dei cammei custodita
e di casto pizzo adornata,
giusta per l'oratorio che attendeva.

E per anni attese invano
e tu con lui,
poichè la guerra non rese mai
ciò che la mano salutò al treno.
E il tuo futuro fù passato
senza passar per il presente.

Neppure cogliesti il richiamo
da oltre oceano
di una terra dal grande grembo;
molti visi vedesti un' ultima volta
voltarsi a mirarla,
ma non vi fù in te l'ardire
di domandarne nome,
per il gentil pudore
di non saperlo scrivere.

Pochi anni bastarono poi
ad indurir la tenace pelle
per lo sferzante vento di quella vita;
e quando l'ora giunse
ti trovò 'sì preparata,
che nemmeno la morte
osò pronunziar parola.

Sulla lapide: Chiarastella.
Soltanto il tuo nome
fù poesia.

Ulisse
Comincia,
rituale lotta dell'essere cosciente
diffidente del sonno incontrollabile.

Bulbi a roteare di stanchezza onirica,
eco sfumata di vicini inquieti
e di gatti scappati da fiabe cupe,
mandibole allentate a simulare la morte,
omogeneo tepore
simbiosi di corpo e odorate lenzuola.

Ed ecco il pensiero si oppone,
-la prossima estate porto mio figlio a...
cerca un pertugio,
-tu... no, tu no!
arranca con volontà propria,
un motivetto si insinua ma abortisce...
ma infine naufraga
fra le onde del buio.

E io salpo,
con bianche vesti di un'altra me ritrovata
che fluttuano nell'aria fresca di una visione
che promette.... promette...
vagamente..... sempre più vagamente...
che il viaggio avrà.....
un lontano ritorno...

Sopravvivenza
C'è un vuoto, fuori,
che si estende dentro.

Ho sempre più osservato
che vissuto,
e quand'anche ho lottato
ho sbagliato nemico.

Al nulla ho preferito il soffrire,
maggiore -non migliore- compagnia,
ma dal baratto
qualcosa mi aspettavo.

Continuo a portare me stessa
agli appuntamenti, (tu chi mi hai portato?)
ma c'è una piega della vita
che proprio non mi riesce
di penetrare.

Che farmene di un tesoro
sigillato nel profondo enigma
di piramidi millenarie?
Conquista fine a se stessa...

Eppure,
finchè riesco a fare del mio dolore
poesia,
sono viva quanto basta.

Constatazione di fatto
Orgoglio triturato
a riconoscere i Vincenti,
umiliante ammissione
della verità darwiniana:
si evolve chi meglio si adatta
al mondo reale!

Li ho disprezzati invidiandoli,
loro che sanno apparire
ottenere conquistare controllare
e si godono la vita
nella beffarda convinzione
di esserselo meritato.

E io stupidamente attonita
per l'incapacità di capire
come sia possibile che sia vero
ciò che non ho la forza
nè di cambiare, nè di accettare.

Dove ho messo la felicità?
Ho lasciato la felicità nell'altra giacca,
insieme a Mary Poppins e Stanlio e Ollio.

Nello spazio fra un desiderio e una speranza
si è annidato un silenzio infrangibile,
che sa di estati operaie a Cesenatico
e gelati da 100 lire.

Nel baule dei ricordi
si è ammuffita la voglia di vivere,
la fantasia dei progetti è ingiallita di naftalina,

ci si stanca ad aspettare treni.

Il buco nero del tempo
ha inghiottito l'ingenuità invecchiata,
e l'allegria è risucchiata dal quotidiano,
ma poteva andare peggio.

Ho ancora appuntamenti a cui mancare,
tacchi da romprere quando piove,
promesse marinare da dimenticare,
luoghi da raggiungere e giacche da recuperare.

C'è nessuno?
Vedo occhi alieni
selezionare abilmente il visibile.

Odo suoni sconnessi
distrarre minuziosamente dal vero.

Assisto a talentuose interpretazioni
d'indifferenza,
e non comprendo.

Angosciati dal futile,

scivoliamo senza resistenza
verso un autismo
che è peggio della morte.

Taccio impotente
di fronte a rovine che dovrebbero appartenermi,
manifestazione evidente
della resa incondizionata.

Io donna
Mio compito
è amarti più di quanto tu m'ami,
mia volontà
è amarti più di quanto io ami me stessa,
se in ciò fallissi mi odierei.

Tuo compito
è bramarmi al di sopra di ogn'altra cosa,
tua forza
è desiderarmi al limite della follia,
solo così ti apparterrei.

Dominami,
così ch'io possa amarti totalmente
odiandoti.

