NOSTALGIA |
I pastori Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti. Han bevuto profondamente ai fonti alpestri, che sapor d’acqua natia rimanga ne’ cuori esuli a conforto, che lungo illuda la lor sete in via. Rinnovato hanno verga d’avellano. E vanno pel tratturo antico al piano, quasi per un erbal fiume silente, su le vestigia degli antichi padri. O voce di colui che primamente conosce il tremolar della marina! Ora lungh’esso il litoral cammina La greggia. Senza mutamento è l’aria. Il sole imbionda sì la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria. Isciacquio, calpestio, dolci romori. Ah perché non son io co’ miei pastori? (Gabriele D’Annunzio) |
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Passaggio notturno Giace lassù la mia infanzia. Lassù in quella collina ch’io riveggo di notte, passando in ferrovia, segnata di vive luci. Odor di stoppie bruciate m’investe alla stazione. Antico e sparso odore simile a molte voci che mi chiamino. Ma il treno fugge. Io vo non so dove. M’è compagno un amico che non si desta neppure. Nessuno pensa o immagina che cosa sia per me questa materna terra ch’io sorvolo come un ignoto, come un traditore. (Vincenzo Cardarelli) |
Silenzio Conosco una città che ogni giorno s’empie di sole e tutto è rapito in quel momento Me ne sono andato una sera Nel cuore durava il limìo delle cicale Dal bastimento verniciato di bianco ho visto la mia città sparire lasciando un poco un abbraccio di lumi nell’aria torbida sospesi (Giuseppe Ungaretti) |
| Nella tua siepe c’era l’universo O mia piccola casa di provincia ove memorie semplici ma care si ravvivano intorno al focolare per colui che ritorna e ricomincia un interrotto sogno di dolcezza; o mia tepida casa, io ti ritrovo come una volta in questo aprile novo, e sempre verde il rosmarino olezza. Son nidi ancora sotto le tue gronde, e, nell’orto, i bei ciuffi appena in fiore della menta e del timo hanno un odore che all’effluvio dell’anima risponde. Caro è il murello con le vecchie crepe, di dove, un giorno, uscivo di soppiatto a fischiare ai ramarri o stavo quatto a spiar la tagliola sulla siepe! Che stupore, che gioia di scoperte balenavano in te, mia casa, ogni alba! Ancora sconosciuta era la scialba nebbia che grava il mondo fatto inerte. Ma tu sei sempre quella;è in me ch’è morto il dolce tempo, come son diverso! Nella tua siepe c’era l’universo, ed ora non c’è più che un muro e un orto. (Arturo Onofri) |
Traversando la Maremma toscana Dolce paese, onde portai conforme l’abito fiero e lo sdegnoso canto e il petto ov’odio e amor mai non s’addorme, pur ti riveggo, e il cor mi balza in tanto. Ben riconosco in te le usate forme con gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto, e in quelle seguo de’ miei sogni l’orme erranti dietro il giovenile incanto. Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano; e sempre corsi, e mai non giunsi il fine; e dimani cadrò. Ma di lontano pace dicono al cuor le tue colline con le nebbie sfumanti e il verde piano ridente ne le pioggie mattutine. (Giosuè Carducci) | Traversando la Maremma toscana |
Eri dritta e felice Eri dritta e felice sulla porta che il vento apriva alla campagna. Intrisa di luce stavi ferma nel giorno, al tempo delle vespe d’oro quando al sambuco si fanno dolci le midolla. Allora s’andava scalzi per i fossi, si misurava l’ardore del sole dalle impronte lasciate sui sassi. (Leonardo Sinisgalli) |
Nostalgia Alto su rupe, battuto dai venti, un cimitero frondeggia: cristiana oasi nel tartaro etrusco. Là sotto è la fanciulla bellissima dei Velcha, che vive ancora nella tomba dell’Orco. E’ il giaciglio gentile della Pulzella poco discosto. Legioni di morti calarono in quell’antica terra ove sperai dormire un giorno e rimetter radici. Oh poter seppellire nella città silente insiem con me la favola di mia vita! non esser più che una pietra corrosa, un nome cancellato, e riposar senza memoria in grembo alla terra natia come se mai me ne fossi scostato. Ma nel sospiro estremo sarò forse deluso. Io morrò dove e quando il fato vorrà. Meglio forse al randagio che lasciò il patrio asilo cader per via conviene, esser disperso. E resti all’ossa inappagate il fremito, il desio del ritorno. (Vincenzo Cardarelli) |
