Metrica 1


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La metrica è la disciplina che si occupa della struttura ritmica dei versi e della loro tecnica compositiva. Elementi strutturali di un testo poetico sono: lunghezza del verso, ritmo, versi italiani, figure metriche, licenze poetiche, rima, strofa, componimenti poetici.



Verso

 

Il verso non è altro che una riga di una poesia, la sua unità ritmica minima di lunghezza variabile. È formato da sillabe, che nella tradizione della letteratura italiana possono variare da due a sedici. Ma non mancano poeti che sporadicamente hanno usato versi costituiti da un numero di sillabe più alto.

Esempi:
Verso di trentacinque sillabe:
E ammirami per il mio calore e per la mia fede: mentre io ti parlerò di Percy l’arcangelo e di Walt Whitman, un uomo,...
(A.de Bosis, Giovine che mi guardi parlare, v 13)
Verso di trenta sillabe:
Alto è il muro che fiancheggia la mia strada, e la sua nudità rettilinea si prolunga nell’infinito.
(A. Negri, Il muro, v 1)
Verso di 19 sillabe:
e berrà del suo vino, torchiato le sere d’autunno in cantina 
(C. Pavese, Atlantic Oil, v 32)

 

Ritmo
 

Il ritmo è la cadenza musicale da cui deriva l’armonia poetica che caratterizza il verso. Esso è dato dal numero delle sillabe del verso e dagli accenti ritmici disposti secondo particolari schemi in ogni tipo di verso.
Gli accenti ritmici sono gli accenti fondamentali che cadono sulle sillabe toniche, cioè accentate, dove la voce si appoggia.

Ritmo lento e monotono come una nenia:
Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca.
Senti: una zana dondola pian piano.
Un bimbo piange, il piccol dito in bocca;
canta una vecchia, il mento sulla mano.
La vecchia canta: Intorno al tuo lettino
c’è rose e gigli, tutto un bel giardino.
Nel bel giardino il bimbo s’addormenta.
La neve fiocca lenta, lenta, lenta.
(G. Pascoli, Orfano)

Ritmo lento:
Ella sen va notando lenta lenta:
rota e discende, ma non me n’accorgo
se non ch’al viso e di sotto mi venta.
(Dante, Inferno, Canto XVII, vv 115-117)

Ritmo veloce e martellante:
Scatta un comando:
un fischio di rimando
querulo, acuto, lungo, fora l’aria,
e il treno si divincola
su le rotaie sussultando e ansando.
Diétro
quàlche
vétro
quàlche
vìso
biànco
quàlche
rìso
stànco
quàlche
gèsto
lèsto;
i vagoni
si succedono
e i furgoni
sul binario
trabalzanti
strepitanti
varcan varcano;
e il treno con palpito eguale, guadagna
fiammando nel buio, l’aperta campagna.
(G. A. Cesareo, Parte il treno)

Ritmo calmo alternato a ritmo veloce ed ossessivo:
Si sente un galoppo lontano
(è la...?),
che viene che corre nel piano
con tremula rapidità.

Un piano deserto, infinito;
tutto ampio, tutt’arido, eguale:
qualche ombra d’uccello smarrito,
che scivola simile a strale:

non altro. Essi fuggono via
da qualche remoto sfacelo;
ma quale, ma dove egli sia,
non sa né la terra né il cielo.

Si sente un galoppo lontano
più forte,
che viene, che corre nel piano:
la Morte! la Morte! la Morte!
(G. Pascoli, Scalpitio)

Ritmo incalzante:
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de’ manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
(A. Manzoni, Il Cinque Maggio, vv 79-84)

Ritmo cantilenante:
Nascondi le cose lontane,
tu nebbia impalpabile e scialba,
tu fumo che ancora rampolli,
su l’alba,
da’ lampi notturni e da’ crolli
d’aeree frane!

Nascondi le cose lontane,
nascondimi quello ch’è morto!
Ch’io veda soltanto la siepe
dell’orto,
la mura ch’ha piene le crepe
di valeriane.

Nascondi le cose lontane:
le cose son ebbre di pianto!
Ch’io veda i due peschi, i due meli,
soltanto,
che dànno i soavi lor mieli
pel nero mio pane.

