Augh!
Prendo la porta degli occhi
ed esco a farmi un giro
Mi ritrovo a guardarmi dal
davanti, un povero sconfitto,
ma non arreso, ancora almeno.
Da dove ti arriva mai questa
forza?
Per le strade di San Francisco
ondeggiano i palmeti
tra le bucce di banana
che lasciano le scimmie
di Haiti
e qualche penombra sotto il letto
C’è il terremoto del Friuli
e il diavolo che ti prende
la mano, vestito da prete,
e lo zolfo esce dalla sua
bocca come le ciminiere
piccolo-borghesi tra le stampe
ipocrite delle lordo-città inglesi.
Una chitarra si appoggia al
registratore, ed è da un solaio
silenzioso e solitario, che arriva
questo verbo.
Solo la morte gli darà ascolto.
C’è una moltitudine di santi
in coda alla distribuzione pasti.
Qualcuno ha ucciso per un
orologio,
qualche altro è stato bruciato vivo
da bambini viziati, col cranio
pelato e la mano a svastica.
Dall’altra parte del mondo, dei
piccoli che-guevara incendiano
molotov ed esplodono bombe di
chiodi, contro chi non sanno
nemmeno loro, l’importante è
far casino, spaccare tutto e
poi rientrare a casa togliendosi
i mocassini di Prada quando la serva
sussurra “la zuppa è pronta, se
il signorino si vuol accomodare,
suo padre il rettore l’aspetta”.
E perpendicolari a Cape Town
ci sono stati un gatto e una volpe
Hanno sgozzato un turista che
trangugiava acqua Perrier fuori dalle loro
baracche, davanti alla fabbrica Fiat e a un
industrialotto veneto.
Che prima tutti i terroni e ora
tutti gli extracomunitari
e un giorno è già stato così,
si è passati dai disabili agli
omosessuali e non ci si è più fermati.
Ed è il nulla che vedo,
nient’altro che il nulla e
una cascata ghiacciata da una
montagna verde del Giappone
E allora cammino ancora, fino
alle nevi del Nepal, alla
pressione atmosferica, allo
sfinimento delle mie gambe
che han smesso di tremare
quando son diventate aquila.
Grade uccello azzurro che se ne
sbatte i coglioni, apre le
ali e saluta la morte
con una cagata sulla sua testa.
Augh!
Di cosa scrivere
quando hai un passo
dalle strisce di zebra
quando anche un occhio
vuole la sua decussata parte
e il bulbo di un fiore
non s’apre.
quando aspetti un pesce
fuor d’acqua
quando la scuola si scrive
con la “q”
quando vorresti cascate
di pioggia
dalle montagne del giappone
e nessuna bomba
più.
quando lo sai che non
accadrà mai
che i bambini
vengano lasciati
in pace.
ci sarà sempre
un violentatore
e un fornitore
di
palloni da
calcio.
quando l’ipocrisia è
un virus che ti
apre l’epidermide
come carne esposta
al sole
quando ti immoli senza
sapere perché
e nessuno se ne
accorge
e chi si accorge
dice “è un pazzo, un
esaltato”
quando sembri un soldato
scalzo
che non si
arrende mai
e invece avresti
tonnellate di lacrime
pronte ad esplodere
solo che
non sai dove si siano
cacciate
quando vorresti
un qualcosa di naturale
che eliminasse
per una notte almeno
tutti questi dolori
quando non sai nemmeno
se ci sia una cazzo di
continuazione
a questa
cazzo
di vita
quando vorresti ragionare col
cuore
e palpitare
di ragione
quando la fame atavica
di pace e bellezza
ti toglie il
respiro
quando ora basta coi
sensi di responsabilità e
di tutto ciò che accade
sono responsabile anch’io.
vorrei del miele.
del vino.
una collina con sole ed ombra
per riposare.
e, cristo,
più nessuna sofferenza.
più
nessun
dolore.
e non
ho
ancora
chiesto nulla.
Quel
che mi viene
Devo lasciar scorrere così,
che faccia la musica sola.
io soltanto scuotere due indici
e chiudere
la porta della
camera.
muoiono i poeti, muoiono come
tutte le
altre persone.
con la fatica con cui hanno
vissuto,
meriterebbero
di più.
infinitamente
di
più.
e invece si muore
come tutto il mondo
muore.
come muore la terra
come muoiono i fiori
che poi si trasformano e
fanno nascere alberi
forti e robusti
e questi alberi
sono i
loro figli
i figli
delle loro sofferenze
dei loro combattimenti
delle storie
inventate
di quelle blaterate
di mille sigarette
di panini imbottiti di
coperte sull’erba
di rutti di vino
e di vallate scoscese da respirare
Si muore come si muore tutti.
ma la vita
la vita
la vita
è
un’
altra
cosa.
profumo sulle pareti ed eterne rose
a conquistare
tutte quelle anime sgarbate
che mai ti hanno
degnato
di un sorriso
e i loro grugni
trasformati in paradiso
e gli uccelli azzurri e gialli
e tutte le corone
senza re
Che si canti la gloria, la gloria e
l’onore.
e tutta quanta la
stupidità.
e che sia amen e che sia così.
C10H12N2O
Oh, come si perde la memoria
quando la rabbia scopa con la stanchezza
e tutti i poeti slittano su lastre d’ipocrisia.
Non c’è scampo per chi non scommette
di secondo in secondo
sulla propria speranza
e un derelitto pirata giace nel profondo del fondo
di un avanzo di spritz che ora farò sparire per bene.
Ci fu un giorno che sarà ancora
dove il sole ci scalderà senza infastidirci la vista
e ci darà pure l’ombra per rinfrescarci
e una fontana dove bere acqua indaco
e rose che non pungono mai e nemmeno
sfioriscono.
Poi ci sarà da mangiare per tutti
e sempre e continuamente.
E il vino.
Poi altre cose ancora, che adesso non posso
dirvi
perché sono colto da un attimo di schizofrenia.
Un giorno ci sarà il mattino più bello
della vostra vita
e non dovrete affogare
nelle vostre frustrazioni
e riusciremo a perdonare.
Ma adesso, adesso
io mi trovo a galleggiare su una foglia,
dietro una rana, nel fiumiciattolo acquitrinoso
delle cose brutte
che la vita o chi per lei mi vomita in bocca.
Se un giorno scoreggiassi ottimismo
dal mio buco del culo
venderei palloncini colorati
ai bordi delle
balere
e
tornerei indietro
e
chiederei pure scusa
a tutte le vite
precedenti
ed
a quelle future
e forse una sera
tutto si fermerà
e tutto questo penare
avrà
un senso e
forse
non ce
l’avrà
e
ci sarà
un altro me
ad
incazzarsi al mio
posto.
Ecco.
Epsilon
Scintilla.
Brilla nell’universo.
Barcolla.
Come barcollo io, i
pantaloni alle caviglie.
Mi sento perso.
Allora le strade inseguono conigli e
gli arcobaleni si aprono
al
di sotto della terra,
dove le parole
non fanno
più
male.
Si mangiano sandwich
innaffiati di birra
e si rutta l’amore da dove
meno se
l’aspetta.
I paradisi ci sono, ma vanno
indagati.
Con occhio attento, scrutati.
Poi lasciarsi andare e fidarsi.
Che è meglio.
In fondo in fondo
c’è un oceano di paure
che ci rende freddi e duri come
cemento.
Scintilla.
Silenziosamente.
Se fai un balzo verso il cielo
quando il sole si
è spostato
(e spostato sei anche tu)
puoi toccare con mano la luce delle
stelle
e vedere che
gli scienziati non han capito un
cazzo
e loro invece sono ancora vive.
Io non ricordo chi ero,
né
se fossi stato
amato da prima.
Ho un vuoto nel petto
che nessuna psicologa
potrà
mai colmare,
tanto meno oggi.
Scintilla.
Brilla nell’universo.
Traballa.
Come traballo io,
quando ho
i jeans alle caviglie
e
mi sono perso.
39 anni di acidi lattici
Qualche volta
un dolore fisico
mi riporta per mano la
pazienza
che avevo chiuso
nello sgabuzzino.
C’erano scope ammassate,
stracci, pestini di legno al peperoncino,
mensole rinfuse, secchi di vernice…
Il nostro corpo è debole.
I muscoli del viso
gli unici sani.
Mi alleno
a sorridere.
Non è poi
così
male.
Maiestatis
E’ vero.
Siamo molto
egoisti.
Scriviamo quando
stiamo male,
per stare un poco
meglio o
per compiacerci
del dolore
Ma siamo
degli ingrati
Quando stiamo
bene
ci scordiamo
la poesia e
quanto ci abbia
salvato
e ci lasciamo
galleggiare dal
fiume di
benessere nel
quale ci
troviamo
Ne abbiamo così
sete.
Ne abbiamo così
fame.
E allora ecco
qui, ora me ne
sono accorto…
Poesia, questo è
per te:
Ti ringrazio per
non abbandonarmi
mai
Sei come Dio
Sei Dio
Ma senza misteri.
Mi sei chiara
Mi sei sempre
stata chiara
e io ti voglio
ringraziare per
i giorni che mi
hai donato
e per avermi
voluto
e ti ringrazio
se vorrai prolungare
anche un poco
questo strano
sconosciuto
e così pazzescamente
bello
periodo di sopportabile
dolore. Amen.
S. C.
Un bacio sul
terzo occhio
Il profumo di
una rosa
Le tue palpebre
che vanno e
vengono
Tu che arrivi
da un’altra
galassia
che noi qui
mai capiremo
Forse Dio ci
spiegherà
l’esistenza
e il tuo mondo
chiuso in una
carrozzina
sempre nella stessa
posizione
e cosa succede
nel tuo cervello
quando esplodono
i fuochi
artificiali
Io non me ne
rendo conto
Ma vedo dentro
le tue pupille
una specie
di profondo
profondo
profondo
Paradiso.
E forse è uno
specchio
di uno
specchio di
uno specchio
della mia
anima al
contrario.
O magari la
spiegazione
misteriosa
di tutto questo
mistero
che ancora
non si
risolve.
Riposo.
EPI
Portatemi fiori,
non opere di bene!
Quelle dovreste offrirle
già per conto
vostro.
Fatemi sentire
vivo.
Almeno da
morto.
ME
Colgo fiori di narciso.
Ma è freddo, piove e grigio.
E non ho calze, sopra i piedi.
Le ciabatte scivolano, scalzandomi
l’anima da eventi mortuari, lapidi muschiate,
da reconditi
sbiaditi meno o più
che hanno concimato le radici
di tutta questa
mia eterna, terribile
faticosissima
rabbia.
Non si va da nessuna parte.
Mi pare di camminare su sassi, ma forse
è qualcos’altro, chi lo sa, qui non
si vede nulla.
Ho abbastanza anni da dormire
rigirandomi di continuo
e svegliandomi affaticato
e più stanco della
sera.
Ho un cappotto beige di un mio
zio folle
che mi ruberanno soltanto
a discapito
della mia
stessa vita, ma non ci sono
avventori, solo un silenzio
contadino, magro tentativo
di
mascherare
l’egoismo che c’è qui.
Cristo è morto incompreso, e in vita
non gli
è andata poi tanto
meglio. Milioni di
vestiti ingioiellati in fila
ad adorare la sua povera consunta tunica.
Che paradossi, eh?
Così chissà se io sia davvero diverso, oppure
il virus dell’umano
non si stia riproducendo dentro di me
a velocità
interstellare…
Cerco fiori di narciso,
ma quel che m’importa di
me
non importa neanche
a nessun altro.
La piuma
Si appoggia, la piuma.
E’ dolce, la piuma.
Ricatta, la piuma.
Come un soffio leggero
vuole toglierti la pelle
dalla pelle
e un sombrero ad agosto
sarebbe ciò che ci
vorrebbe.
Domani sera sale l’incanto.
Oggi poco più di ieri
il cuore batte affaticato.
Chissà per quanti giorni ancora
continuerà a lavorare, chissà…
Una sera mi sveglierò da questo
sogno strano
e da morto assaporerò la vita
davvero
e mi godrò quel che mi ero
impedito
e forse sarebbe pure meglio
cominciare a farlo da vivo,
lo so.
Ma c’è da timbrare il cartellino,
pagare le ipertasse
il bollo l’assicurazione l’affitto
l’eni l’enel
il carburante la scheda carburante
il telepass il bancomat la carta di credito
il commercialista il cud il modello unico
l’immondizia la raccolta differenziata le due prese
della corrente bruciate i pazienti che aspettano di guarire i corsi
d’aggiornamento i chilometri da qui a milano e ritorno
e la prigione che i genitori del mio
amore le han costruito ben bene, come due formichine,
pazienti pazienti…
hanno levato la sua libertà
facendole credere di essere libera.
A loro due
Pinochet
gli fa una pippa.
Dov’ero rimasto?
Ah, sì, alla piuma.
Beh, ora come ora, ogni piuma a cui penso
ha la faccia
di queste due povere povere
povere
piccole egoiste
anime.
Perciò adesso mi
tappo il cuore, scendo
e mi faccio una frittatina
e
un bicchiere
calmo calmo di
merlot.
At Deus.
Dita
Dite, dita, dite!
Dite quello che siete
quello che fate.
Medio, alzati in piedi
abbatti il muro della
diffidenza
la rocca della
superiorità.
Dentro ci sta una
perla che è stanca
di brillare nel buio.
Dite, dita, dite!
Raccontate le gesta
idiote
di un guerriero
sconfitto
che ora
si è rifugiato
in una
grotta come
un eremita,
al caldo
del pelo
dell’orso in
letargo.