Io messaggera di poesia
Hai mai fatto l'amore tra i filari
di asprigno indaco d'uva,
mentre il sole cola il suo succo
sul muschio in lontananza
e il celeste sfuma in viola
su un secco ocra di grano?

Edera d'incenso le sue braccia
in cui immergo unghie e respiro,
amaranto sanguigno di mosto
che penetra le narici.

Assaggio polpa purpurea
di labbra assetate,
e danzo il mio piacere
sul tabacco del suo corpo.

Io, messaggera di poesia,
cammino scalza sull'ombra sua sacra,
volo con uccelli perlati
che tagliano l'aria corallo,
e coperta solo d'ambra dorata
grido alle future stelle
il nome suo!

Il bar della stazione
Inutili scarti umani
gettati intorno ai tavolini,
come i mozziconi aspirati al limite
e calpestati dall'indifferenza.

Macchie disciolte nei tessuti
di giacche sgualcite dal destino,
rughe seccate su pensieri stanchi,
cornici di barbe dimenticate.

Un caffè abbandonato sul bancone,
da chi lo chiese per abitudine antica,
cessa di fumare rassegnato
agli occhi vitrei fissi sul vuoto.

L'angolo infondo al buio,
zona franca di un fumatore
che ghigna la consapevolezza
di una verità insostenibile.

Muco sputato a terra,
-'sti extracomunitari di merda
tornassero a casa loro-,
bersaglio di rabbia
borbottata al muro di nessuno.

Quotidiani urlanti per strategia
e sfogliati per sbaglio,
ma utili al ricordo
del giorno mese anno,
come se facesse differenza.

Quando nessuna scusa rimane
e si deve tornare alla casa vuota,
l'ultimo pensiero va alla speranza
-dammi un gratta e vinci, và,
che ci vediamo domani-.

Tempo
Il pendolo ruba le cose all'oggi
prima ancora che questo concluda,
accade così che il domani
contenga sempre quel tanto di passato
che non passa mai.

Disfa la trama il tiratore del filo,
paziente raccoglie i balocchi
e spazza via i segni del nostro passare;
tutto fa scorrere in un letto ordinato
deciso ad accompagnarci alla meta.

E la marmorea morte arriva per gradi,
battiti di ciglia al polso della vita
segnano il passo suo, lento e freddo
come neve leggera che senza fretta cade
sicura di toccar terreno.

Non c'è modo di aspettare
chi indietro rimane,
è senza fermate il viaggio;
l'ultimo chiuda la porta.

Meno male che nessuno ci guarda
Com'è possibile andar così vagando
per interminabili tempi vuoti,
in luoghi surreali e vani?

Quell'albero c'era anche ieri,
perchè lo scruto per ore?
Tronco, rami, foglie, cos'altro?

Sempre alla ricerca, ignorando di cosa,
sempre anelando qulache idea vaga,
ma sempre immobili, siamo poeti!

Voliamo alti ma con mani sporche,
forti della nostra fragilità, stolti
distratti da piccoli destini.

Cambiamo il mondo ma mai noi stessi,
scontenti dell'oggi ma certi del domani,
siamo la nostra peggiore teoria!

Fino a qui
Fino a qui
sono giunta con affanno.

Pensieri più gravosi
ad incurvarmi le spalle,
sguardo più duro
a solcarmi la fronte,
memorie affollate,

sussurro di volti e odori,
fruscio di colori e ombre,
domande, risposte,
domande senza risposte...

devo fermarmi per un momento.

Inspiro solo l'indispensabile,
le labbra inerti flettono
in una smorfia che mi sfigura;
naufraga lo sguardo all'orizzonte
nell'inutile ricerca del senso perduto.

voglia di mollare...

Nulla di questa stanchezza
sembra risvegliare un'emozione;
solo l'inevitabile disillusione
che indolenzisce,
quale prezzo amaro
dell' adultità.

La fine del giorno
Assolto il più dei miei doveri,
e nonostante l'autoinflitto senso di inconcludenza,
affronto con afettata indifferenza
il buio, che ingoia la misure delle cose
al giorno conosciute.

Morbidezze sprecate sul letto vacante
che attende di ricordarmi l'avanzare degli anni,
e nell'oscurità che vanifica le difese
la solitudine aggrava la malattia.

Mi stendo sull'altare con spirito sacrificale,
ineluttabile destino di sgomento;
l'attesa del salvifico oblio, nell'ora più vuota,
si muta presto in tormento,
in assenza di un odore altro da me.