Nascondi le cose lontane
che vogliono ch’ami e che vada!
Ch’io veda là solo quel bianco
di strada,
che un giorno ho da fare tra stanco
don don di campane...

Nascondi le cose lontane,
nascondile, involale al volo
del cuore! Ch’io veda il cipresso
là, solo,
qui, solo quest’orto, cui presso
sonnecchia il mio cane.
(G. Pascoli, Nebbia)

Ritmo danzante:
Quant’è bella giovinezza
che si fugge tuttavia:
chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c’è certezza.

Quest’è Bacco e Arianna,
belli, e l’un dell’altro ardenti:
perché ’l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.

Queste ninfe e altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c’è certezza.

Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;

or da Bacco riscaldati,
ballon, salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia,
di doman non c’è certezza.

(Lorenzo il Magnifico, Canzona di Bacco, vv 1-20)

Ritmo calmo, meditativo:
Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
tornare ancor per uso a contemplarvi
sul paterno giardino scintillanti,
e ragionar con voi dalle finestre
di questo albergo ove abitai fanciullo,
e delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
creommi nel pensier l’aspetto vostro
e delle luci a voi compagne! allora
che, tacito, seduto in verde zolla,
delle sere io solea passar gran parte
mirando il cielo, ed ascoltando il canto
della rana rimota alla campagna!
E la lucciola errava appo le siepi,
e in su l’aiuole, susurrando al vento
i viali odorati, ed i cipressi
là nella selva; e sotto al patrio tetto
sonavan voci alterne, e le tranquille
opre de’ servi. E che pensieri immensi,
che dolci sogni mi spirò la vista
di quel lontano mar, quei monti azzurri,
che di qua scopro, e che varcare un giorno
io mi pensava, arcani mondi, arcana
felicità fingendo al viver mio!
(G. Leopardi, Le ricordanze, vv 1-24)

Forse perché della fatal quiete
tu sei l’immago a me sì cara vieni
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni
 
e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all’universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
 
Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
 
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.
(U. Foscolo, Alla sera)

Ritmo solenne:
O che tra faggi e abeti erma su i campi
smeraldini la fredda orma si stampi
al sole del mattin puro e leggero,
o che foscheggi immobile nel giorno
morente su le sparse ville intorno
a la chiesa che prega o al cimitero
 
che tace, o noci de la Carnia, addio!
Erra tra i vostri rami il pensier mio
sognando l’ombre d’un tempo che fu.
(G. Carducci, Il comune rustico, vv1-9)

Ritmo epico:
Su i campi di Marengo batte la luna; fosco
tra la Bormida e il Tanaro s’agita e mugge un bosco:
un bosco d’alabarde, d’uomini e di cavalli,
che fuggon d’Alessandria da i mal tentati valli.

D’alti fuochi Alessandria giù giù da l’Apennino
illumina la fuga del Cesar ghibellino:
i fuochi de la lega rispondon da Tortona,
e un canto di vittoria ne la pia notte suona:

- Stretto è il leon di Svevia entro i latini acciari:
ditelo, o fuochi, a i monti, a i colli, a i piani, a i mari,
diman Cristo risorge: de la romana prole
quanta novella gloria vedrai dimani, o sole! -

(G. Carducci, Su i campi di Marengo, vv 1-12)

Ritmo musicale:
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
(G. D’Annunzio, La pioggia nel pineto, vv 33-64)

Ritmo spezzato:
Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata

Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo
(G. Ungaretti, Sono una creatura)

 

Versi italiani
 

I versi italiani si classificano in base al numero delle sillabe di cui sono composti. Si hanno dieci tipi di versi, di cui cinque parisillabi (2, 4, 6, 8, 10 sillabe) e cinque imparisillabi (3, 5, 7, 9, 11 sillabe).

Essi sono:
il bisillabo o binario di due sillabe;
il ternario o trisillabo di tre sillabe;
il quaternario o quadrisillabo di quattro sillabe;
il quinario o pentasillabo di cinque sillabe;
il senario di sei sillabe;
il settenario di sette sillabe;
l’ottonario di otto sillabe;
il novenario o enneasillabo di nove sillabe;
il decasillabo di dieci sillabe;
l’endecasillabo di undici sillabe.

