RAPPORTO CON GLI OGGETTI |
Elogio di una rosa Rosa della grammatica latina che forse odori ancor nel mio pensiero tu sei come l’immagine del vero alterata dal vetro che s’incrina. Fosti la prima tu che al mio furtivo tempo insegnasti la tua lingua morta e mi fioristi gracile e contorta per un dativo od un accusativo. Eri un principio tu: ma che ti valse lungo il cammino il tuo mesto richiamo? Or ti rivedo e ti ricordo e t’amo perché hai la grazia delle cose false. Anche un fior falso odora, anche il bel fiore di seta o cera o di carta velina, rosa della grammatica latina: odora d’ombra, di fede, d’amore. Tu sei più vecchia e sei più falsa, e odori d’adolescenza e sembri viva e fresca, tanto che dotta e quasi pedantesca sai perché t’amo e non mi sprezzi o fori. Passaron gli anni: un tempo di mia vita. Avvizzirono i fior del mio giardino. Ma tu, sempre fedele al tuo latino, tu sola, o rosa, non sei più sfiorita. Nel libro la tua pagina è strappata, strappato il libro e chiusa la mia scuola, ma tu rivivi nella mia parola come nel giorno in cui t’ho “declinata”. E vedo e ascolto: il precettore in posa, la vecchia Europa appesa alla parete e la mia stessa voce che ripete sul desiderio di non so che cosa: Rosa, la rosa Rosae, della rosa… (Marino Moretti) |
La porta Davanti alla mia porta si fermano i passanti per guardare, taluno a mormorare: << là, dentro quella casa, la gente è tutta morta, non s’apre mai quella porta, mai mai mai >>. Povera porta mia! Grande portone oscuro trapunto da tanti grossissimi chiodi, il frusciare più non odi di sete a te davanti. Dagli enormi battenti di ferro battuto che nessuno batte più, nessuno ha più battuto da tanto tempo. Rosicchiata dai tarli, ricoperta dalle tele dei ragni, nessun ti aprì da anni e anni, nessun ti spolverò, nessun ti fece un po’ di toeletta. La gente passa e guarda, si ferma a mormorare: << là, dentro quella casa, la gente è tutta morta, non s’apre mai quella porta, mai mai mai >>. (Aldo Palazzeschi) |
Valigie Voglio cantare tutte l'ore grigie in questa solitudine pensosa mentre raduno ogni mia vecchia cosa a riempir le mie vecchie valigie. Oh le valigie, le compagne buone dei poveri viaggi in terza classe vecchie, sfiancate, fatte con qualche asse sottile e con la tela e col cartone. Le camicie van qui da questa parte, quaggiù ai colletti cerco di far posto, lì le cravatte e qua, quasi nascosto, un manoscritto, e ancora libri e carte. Ecco il pacchetto della mamma. Odora vagamente di cacio e di salame. Già, se avessi in viaggio ancora fame. E questo libro e un altro, un altro ancora. Dove vado? Non so. Ma mi sovviene d'averla pur desiderata questa partenza come, il piccolo, la festa che col serraglio e con la giostra viene. Dove vado? Non so. Ma pare a me ch'io debba vivere senza scopo, allo sbaraglio; e a tratti con l'inutile bagaglio partir per i paesi della nebbia... (Marino Moretti) |
Campana di Lombardia Campana di Lombardia, voce tua, voce mia, voce voce che va via e non dài malinconia. Io non so che cosa sia, se tacendo o risonando vien fiducia verso l’alto di guarir l’intimo pianto, se nel petto è melodia che domanda e che risponde, se in pannocchie di armonia risplendendo si trasfonde cuore a cuore, voce a voce - Voce, voce che vai via e non dài malinconia. (Clemente Rebora) |
Campane a sera O arcana campana lontana, che in questo silenzio dei campi t’effondi con dondi gementi, soavi, profondi, e i sensi d’ignara mestizia confondi; o arcana campana lontana, qual onda di sogni, d’amari rimpianti, tu al cuore mi mandi, ma incerti, ma erranti, ma solo all’umana tua voce balzanti! O arcana campana lontana, è l’ora che l’ombre si fanno maggiori e affiocano i trilli dei grilli sonori; è l’ora che han tregua nel sonno i dolori. O arcana campana lontana, divina è la pace che piove da’ cieli: s’inclinano i fiori sugli umili steli, e orano in coro le rame fedeli. O arcana campana lontana, ma erede d’oscuri misfatti che sento nel petto echeggiarmi con lungo lamento, io solo, se t’odo, più cupo divento, o vana campana che muori nel vento. (Giovanni Alfredo Cesareo) |