Acque rapide di un fiume senza sponde,
nessun appiglio per sfuggire all'ovvietà:
il lenzuolo non basta a coprire testa e piedi.
Raggomitolate paure infantili
sbattono contro il soffitto troppo basso,
e il grido muto soffoca nel silenzio.

Posso solo abbandonarmi
alla clemenza della notte,
affidando la mia anima ad angeli di stelle,
caldo alito che asciuga le lacrime
che secche saranno sul cuscino di domani.

Il tempo degli uomini
Ramata è la foglia
che di poesia in poesia si posa
a scandire il tempo degli uomini.

Teso è l'arco a colpir la luna
da oltre 200.000 anni!
ma la terra ci appartiene,
e noi ad essa.

Sulla soglia degli slanci
il nostro essere si consuma,
nel nè dentro-nè fuori
del nostro non-luogo.

Costante è il mutevole inganno,
alvei rigurgitanti potenzialità
irrealizzabili,
ironico destino di semi-Dei.

Lì è la nostra urgenza
al cosmo sconosciuta,
lì la nostra grandezza,
che di poesia in poesia
si rinnova.

La vita dentro
Ho nostalgia di un tempo che non fù mai
se non nella mia mente,
nei giardini della mia fantasia,

dove la parola è un dono da tenere in serbo
per quando il silenzio fuori è troppo forte
e il peso dell'invisibile tale
da schiacciare carne e anima, mescolandoli.

Autoesilio, nei vicoli tortuosi dei miei pensieri,
dove ogni ricordo ha un lontano sapore di rugiada
(ma vivissimo, come l'esplodere di un temporale)

e ogni convinzione è prigioniera solo di se stessa.
Lì mi cullo nella malinconia di una vita
vissuta solo nei dintorni di ogni cosa.

Macrocosmo dentro, cellule di stelle,
infinito infinitesimale in cui perdermi;
scaffali di polverosi desideri disattesi
che ancora attendono
nel bianco o nero della loro follia.

Giochi beffardi di segni profetici
a creare l'illusione di un destino
che non giunge mai a compimento.
Ma qual è la vera follia:
chiedermi ancora chi sono
o volerlo sapere veramente?

Viaggiando...
Il treno corre.

Una grigia cornice
su estranei frammenti di quotidianità,
resi opachi dalla condensa.
Frugo, avida di segreti,
fra le geometrie delle ombre,
scruto in sfuggenti anfratti
come nature morte,
e ricordo il sapore delle fragole.


Il treno corre.
Consunti portoni tentano il mio sguardo
che si addentra furtivo fra le fessure;

immagino vite appese ai fili,
come alle finestre i panni ad asciugare.

Rumore di ferro,
una vecchia carrozza riposa sul binario accanto,
ricoperta di ruggine;
ricordo un tramonto dello stesso colore.


Il treno corre,
e, al contrario, corrono la terra secca
e le umide nuvole.
Più lontano
gli alberi dondolano un saluto di vento,
e ne indovino l'odore.
Una girandola di cane e coda

ignora un bimbo che a terra piange;
e ricordo campanelli di ninna nanne.

Il treno corre.
Incroci di binari mescolano direzioni e vite,

indistinto girone di anime sperse.
Grovigli senza via d'uscita, per non tornare,
salite e discese, in ordine casuale, da onorare,
miliardi di strade fittamente solitarie,
ognuna con un proprio luogo da attraversare.


Il treno corre.
Su questa piatta terra libera,
sotto questo cielo terso e infinito,
scorrono, senza alcun merito,
i miei fortunati binari,
e dal posto che mi è stato assegnato
osservo la straordinaria varietà umana,
e con essa me.

E il treno corre.....

L'arte
All'ombra di antichi templi,
celata tra falsi idoli,
simulacro del divino,
si è fatta mito.

Lucente riflesso
di una realtà opaca,
coraggiosa tensione
dell'intelletto umano,
si è fatta spirito.

Materia che evapora
verso il cielo degli Dei,
squarcio nell'universo dato,
tuono di anime terrene,
si è fatta eco.

Ciò che di noi resterà
tra le macerie del fallimento,
tra i rossi petali del nostro sangue,
tra le pagine non scritte del destino,
Lei
si farà ricordo.

Addio
Brandelli di pelle dell' ennesima muta
sparsi sulla mia strada,
dietro, orme pesanti e scure.

Attimi dilatati dalla paura di me:
la porta va chiusa!

Vomito gli ultimi ricordi rimasti,

catarsi forzata della mente,
brividi di astinenza
ad espellere il veleno che mi addolora,
sudo sangue dall'anima
ma devo.

Attesa..., è nascita o morte?
Peggio è solamente il nulla.


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