Dite, dita, dite!
Scavate nel peso
di chi ha una coscienza
collettiva
e non dorme e non
riposa
e ha dolori alle
articolazioni ed ai muscoli
tutti…
Date carezze e sfiorate
l’anima sua.
E che Dio
lo abbia in gloria.
Omnibus
Sono una vispa pensionata di ottant’anni
sono un operaio immigrato con permesso di soggiorno
sono un immigrato clandestino
sono un primario di oftalmologia
sono un musicista di professione
sono un parrucchiere
sono un manager laureato con 110 e lode alla Bocconi
sono un muratore
sono un vigile urbano in pensione
sono un ladro
sono un impiegato delle poste
sono un baby pensionato
sono uno studente delle superiori
sono una studentessa delle superiori
sono un laureando in scienze delle comunicazioni
sono un operatore ecologico, una volta chiamato “spazzino”
sono un giocatore d’azzardo
sono un senza fissa dimora
sono un cocainomane
sono un alcolizzato
sono un autista privato
sono uno psicologo dell’età evolutiva
sono un proprietario di un’industria di materiali edili
sono un assessore di un piccolo paesino di provincia
Sono una vispa pensionata di ottant’anni.
Siamo tutti passati accanto
al corpo di una donna esanime,
sbattuta a terra dal pugno di un ragazzo.
E non ce ne può fregare di meno.
Natanti
Cantano i cigni cantano
il loro ultimo strappo
Vorrebbero portare te
a varcare il portone
dell’inverno
Cantano i cigni cantano
il loro fallimento, la
loro codardia
tagliare quel cordone mai
piuttosto imprigionare
pagare ancora e ancora
e far pagare
E’ amara la vendetta
sa di rigurgito ingurgitato
sa di escherichia coli
di brodo primordiale
sa di nausea
sa di inceneritore
Con le facce nere
della noia
si avviano palpeggiando
vetri
le loro impronte unte
svaniranno in una sera
quando l’ultimo sole
avrà scorreggiato
il big bang di
Bellezza.
Meglio di niente
troppe volte sto dicendo “sto bene”,
sfidando il mio senso fobico di
superstizione.
e tra le opache solitudini mi sento
meno di nulla
e al contempo una specie
di guerriero che
resiste.
sono un guerriero che
morirà.
ma non di
morte propria.
ora capisco l’eroismo che ci sta dietro
la sconfitta
in battaglia.
non alzo più la bandiera bianca.
non sventolano più
le mie mutande.
o la mia vita
o
nulla.
Questi poeti
La luna è una lampadina
piena di macchie scure.
Credo sia vitiligine al
contrario, non so.
Ma a volte mi sembra di
vederci l’Italia,
tra quelle ombre.
Forse c’è davvero un’altra Italia.
Un giorno ci vado, a vedere!
Magari si mangia pasta al
pomodoro e basilico, ma il pomodoro
non è acido.
E non si sciolgono i bambini
nei barili.
E non ci sono persone, dentro
ai muri
delle case.
E può essere che le pensioni
siano eque, come le
tasse, e forse tutti le pagano.
E le banche proteggono i soldi,
e non ti propongono investimenti
per le
loro tasche.
E, io lo so, nell’Italia che c’è sulla luna
tutti possono scrivere poesie
come vogliono,
perché non c’è vero o sbagliato,
e tutti si emozionano e
nessuno
insegna a
nessun altro e
tutti sono felici.
Ecco.
Ma io vivo qui.
Perciò ora chiudo questo
breve racconto scritto verticalmente
e lascio spazio alle poesie in versi,
che sono le uniche
poesie
vere.
Fenici
Ci affatichiamo
a vicenda
lapidandoci di pessimi umori
antichi.
Come fenici bizzarre
rinasciamo dalle ceneri
(dell’altro).
Non abbiamo bambini
appesi al becco, perché
non siamo cicogne
e gli spazzacamini non
ci salutano dai
comignoli.
Lucignolo si accende un
sigaro
mentre il carrozzone
del paese dei balocchi
arriva con le sue
lanterne ciondolanti a salutare la
notte.
Qualcuno lavora sodo
senza scaldarsi
senza sapere perché e come.
Qualcuno pensa sia giusto,
sgobbare senza farsi
domande.
Qualcuno è fascista.
E qualche “antifascista”,
pure.
Di tutta un’erba
non stringo che un minuscolo
fiore
seccato.
Pensionamenti
L’inps è in debito, col mio cervello, eccome…
Dovrebbero dargli un sussidio, qualcosa.
E’ una specie di motore mai fermo, si
preoccupa per gli altri (senza che gli altri lo sappiano),
non dorme mai la notte, mai
e poi sta in ansia perenne, e non è mai soddisfatto,
non pensa mai a compartimenti stagni,
non abbraccia mai ideali
preconfezionati.
Paga lo scotto di ansiolitici su ansiolitici
e crisi d’astinenza quando cerca di
abbandonarli.
L’inps è in debito, col mio cervello.
E’ sempre a un passo dal fondersi e
(per ora) non fonde
Buon viso a cattivo specchio
tira le rughe in maniera
naturale
è uno stacanovista e in ferie
non ci va
E quando sorella depressione lo sbatte contro un
muro di escrementi a forma di drago
lui si cerca sempre una motivazione
(sia anche la paura stessa)
per resistere ancora una volta
ancora una volta.
Mi piacerebbe invecchiare.
E invecchiare come Leonard Cohen,
che a 76 anni suonati
se ne va in giro per il mondo a tenere concerti
quasi ogni sera
stupendosi di non avere più
quel malessere indegno che l’ha sempre accompagnato
e che psicofarmaci
e droghe
non lo avevano mai nemmeno parzialmente ferito.
Ecco.
Una vecchiaia serena.
Mi pare un diritto, vero?
Allora, Inps: me li dai i
soldi
o no?
Intorno
…e cosa c’è, intorno,
qui intorno…
cosa ci perdiamo, momento per momento..
il paradiso esteso ad ogni angolo delle
strade,
la pace di un sorriso,
la stretta di una mano e le carezze sulla guancia
che ci da chi ci sopporta ogni giorno
con perseveranza..
intorno a noi, sì, proprio
qui intorno,
ogni attimo ci perdiamo…
abbiamo un soffitto di stelle
della legna che arde
o un abbraccio
inaspettato
un libro regalato
ecco, fate in modo di non perdervi
più tutto questo,
e vi prego, ogni
volta che mi lamenterò
ricordatemi di avere
scritto questa
poesia, anche se m’incazzerò
e negherò tutto.
è qui, proprio qui
intorno,
ogni attimo, ogni secondo
a volte basta una serie di fotografie
in celluloide fatte scorrere velocemente
davanti ai nostri occhi
e captare il senso,
cioè che ha torto W. Allen,
la Vita ce l’ha un senso.
eccome.
bevetevi la spiaggia, granello per
granello.
finché siamo qui,
è tutto
gratis.
dovremmo andarcene avendo vissuto solo i dolori?
e chi l’ha detto?
un vecchio inacidito che ha vergato su
pergamena il proprio rancore?
vecchio come il vecchio testamento.
non ascoltatelo.
è il nuovo, che regala la vita, senza meriti.
un regalo dietro l’altro, senza
meriti.
bevetevi la spiaggia, granello per granello.
finché siamo qui,
è
tutto
gratis.
c’è forse
di
meglio?
Passeggiata
Sulla strada
che porta al
niente
C’è un sassolino
I piedi sono nudi
Un’ape cerca il
miele sopra il
pelo dell’orso
Odio l’idea
dell’anno scorso.
Rilasciano tutti
le stesse
dichiarazioni:
“Io sono sereno”.
Sereno?
Hai rubato,
ti hanno beccato,
e sei “sereno”?
Mi stai prendendo
per il culo?
Si attendono
mutamenti.
Il piede si appoggia
sul sassolino
Ma Domani è un
altro, ipotetico,
identico,
mattino.
07/06/10
La libertà è sovrana
di far come ci pare...
La metrica allontana,
o è un puro avvicinare?
Di sabbia granellini
ancor c'è da imparare
siam nati piccolini
e ognun ci può insegnare.
Importa solo il modo
con cui il maestro spiega:
sbucciare un uovo sodo,
tagliare con la sega.
Ma basta la dolcezza
data con le parole,
un pò di tenerezza
è quel che ognuno vuole...
Per questo ora mi stoppo,
perchè niente ho ho da dire,
ed evito un intoppo
baciando il divenire.
Perla
La perla
(si è soli, sai? si è troppo,
troppi soli,
sai?)
che giace
nel buio oscuro degli
abissi
non si apre
non si mostra
nemmeno agli animali ultraterreni
dagli occhi finti
e dai mille colori
trasparenti
La stanza è al contrario,
le teste verso nord, come vuole
la buona cultura della cina
i bonzi di riace
Ma nei polmoni mi entra aria dal passato
la perla resta chiusa
e non dice e non
parla
e non
si esprime
E così restiamo soli.
E come ci si sente soli quando si sta con
qualcuno, non ci si sente soli mai…
Allora arrivano le parole,
un universo intero di
parole
a sentenziarti il momento
a mascherare il paradiso
a rendere folle ciò che non lo è
ed a salvarti dal precipizio
Parole che ti soffiano in volto
quel che vorresti e sai
di non poter capire
Perché la Magia è il Caso
che esprime un’
Emozione
con frasi che paiono
pescate
da un
manicomio.
La salvezza, invece, è
proprio qui.
(E così Arnold se n’è davvero
andato
e,
ancora una volta,
Harlem ha perso
contro
Manatthan).
Quando anche
Quando anche vorresti
fiorissero le parole
o un treno arrivasse puntuale
quando anche due sole ore senza problemi
un medico gentile
una parola di conforto
quando anche qualcosa avesse
la potenza di cinquecento sostanze che stupiscono
senza però introdurre nulla
all’infuori di noi stessi
quando anche un sorriso inaspettato
un obolo da rifiutare
un giornale di domani
una sfera ellittica
un universo glaciale
un sole paranormale
una bibita operosa
una strusciata di lino
un cassetto di paglia
un fuoco di cascina
una famiglia che dorme
un contatto staccato
una lampadina luminescente
un litro d’aria
una boccata di pace
i polmoni si sgonfiano
si inspira a fatica
e le poesie non mentono
checché se ne dica
quando anche vorresti
un soldatino di gomma
una piramide opalescente
un cazzo di niente
breve silenzio pietoso di completa
guarigione
passeggiare nel parco che ci avrebbero
costruito
chissà dove
quando anche un paio di
piedi nudi che non sudino
calpestare erba fresca
e bere rugiada fino ad
ubriacarsene
io lo avrei anche un prototipo di paradiso,
credo,
ma
(chiedo scusa)
me
ne
sono
dimenticato.
Orca
lampeggiano dannazioni su scritte metropolitane
s’incendiano i negozi, le insegne al
neon
e via dicendo
una babele di clacson e vaffanculi
e smog e petrolio pagato troppo caro
e qualche merendina chimica sparata
direttamente endovena
rari i riposi.
piuttosto costruire qualche cosa.
mai dormire mai stendersi.
mai. mai.
fare i molto furbi.
pagare poco lo stato.
prendersela con gli extracomunitari che fanno quel che
noi nascondiamo a noi stessi
passare le cene a (s)parlare del vicinato
e credersi i migliori dell’universo.
senso di vuoto.
piuttosto che questo
meglio la dignità sottopontina
meglio l’elemosina ai piedi delle chiese
i voti alle madonne che piangono
il primo segreto di fatima è una vera balla, credetemi!!!
l’inferno non esiste
è stato inventato cent’anni dopo i vangeli canonici…
io credo solo in cristo.
la vita eterna è qui ed ora.
i miei piedi stanchi.
il bisogno di arrendermi.
la voglia di un poco di tranquillità.
sanguineti è morto
ora potrà ballare certo che non gli esploda il cuore
non ci sono virgole
non metto virgole
è una scelta non una sbadataggine
forse un vezzo l’unico che mi sia rimasto
per giocare un po’ all’intellettuale e non farvi
capire che gli unici miei libri
sono i giorni che passano
che si cuciono alla pelle con un certo discreto
dolore
le luci abbagliano
le città mentono
le briglie si sciolgono
le dita battono
le tastiere fremono
i bicchieri si versano
le ombre si rischiarano
ma io
ma io
ma io
non ho ancora
pace.
Stanco
stanco di
essere stanco
mi trascino
da una notte all’altra
da una delusione all’altra
un giorno con un altro
gioca a carte e perde, perde,
perde tutto
certo sono tempi differenti da quando compivo gli anni
camminando solo
per le rive dell’
Adda
ma le estati passano
e la
forza
diminuisce,
come per i
vecchi
munirsi di Tena
per l’evacuazione antero-posteriore
e
un sottobosco di
ponti parigini
sopra i quali
sospirare
lodi lontane
e forse
qualche
ennesimo
imbroglio
le redini tirano
le remiganti
si accorciano
le lumache non
sopravvivono
in veneto scaracchia vento
e non ci si
ripiglia
dall’ennesima
proboscide allungata
nel tentativo
di afferrare
un dunque
perciò si sta all’erta
ma si scivola,
si
scivola,
si scivola e
si cade e
ci
si fa
male
e per tutto questo nemmeno
un bottone
d’inverno
nemmeno
tutto
l’inferno
un piromane in paradiso
farebbe meno danni
di un avaro nell’amore
qui.