La trombettina Ecco che cosa resta di tutta la magia della fiera quella trombettina di latta azzurra e verde, che suona una bambina camminando, scalza, per i campi. Ma, in quella nota sforzata, ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi, c’è la banda d’oro rumoroso, la giostra coi cavalli, l’organo, i lumini. Come, nello sgocciolare della gronda, c’è tutto lo spavento della bufera, la bellezza dei lampi e dell’arcobaleno; nell’umido cerino d’una lucciola che si sfa su una foglia di brughiera tutta la meraviglia della primavera. (Corrado Govoni) |
L'abbiamo rimpianto a lungo l'infilascarpe, il cornetto di latta arrugginito ch'era sempre con noi. Pareva un'indecenza portare tra i similori e gli stucchi un tale orrore. Dev'essere al Danieli che ho scordato di riporlo in valigia o nel sacchetto. Hedia la cameriera lo buttò certo nel Canalazzo. E come avrei potuto scrivere che cercassero quel pezzaccio di latta? C'era un prestigio (il nostro) da salvare e Hedia, la fedele, l'aveva fatto. (Eugenio Montale) |
Per B...... I piccoli aeroplani di carta che tu fai, volano nel crepuscolo, si perdono come farfalle notturne nell’aria che s’oscura, non torneranno più. Così i nostri giorni, ma un abisso meno dolce li accoglie di questa valle silente di foglie morte e d’acque autunnali dove posano le loro stanche ali i tuoi fragili alianti. (Attilio Bertolucci) |
Lapide non è un orto o un giardino il cimitero dove io sono sepolto. E' un luogo assorto, un muro. Ogni bene è scontato, ogni debito pagato e il nome tutelato. Mio amico, fratello contami i vecchi giuochi, il fumo, i fuochi antichi. Prendi di me l'effige, le rughe, la fuliggine, le lacrime, la ruggine. non è un orto o un giardino il cimitero dove io sono sepolto. E' un regno spento, muto. Qui l'amore è perduto. Qui la festa è finita. (Leonardo Sinisgalli) |
Le sei corde La chitarra fa piangere i sogni. Il singhiozzo delle anime perdute sfugge dalla sua bocca rotonda. E come la tarantola, tesse una grande stella per sorprendere i sospiri che tremano nella sua nera cisterna di legno. (Federico García Lorca) |
La pipa Sono la pipa d'uno scrittore: con questa faccia d'Abissina o Cafra, si vede che il padrone è un gran fumatore! Se lui è pieno di dolore, fumo come la capanna dove si cucina per il contadino che ritorna. Come gli allaccio e cullo l'anima nella rete azzurra e mobile che sale dalla mia bocca di fuoco! E che dittamo potente effondo per affascinargli il cuore e guarirgli lo spirito dalle fatiche! (Charles Baudelaire; trad. Claudio Rendina) |
Telefono Sei tu, sei tu, sei tu. Mentre ti parlo, mentre t'ascolto, immobile, mi pare che la tua voce seguiti a vibrare in questo orecchio mio per lacerarlo. Sei tu, sei tu. La tua voce mi giunge da una profondità d'anima oscura. Io ti rispondo, amica, ma ho paura, ché vicina mi sei tu che sei lunge. Ho paura di te, di questo ordigno che al povero cuor mio che più non sogna dona la voce tua, la tua menzogna come per uno spirito maligno. Che vuoi da me? Che mi domandi ancora? L'ultimo sogno cadde come un frutto. Io nulla vedo, nulla voglio, tutto ciò che fu mio lasciò la mia dimora. E mi par quasi che fra tanto fasto d'illusioni solo questo ordigno fedele al muro, come un vecchio scrigno pieno d'accenti tuoi, mi sia rimasto. Tu parli e io vedo il tuo bianco profilo un po' chinato sopra l'apparecchio mentre raccogli nell'intento orecchio, più che il mio dire incerto, il mio respiro: tu parli e io non t'ascolto: non t'ascolto perché ti vedo: vedo d'improvviso una lieve penombra di sorriso ch'erra nel volto tuo, chino e raccolto... Ah ridi ridi ridi tu che sei bella e ami solo la tua gioventù. Io? Ti rispondo, ma non sono più che due numeri: 10-36. (Marino Moretti) |
