Prigione
Sono nato da una madre che era già prigioniera, in una gabbia tra quattro
mura e una sola finestra da cui sognare la libertà.
La mia vita l’ho trascorsa sempre rinchiuso, senza poter vedere il mondo
esterno, senza poter spiccare il volo verso l’infinito.
Guardo negli occhi i miei carcerieri, urlando a gran voce la mia
innocenza. Indifferenti loro ridono e mi canzonano. Ma loro sono fuori e
io invece sono dentro.
Non ho colpe per la mia situazione, non ho avuto un processo e nessun
giudice ha emesso la mia condanna.
Sono dentro perché mia madre era dentro, e la sua prima di lei.
Guardo la vita che scorre tra queste sbarre, sognando come sarebbe il
mondo fuori, tra alberi fioriti e verdi prati.
Ciò che mi resta però è la mia voce per cantare i sogni di libertà e la
speranza che un giorno spiccherò il volo da questa prigione.
Questo sono io. Un canarino in gabbia.Attimi
Sono seduto alla mia scrivania. La fiamma del caminetto è l’unica cosa che
illumina la stanza. Le tende sono chiuse, le serrande abbassate. Ho chiuso
a chiave la porta, non voglio essere disturbato. Le mani mi tremano. La
canna è fredda, forse è per questo che ho i brividi. O forse sono solo i
miei pensieri. A volte è una sicurezza avere in mano una pistola. Me la
giro in mano, accarezzandola come una vecchia amica. Non è ancora carica,
non ho ancora avuto il coraggio di farlo. Ci sto pensando. Un colpo e
tutto finisce. Nel bene o nel male.
I proiettili sono nel cassetto chiusi a chiave. Poso la pistola davanti a
me. La canna rivolta verso il caminetto a sinistra. Le cromature
risplendono alla luce delle fiamme. La mano trema ancora prendendo la
chiave nascosta nel portasigari. La guardo senza capire cosa sto facendo.
La tengo li davanti agli occhi, sguardo fisso nel vuoto, quasi senza
vederla.
Senza pensare ad altro, apro il cassetto e prendo la scatola che c’è
dentro. Un’unica scatola quasi piena. Una scatola speciale. Le mani mi
tremano ancora. Con fatica provo ad aprirla e ad estrarre un unico
proiettile. Lo tengo in mano davanti a me. Lo rigiro tra le dita,
illuminato dalla fiamma del fuoco, come una cosa preziosa. Apro il tamburo
con delicatezza e inserisco quell’unico proiettile. Chiudo la pistola e
faccio ruotare il tamburo. Una volta. Due volte…. Mi tremano ancora le
mani. Non ho più il coraggio di farlo. Troppa tensione. Forse non è la
soluzione mi dico.
Uno su sei. Cinque possibilità di arrivare a domani. Mi sono dato una
speranza. Forse il destino mi darà un’altra possibilità. Ora o mai più.
Alzo la pistola alla tempia guardando un’ultima volta il fuoco nel
caminetto. Chiudo gli occhi sperando di avere un’altra possibilità. La mia
mano trema. Un’ultimo sforzo. L’indice è quasi insensibile per la
tensione. Non sento lo sparo. Solo silenzio…. e silenzio…. e buio…..
Passeggiata notturna
L’auto era parcheggiata in una piazzola di sosta lungo la strada sterrata,
in modo da non impedirne il passaggio. La sera era calda e la luna piena
alta in cielo a rischiararlo come se fosse giorno. David, appassionato di
escursioni stava scaricando lo zaino e le scarpe da trekking. Non era la
prima volta che affrontava quel percorso di notte. Di solito in compagnia
di amici, ma stavolta era solo, un po’ per scelta un po’ perché gli altri
avevano altri programmi per la serata. Dopo aver cambiato le scarpe rimise
tutto nel bagagliaio e chiuse la macchina. Il suono riecheggiò nel
silenzio della notte, come a risvegliare oscure presenze. Un brivido gli
attraversò la schiena, forse era meglio lasciare per stanotte, troppe cose
gli dicevano di stare attento, come se qualcuno fosse pronto a saltare
fuori da un cespuglio e attaccarlo.
Quasi senza pensare riaprì l’auto e dal cruscotto estrasse un lungo
coltello con fodera che agganciò alla cintura. Ora era pronto per ogni
evenienza, anche se la tensione non scemava. Richiuse l’auto e si guardò
attorno. Nessuno. Il sentiero era alla sua destra, si inerpicava nel bosco
e dopo un po’ si diramava in due altri sentieri, l’uno che seguiva il
versante a mezza costa e l’altro che proseguiva verso la vetta, per poi
scendere sull’altro lato, passando accanto ad un vecchio maniero
diroccato. Ancora uno sguardo intorno ascoltando ogni possibile rumore.