Buba
A Buba gli si è rotta la casa di pietre e letame…
Tutto il paese è accorso in suo aiuto.
le banche hanno fiutato l’affare
costretto ogni nazione alla schiavitù
del costo del denaro.
la pancia piena dell’america
soffre di stitichezza
e tutto puzza d’imbroglio
come la scusa che ora la spagna (e presto il resto
del mondo) sia
in crisi per colpa della grecia
che magna
i denari
evitando di pagare accuratamente le tasse
e poi investe il 5%
in armi da guerra
bene.
che spettacolo meraviglioso.
L’Umanità.
una volta mi bastava vedere un elefante umano prendere il
tè alle cinque
in una giornata piovosa inglese
per essere felice.
c’era una famiglia fatta tutta di elefanti su due zampe.
e tutto pareva andare bene.
ma l’austerity era terminata da poco
e ancora si sguinzagliavano gli asini
e
i carrettini
e si smerciava in stracci e ferrame
che per qualche anno è andata pure bene, ma adesso…
adesso crollano gli aerei
le compagnie aeree
mi ricordo dei ricordi di Bukowski
sulla
crisi del ’29 e non vorrei fare il profeta pessimista
ma ho il dovere, sento
il dovere di
ricordarvi che la vera crisi
è esplosa molti anni dopo il suddetto ‘29
e c’era poco da scherzare
coi mariti padri a far finta di uscire al mattino
per andare a lavorare
e invece rintanarsi nell’alcool
e
tornare la sera
sbronzi
a vendicarsi sulle mogli
e tutt’altro che solidarietà, anzi…
c’era mors tua vita mea o come cavolo
si scrive
e poi l’america coi tre soldi dell’esercito
è scesa in guerra sapendo che poi avrebbe mietuto
crediti ovunque
e altre Aviano in ogni stato civile europeo
e così, come si suol dire,
non so come finire.
però a salvarci il sedere ci pensano i mass media
a ricordarci ogni giorno che nel 2012
ci sarà la fine del mondo (…)
che poi, se continua a spurgare questo maledetto petrolio
a 1500 metri di profondità nel golfo
del messico io credo che i calcoli maya si dovrebbero anticipare
e poi
comunque c’è sempre l’asteroide nel 2011.
alè.
abbiamo ancora qualche secondo per puntare,
prima che
rien ne vada plus…
com’è?
Melancolie
abbassare il volume
inclinare la testa
costringersi a planare
fino all’appoggio
dei piedi
sulla terra
obbligarsi alla resa
(dei conti)
aspettare il placarsi
invano
delle streghe notturne
che scrutano dietro vetri opachi
dell’infanzia
qualcuno offre di più.
sentiamo.
un’orgia di orecchi tesi
all’ipocrita ascolto
gingillando l’opuscolo degli dei
svolta e si rivolta
e sale la discesa
verso il portone dell’inferno
a cosa serve scrivere poesie?
e la musica?
forse a sedare la voglia di riscatto
e di rivalsa
ma qui
non si seda proprio un
cazzo
e allora dov’è l’errore?
pensavo di aver epurato
tutta la rabbia
ma il mio stomaco imperversa
di inchiostro simpatico
e basta un fioco restare
ad illuminare
la banda degli idioti che
ha cambiato i binari del mio
treno
ed io, lì,
a guardarli tirare sassi,
senza fare nulla
pensando che
forse, porgendo l’altra guancia….
chi ha tirato il filo
mi fa girare
come
una “trottola”.
che, non per niente, a milano
si dice
“pirla”.
salute.
Who’s san giuseppe?
Striscia san giuseppe
sulla via della polvere
imbrattato
dal passo sollevato
dal santo spirito
che ha ingravidato
il suo amore
I polmoni respirano
asbesto e il suo
cuore è
affaticato dal
dispiacere,
dal non capire
striscia san giuseppe
radendo la follìa
di un tocco
impossibilitato
Nemmeno la testa
poggiare sulla spalla
del suo amore
Tutto è impedito
da un disegno
macabro che secondo
la famiglia di lei
verrebbe dall’alto.
E, come ultima
ingiuria, l’essere
passato alla storia come un
personaggio per lo
più insignificante.
Un comune,
innocuo,
generico,
semplice,
sconosciuto
falegname.
Martire.
Vengono
vengono a trovarmi
sensazioni orribili
nessuno le ha invitate
si siedono ai tavoli
e s’ingurgitano ogni cosa
senza distinzione
o rispetto
qualcuno ha alzato le mani in segno
di resa
ma dalle mura non cade olio bollente
soltanto cadaveri
scesi come marionette
un'altra faccia della luna
qualcosa che si avvicina
all’aria irrespirabile
del cuore antico
batte battiti di prolassi mitralici
cose ovvie e ripetute
allunghi di trecento metri
e passaggi posturali
verso confini inauditi
piovono le parole
quelle dette
e
quelle trattenute
quelle trattenute fanno male
stringono alla gola
domani devo lavorare di nuovo
ma il bicchiere mi guarda e
mi domanda
“che si fa?"
oggi provo guerre e disastri
completi
e
una
sensazione
di
totale
ingiustizia
come metropolitana che scorre
e non guarda al
piede che vuole entrare
chiude le porte
ti pressa la mano
che tiene l’ombrello
e
tanti altri pensieri
la gente pensa a sopravvivere
e tiene le clausole nel breviario
dei sapori
incustoditi
domani si farà
un’altra guerra
un’altra finzione
sempre buon viso a cattivo gioco
sempre
buon
viso a cattivo
gioco
sempre
buon viso a cattivo gioco
ci siamo tanto stancati
tanto affaticati
da
dimenticarcene.
Nascondino
si gioca sempre a
nascondersi
dietro qualche filo d’erba
si aspetta sempre di essere soli,
per piangere.
un “vero uomo” non si deve commuovere.
mai.
gran bel mondo,
abbiamo allattato.
un forcipe per
psichiatri imberbi.
si corre per le strade, si urla
dai clacson,
si maledicono le code ai carrelli
le attese al ristorante
e tutte queste cose qui..
su me e su te
l’accento non
c’è
perché la via è lunga,
la via è troppo breve,
perché le stagioni
sono un’inezia e non facciamo in tempo
ad inspirare
che già
spiriamo
la speranza è una virtù che non ci si addice,
eppure
io l’ho
amata.
di amore
eterno.
La forma di mio cugino
Ha la forma di
mio cugino alessandro
Si ripete sempre
uguale,
come per Totò il
Caporale.
Parla solo di auto
e di calcio, perchè
il resto è da
finocchi.
E ce l'ha con
tutti i diversi.
Sei culattone
se scrivi poesie,
sei culattone se
ammiri le donne,
sei culattone se
ami la musica,
sei culattone se
leggi i libri, sei
culattone se hai
un'idea personale
delle cose della
vita, sei culattone
se mostri timidezza.
E via discorrendo.
La forma di mio
cugino alessandro
non appassisce mai
Essendo merda,
concima e si rigenera.
Sempre uguale a
se stessa.
Avrà altri sederi
e pacchi da toccare
di nascosto, ma
sempre la stessa
puzzolente risata e lo stesso
sibillino agire
nel sottosuolo.
E lo stesso,
unico, malcapitato
neurone.
A rimbalzare tra
la scatola cranica
vuota
e il cuore
bucato.
Che
spreco.
Paris
in un sogno Vincent scriveva colori
spalmandoli con le dita
senza un solo soldo in tasca
deluso dalla gerarchia vaticana
divorava tele che espelleva dal suo
dolore
e poi c’erano uccelli notturni su campi di grano notturni
e la leggenda del
santo bevitore
ed i pernod
scolati all’inferno dei vinti
e molto altro ancora
come qualche sedile sguarnito
in un teatro di provincia
e la speranza di
venire ascoltato un poco
e la disillusione di poter essere da luce
a chi si è scelto il buio
o l’ha subìto
comunque sia
restare seduto per non avere reflusso
gastroesofageo
e via dicendo
coprirsi col collo del giubbotto
e sperare che al circo di praga non
piova
e gli animali siano sfamati
come da dovere
e un giorno le canzoni passino per le radio
cantate da altri
più meritevoli e noti
e magari qualche premio di
provincia
e le mani che non tremino
e possano ancora
lasciarmi
lavorare in pace
e che sabrina si sbrighi a
concedersi alla vita
e
magari
un poco
anche a me.
Per fortuna
E a scrivere
“per fortuna” ci
si azzecca sempre.
Qualche volta
bersagliati dai
piccioni veneziani
altre volte bloccati
nella neve del
Cadore
o quando un cervo
esce dal bosco
e fermo, nel
silenzio bianco,
ti guarda.
E ti accorgi che
è lui lo spettatore
e sei tu
l’estraneo.
E poi catapultato
in una città
frenetica dove
per aperitivo si
beve la
maleducazione
e l’ottusità.
Io dico che non
è un caso
che il cuore
non sia
comandato dal
cervello,
altrimenti
quasi tutti
moriremmo
d’infarto
già da bambini.
E’ così
Possiamo risorgere ogni istante.
Desiderare i bisogni.
Ottenerli.
Per noi e per gli altri.
La Felicità
è
a
un
passo
da
Qui.
Questa rabbia
Eh, sì, sì….
con questa rabbia
che mi graffia i denti, mi
ritira le gengive e
presto mi cadranno i
denti
con questa rabbia che strozzo nello
stomaco ogni benedetto giorno
sotto forma di arrendevolezza
a forza di fingere ci sono
cascato
ed ora quasi
nemmeno più spero
(dio che bestemmia!)
in questo pezzetto di
futuro che mi manca
ogni volta che raggiungiamo
un mattino, ne vorremmo
subito un altro,
più bello.
è il genere del genere umano.
soldati portati a spalla dal signore dei
moscerini
e qualche volta
parvenze d’amore
nemmeno il bicchiere di whisky
mi pare volermi più bene
lo deglutisco ma non
mi fa effetto
la sofferenza del decadimento sociale
è più forte
di
un calcio nei
coglioni
E lo so che dico sempre le stesse cose,
che ci posso fare?
sarà perché scrivo
solo quando sto
in una certa maniera…
una volta lo xanax mi rendeva felice,
ora è solo
come acqua tiepida riscaldata
male
la gengiva superiore sinistra
stasera gioca a nascondino
e a me viene in mente
mio nonno Eligio
e mi chiedo che cazzo abbia fatto
della sua vita
poi per fortuna mi ricordo
di un suo sorriso
il giorno
prima che morisse
e questo mi basta per crederlo
felice, ora, cosciente degli errori
del suo tempo.
oggi mentre andavo per le vie di
treviso a lasciare i libriciattoli di poesiucole
non ho nemmeno dovuto
nascondermi quanto mi ero
immaginato, perché a rendermi
invisibile
ci pensava la gente stessa.
c’era uno che lanciava libri sulle panchine,
e nessuno si accorgeva di nulla….
anche la gengiva superiore destra
non è male, quanto a ritiro
sembra di stare a mont saint michel
prima della sera…
tocco i denti con le dita, li sento muoversi
come barchette di carta nello stagno
di una casa di
riposo
e mi chiedo come sarò, se avrò l’onore di
invecchiare…
dio mio,
ragazze,
non
diventate infermiere!!!!!!
Per favore
mangiano e mangiano
e bevono e bevono
e spendono e spendono
e si ubriacano e si ubriacano
e sballano e sballano
e hanno gli occhi più tristi dell’universo
accumulano e accumulano
e non spendono e non spendono
e non usano e non usano nè sapone o acqua calda
e non si fidano e non si fidano
perché tutti sono qui soltanto per fregarli
e hanno gli occhi più tristi dell’universo
non hanno e non mangiano
e non hanno e non bevono
e non ci sono tetti e non ci sono
vestiti ed i loro bimbi muoiono e
per mezzo bicchiere d’acqua
taglierebbero la gola a te e tutti i tuoi figli
e hanno gli occhi più tristi dell’universo
pregano e pregano
e si pentono e si pentono
e portano e portano mutande di cilicio e
pagine di josemarìa escrivà
e toccano e toccano
e negano e negano
e hanno gli occhi più infelici dell’universo
credono e credono
nel Dio dell’Amore,
cristiani di cristo e di cristo solo
e non cattolici non cattolici
e sperano e sperano e dubitano e
dubitano
e hanno gli occhi più tristi dell’universo
non credono e non credono
in nulla che non sia nulla
che non si possa toccare con mano matematica ed
emisfero cerebrale sinistro
e tutto è arrivato per caso e senza senso
e per caso e senza senso scomparirà
e hanno gli occhi più tristi dell’universo
amano ed amano
l’amore cosmico e l’amore in se stesso
e si nutrono e si nutrono di vegane sostanze
e percepiscono e percepiscono
auree ed energie
purchè non siano contatti che assomiglino a
quelli umani e
basilarmente quotidiani
e hanno gli occhi più tristi dell’universo
Ora vorrei capire.
Capire il significato.
Il Significato di tutto.
Di tutto questo.
Potete spiegarmelo, il senso?
Potete,
voi?
Per
favore?
Reflex
Pensare con la propria testa:
sempre.
Faticare come una bestia, per riuscirci:
sempre.
Rischiare di non venire compreso:
spesso.
Essere un profeta scalzo.
Sentire i cocci di vetro tagliare le piante dei piedi.
Continuare a camminare.
Comunque.
E ovunque.
La strada
mi porti.