 

Versi doppi
Si dicono doppi i versi uguali, in coppia nella stessa riga, interrotti da una pausa o cesura. Essi sono:
Doppio quinario
Doppio senario
Doppio settenario o martelliano o alessandrino
Doppio ottonario

 

Bisillabo
 

Il bisillabo ha per forza un solo accento sulla prima sillaba:

Diétro
quàlche
vétro
quàlche
vìso
biànco
quàlche
rìso
stànco
quàlche
gèsto
lèsto
(G. A. Cesareo, Parte il treno, vv 6-17)

Dopo tanta
nébbia
a ùna
a ùna
si svelano
le stelle
(G. Ungaretti, Sereno, vv 1-6)

 

Ternario
 

Il ternario ha un unico accento ritmico sulla seconda sillaba:

Si tàce,
non gètta
più nùlla.
Si tàce,
non s’òde
romóre
di sòrta,
che fórse…
che fórse
sia mòrta?
(A. Palazzeschi, La fontana malata, vv 26-35) 
 
La mòrte
si scónta
vivéndo 
(G. Ungaretti, Sono una creatura, vv 12-14)

 

Quaternario
 

Il quaternario ha due accenti sulla prima e sulla terza sillaba:

Ècco il móndo
vuòto e tóndo
scénde, s’àlza
bàlza e splénde.

Ècco il móndo.
Sùl suo gròsso
antìco dòsso
v’è ùna schiàtta
e sózza e màtta,…
(A. Boito, Mefistofele, Atto II, Scena I)
 
Col mare
mi sono fatto
ùna bàra
dì freschézza
(G. Ungaretti, Universo)
 
Spesso questo verso è usato alternato con versi più lunghi come gli ottonari:
Paranzelle in alto mare
biànche biànche,
io vedeva palpitare
còme stànche:
o speranze. Ale di sogni
pér il màre!
(G. Pascoli, Speranze e memorie, vv 1-6)

 

Quinario
 

Il quinario ha due accenti: uno sulla prima o seconda sillaba, l’altro sulla quarta sillaba:

Vìva la chiòcciola,

vìva una béstia

che unìsce il mèrito

àlla modèstia.

Essa àll’astrònomo

e all’àrchitétto

fórse nell’ànimo

destò il concètto

del cànnocchiàle

e délle scàle:

vìva la Chiòcciola,

càro animàle.

(G. Giusti, La chiocciola, vv 1-12)

 

Anche questo verso spesso è usato alternato a settenari ed endecasillabi o come clausola:

Te, certo, te, quando la veglia bruna

lenti addiceva i sogni a la tua culla,

te certo riguardò la bianca luna,

biànca fanciùlla.

(G. Carducci, Vendette della luna, vv 1-4)

 

Lungo la strada vedi su la siepe

ridere a mazzi le vermiglie bacche.

nei campi arati tornano al presepe

                            tàrde le vàcche.

(G. Pascoli, Sera d’ottobre, vv 1-4)

 

Senario
 

Il senario ha due accenti ritmici: uno sulla seconda e l’altro sulla quinta sillaba:

E càdono l’óre

giù giù, con un lènto

gocciàre. Nel cuòre

lontàne risènto

paròle di mòrti…

(G. Pascoli, Il nunzio, vv 8-12)

 

Sul chiùso quadérno

di vàti famósi,

dal mùsco matérno

lontàna ripósi,

ripósi marmórea,

dell’ónde già fìglia,

ritórta conchìglia.

(G. Zanella, Sopra una conchiglia fossile, vv 1-7)

 

Settenario
 

Il settenario ha un accento fisso sulla sesta sillaba e l’altro mobile su una delle prime quattro:

L’àlbero a cui tendévi                

la pargolétta màno,                    

il vèrde melogràno                     

da’ bei vermìgli fiòr,                  

nel muto òrto solìngo                 

rinverdì tutto or óra                    

e giùgno lo ristòra                      

di lùce e di calór.                      

(G. Carducci, Pianto antico, vv 1-8)

 

Le suòre, a le finéstre              

del convénto, sul fiùme            

guardan passàr le bàrche:        

guardano mùte e sóle,             

mute e digiùne, al sóle.            

Giùngono a le finéstre             

(come tàrde le bàrche!)          

un odór di bitùme,                  

un odóre silvéstre.                 