Tutto tranquillo, solo il battito del suo cuore che pian piano rallentava
e tornava normale. Un respiro profondo e poi il primo passo verso una
passeggiata di circa un’ora in mezzo per ritemprare il suo spirito.
Ne aveva bisogno, almeno due volte al mese, rigenerare la mente
immergendosi totalmente nella natura silenziosa, con solo se stesso su cui
contare o a far da balia agli amici che accettavano il suo invito. Lui era
il più anziano in queste esperienze, lo faceva già da 10 anni, ormai era
un maestro nel settore e tanti lo seguivano in questa esperienza, che
certamente ti cambiava la vita.
Il sentiero era ripido in questa zona del versante. Il respiro era un po’
affannoso, anche se il fisico era allenato. David decise di fermarsi un
attimo a prendere fiato, il tempo non gli mancava. Anche se ci avesse
impiegato più tempo nessuno avrebbe protestato per questo. Guardandosi
attorno vedeva solo castagni su un letto di ricci e foglie. Nessun rumore.
I suoi sensi erano all’erta, comunque. Non voleva sorprese. I giornali
parlavano che due persone erano state aggredite in quella zona di bosco
negli ultimi sei mesi. I loro corpi mutilati erano stati trovati in una
radura a qualche centinaio di metri dal luogo dove si era fermato, fuori
dal sentiero battuto, in una zona poco accessibile. L’articolo diceva che
erano stati presi alle spalle e accoltellati. Gola tagliata come nelle
tattiche di guerra. La zona era nota per le battaglie simulate, ma
qualcuno si era spinto oltre. Tutta l’area era coperta di sangue, con
schizzi anche sui tronchi. La scena era di un mattatoio, agli occhi dei
soccorsi. Anche se qualcosa non andava. I due erano poliziotti esperti, e
nessuno poteva ridurli così senza che potessero difendersi, ma forse
avevano visto qualcosa di troppo.
Un altro brivido gli percorse la schiena ripensando all’articolo letto.
Era ora di riprendere il cammino. Due passi e poi di nuovo fermo. Un
rumore improvviso, soffuso ma percettibile dai suoi sensi. Qualcuno lo
stava seguendo. Di nuovo silenzio. Guardandosi attorno, alla luce della
luna, non vide nulla di sospetto, solo tronchi e foglie mosse dalla
brezza. Altri due passi e altro rumore sospetto. Se prima pensava di
esserselo immaginato ora, la paura stava prendendo il sopravvento. Sempre
guardandosi attorno, mise la mano sul manico del coltello quasi a cercare
un po’ di sicurezza. Un altro passo, il rumore di un ramo spezzato. Decise
di estrarre il coltello, non aveva senso fare l’eroe. Ma attorno non
vedeva nessuno. Lentamente decise di lasciare il sentiero principale,
muovendosi di lato, facendo meno rumore possibile.
La sua idea sembrava buona, ma anche i rumori sembravano seguirlo. Cercò
quindi di inoltrarsi sempre più nel folto della boscaglia, per
nascondersi. Un cespuglio faceva al caso suo e vi ci si nascose dietro in
attesa di vedere chi lo seguiva. Il coltello sempre nella mano destra,
trattenendo il fiato. Nessuno in vista e nessun rumore portato dal vento.
Adesso la tensione era al massimo e i nervi sempre più tesi. Non amava le
sorprese, soprattutto di questo genere. Cinque minuti passati immobile e
nessun altro rumore sospetto. Di certo era un animale, fuggito sentendo la
sua presenza. Lentamente si rialzò uscendo dal cespuglio, ma decise che
per prudenza era meglio non tornare sul sentiero, ma seguirlo dal folto
del bosco. Qualche animale aveva aperto una strada tra le foglie, dandogli
la possibilità di non fare rumore. La radura dell’articolo era alla sua
sinistra a una cinquantina di metri, si intravvedevano ancora i nastri di
delimitazione della polizia. Lo sapeva perché ci era già stato dopo il
ritrovamento dei corpi, la curiosità era stata tanta, ma ci era andato di
giorno. Ora quell’area era spettrale, come se le due anime dei poliziotti
vagassero li attorno per spaventare i temerari come lui. Ma i fantasmi non
facevano rumore, non spezzavano i ramoscelli. I suoi sensi tornarono ad
acuirsi. C’era qualcuno li attorno, una presenza animale, che lo stava
osservando. Un altro brivido lungo la schiena. Un albero gli diede
temporaneo riparo in attesa della mossa del suo misterioso inseguitore.