La Domenica dopo le Palme
risorgo ogni mattino,
nel secondo pericoloso in cui il piede destro
tocca il pavimento infreddolito.
risorgo tutti i giorni,
sperando e sperando e sperando,
bocca cucita all’ingenuità.
risorgo con la testa dal fango,
quando i farmaci non servono più a nulla
e la fiducia è un grappolo emorroidario
cerebrale.
risorgo ogni notte,
dopo aver spento la macchina
scrivente con le immagini che parlano e suonano
l’eco di gente lontana lontana.
risorgo con la luce spenta,
con la luce accesa,
con i marciapiedi bagnati, i lampioni esplosi,
con le impalcature dei muratori,
i lottatori di sumo, la pasta per
il sugo, la Noce che ansima sopra al mio
letto,
risorgo per chi è sconosciuto e imperfetto.
la domenica dopo le palme
non è una domenica,
è tutti i giorni.
Cari.
Istantanea
Ora vedo un ponte.
passi strascicare volti attoniti.
c’è anche della pioggia,
non so dove mi trovi.
l’acqua è fine e distoglie la vista.
potrebbe essere Parigi,
les bateaux mouches…
o la porta dell’inferno.
eppure c’è aria che tira
come un pugno gelato,
messo da parte, conquistato.
si cerca di proseguire a tentoni
qualcuno zoppica dietro le risa
altri si rintanano
al caldo di un bicchiere di
anice stellato
che trapana l’esofago e s’infiltra tra le
arterie
come un dono inaspettato.
e poi quel pianoforte tanto atteso,
mai compreso, gli applausi
e le canzoni alla radio
e tutto questo pallido sogno
che si spreme le meningi
e si sforza di
baciare in bocca il giorno
come fosse di realtà.
la verità crocefissa.
un giornalista dietro la scrivania,
al suo posto, il caffè annacquato.
due righe di contenuto
e molte fesserie a condire una balla colossale
come i piedi nel deserto e le tentazioni
sopra i sassi
mangerò pane azzimo anche se mi fa schifo perché
è senza sale,
porterò il mio cuore oltre la riva e scavalcherò i confini
quando anche un’anima sola cederà alla fiducia e comincerà a
Vivere.
non sei tu che scegli l’Arte.
è l’Arte che sceglie te.
è una primadonna viziata.
ti prende così, a caso, e non ti molla più
pretende
pretende e pretende
anche se non sai fare nulla, se non sai scrivere, non sai suonare
pretende pretende e ti occupa il cranio
e non ti lascia il respiro e ti bacia di frustrazioni
di decrepiti narcisismi.
..un malcelato gratta e perdi.
signori, chiudete gli occhi:
domani
non è un altro giorno
e,
francamente,
non me ne infischio.
Democrazia 2
Dovremmo ricordarci:
che a tutti puzza il fiato,
che tutti vanno al cesso,
che ognuno ha avuto almeno
un episodio diarroico nella sua vita,
che nessuno è esente dal dolore
né dalla malattia
e nemmeno da questa sorellastra indesiderata
che si chiama “morte”
e ci fa tanta paura.
Dovremmo ricordarci:
che tutti abbiamo sogni frustrati,
che ognuno è diverso,
che le abitudini di chi amiamo
difficilmente le capiremo,
che i figli sono come i genitori
e
che i genitori prima erano figli
e figli non smetteranno mai
di esserlo.
Dovremmo ricordarci:
che non ci sono più le stagioni,
che si stava meglio quando si stava peggio,
che mille e non più mille,
che piove governo ladro,
che non si vedeva un’estate così afosa dal millesettecento,
che non si vedeva un’estate così piovosa dal millesettecento,
che i giovani non hanno più rispetto dei vecchi
(ah, a proposito, conoscete un vecchio che abbia rispetto dei giovani?
in caso di risposta affermativa, citofonare “Pozzi”, preferibilmente ore
pasti).
Dovremmo ricordarci:
che siamo molto miseri
che insegnamo benissimo agli altri ciò che
non sappiamo fare per noi stessi,
che i traguardi raggiunti non ci bastano mai,
che non è possibile vivere come i bonzi buddisti, senza
desiderare.
perché se smettiamo di desiderare
smettiamo di essere Vivi.
E infine dovremmo pure ricordarci che aveva ragione
Madre Teresa,
e cioè che qualsiasi cosa tu pensi, dica e faccia,
ci sarà sempre qualcuno che
parlerà male di te.
Non importa.
Tu
Pensa.
Parla.
Fà.
C’è
c’è stanchezza
c’è irragionevolezza
c’è sudicio da scansare col bordo dei pantaloni
ogni giorno sulla strada
nei giornali
un ragno che rammenda calzini
in disuso
con la sua saliva impavida
c’è il fanatismo religioso
che calpesta pietre inumidite
di ateismo
c’è violenza nel vaticano
violenza nella giustizia
c’è potere nel potere
ingiustizia nell’ingiustizia
polvere nella polvere
c’è una chitarra che suona una canzone che
amo sopra ogni cosa
e una voce di donna
che non è più qui
che non ho mai conosciuto
e che ora respiro
c’è una poesia appesa ad un cartello
che genera scompiglio
e prese per il culo
bene.
la poesia
ha ancora
un effetto, allora.
c’è uno stivale sgangherato di capitan baracca
sotto impavide onde oceaniche
dove nemmeno il titanic
ha mai osato inoltrarsi
c’è l’iceberg dei nostri cuori
assiderati
la matrigna alleva cuccioli
per prostituzione
c’è l’arciprete il santone l’imprenditore
la prostituta bagnata dal nubifragio
lo zoccolo duro del presidente
c’è chi non gliene frega niente
chi odia talmente berlusconi da non rendersi conto di amarlo
più di fede
(che di religione)
c’è l’oppio dei popoli centroamericani
e chi distrugge i sogni con le proprie
mani frustrate
colpevole più di chiunque altro
c’è il quinto reich e le sue scope di ottone
i venditori di ferro battuto i rimasugli
di un orgoglio regionale stagionato diventato aceto
putrido
e ritorniamo
al primo camminare sulla luna
quei passi falsi mal studiati
ed i principini del grande fratello che svengono
in diretta coi nasi imbiancati di strisce di vuoto
cerebrale
questi gli idoli che oggi ci meritiamo
nessun santo ufficioso.
sporco.
sporco ovunque.
servirebbe una passata d’umiltà.
ma è più rara di una promessa
d’amore eterno.
passo e chiudo.
Novità
Ora ce ne vorrebbe una nuova.
che scandalizzasse e facesse pensare.
una che andasse oltre i due grog pregni ingurgitati.
Una che spaccasse i vetri dell’infanzia e della
vergogna di mostrarsi
per quel che si è.
Ora ce ne vorrebbe una che vincesse tutti gli oscar del mondo
e facesse soldi a palate
per poterli regalare
alle panchine
fredde
di modo che facciano
da coperte elettriche
a chi di gelo
ci muore.
ora ce ne vorrebbe una che spaccasse i cuori
di chi
si è venduto all’inferno
dello spettacolo
in cambio
di una vanagloria terrestre.
una che demolisse il cielo
e tutte le sue possibilità.
una che squarciasse gli epitaffi tombali
di chi si crede ancora vivo.
una che si protraesse oltre l’universo
e non facesse venire i piedi freddi
senza ciabatte.
ora ce ne vorrebbe una
che andasse oltre le galassie interstellari
ed abbracciasse l’universo intero.
una che regalasse un libro ad un analfabeta,
un letto caldo ad un senza fissa dimora
una che andasse oltre le frenesie dell’arrivare
una che si incarnasse in due braccia
che abbraccino senza finzione.
ora, forse,
ne basterebbe una che fermasse
il giramento di
questa mia testa
e facesse pace
con quel che la natura
e dio stesso
hanno incrociato
partendo
da un volvox
di un brodo
primordiale
senza dadi
vegetali.
Buonanotte, cari.
Holodomor
stipati in stie morenti
davamo fuoco allo stomaco,
per non bruciare
ci lasciarono ossa sulle strade
dopo aver ammazzato tutti i nostri campi,
il nostro grano.
dopo averci resi cannibali
con la carne
dei nostri cari.
ma il dittatore aveva deciso.
nessuna pietà.
nemmeno per i suonatori.
cadaveri ambulanti che non riuscivano
a spostare cadaveri cadenti.
la mia ucraina che si assopiva
di una morte lenta
e silente.
mi fa paura rivedermi
riverso
sul selciato
brucato da vermi e mosche.
ma paura più forte
mi uccide ciò che ora sono
quando vedo
questa gente
ignorare.
Venne così
Passò come il soffio di
un flauto traverso, come il peso
delle zampine di un colibrì…
Tutta la neve poggiata sui binari.
Le ossa sporgenti.
Voi non potete ricordare, non c’eravate.
Si marciva dentro, animali imbestialiti,
avremmo ucciso nostro padre, se ancora avessimo avuto
denti.
Al terzo passo si cadde a terra come un manto rosso porpora.
Ferro battuto sulla schiena.
E poi sputi .
E risa.
Ci fu qualche tonfo vuoto,
un rimbombo di grida, ma tutto era vago, tutto era
vago.
Nella vanità dell’esistere, qualcuno aveva
toccato tasti inauditi.
Wagner era solo una scusa, come i cani lupo.
Le donne…Le donne non vi dico.
C’era una stupida malvagità…Non è che poi mi riesca a
spiegare molto bene…
I miei piedi nudi sono ancora lì,
che aspettano il quarto passo.
Io sono caduto per uno starnuto.
Così.
Dritto dietro alla nuca.
Improvviso.
Però ho visto il sole,
prima.
Sì.
Ho
visto
il
sole.
Ancora ora
Ancora adesso
faccio sogni
in cui devo pagare
affitti di case
non mie
mai state mie
E ricordo la fuga
da me stesso
e i 320 km di distanza
E tutti gli anni
a venire
cosparsi di lavoro
non stipendiato
sull’Anima
E se sorella depressione
dovesse di nuovo
sfondare la mia porta,
mi dispiace, vi giuro,
sarà per l’ultima
volta.
Ti sei vestita di viola
Ti sei vestita di viola
per venirmi a trovare.
Puzzi.
Come i miei sensi di colpa,
come la vecchia all’angolo,
che vende fiori appassiti.
Per tutti i primi di
novembre a Parigi.
E dentro mammelle di stelle,
circola il colostro della
via lattea.
Potessi toccarla,
potessi crederle…
Domani arriva come un botto e come
tale
scorre e se ne va
neanche se fosse il re sole.
Ci sono lampadine sopra i lampioni e neve che luccica
sotto i marciapiedi.
Scivolano le scarpe dei viandanti,
le gomme
dei
proletari.
Non ci sono più mascelle libere,
né possibilità di confronti.
Una sola piattaforma dove tutto viene
rigurgitato.
Sotterrato.
Il funerale si svolgerà alla luce del
mattino,
quando l’ultimo zucchero a velo
sarà filato.
Poveri mortali.
Cosa abbiamo fatto.
Bambini viziati dall’onnipotenza.
Che nemmeno Dio possiede.
Che piccole creature.
Così immense.
E immensamente inconsapevoli.
Domani verrà, e non sarà per offrire lavoro.
E nemmeno per soppesare.
Come una sola carezza,
mi piacerebbe tanto!,
come un solo sorriso.
Entrare nel tuo mondo, mi chiedo,
quanta pena ne vale?
Ti sei vestita di viola
per venirmi a trovare.
Io ti conosco, a me non mi freghi.
Ma tu, Brittany, stella, che ne
sapevi?
Te ne sei andata dentro una vasca da bagno,
con lei che ti premeva, lo stesso vestito…
Chissà, in America,
forse ha un altro
significato.
La sera prima
Guardo il tuo spazzolino.
Da tre anni nel bicchiere.
Sempre lo stesso spazzolino,
come nuovo.
Ora,
due sono le cose:
o porti la dentiera,
o non vieni mai da me.
Devo rifarmi spupazzandomi il cane,
farmi leccare il naso dalla mia bastardina
per attimi infiniti,
prima di dividerci il letto e
dormire a cucchiaio.
In questi giorni rigidi,
la notte mi si infila nelle
coperte
e
mi sta addosso e ci scaldiamo.
Come mi
piacerebbe fare
con te…
Coi cardamomi e senza la “x”.
A fare i calcoli di una vita intera,
io che l’ho già sprecata,
sono a forse più della metà della media
e non so ancora cosa fare
da chi andare
chi tenderà la sua mano ferma e calda
e mi aiuterà a scavalcare la rive
a risalire dal
precipizio…
Forse aspettando mi si ghiacceranno
i marroni,
siamo sulla vetta increspata,
40 °C sotto zero.
Forse aspetto una mano dall’alto
senza pensare di tirare fuori le mie
dalle tasche
e
arrampicarmi, cazzo.
Forse aspetto il tuo
spazzolino consumarsi, come segno della tua
presenza definitiva
nella mia vita.
Forse, forse, forse…
Forse ora mi metto il pigiama,
mi ficco sotto
il piumone,
ritrovo la bestia addormentata che storcerà
il nasino
quando le ordinerò
di spostarsi,
perché lei dovrebbe dormire nella cuccia, ed ha il
privilegio
di un matrimoniale.
Forse è ora che alzi gli occhi dalla tastiera,
rilegga questo pensiero all’abbaglio dello
schermo, corregga le sottolineature rosse eventuali,
e mi ingurgiti le 17 gocce di xanax.
Perché domani, signori,
domani
( non c’è santo )
è
lunedì.
Così così
A volte arriva così,
come una sigaretta fumata di fretta,
come le dita sanguinanti, lacerate dal freddo inacidito.
A volte arriva così,
come la morte di Aase.
E il cuore di Grieg che batte nel tuo.
Tutto intorno uno sbattimento di ali
dispiegate al vento dei crudeli.
Dei falsi pacifisti.
Lo sapeva bene, Mohandas,
e lo aveva previsto.
A volte non arriva.