La banderuola caduta Il duro cuore della banderuola nel libro del tempo. (Una pagina la terra e l'altra il cielo.) Cadde dolente sulle lettere di vecchi tetti. Lirico fiore di torre e luna dei venti, abbandona il filo della croce e disperde i suoi petali, per cadere sulle lastre fredde mangiata dal bruco degli echi. Giaci sotto un'acacia. Memento! Non potevi battere perché eri di ferro... Ma avevi la forma e doveva bastarti! Nasconditi sotto il verde limo, a cercare la tua gloria di fuoco, mentre ti invocano tristi le torri da lontano e senti nelle banderuole stridere i tuoi compagni. Nasconditi sotto la coperta verde del tuo letto. Perché né la bianca monaca, né il cane, né la luna calante, né la stella, né il fosco sacrestano del convento, ricorderanno i tuoi gridi d'inverno. Nasconditi lentamente perché se no gli straccivendoli ti prenderanno. Potessi darti per compagno questo mio cuore così incerto! (Federico García Lorca) |
La giostra Jardin du Luxembourg Con un tetto e con la sua ombra gira per breve ora la giostra dei cavalli multicolori, tutti del paese che lungamente tarda a tramontare. Molti sono attaccati alle carrozze, eppure tutti hanno un cipiglio fiero, e un feroce leone, tinto in rosso, va con loro, e a quando a quando un elefante bianco. Perfino un cervo c'è, come nel bosco, ma porta sella e, fissa alla sua sella, una minuscola bambina azzurra. E cavalca il leone un bimbo bianco tenendosi ben fermo con la mano che scotta, mentre il leone scopre lingua e zanne. E a quando a quando un elefante bianco. E passano su cavalli anche fanciulle in vesti chiare, quasi troppo grandi per questi giochi e nella corsa alzano lo sguardo in su, verso noi, chi sa dove- E a quando a quando un elefante bianco. E il tutto va e s'affretta alla sua fine, e gira e gira in cerchio e non ha meta. Un rosso, un verde, un grigio che balena, un breve, appena abbozzato profilo-. E ogni tanto rivolto in qua, beato, un sorriso che abbaglia e che si dona al cieco gioco che ci toglie il fiato... (Rainer Maria Rilke, trad. Giacomo Cacciapaglia) |
Fontanella Sotto gli alberi spogli del viale degli svaghi offri invano il suo zampillo. Ma è venuta l'estate, altro le accade. è cara a tutti, al vecchio curvo come al giovane che il suo corpo modella nel segno sotto cui nacque, severo. Il passante che segue di un pensiero arido i fili e la scopre, devia verso una gioia pronta e gratuita. Offre un sorso di vita ad ogni vita, che in sé grata l'accoglie, poi l'oblia, per proseguire ignara al suo destino. (Umberto Saba) |
La fontana malata Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchette, chchch...... E' giu', nel cortile, la povera fontana malata; che spasimo! sentirla tossire. Tossisce, tossisce, un poco si tace.... di nuovo. tossisce. Mia povera fontana, il male che hai il cuore mi preme. Si tace, non getta piu' nulla. Si tace, non s'ode rumore di sorta che forse... che forse sia morta? Orrore Ah! no. Rieccola, ancora tossisce, Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, chchch.... La tisi l' uccide. Dio santo, quel suo eterno tossire mi fa morire, un poco va bene, ma tanto.... Che lagno! Ma Habel! Vittoria! Andate, correte, chiudete la fonte, mi uccide quel suo eterno tossire! Andate, mettete qualcosa per farla finire, magari... magari morire. Madonna! Gesù! Non più! Non più. Mia povera fontana, col male che hai, finisci vedrai, che uccidi me pure. Clof, clop, cloch, cloffete, cloppete, clocchete, chchch... Aldo Palazzeschi |