Nostalgia Tra le nubi ecco il turchino cupo ed umido prevale: sale verso l'Apennino brontolando il temporale. Oh se il turbine cortese sovra l'ala aquilonar mi volesse al bel paese di Toscana trasportar! Non d'amici o di parenti là m'invita il cuore e il volto: chi m'arrise a i dì ridenti ora è savio od è sepolto. Né di viti né d'ulivi bel desio mi chiama là: fuggirei da' lieti clivi benedetti d'ubertà. De le mie cittadi i vanti e le solite canzoni fuggirei: vecchie ciancianti a marmorei balconi! Dove raro ombreggia il bosco le maligne crete, e al pian di rei sugheri irto e fosco i cavalli errando van, là in Maremma ove fiorio la mia triste primavera, là rivola il pensier mio con i tuoni e la bufera: là nel ciel nero librarmi la mia patria a riguardar, poi co 'l tuon vo' sprofondarmi tra quei colli ed in quel mar. (Giosué Carducci) |
I fiumi Mi tengo a quest'albero mutilato abbandonato in questa dolina che ha il languore di un circo prima o dopo lo spettacolo e guardo il passaggio quieto delle nuvole sulla luna Stamani mi sono disteso in un'urna d'acqua e come una reliquia ho riposato L'Isonzo scorrendo mi levigava come un suo sasso Ho tirato su le mie quattr'ossa e me ne sono andato come un acrobata sull'acqua Mi sono accoccolato vicino ai miei panni sudici di guerra e come un beduino mi sono chinato a ricevere il sole Questo è l'Isonzo e qui meglio mi sono riconosciuto una docile fibra dell'universo Il mio supplizio e quando non mi credo in armonia Ma quelle occulte mani che m'intridono mi regalano la rara felicità Ho ripassato le epoche della mia vita Questi sono i miei fiumi Questo è il Serchio al quale hanno attinto duemil'anni forse di gente mia campagnola e mio padre e mia madre Questo è il Nilo che mi ha visto nascere e crescere e ardere d'inconsapevolezza nelle estese pianure Questa è la Senna e in quel suo torbido mi sono rimescolato e mi sono conosciuto Questi sono i miei fiumi contati nell'Isonzo Questa è la mia nostalgia che in ognuno mi traspare ora ch'è notte che la mia vita mi pare una corolla di tenebre (Giuseppe Ungaretti) | |
Scuola Negli azzurri mattini le file svelte e nere dei collegiali. Chini sui libri poi. Bandiere di nostalgia campestre gli alberi alle finestre. (Sandro Penna) | |
A Zacinto Nè più mai toccherò le sacre sponde Ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde Del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde Col suo primo sorriso, onde non tacque Le tue limpide nubi e le tue fronde L'inclito verso di colui che l'acque Cantò fatali, ed il diverso esiglio Per cui bello di fama e di sventura Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, O materna mia terra; a noi prescrisse Il fato illacrimata sepoltura. (Ugo Foscolo) | |
Allora Allora... in un tempo assai lunge felice fui molto; non ora: ma quanta dolcezza mi giunge da tanta dolcezza d'allora! Quell'anno! per anni che poi fuggirono, che fuggiranno, non puoi, mio pensiero, non puoi, portare con te, che quell'anno! Un giorno fu quello, ch'è senza compagno ch'è senza ritorno; la vita fu vana parvenza sì prima sì dopo quel giorno! Un punto!... così passeggero, che in vero passò non raggiunto, ma bello così, che molto ero felice, felice, in quel punto! (Giovanni Pascoli) |
Ciant da li ciampanis Co la sera a si pi èrt ta li fontanis il me país alè colòur smarít. Jo i soi lontàn, recuardi li so ranis, la luna, il trist tintinulà dai gris. A bat Rosari, pai pras al si scunís: jo i soj muàrt al ciant da li ciampanis. Forèst, al me dols svualà par il plan, no ciapà pòura: jo i soj un spirt di amòur che al so país al torna di lontàn. (Pier Paolo Pasolini) | Canto delle campane Quando la sera si perde nelle fontane, il mio paese è di colore smarrito. Io sono lontano, ricordo le sue rane, la luna, il triste tremolare dei grilli. Suona Rosario, e si sfiata per i prati: io sono morto al canto delle campane. Straniero, al mio dolce volo per il piano, non aver paura: io sono uno spirito d'amore, che al suo paese torna di lontano. (Pier Paolo Pasolini) |