E tutta la fatica dell’aspettare.
La sala d’attesa di un dentista
pensionato.
Con tre sedie marce su cui sostare.
Un attimo prima di capire.
E di non dire.
Di non dire.
A volte arriva così.
Col tempo che passa e la brace che si spegne
nel camino degli anni.
A pari passo con l’ingiustizia
di avere avuto un cervello per
pensare.
E il Noncibasta a farci
da contraltare.
Un buco nero disperso tra miliardi e miliardi
di galassie e galassie e galassie.
E nemmeno un grazie.
O un perché.
Le domande fioccano come scintille
nella neve.
L’ultimo dell’anno passerà
anche stavolta.
Sarà come aver respirato con
mezzo polmone, ma niente più.
A volte arriva, arriva.
E tu sei solo, infreddolito su una
panchina, coperto di giornali
di ieri.
Passa un soffio e ti ritrovi nudo, davanti al fiume.
Basterebbe guadarlo, camminare.
Alzarsi.
Gioire.
Ma io ho visto negli occhi van Gogh,
e questo mi è bastato.
A cercare l’infante che grida da secoli e secoli
il gusto
di una tiepida mela.
Good-bye
Sai Baba vomita bocce che si è inghiottito
poco prima, con un fazzoletto, fingendo di tossire.
E materializza polvere santa distribuendola sui devoti.
Polvere che macina tra le dita, da un pezzo di terra comune nascosta.
Come Silvan, coi colombi.
E forse ha pure un sosia, o di certo si tinge i capelli.
A volte mi manca.
Mi manca tanto.
Quel pezzo di vita magica a cui credevo ciecamente.
Quando mi inginocchiavo penitente davanti
all’icona di Cristo, a Taizé, coi malesseri del mondo a cadermi
sulle spalle.
La fiducia cieca.
A volte mi stanco a cercare Poesia dal quotidiano.
Da un pezzo di formaggio scaduto nel frigo.
Dall’incespicare incerto di un ubriaco.
Dalla forfora caduta sulla tastiera del pc.
Che volete…
Anche a me piacerebbe tornare a parlare
degli arcobaleni, dei profumi dei frutti sopra
gli alberi fioriti.
Dei gabbiani che rondano sugli oceani incalliti.
Ma non ho orecchi che per i mendicanti
d’amore.
Per i soli.
Gli emarginati.
Scrivo con le loro mani.
Rigetto coi loro stomaci.
Piango coi loro occhi.
E gravito nel loro mondo di egoismo.
Per non soffocare m’illudo di cercare.
Di trovare.
E chissà mai se e dove finirò.
Ma sparatemi
( sparatemi! ),
vi prego,
se scriverò di rime
“amor”
“cor”.
Monologo a Gesù ( Questioni di TV )
Vedi, mio Caro, penso
alla tua corona di spine…
Qui ora, di “corona” c’è un
ragazzo più famoso di lei…
Ha il cervello in discarica.
Il cuore nel congelatore.
E vedi, mio Caro,
penso alla virtù della tua costanza…
Qui, ora ( e da anni
infiniti ) c’è un omiciattolo senza collo
che porta per cognome il maschile di
questa tua virtù, e che è
il padre putativo del ragazzo
di sopra.
E sua moglie, lo sai?,
porta il nome di tua madre…E ha inventato
uno specchio magico
che trasforma tutti quanti gli esseri umani in
identiche scatole vuote.
Eppure sono figli tuoi.
E tu li ami.
Vedi, Maestro mio,
io vorrei ( come te, ti ricordi? ) scaraventare
le loro bancarelle giù dalle
scalinate,
scacciare questi mercanti
falsi e avidi
del dio denaro
lontano dal Tempio del
Dio Amore.
Invece adesso, mi dici, adesso,
con la mia rabbia,
cosa posso fare?
Ancora deglutire?
Dall’Apocalisse secondo Gerardo
Ero come in un deserto
ma nessuno mi aiutava
Non c’erano scorpioni
a riscaldar la terra
Né voci di anime inquiete
Rotolavano palloni d’oro
nell’antro oscuro del male
Non c’era né cielo né sole
né buio né luce
né nulla né tutto
Non c’era l’Illuminato
né Geova né spiriti santi
Io solo, io solo, un pezzo di
vetro rotto, a camminare
col passo degli anni
sempre incerto, sempre
pesante. pesante. pensante.
Il pensiero che offusca, come
il calore dalla sabbia ondeggia
e crea alibi per le nostre
astute peregrinazioni
Non ci siamo arresi.
Andati avanti. Avanti.
Avanti dove.
Dove nemmeno il nemmeno
ha una faccia indelebile
dove il nostro destino
non è mai nato
Dove tutto è uno starnuto
e da uno starnuto è originato
E così il diavolo si è
preso per le corna e torna
a fare capriole rotolando
giù per la duna
incurante delle malattie
stereotipato in esseri più grandi
di lui, che nemmeno può
dominare.
Gli uomini sono tutto.
Creano tutto.
Distruggono tutto.
Specchi infranti senz’ombra di
vita, di respiro.
Olezzi ambulanti portatori
malsani di false ingenuità
Si perpetua una vita che
non vorrei si reincarni in
altri olezzi peggiori.
Non ci siamo. Non ci siamo. E.
Forse. Mai ci siamo stati.
I depressi
I depressi sono nati soffocati
da una stella zoppicante
I depressi vorrebbero finisse subito oggi
e non venisse mai domani
I depressi vedono e sentono
demoni che nemmeno immaginate
I depressi fischiano imperterriti negli orecchi degli
angeli sordomuti
I depressi stupiscono Dio per la loro
forza di restare comunque
Ora:
Un giorno una mano mi porterà, una mano grande, sulla schiena
fino alle stelle azzurro-verdi che noi soli
conosciamo, mi capite?
Varcherò i cieli sradicherò le mangrovie spurgherò
i tombini
e tornerò puntuale come puntuale è sempre stata Lei,
nei suoi cicli ciclici.
Mi sono inginocchiato, vedi?
Come volevi.
Mi sono umiliato,
mondo contro.
Soldi pochi.
Dignità pignorata.
Ma un giorno salirò su quelle stelle, ve lo giuro, io ci
sarò.
Respirerò il non ossigeno a pieni polmoni
mangerò cibi eterni
e potrò dormire il sabato pomeriggio senza
svegliarmi con gli attacchi di panico
berrò uva schiacciata da piedi puri e sacri
là dove non c’è l’economia
né la new né la old
un piccolo spazio per l’ultimo vomito,
prima di entrare
Poi passerò la porta
farò capriole mi
tufferò sugli argini ancestrali delle notti tropicali
sacrificate alle vergini
Io
Che
So
Cos’
è
Il
Sacrificio.
mai l’ho
gradito.
Vi giuro.
mai
mai
mai e poi
mai
l’
ho
gradito.
Listarella
La penna che sa scrivere
sa sola.
Un automa coi controcazzi
che vada a lavorare al posto
mio.
Una medicina miracolosa ( e
senza controindicazioni né
effetti collaterali ) per la mia testa.
Due o tre vite.
Nessuna morte.
Nessun dolore.
La musica vergine, non
sporcata dall’uomo.
I soldi che si stampano da
soli nel mio portafogli.
Nessuna zanzara per Sabrina.
Nessuna fatica.
Un prepensionamento per il mio
cranio.
Nessuna fobia sociale.
Tante candele accese.
Fare sport stando fermi.
Serotonina nell’acqua del
sindaco.
Subito per me, che non
ce la faccio più.
Più.
Più.
(…E dai, che ne hai
ancora un pochino! )…
Ora et labora
e falcia le falci del mattino,
l’incudine tagliente della notte insonne
il fegato spossato dalle benzodiazepine
et lauda et lauda Domine
come d’incanto la porta si apre esce un getto d’acqua al secchio
esplode uno specchio
domattina sarà tutto finito, tutto finito
un altro giorno ricomincerà
sempre lo stesso
quando cinque anni fa te n’eri andata credevo tornassi più
ma la vita non è arte
e così non posso scapparti sfuggirti smembrarti
ridurti a poltiglia e darti fuoco,
o maledetta
ma se scrivo di te, se scrivo di te,
un giorno o l’altro
ti anniento
ora posso solo
niente. quasi niente.
ma un giorno si apriranno
i portafogli
si abbasseranno i cuori
dea della ridicolaggine
ti sotterrerò tra le nubi e domanderai
a dio perché ti ha fatta più forte di lui
cosicché togli la vita a chi la desidera e
la forza e la gioia
un paio di boxer neri, qualcosa per fermare
il sangue dal culo, una maglietta che odora,
allora, mia cara,
allora,
quando vuoi terminare?
ora io arrivo come un ferito a morte
ti annuso per bene
so bene chi sei
so bene chi sei
più della musica
più della poesia
più dell’amore
non m’incanti
tra fiori e disavanzi e tecniche nuove
e nuovi rimedi
passa anche questa notte e la paura, sorella, tornerà
puntuale domani
sotto i porticati dell’anima, negli asili dei pazzi
dove dovrebbero riposare le persone stanche
i santi
ultimi arrivi per un progresso che non tiene nemmeno
la buccia di una banana
son qui a ripeterlo dall’eternità
andate e moltiplicatevi, uscite di senno
e ritornateci
perdete i soldi che non avete e indebitatevi
ho il cuore stanco.
pace all’anima
sua.
A volte niente
non c’è nulla, a volte.
magari qualcosa così, per salvarsi dalla crisi
esponenziale
bisogna solo aprire la diga e lasciar fiottare le parole
così, a caso, senza riflessioni
il merlo sopra il tetto credo voglia qualcosa da me
ma io non lo ascolto
gli ho già concesso troppo
troppo di tutto
come al vecchio corvo nero che mi assillava tanti
e di quei tanti anni fa
io mi esprimo, mi spremo, temendo
tendendo verso porte di chiese chiuse
acque benedette che ristagnano nel vuoto
io
io
io.
punto.
qualcuno crede di farsi avanti ma non ha parole
non più parole
mi travasa silenzi in bocca con l’imbuto
dell’insofferenza
io
e
poi
io.
ohi ohi
lascia che i frati vengano al pettine
lascia che i morti accarezzino i morti di qua
che pensano di esser vivi
ohi ohi
siamo caduti precipitati
in un oceano più vasto dell’amore
forse è l’amore stesso, fatto di acqua
no che non sappiamo niente
non c’è nulla, nulla niente
a volte,
solo che i due indici premano contro
i tasti a vadano dove vogliano andare
non si corregge il minuto vissuto
non ci si dovrebbe voltare indietro
ohi
ohi
Mia Speranza
dove sei?
Non lo so
siamo così piccini piccini
mi manca un grammo all’arrivo del
nessuno
la paura striscia sottile sotto la porta, più furba
di una polvere
io non so dove sono, mi pare lontano, davvero
non saprei dirvi dove sono
siamo tutti così piccini piccini
ci soffochiamo nel gridarci aiuto
ci arrampichiamo con le mani sulle troppe altre mani
non c’è scampo
dovremmo farcela da soli
lo schiaffo del vento viene ad impadronirsi
del caldo africano
ci porta le zanzare, i chicchi di grano,
ci porta la speranza ad un palmo di naso
quel tanto che basta da non poterla inspirare
la depressione che toglie la forza della vita
la depressione più forte di Dio…non posso
concepirlo ma è così
io sono così piccino piccino
credetemi
soffro come tutti gli abitanti della terra
solo che soffro anche per loro
trova sputa cerca ricerca cambia sposta
non ci siamo ci siamo
piccini piccini in un vaso di marmellata
scaduta
io preferisco la nutella
credetemi
mi fa troppo male, il male.
troppo.
come posso fare?
sono ancora qui,
sì,
ma ho finito
le munizioni.
Verso sera a volte
Il sole è un pallone rosso
a metà del cielo.
E io lo posso vedere.
Posso guardare il sole
dritto negli occhi.
Scappate, medicine, scappate!
Scappate, automobili in coda!
Scappate, liti tra i vicini!
Scappate, gole mozzate di clandestini!
Scappate, giornalisti servili!
Io posso vedere il sole.
Via, via, via, paura di perdere
il denaro!
Scappa, dio del soldo!
Scappate, angoscia e ansia
dell’oggi e del domani!
Fuggi via, lavoro che
mi lascerai a piedi a dicembre!
Scappa, scappa, Musica!
Scappa, Poesia!
Andatevene via.
Tutti.
Il sole è un pallone
rosso rosso
a metà del cielo.
Ed io lo vedo.
Lo
posso
vedere.
Agnello del Signore.
Armistizio
Non è il Trilafon
Tanto meno lo Xanax
Non è la pioggia
e neppure il sole
Forse lo sfogo in una
poesia,
ma per cinque minuti.
Non è un fiore
né le attenzioni amorose
di chi, chissà poi perché?,
crede in me.
Niente mi strappa la pelle
di questo dolore
Dolore immenso, dolore muto,
dolore che sembra innocente e
piccolo e inutile, agli occhi
dei più.
Sapeste quanto devasta
E quanto sono stanco
37 anni di guerre,
battaglie, combattimenti.
Dov’è la bandiera?
Sventolo un paio di mutande.
Tristi, stufe
mutande.