(G. D’Annunzio, Le tristezze ignote, vv 19-27)

 

Il settenario molto spesso è alternato a quinari ed endecasillabi:

Silvia, rimèmbri ancóra

quel tempo della tua vita mortale,

quando beltà splendèa

negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,

e tu, lieta e pensosa, il limitare

di gioventù salìvi?

(G. Leopardi, A Silvia, vv 1-6)

 

Ottonario
 

L’ottonario ha gli accenti ritmici sulla terza e sulla settima sillaba:

Quant’è bèlla giovinèzza                  

che si fùgge tuttavìa:

chi vuol èsser lieto, sìa,

di domàn non c’è certèzza.

Quest’è Bàcco e Ariànna,

belli, e l’ùn dell’altro ardènti:

perché ‘l tèmpo fugge e ingànna,

sempre insième stan contènti.

(Lorenzo il Magnifico, Canzona di Bacco, vv 1-8)

 

Oggi è il giórno del giudìzio, 

delle bèlle ne vedrèmo;         

seri sèri dall’inìzio                 

lo scrutìnio noi farèmo.         

(L, De Ninis, La ballata dello scrutinio finale, vv 5-8)

 

Novenario
 

Il novenario ha tre accenti ritmici che cadono sulla seconda, sulla quinta e sull’ottava sillaba:

Il giòrno fu pièno di làmpi;      

ma óra verrànno le stélle,

le tàcite stélle. Nei càmpi

c’è un brève gre gré di ranèlle.

Le trèmule fóglie dei piòppi

trascórre una giòia leggièra.

(G. Pascoli, La mia sera, vv 1-6)

 

Le véle le véle le véle

che schiòccano e frùstano al vènto

che gònfia di vàne sequèle

Le véle le véle le véle

che tèsson e tèsson: laménto

volùbil che l’ónda che ammórza

ne l’ónda volùbile smórza

ne l’ùltimo schiànto crudèle

Le véle le véle le véle.

(D. Campana, Barche amorrate)

 

Decasillabo
 

Il decasillabo ha gli accenti ritmici sulla terza, sulla sesta e sulla nona sillaba:

Soffermàti sull’àrida spónda,

volti i guàrdi al varcàto Ticìno,

tutti assòrti nel nòvo destìno,

certi in còr dell’antìca virtù,

han giuràto: Non fìa che quest’ónda

scorra più tra due rìve strani ère;

non fia lòco ove sòrgan barri ère

tra l’Itàlia e l’Itàlia, mai più!

(A. Manzoni, Marzo 1821, vv 1-8)

 

Endecasillabo
 

L’endecasillabo è un verso di undici sillabe con accenti in posizione libera, se si esclude l’ultimo che cade sempre sulla decima sillaba; tuttavia gli schemi più usati per gli accenti principali sono: sulla sesta e sulla decima; sulla quarta, ottava e decima; sulla quarta, settima e decima.

Tanto gentìle e tanto onésta pàre         

la donna mìa quand’ella altrùi salùta,  

ch’ogne lingua devèn tremando mùta,  

e li occhi no l’ardìscon di guardàre.      

(Dante, Tanto gentile e tanto onesta pare, vv 1-4)

 

Sempre caro mi fù quest’ermo cólle,      

e questa sièpe, che da tànta pàrte             

dell’ultimo orizzónte il guardo esclùde.  

Ma sedendo e miràndo, interminàti         

spazi di là da quèlla, e sovrumàni           

silenzi, e profondìssima quiète                 

io nel pensiér mi fingo; òve per pòco       

il cor non si spaùra. E come il vénto        

odo stormìr tra queste piànte, io quéllo   

infinito silénzio a questa vóce                   

vo comparàndo: e mi sovvién l’etérno,     

e le morte stagiòni, e la presénte                

e viva, e il suón di lei. Così tra quésta       

immensità s’annèga il pensier mìo;            

e il naufragàr m’è dolce in quésto màre.    

(G. Leopardi, L’infinito)

 

...

né più nel cór mi parlerà lo spìrto        

delle vergini Mùse e dell’amóre,          

unico spìrto a mia vìta ramìnga…        

(U. Foscolo, Dei Sepolcri, vv 10-13)

(4ª, 8ª, 10ª)

(4ª, 8ª, 10ª)

(6ª, 10ª)

(6ª, 10ª)

.............