Di nuovo silenzio. Il vento era calato e la luna era stata coperta da una
nuvola scura, rendendo l’ambiente tetro e impedendogli di vedere bene tra
i castagni. Lentamente si mosse verso un altro gruppo di alberi, passando
tra cespugli di rovi. Una spina gli si conficcò sul palmo della mano
sinistra, spillandogli una goccia di sangue. Nessun dolore, la tensione
stava diventando insopportabile, troppa per accorgersi di una simile
sciocchezza. Il silenzio era tornato a regnare, una civetta emise il suo
grido lontano spezzando l’incanto, un’altra le risposa dall’altra parte
del versante. La luna fece capolino dalla nuvola, tornando a illuminare la
boscaglia. David rimase fermo ancora per alcuni minuti in ascolto. Nulla.
Riprese a spostarsi sempre a lato del sentiero, sempre tenendo sotto
controllo l’area circostante, più volte voltandosi indietro di scatto a
cercare ombre che si muovevano. Il coltello sempre più stretto nella mano
destra, quasi a fargli male. Ma nessuno lo seguiva, nessuna ombra, nessun
rumore.
Ora il sentiero si divideva. Era arrivato al bivio. Doveva prendere quello
che si inerpicava sul versante. Decise di seguirlo sempre lateralmente,
protetto dagli alberi e dai cespugli. Qui però le foglie erano a tornate a
coprire il terreno e rischiava di fare rumore. Cosa che lo rendeva nervoso
e gli impediva di sapere se qualcuno lo stava effettivamente seguendo.
Prese la decisione di tornare nel sentiero ma di rimanere all’erta,
voltandosi più volte a controllare la boscaglia. Passo dopo passo il
sentiero lo stava portando verso la vetta, nessun rumore adesso. Si stava
tranquillizzando e anche il cuore batteva regolare. Mise via il coltello.
Gli servivano entrambe le mani per superare il costone roccioso di tre
metri che lo avrebbe portato su un falsopiano, ultimo riposo prima della
vetta. Tolse lo zaino dalle spalle e lo lanciò sopra la roccia per essere
più agile nella risalita. Le mani cercavano gli appigli giusti, sicure di
trovarli anche con la poca luce. Rapido cominciò ad issarsi tra le rocce,
arrivando subito al sicuro sulla cima. Da li poteva vedere quasi tutto il
sentiero, anche oltre la biforcazione. Nulla. La luna lo illuminava
chiaramente. Un’ombra attraversò il sentiero, ma vi riconobbe una volpe.
Si guardarono negli occhi come vecchi amici, poi l’animale spari nel folto
dei cespugli. Forse era lei che aveva fatto quei rumori. Ne era quasi
certo.
Riprese lo zaino e se lo rimise in spalla. Era ora di proseguire, aveva
già perso troppo tempo a preoccuparsi di essere seguito. Ormai sapeva di
non esserlo. Riprese a camminare rapido per il sentiero. Un’altra mezzora
per arrivare in vetta. La luce della luna andava e veniva da dietro le
nuvole, permettendogli di non perdere la strada. In lontananza vide i
resti del maniero diroccato. Ormai ridotto a rudere da circa un secolo.
Costruito lungo il sentiero, un tempo dava ristoro ai viandanti di
passaggio. Ora dava altro ristoro. Silenziosamente cercò di avvicinarsi,
strane luci venivano dal suo interno, come da fiamme di candela, ma il
fabbricato doveva essere disabitato. Di nuovo il panico si impadronì della
sua mente. Aveva paura di quello che avrebbe trovato. Da una finestra
guardò dentro e vide una dozzina di figure mantate di nero, con cappuccio
sulle teste, disposte in cerchio attorno ad un fuoco. Con diverse candele
che illuminavano l’unica sala. Non si erano accorte di lui, stavano
intonando un inno all’unisono, ma non capiva ciò che stavano cantando. Si
ritrasse dalla finestra, i suoi timori si affievolirono, sembrava andasse
tutto bene, nessuno sospettava della sua presenza.
Mise a terra lo zaino, lentamente lo aprì e ne estrasse qualcosa di nero e
rosso. Sempre guardandosi attorno in cerca di pericoli, indossò il
mantello e il cappuccio. Così bardato fece il suo ingresso nella stanza
dove lo stavano aspettando. Il gran maestro era arrivato. Il rito poteva
cominciare. |