Gioia
Datemi,
datemi un po’ di gioia
A pallini
A pallini di polistirolo
Che piovono giù dal cielo
che salgono su da terra
Due o tre gocce di gioia
Dal ventre delle balene
come profumo prezioso che
non si vende
Come da sorriso di bambino
Datemi un po’ di gioia
soffioni di campo portati dal
vento della primavera
Non ci vedo più
Sto diventando cieco
Ho sete, sonno. Niente fame
Gioia a pallini bianchi
come forfora di farfalle
mentre il sole dorme sulle montagne
e un gatto fa pipì sul tetto
e la cascina butta il fumo
caldo dal camino
le ciminiere tutte spente
degradato il sottotenente
via le armi dalle tasche dei briganti
via le balle dalle lingue governanti
Sonno sonnolento
Sono lento ad addormentarmi
Viaggia da sola l’incognita
nordestina
Prima della vita
c’è un retrocucina
Dove cuochi cinesi svelano i loro
piccoli segreti
Datemi,
Datemi gioia a piccole dosi
gli esseri umani son pericolosi
danza sudamericana
danza cilena
Bacio sulla bocca
bacio sulla mia bocca
di una falena.
Equilibrio perfetto
Che non si riesca più
ad andare avanti
Che io abbia il
diritto di continuare a
poter scrivere, senza
rimandare.
Che la gente si accorga
del nulla in cui affoga
e che la smetta di essere
cieca muta sorda.
E autistica.
Che le leghe esistano
solo per l’acciaio
Il rosso per il
fuoco
E che i tori non
s’incazzino.
Che io possa non
sentirmi più in colpa
e
Che la smetta di scrivere
sempre le stesse cose
sempre le stesse cose
sempre
le
stesse
Che mi sia concesso
il diritto a tre mesi
ininterrotti retribuiti
di sosta dal lavoro,
Che torni ad avere una
calligrafia decente.
Che la smetta di prendere
tutti
quei medicinali
Che vada a vivere in pace
lontano da qui,
al buio,
sotto un letto.
Equilibrio
perfetto.
Tempo libero
Avere del tempo libero
per sentire tutto il dolore
del dentro
del fuori
Cogliere fiori
che appassiscono al pensiero
ossessivo
come soffio di aria seccante
a volte caldo
troppe altre freddo
Avere del tempo libero, anche
soli 60 secondi, magari ( peggio! )
sul lavoro
per ricordarsi di tutte le
volte che siamo stati
capri per espiare colpe di
altri
specchi fragili da frantumare
con una risata di scherno
Avere del tempo libero.
In tutte le stagioni.
Per averne fin sopra i capelli. E
stracolmi i coglioni.
A parte
Scendeva la saliva
mentre
saliva la discesa.
Dalla bocca, inerte.
Faticosamente arrancava.
Una specie di mondo a parte.
Una cosa non per tutti.
Molte persone scansano gli scansati,
spaccano gli spaccati,
rovinano i rovinati.
Una specie di gusto perverso
che Mr. Darwin conosceva bene
e ce l’ha pure spiegato
col benestare della scienza.
Chissà dove è nato, e perchè.
E chissà pure cos'è che pensa della vita,
( se mai se l'è chiesto, poi )...
Chissà perchè frignava da bambino ad ogni passaggio
di aeroplano.
Chissà perchè, se lo stai a guardare,
ancora oggi non capisci.
Chi sia,
che cosa sogni.
Neppure il tempo per cercare di
comprenderne il dolore.
Mezzo sorriso, la cicca in bocca,
correre dalla fidanzatina, come fosse
l'uomo più uomo del mondo.
Un grissino che si spacca
cercando di tagliare il tonno più morbido.
Una mano che trema se si scambia la pace.
Un ginocchio che non si piega sulla panca
di nessuna cattedrale.
Un cuore che non ce la fa
a non farsi far male
da un pessimo nemico.
E chi mai ce l'ha fatta?
( a tagliare il
tonno con un grissino,
dico ).
Guidatore di ruspa
Quand’ero piccolino
e guidavo la ruspa
nella floricoltura di mia
nonna Pina
le chiavi erano disinserite,
il motore spento.
..Ma io la guidavo davvero!
Dio se la guidavo davvero!
Scavavo buche eccezionali
estirpavo terra e la spostavo
spostavo terra e la estirpavo.
Ho sempre scavato buche,
con la mia mente.
Sempre.
Mi arrampicavo su per il
gradino ( sì e no cinque
anni, ancora all’asilo )
mi sedevo al volante e muovevo tutte le
leve, con grande professionalità.
Guidatore di ruspe.
Maglietta sudata.
Tornare a casa stanco.
Mogliettina e figli da abbracciare,
al mio fianco.
Profumo di cibo sano.
Lampadari rossi.
Luci sul comodino.
Legna ardente nel camino.
Legna di abete.
Fumo di pipa,
come tappeto volante
di quiete.
Volavano gli anni
e sono volati.
Niente di tutto questo.
Ancora ottenuto.
Niente di tutto questo.
Troppo tardi.
Forse.
O troppo presto.
Non è
Non è la camicia di forza
E nemmeno due braccia pelose
che ti sbattono la faccia contro il muro
Non sono nemmeno le lune
che gravitano instabili nella
tua testa
Ciò che ( a loro ) viene facile con le
parole, a te è non consentito
immaginare, realizzare.
E’ come un pigiama di
cellophane, che ti impedisce
di stirarti come vorresti.
Niente di grave.
Ma una coercizione, comunque.
La calligrafia si rimpicciolisce
la concentrazione peggio
Vorresti riavere la tua realtà
( che tanto odiavi )
svegliarti. Magari male, ma
svegliarti, da questo assopimento.
E’ come passare una notte
in galera senza aver commesso
nulla, capite?
Che ho fatto? Che ho fatto?
Una notte in cella
senza riposo
costretto da non si sa
cosa.
Morirebbe di sconforto
anche la più bella
rosa.
Non so
non so cos’è, davvero,
davvero non lo so.
forse voi lo capite,
forse nemmeno servono questi
sprechi
di parole
parole lasciate, parole scappate,
parole rifugiate, parole scontente,
sgarbate
parole stanche, stanche.
sono così stanche, queste mie parole..
forse voi lo capite uguale,
quello che intendo.
non so.
arriva alle spalle,
sotto forma di due occhi
gonfi,
un mal di testa,
il corpo come investito da un tir assonnato
le sconfitte di ezio, gli incubi
di federico
e tutto questo dolore del mondo, della storia
di questi esseri umani disgraziati
non lo so
qualche volta è
la luna,
altre le maree
o i vini fermentati
altre volte è la voce di
jeff
e la sua Anima dispersa nel fiume
un angelo che non se ne doveva andare
perché io, ora, con chi posso
parlare?
con la tastiera o le lettere che scivolano sotto
i miei polpastrelli?
no.
ci sono degli uccelli che spiccano voli nei cieli
che non vogliamo scoprire.
uccelli che hanno colori
che nemmeno immaginiamo
un battito d’ali ogni duecent’anni,
perché lì non c’è fatica
né cacciatore alcuno
e nessuno odia nessuno
che spreco di parole, che spreco.
se faccio questo
solo per sentirmi
un pochino
meglio.
e voi?
come state,
adesso?
I paragoni a volte
come gli allevatori di polli
del terzo reich.
non si cercava altro che quella e sola religione.
di modo che tutti i diversi
si sentissero diversi.
e poco dopo esiliati.
due o tre tiri di dadi.
una scoreggia, un rutto.
eliminati.
così io mi trovo
( vedi i paragoni, a volte..)
giocato di brutti scherzi
da sette anni imparato lingua
che dialetto essere
sì
ma di regione che si crede più evoluta
di ogni nazione su faccia di terra.
“orgoglio!”
parola d’ordine.
chimicamente niente, se non pessime copie di un sangue già
fatto versare.
il tutto nell’ignoranza della prepotenza.
il coglione saccente è
qualcosa di molto pericoloso.
dategli soldi e potere
e
sarete spacciati.
io vi avevo avvertiti.
vi
avevo
avvertiti.
ma bocche chiuse in cervelli egoisti e vuoti partoriscono
gemelli clonati
( vi avevo avvertiti! )
“ah, come eravamo grandi! E come lo siamo e lo
saremo!” ( traduzione dal dialetto )
potrebbe essere qualsiasi regione di qualsiasi stato
l’ignoranza appende quadri di sole cornici
cadono teste dai palchi delle intelligenze
nessun profeta lo è
in patria
nessuno fuori.
non ci sono più poeti.
non ci sono più poeti.
il tempo, questo tempo ( e non altrove )
li
ha
ammutoliti.
strangolata la dignità
da tutte le vene.
portatemi fiori,
non patetiche opere
di bene.
Se i poeti sono soli
Oh, ma dico,
se i poeti sono soli,
se si senton tutti soli,
perché non si sposano fra di loro?
“Solitudine” non è il nome di nostra moglie
né dev’essere quella di vostro marito,
ma dico,
di che mura sono fatte le nostre case?
Se appoggiate il bicchiere alla parete
e l’orecchio al bicchiere
ci sentirete ancora i delitti, le pene,
ci sentirete ancora le violenze subite,
psichiche e fisiche,
sentirete urlare le offese mai sopite
le ingiustizie inspiegate
ci sentirete i silenzi di Dio mai compresi
se eviterete di deglutire, nel frattempo,
sentirete pure i vostri compleanni passati
nel silenzio
camminando in bilico sul vuoto per non morire
sentirete l’alcol bevuto, le finzioni di allegria
per non insospettire gli amici e i famigliari
sentirete gli attacchi di panico
i sensi di colpa, il peso del
senso sporco del peccato
il giudizio morale ( che poi è quello di chi
sappiamo bene, non mi ripeto! )
sentirete l’esilio, la follia, le prese per il culo,
sentirete le risa di scherno
da sotto i banchi
Oh, ma dico,
voi poeti,
non siete stanchi?
Che faccia !
Mammamia che faccia!
C’è un cadavere nel mio specchio
Dio che faccia strana!
Mi guarda con sospetto
neanche un poco di rispetto
Dio che faccia strana!!
Due occhi senza aspetto
due valigie un rubinetto
l’acqua scorre piana
Il mattino di Natale
alle cinque del mattino
io correvo in giro
svegliavo proprio tutti
il Gianluca, che era il primo
mi mandava affanculo
poi Sebastiano e Anna
mio papà e pure mia mamma
correvo in soggiorno
cercavo la ciabatta e i
regali che eran miei
mi scoppiava il cuore!
Ed ora io non dormo
son decenni che non dormo
sono sempre triste
Ci sono quei pensieri
che non se ne vanno mai
e le medicine
son altro che efficaci
io le prendo e le riprendo
( Dio che faccia strana! )
Sarà che ieri sera
sono andato a letto presto
per la prima volta
Sarà che ormai da tempo
non ci credo proprio più
ho la testa storta
E ora che cammino
c’è la zappa del vicino
son le orme del suo vino
la ginnastica del nano
c’è più traffico a Milano
la menzogna in vaticano
c’è la lebbra sulle labbra
del politico italiano
e ora
non ho più fiducia
nella medicina antica
nella nuova medicina
nella suocera in cucina
che si chiude in quella casa
dove i figli son serrati
chiusi a chiave imbalsamati
la mia donna pure lei
io la vedo al contagocce e
solo dopo i conti fatti
sono stanco della vita
a curarmi sono io
a curarmi sono io
senza punta è la matita
a curarmi sono io
ma un segreto ve lo dico:
sono gli altri ad esser
matti.
sono gli altri.
ad essere matti.
Michele Angelo
Tutte le sere, tutte le sere
me ne vado a dormire
massacrandomi il cuore
di folli preghiere.
Amen
Intimamente puzzo, il mio
corpo mi da fastidio
l’anima barcolla
E’ una maledizione,
questa.
Di poter solo scrivere e
suonare, ma non abbastanza
per farci la spesa.
Costretto
in una vita normale,
ammalato nel lavorare.
Io.
Nato senza il genoma
del compromesso.
Non voglio vedere più
niente.
( Scroscia la canna
del cesso ).
Sopravvivenze
Così non si campa.
Bisogna fingersi altri,
strizzarsi le
palle.
Dirsi che sì,
va tutto bene,
proprio tutto bene.
Poi sistemarsi il colletto
aggiustarsi il maglione
guardarsi allo
specchio.
Non riconoscersi.
Va beh,
passare oltre.
Andare dritti a testa bassa.
Poi spiare il vicino, che non
si sa mai.
Non spendere soldi. Non
concedersi tipo di felicità
alcuno.
Credere nei nostri immacolati
politici.
Pensare di fare all’amore
ogni santo mattino,
ogni santa notte
ogni santo pomeriggio.
Poi, programmarsi il futuro.
Progettare progettare
e progettare
( ho dimenticato
“produrre” ?....
..Produrre! ).
Non fare caso al cielo mai.
Nemmeno quando ha i colori
di questa sera,
che se lo vedesse Vincent…
( ma lui lo vede,
lo vede ).
Ho un formicolìo al lobo,
un pugnale
nel
diaframma.
Ora mi fumo
una pipa.
Poi mando
tutti
affanculo.
Rattification on TV city
Ho sempre sognato
di avere la pelle
di ratto
e tuffarmi nel
Sile, zona
mercato del pesce,
un po’ più indietro
dove c’è il mulino.
Ci passo i mercoledì
sera, quando
arrivo prima.
Mi siedo sulla
panchina, come
un matto, e
penso. E vedo
che la corrente
tira verso i
condotti, piccole
gallerie d’acqua.
Mi ci infilerei
sotto, per vedere,
curiosare se è
forse più
bello, che
non solo freddo.
Emarginato
per emarginato,
in questa
città strana,
prego Dio
per rinascere
pantegana.
Un problema
Tu
sei molto bella.
ma ci vedremo un’altra
volta
perché per me è un
problema,
la morte.