 

(6ª, 10ª)

(4ª, 8ª, 10ª)

(6ª, 10ª)

(6ª, 10ª)

(6ª, 10ª)

(6ª, 10ª)

(4ª, 7ª, 10ª)

(6ª, 10ª)

(4ª, 8ª, 10ª)

(6ª, 10ª)

(4ª, 8ª, 10ª)

(6ª, 10ª)

(4ª, 8ª, 10ª)

(6ª, 10ª)

(4ª, 8ª, 10ª)

 

 

...

(4ª, 8ª, 10ª)

(6ª, 10ª)

(4ª, 7ª, 10ª)

..................

 

Doppio quinario
 

Al mìo cantùccio, / dónde non sénto

se nón le réste / brusìr del gràno,

il suón dell’óre / viène col vènto

dal nón vedùto / bórgo montàno:

suòno che uguàle, / che blàndo càde,

come ùna vóce / che pérsuàde.

(G. Pascoli, L’ora di Barga, vv 1-6)

 

Doppio senario
 

Dagli àtrii muscósi, / dai Fòri cadènti,

dai bòschi, dall’àrse / fucìne stridènti,

dai sòlchi bagnàti / di sèrvo sudór,

un vólgo dispèrso / repènte si désta;

intènde l’orécchio, / sollèva la tèsta

percòsso da nòvo / crescènte romór.

(A. Manzoni, Dagli atrii muscosi…, vv 1-6, Adelchi)

 

Doppio settenario
 

Su i càmpi di Maréngo / batte la lùna; fósco

tra la Bòrmida e il Tànaro / s’agita e mùgge un bòsco,

un bòsco d’alabàrde, / d’uòmini e di cavàlli,

che fùggon d’Alessàndria / da i màl tentati vàlli.

 

D’alti fuòchi Alessàndria / giù giù da l’Apennìno

illùmina la fùga / del Cèsar ghibellìno:

i fuòchi de la léga / rispóndon da Tortòna,

e un cànto di vittòria / ne la pìa notte suòna:

(G. Carducci, Su i campi di Marengo, vv 1-8)

 

Doppio ottonario
 

Quando càdono le fòglie, / quando emìgrano gli augèlli

e fiorìte a’ cimitèri / son le piètre de gli avèlli,

 

monta in sèlla Enrico quìnto / il delfìn da’ capei grìgi,

e cavàlca a grande onóre / per la sàcra di Parìgi.

 

Van con lùi tutt’i fedéli, / van gli abbàti ed i baróni:

quanta fèsta di colóri, / di cimièri e di pennóni!

(G. Carducci, La sacra di Enrico Quinto, vv 1-6) 

 

Figure metriche
 

Nel computo delle sillabe bisogna tener presenti le cosiddette figure metriche:


Figure di vocale.

Elisione o sinalefe: fusione in una sola sillaba della vocale finale di una parola e della vocale iniziale della parola successiva.

Esempi:

e il naufragar m’è dolce in questo mare (G. Leopardi, L’infinito, v 15);

…nel muto orto solingo (G. Carducci, Pianto antico, v 5).

 

Episinalefe: si ha quando la vocale dell'ultima sillaba di un verso si fonde con l'iniziale del verso seguente.


Esempi:

... pei bimbi che mamma le andava

    a prendere in cielo.

(G. Pascoli, La figlia maggiore, 7-8)

 

... in mezzo a quel pieno di cose

    e di silenzio, dove il verbasco

(G. Pascoli, La figlia maggiore, 18-19)

 

Iato o dialefe: fenomeno opposto alla elisione, per il quale la vocale finale di una parola e la vocale iniziale della parola

successiva formano due sillabe distinte.


Esempi:

Gemmea l’aria, / il sole così chiaro (G. Pascoli, Novembre, v1);

Qui cominciai / a non esser p/ io (G. Giusti, Sant’Ambrogio, v 45)

 

Dieresi: separazione di due vocali formanti dittongo, per cui, invece di una sillaba, se ne hanno due.


Esempi:

…e arriso pur di visï /on leggiadre (G. Carducci, Funere mersit acerbo, v10);

…con ozï /ose e tremule risate (G. Pascoli, I puffini dell’Adriatico, v 6)

 

Sineresi o sinizesi: fenomeno opposto alla dieresi, per cui sono considerate come unica sillaba due o tre vocali della medesima parola non formanti dittongo o trittongo.