è un problema.
mi blocca tutto, non fa funzionare
più nulla.
nemmeno l’abbiamo scelto, di vivere,
e ci tocca pure morire.
me ne sbatto le balle di freud
me ne sbatto le balle, dei suoi derivati
me ne sbatto le balle degli intellettuali snob
me ne sbatto le balle degli arrivisti
me ne sbatto le balle delle lampade abbronzanti
dei debiti a coprire altri debiti
delle carte di credito clonate
me ne sbatto le balle
delle barbe lunghe e dei capelli a coda
me ne sbatto le balle dei vestiti d’oro
me ne sbatto le balle dei libri sulla cucina futurista
me ne sbatto le balle di chi si occlude la
vista
al futuro
che è poi il presente ed il passato che ci rincorre
con la sua mano monca
l’altra, sul fuoco, l’ha persa insieme a Scevola
stringendo un pomodoro
ma ne sbatto le balle se sono le 02.26 di domenica notte
e ancora non so come farò a dormire
mi tengono sveglio i sensi di colpa
i morsi dell’affamato
le sgagnate del cane rabbioso
l’osso spolpato dei derelitti
mi tiene sveglia la mia impotenza,
il mio grido che non sazia la gola
e neppure la dignità
me ne sbatto le balle di freud
e di tutta la storia della chiesa
e non posso più stare così, ad aspettare quel che non verrà
o verrà quando la fiducia sarà ormai scaduta come un gorgonzola
d’estate,
cosicché le chiappette bruceranno non poco
me ne sbatto le balle di freud
dell’onanismo nano
delle gigantografie a parete idrofila
me ne sbatto le balle se scrivo come se avessi
appena bevuto e invece sono sobrio
ma affogato di tristezza
sono stanco di non ridere.
la pace
la pace
l’amore
ma chi le ha inventate queste parole?
ho tutto.
ho tutto.
forse mi manca
di credere di farcela.
com’era semplice, quand’ero bambino.
Come Agostino, a meditare su un
pero.
E tutto quel che avevo in cuore,
tutto quel che avevo in cuore,
non c’eran santi,
era vero.
Titoli
I titoli di coda scorrono
col nero di sopra, il
nero di sotto
La tua testa si fida del mio petto
Chissà se sa quanto mi senta solo,
chissà se sai quanto io
ti senta sola
Ma non parliamo.
siamo troppo stanchi,
in questo mondo
di stanchezza
che quasi si è stanchi di essere
stanchi
ed il sonno esausto che mi implora…
io gli sputo in bocca
fino a massacrare i miei occhi con la psichedelìa
di uno schermo internettiano
dove i mondi si congiungono in una specie di rituale
di illusione
si comperano le città, si va a dormire a manhattan
nei sobborghi di innsbruck
si affittano camere iperbariche
per bevitori occasionali
si elemosina il sogno per non dormire mai
le mani tese sperano in un sussulto
ma è la terra che trema,
non il cuore
c’è un Respiro, da qualche parte,
un Respiro
Non può avermi ingannato. Soffia
nei nostri polmoni
aria di vita senza
soluzione di continuità
ma nessuno ci crede.
Neppure io.
vorrei stringere tutti i liberi pensieri delle notti
tutte le anime dannate dai sensi inflitti della colpa
( colpa di che? )
venite a me, anime tradite.
mi toglierò il sangue, vi verserò il vino
pur di tenervi aggrappati alla corda ombelicale
della speranza.
Vi prego.
non
lasciatemi
solo.
Felicità
giochi a nascondino da quando me ne stavo
caldo caldo nella pancia esaurita
di mia madre
ti vendi sotto ai lampioni dei benestanti
su montagne imbiancate a
pillole di verginità incasellata
pisci contro orinali stanchi
nei verdi candidi della sera
quando ormai le ombre se ne vanno
sotto ai letti a cercare di borbottare
alle anime stanche
sogni folli controvento
porti un nome che non ti ho dato
che non so nemmeno scrivere
E mi dai fastidio,
dio se mi dai fastidio!
te e il non toccarti.
il non poter toccarti mai.
rifiuti ogni carezza instabile
e con certa tolleranza vomiti
patetici ossequi e calendari scaduti
e non so mai dove trovarti
filosofi precoci dicono “dentro di noi”
ma loro che ne sanno
non sanno proprio un cazzo
scrivono bevono mangiano ridono
e talvolta si puliscono il culo
con carte da parati
e parate di militi ignoti
non so mai dove cercarti
tra le colline sbiadite e
l’accontentarsi, ma accontentarsi di che
se poi tutto ritorna come mai se ne fosse andato
se mi tocca un destino che non ho mai scelto,
mai voluto,
se mi tocca aspettarti come si aspetta la morte
e cioè non si sa quando, non si sa come e
non il perché…
ma sei ancora peggio di lei, perché non è nemmeno sicuro
che tu venga a trovarci..
cara mia innominabile,
quanto vuoi
per una notte?
La ricetta
Quando penso che
sarei dovuto essere adulto
negli anni settanta,
quando penso a coma sia tortuosa ed evanescente
la vita d’oggi,
quando penso ai bambini nei cassettoni,
al sangue dei pedoni, ai cinepanettoni, quando
penso a chi si loda e si imbroda, quando penso agli pseudo-intellettuali,
con la supponenza degli ignoranti,
quando penso alla maledizione di essere nati per fare musica e poesia,
e ritrovarsi a lavorare e lavorare e lavorare
per pagarsi quel che dovrebbe essere già nostro, quando penso
al freddo di un chiostro, alle chiese sempre chiuse,
quando penso al papa, agli omosessuali, agli eterosessuali, quando penso
agli integralisti, ai monoteisti, quando penso ai macchinoni interstellari che
ingorgano le strade urbane, quando penso alle merde di cane, quando penso ai
padroni delle fabbrichette nordestine, quando penso
alle paranoie mattutine, quando penso alla stupidità umana, quando penso
alla canapa indiana, quando penso alla polvere bianca che riempie i nasi di
palazzo madama,
quando penso alla polvere sui calzari gettata da chi non ama,
quando penso all’ipocrisia, alla monotonia, quando penso
al precipizio dell’universo, quando penso a chi disgusta chiunque si sia perso,
quando penso a un etto di prosciutto, quando penso a niente,
quando penso a tutto
allora penso
“meglio non pensare”
ma non ci riesco.
Così:
- tre bicchieri di Sambuca ( qualsiasi marca ),
- quindici gocce di alprazolam,
( principio attivo ).
mi ficco sotto le coperte.
e sogno un sogno.
( che non sia
cattivo ).
La mamma non si muove
Piccolo, piccolo, hai sete
e bevi dal lavandino,
dal rubinetto della vasca da bagno.
hai fame, e sulla punta dei piedi
apri il freezer e ti mangi i gelati,
uno al giorno,
sette giorni.
tuo padre, egoista, se n’è andato per
overdose,
da poche settimane,
chissà dove.
e ora tua mamma , rigida nel letto,
non si muove.
dorme
sogni strani,
fantasmi di antichi
Moicani.
mordono i giorni
come il freddo alle gambe
come la fiammiferaia piccola
ti accendi
cerini d’illusioni,
immagini sfuocate
mentre il mondo intero
crolla sotto l’egemonia folleggiante
del PIL
e di quant’altro cazzo
come il prezzo (?) del
denaro
investimenti di centinaia di migliaia
di euro
e i poverini si disperano,
i poverini.
sette giorni bastano,
per far crollare la
Borsa Mondiale.
sette giorni,
un gelato
al giorno, l’acqua è fredda
e tua madre
sta male.
se ne sta gelida e
rigida nel letto,
forse per dispetto,
forse perché non hai fatto il bravo, perché le hai
disubbidito.
o forse, semplicemente,
per lo stesso egoismo incosciente
di suo marito.
ti affacci alla finestra
cerchi facce conosciute,
anime bianche vuote non
nuove
e
gridi:
“aiuto, per favore, la mamma non si
muove!”.
Una casa portuguesa
Non ce la faccio più
Tutta la vita ad
aspettare
E tutti questi odori
e queste puzze
e non desiderare altro
che
“Uma casa portuguesa”
e lasciarmi morire
stretto al seno di Amàlia
che mi culla e mi offre
il suo cuore con
la voce
un battito di
paradiso
in questo inferno dei morti appesi
ai calici
del mondo
che ci ha generati
calici umidi viscidi
bagnati
da salive inconsistenti
perverse
piene di
boriosi lamenti
con strade ben delineate
verso
l’annientamento di tutte le
speranze
a me
che basta una casa in
Portogallo
con le rose nel giardino
a fiorire
mattina
e sera
senz’altre stagioni
che non
la
Primavera.
Sonnìa
Ero stanco, ero.
Ho tirato su una sedia con un paio
di mutande.
Viaggiavo alla velocità
del buio
e non connettevo altro che i miei
bisogni.
Di comprensione
di affermazione
di narcisismo
di successo
io ero un mezzo coglione
che galleggiava
nel mare
dell’impossibilità
e non sapevo come fare
a districarmi
senza mandare in
tilt le brutte faccende
dell’elettronica
e la meccanica
della bella mecchimecconica
e del ciodo del fero vecio
e quindi decisi di vagare
per una notte ancora
in balìa di sconosciuti
ardori
e sentori
di sogni non predetti
e
e
e
la maledetta
stanchezza
come
coperta inquieta
per quell’altro
freddo
che ancora
non vi posso
spiegare.
Christian’s family
C’è un uovo
di Pasqua
rimasto
incartato
con dentro
un padre
una madre
un fratello
una figlia
Nessuno può aprirlo
spostare toccare
l’unita
famiglia
Nessuno può
entrare
nessuno può
uscire
Noi tutti
vorremmo
mangiarlo
gustarlo
Ma, sotto la
carta,
quell’uovo
è
di marmo.
Sotto la
carta,
quell’uovo
è
di marmo.
Ipotesi
Può darsi che la
penna scriva
perché ha l’inchiostro
dentro
E la mia mano
si muova, per
vedere le forme
che hanno le
parole
Può darsi che io sia
un sognatore fallito
o destinato
Può darsi che parli
troppo e scriva anche
di più.
Ma la vita
è niente.
Domani
muoio.
E
chi
mi
dirà?
chi?
Aspetto
Aspetto la
Liberazione.
Ma non viene
dai giornali.
Né dalla
controinformazione.
Non viene dai
mulini senza più
vento.
Né dai don
chisciotte
morti d’abbandono.
Aspetto la
Liberazione.
Ma non viene
dall’apertura
delle prigioni
né dalla ricchezza
né dalla povertà
né dall’inferno
né da Dio.
C’è qualcun
altro, qui?
Oltre
che
io
?
Non ho visto i lampi
Non ho visto
i lampi
Non ho visto
gli occhi
Voglio liberarmi
da questo singulto
di calzini
inamidati
dai sensi di colpa
accontentare tutti
una condanna
Dieci dita
intorno al collo
Nessuna molla
Nessuna vasca da
bagno
Nessun refrigerio
Solo un palloncino
sgonfio
con poco elio.
Non prende il volo
che hanno le
aquile
anche di
luglio.
Dove sta il confine
Stanno staccando
il respiratore
alla cultura.
L’arte non voleva
morire.
L’hanno rapita,
senza riscatto.
Mammona ha
in mano
il mondo intero.
E io grido e muoio per
otto posti a sedere.
( Ne ha così pochi
nemmeno il barbiere ).
I fuochi d’artificio verdi
I fuochi d’artificio verdi
esplodono con gli occhi chiusi,
quando ti senti solo
Difficile descriverli
Carver e qualche altro
potevano spiegarli..
I fuochi d’artificio verdi.
non facile capirli.
I fuochi d’artificio verdi.
..quando ti senti solo.
di fronte alle piastrelle.
1 mm dal
Paradiso.
Ti amo
Ti amo sempre, e ancor di
più quando non ne sono capace
ti amo quando ti guardo suonare il flauto
e il tuo naso diventa dritto
dritto
e i tuoi occhi si vergognano e si smorfiano
e le tue gambe oscillano
nell’altalena della
ritrosia
ti amo sempre,
anche se non ne sono
capace
schiavo come son stato
e sono
di un diavolo che non si
può spiegare
e che porta il nome strano
di Mancanza
ti amo comunque, comunque e
sempre
anche quando credo di no
e mi spavento
ma mi spavento proprio
perché ti amo
e questo gioco di prestigio
riesce solo
a quelli come me
e non siamo pochi
quanti maghi,
per questa magia
di cui
ne faremmo
anche
a
meno.
nel cilindro non ci sono
i colombi
ma il mio cuore
fratturato
ingessato
che tu, mio stupore,
non smetti mai di
carezzare.
Vuota di grazia
l’aumento della pressione atmosferica,
l’umidità,
la pioggia continua,
le nuvole scure,
i temporali,
le grandinate,
la primavera violentata,
i frutti senza sapore,
i fiori senza profumo,
l’afa,
i vetri sporchi,
l’acqua che filtra
da ogni fessura,
i vestiti inzuppati,
le mutande da lavare,
i piatti nel lavandino,
le stoviglie incrostate,
i pavimenti da pulire,
la polvere da aspirare,
i delitti,
gli stupri,
la mancanza di rispetto,
dei giovani verso gli anziani,
degli anziani verso i giovani,
l’ipocrisia vaticana,
l’ipocrisia politica,
il profitto che si è mangiato
tutto, anche l’arte,
la salita sulla scala del successo,
coi gradini fatti con le teste degli
sconfitti,
ecco.
tutto questo
voi già lo conoscete.
io invece lo vivo, da sempre,
nella mia testa.
un pendolo che oscilla
dentro al mio cranio.
da sempre.