Esempi:

…e fuggiano, e pareano un corteo nero (G. Carducci, Davanti San Guido, v 75);

…ed erra l’armonia per questa valle (G. Leopardi, Il passero solitario, v 4)

 

Figure di accento:

Sistole: si verifica quando l’accento tonico di una parola si ritrae verso l’inizio di questa:

… la notte ch’io passai con tanta pièta (Dante, Inferno, I, v 21)  - invece di pietà -

… quando verrà la nimica podèsta (Dante, Inferno, VI, v 96)     - invece di podestà -

 

Diastole: fenomeno contrario alla sistole, indica lo spostamento dell’accento verso la fine della parola:

… abbraccia terre il gran padre Oceàno (U. Foscolo, Dei Sepolcri, v 291) - invece di Ocèano -

… calvi gravati di carni lugùbri                                                                    - invece di lùgubri -

    e gli astori co’ resti dei colùbri (G. D’Annunzio, Alcyone, Ditirambo IV, vv 359-360)

 

Licenze poetiche
 

Pròstesi (o pròtesi): si ha quando si aggiunge una lettera o una sillaba in principio di parola, per eufonia:

ispumeggiano i frantoi (G. Carducci, Faida di Comune, v 74)
Narran le istorie e cantano i poeti (G. Carducci, Mito e verità, v 1)
 
Anaptissi (o epèntesi): si ha quando si inserisce una vocale fra due consonanti, così da formare una sillaba in più:
Ciascun rivede la trista tomba (Dante, Inferno, VI, v 97)                           -invece di rivedrà -
… d’un altro Orfeo la cetera (V. Monti, Al signor di Montgolfier, v 31)              -invece di cetra -
Niun fantasima di luce (G. Carducci, In Carnia, v 61)                                    -invece di fantasma -
…di quella maramaglia, io non lo nego… (G. Giusti, Sant’Ambrogio, v 26)        -invece di marmaglia -
 
Paragoge (o epìtesi): consiste nell’aggiungere una sillaba alla fine di una parola:
Qui di pietà mi spoglio e di virtudi (G. Leopardi, Le ricordanze, v 41)
… eversor di cittadi il mite ramo (G. Carducci, Colloqui con gli alberi, v 4)
 
Afèresi: indica la caduta o soppressione di una sillaba o di una lettera in principio di parola:
… (am)mainaste or or la vela (G. Carducci, Faida di Comune, v 118)
… tu pria che l’erbe inaridisse il (in)verno (G. Leopardi, A Silvia, v 40)
… dell’ultimo orizzonte il (s)guardo esclude. (G. Leopardi, L’infinito, v 3)
 
Sincope: consiste nella caduta di una o più lettere all’interno di una parola:
allor che all’opre femminili intenta (G. Leopardi, A Silvia, v 10)                           -invece di opere -
… quello spirto guerrier ch’entro mi rugge (U. Foscolo, Alla sera, v 14)                  -invece di spirito -
… veniano a conversar (G. Carducci, Avanti! Avanti!, v 108)                                 -invece di venivano -
 
Apocope: indica la caduta di una o più lettere alla fine della parola:
… lo fan d’ozi beato e di vivande (U. Foscolo, Dei Sepolcri, v 61)                         -invece di fanno -
… per lo libero ciel fan mille giri (G. Leopardi, Il passero solitario, v10)                 -invece di cielo -
 
Tmesi: si tratta della divisione in due parti di una parola, delle quali la prima è posta alla fine del verso e l’altra all’inizio o nel mezzo del verso successivo:
… - Orlando, fa che ti raccordi
di me ne l’orazion tue grate a Dio;
né men ti raccomando la mia Fiordi… -
ma dir non poté ligi, e qui finio.
(L. Ariosto, Orlando furioso, Canto XLII, Ottava XIV)
 
… ché mi si rompono i ginocchi. Salva-
mi dalla brama del veloce fuoco…
(G. D’Annunzio, L’oleandro, vv 239-240, Alcyone)
 
Ella prega: un lungo alito dave-
marie con un murmure lene...
(G. Pascoli, Sorella, vv 21-22, Myricae)

Autore dei testi: Lorenzo De Ninis

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