Nostra Sorella della Depressione,
Vuota di Grazia,
si è presa il mio cuore
nella sua
torbida
mano.
e quando ne ha voglia,
quando cazzo ne ha voglia,
lo porta alla bocca,
gustandolo
piano.
GIN ( perdonate le parolacce )
tutte queste Anime Splendenti
eppure così sole
abbandonate
si dirigono
in fila indiana
nei meandri del MySpace.com
e sfiorano le vette dei paradisi
che gli dei ci hanno creato
ma restano sole
sole
sole
e scrivono di battaglie perse
di feriti mortali
cercano altre anime come le loro
e le trovano,
eccome se le trovano..
per questo, sentitemi bene, per questo
c’è qualcosa che non va.
che i cinesi dicano
che il bene e il male vadano di
pari passo
e siano due facce della stessa medaglia
a me non sta mica bene
io col male sto male
poi se voglio posso imparare a crescere,
d’accordo,
ma perché
non imparare dal bene?
perché non imparare
dallo stare bene?
il bene ci fa paura, ecco.
questo volevo dire.
abbiamo questa maledizione
che ci fa scappare
dal bene
come gli adolescenti sui pullman
scappano dal controllore
ci fingiamo malati
ci buttiamo al volo dai finestrini
sappiamo tutto del male
e niente
del
bene
perciò siamo dei mezzi
poeti
ma non è colpa nostra.
non è colpa nostra.
tutte queste anime incredibili.
perse e disperse
nel mondo myspessiano
che è un incontro di vetri rotti
di immagini al caleidoscopio
una sorta di
lucy in the sky with diamond
senza diamond
mi eleggeranno
sindaco dei pazzi
quando ormai sarà fuori moda e la mia partita persa
con un cappotto stratosferico
sei zero sei zero
affanculo la dieta di carote e riso in bianco,
guarda come mi ha ridotto,
ho perso 4 kg, io che sono già magro
ma come si fa, dico, a cercare un paradiso
fatto di sacrifici
e le alternative che mi offrono
sono sempre di
sacrifici
che mi dite, se vi dico
che mi sono
rotto
il cazzo
e
che
perfino Dio ha detto:
“Misericordia
voglio,
non sacrificio!”
?
Ho voglia
ho voglia di lasciarmi andare
nel letto del fiume
di questa vita
ho voglia
di abbandonare superstizioni avare
lavori pesanti
soldi in soldoni
e i furbi e i coglioni
ho voglia di purificarmi
di disintossicarmi
da tutto questo marciume
ho voglia di non dire niente
di non dire più niente
ho voglia
di non stancarmi più
in questo modo
dentro una guerra che conosco
io soltanto
ho voglia
di incidere le mie canzoni
ma prima ancora
di credere,
alle mie canzoni
ho voglia di sperare
di non
regalare la salvezza
alla morte
ho voglia di vincere
almeno un poco
ho voglia di buttare giù un muro
ho voglia
che finisca tutta questa persecuzione
senza senso,
Dio falla finire, ti
prego.
ho voglia di tornare a parlare a Dio
senza intermediario alcuno
tanto meno
preti e vaticani
ho voglia di amare l’
eternità.
di conoscere il mondo
e come va a finire
ho voglia di abbracciare il mio passato,
fare l’amore col presente
e sposarmi il futuro.
ho voglia
di un braccialetto di petali
di rosa
di un anello che liberi i cuori
ho voglia del gargano
di un mare terso al cielo aperto
ho voglia di
vino bianco fermo ghiacciato
e di scampi
alla griglia
ho voglia di
dormire
di progettare
di fare musica
di fare
musica
io mi sento Vivo,
se faccio la
musica.
ho voglia di
cantare
voglia di
applausi di comprensione
voglia di
non arrendermi
di arrivare al termine
e scoprire
che si continua
che non c’è termine.
ma solo un letto,
un cuscino che ti leva
il male al collo, l’aria
pulita,
acqua fresca,
e tutti i miei amici
e te, amore mio.
ho voglia che sia tutto vero,
che nessuno di voi ceda
alla dissacrazione
dell’incertezza.
ho voglia
che tutti
tutti
Tutti
che la facciamo.
che ne dite,
mi aiutate?
Oriolo
Cajou rovesciati sulla scrivania,
alla destra dello schermo pc, una bottiglia
semivuota di tè artigianale, fatto
da me.
l’intontimento, la malattia,
io non lo so mica,
cosa mi sta succedendo.
la persecuzione.
cosce chiuse.
nessuna voglia di bere.
nessuna voglia di mangiare.
la
nausea
soltanto.
nausea.
questo, sì, posso dire.
nausea.
forse qualcuno ne aveva già parlato,
credo.
ma io non conosco nulla.
quel che so è quel che
accade.
vivo.
sopravvivo.
ma oggi mi sento morire,
scomparire, abbandonare
lasciare
scrivere quel che si vuole
senza ragione
né grammatica
sovverto le regole
mi copro nel manto
di fantasia
ma questo mio corpo, questa mia testa…
Dio.
quanta stanchezza. nausea di tutto.
tutto quanto.
Bellezza, dolcezza, pace, serenità, dignità,
splendore..
..ma dove siete finiti?
Uomini
Non ho i capelli
ma nemmeno sono pelato.
Povero cranio mio che non sei
né pesce né carne.
L’essenza dell’assenza.
Non mi arrendo ancora,
ma non sono più un guerriero,
come da bambino.
Ero abile con le
lance
e tiravo sempre a segno.
Crollavano ai miei piedi i mulini a vento
Mostri sacri di ipocrisia.
Devo gridare continuamente al mondo
che non è questa, la
vita che ci hanno regalato.
Che siamo degli assassini.
Ma gli unici che mi
ascoltano
siete voi,
che lo sapete già.
Perciò, sulla schiena,
un altro segno di
sconfitta.
Comincia a bruciare
la pelle
sotto le scudisciate
di Mammona.
La povertà mangia
lo stomaco, gli estremismi
svuotano i cuori
dalle speranze.
Traslocatori ladri
che si portano via tutto,
nel loro furgone
imbottito di sete e fame
di potere.
Si portano via tutto…
Io non so più che dire.
Che fare.
Non lo so più.
Salvatemi voi,
vi prego.
Salvatemi voi.
Uomini che non vi credo.
Bach
Fratello Johann Sebastian
ti benedico io,
se non l’ha già fatto Dio.
Lasciamo perdere le sonate per organo da chiesa
( la toccata e fuga BWV 565 ) che mi dà
un senso di
vuoto
e di terrore
( chissà perché, poi, è la più famosa? )
io dico
Tu Sia Benedetto dal Cielo Tutto
per i concerti Brandeburghesi
per la messa in si minore BWV 232
e per tanto e tanto e tanto
altro
ancora
per la Passione Secondo Matteo BWV 244
che anche Pasolini, poi,
ci ha messo del suo…
Sia Benedetto il tuo Nome,
fratello Sebastian,
e benedetto sia
il nome
di
Mac Kenley
e
Duntreath,
scotch whisky
che senza di loro
sarei morto, stasera.
morto davvero.
sconfitto dal male del mondo.
e dal suo mistero.
Guerre
guerre, guerre,
guerre ovunque
prima ancora dentro le
nostre case
negli appartamenti appartati
dei condomini
degli anonimati
sulle strisce pedonali
coi pedoni
calpestati
da quattro piedi più grandi
a forma di ruote
guidati da menti vuote
imbottite da
altre strisce bianche
che mi pare si chiamino
strisce nasali di
assuefazione
Guerre ovunque
guerre
fra frati
tra tram
per perdenti
guerre mai capite
mai mollate
strette
tra
i denti
da una rabbia che non è
nostra
ma che per un qualche destino strano
subiamo
guerre maledette
che noi non c’entriamo
ci sbattono dentro
come se fossimo arruolati
guerre di merda.
di merda!
piene di morti.
Ma senza i soldati.
Cos’è l’amore
..e a me lo chiedete?
Quando un uomo e una
donna
decidono di amarsi,
proprio in quel preciso istante,
diventano i loro peggiori
nemici.
l’uno per l’altra.
l’altra per l’uno.
un odio fatto di
paure,
di sale d’aspetto aggrovigliate
in catene ancestrali
da quando agli angeli
han fatto perdere il
sesso
( si stava meglio prima, si stava )
tutto è diventato
ossesso
ma c’era una strada, c’era,
c’era una via
ed era facile e non si cadeva mai
e ci si teneva per mano
e
non c’erano sigarette da fumare alla fine
perché non si finiva mai
i letti erano a cinquemila piazze
e le distese dei prati ( sulle colline ) sempre
fiorite
e c’era sempre il mare, sotto,
e sempre il sole
ma sulla testa l’ombra, di modo da non
soffrire
e nevicava che nessuno scivolava mai
e non c’erano femori rotti
e le ambulanze riuscivano a camminare,
all’occorrenza,
ma in realtà arrugginivano nei box,
perché nessuno si ammalava mai
ci si scaldava con poco, una canzone, un camino,
qualche bottiglia di
quello buono
ma soprattutto i baci,
dio quanti baci!
e i corpi erano tutti belli
e non puzzavano i fiati,
mai.
perché non c’era più olfatto, né vista
né udito
solo il tatto
il tatto per essere leggeri
e carezzare con leggerezza
la leggerezza
eh, ma che tempi erano, quelli,
io me li ricordo!..
era prima.
prima che tutto si
compisse
e ci
catapultasse
qui,
nel regno
delle pretese
mai soddisfatte.
datemi un coccodrillo.
Se la comunicazione urge
Quando questa
Tempesta mi arriva
( dritta al petto )
Non c’è dovere che
tenga, o lavoro,
né lettura più
preziosa
Né donna che mi
possa fermare.
Ma unire le dita
Dita della mano
destra
Impugnare una matita
E dare forma al Verbo
Una forma visiva
bidimensionale
ondulata, armonica
Viva.
E’ una sorta di
potere divino
Spostare aggiustare
inventare trasgredire
Tutti i generi di
lessico e tutte le
grammatiche
Solo io. Io solo.
E non avere
paura, bisogno
di nessuno.
Così,
soltanto in quel luogo,
E per un solo
istante, la pace
sporge il suo emiviso
da dietro uno
stipite.
E allora Amen!
E per molto
ancora!
Sono passati
son passati diversi anni
e molte le cose che
sono cambiate
ma il pelo perde il lupo
però rimane pelo
si libera dalle zecche
vola nell’aria
da Parigi ad Istanbul
finisce a
Canicattì
passando per l’America Centrale
e via dicendo
perché il vento
soffia
sempre
dove
vuole
ed io voglio accettare
accogliere
abbracciare
me
stesso
ma molto difficile la cosa
si naviga e ci si perde
si zattera
alla ricerca di un
titanic
coll’iceberg
a volte ce la tiriamo
proprio addosso
questa instancabile voglia
di perdere
a volte vorremmo vincere
ma fa paura
e allora è
meglio scrivere peccare
nelle ore piccole
cercando l’insonnia
dei giusti
provocandoci
nei gusti
molto spesso al limite
nascondendo a noi stessi
noi stessi
elemosinando attenzioni
dentro turbine
d’acqua
stagnante
sotto un
sottopassaggio
che apre speranze
a chi non ne
ha
ed io a volte
sono proprio stanco
di
credere
di averne
ancora
un
pochino.
però se ci penso,
questa volta mi
perdono.
( e mi faccio
un inchino ).
Cosa sembra a me
..ma a me sembra un ciclo
ciclo che si ripete
cerchio ellittico che si riprende
che prende in giro sé stesso
A me sembra tutto ritorni,
sintomo che sono uno stupido
e penso che i miei occhi necessitino di cure
e il mio cuore di accoglienza
inumana
l’umanità
non mi basta
non mi basta
non mi basta
ho troppa fame
troppa sete
sono stato carcerato per anni infiniti
e congelato e nudo
con l’anima senza vestiti
sono stato all’argine della follia
dove uno starnuto in lontananza
mi avrebbe fatto precipitare
nel brodo primordiale degli psicofarmaci
anacoluti
sono stato con l’orecchio muto
la bocca sorda
sono stato un soldato
un guerriero della giustizia
e poi
un
codardo
che non riusciva a difendersi
nemmeno da un’ombra del male
e cosa mi sembra?
mi sembra che tutti vogliano avere ragione,
sempre ragione,
sempre la loro ragione,
che non ci si metta mai in discussione
che non ci sia ormai più
l’ammissione di una qualche propria
responsabilità
la colpa è sempre degli altri
ci sono solo vincitori
non perde mai nessuno
colpa della famiglia
colpa della scuola
colpa dei politici
colpa del vaticano
colpa degli atei
colpa di Dio
colpa del tempo
non ci sono più le mezze stagioni
e george clooney
se n’è andato sopra il lago di como
immerso nella brianza anemica
dove ognuno pensa solo ai fatti suoi,
e questa cosa la chiamano virtù…
ma dove siamo finiti?
da dove siamo nati?
cervelli telecomandati
spenti o in
stand-by
consumatori ingordi di leggende metropolitane
di violenze ingurgitate ai pasti
col sugo unto al pomodoro che dalle labbra
cola
come il sangue degli innocenti
che ignoriamo
la chiamiamo assuefazione
per giustificarci di nuovo
la nostra parte
che ci spaventa
quella che fa voltare lo specchio
e dirci
“su, domani è un
altro
giorno”
e
“francamente me ne
infischio!”.
Tuttology on TV
Narciso morì annegato,
per ammirare la sua immagine
riflessa in uno stagno,
la sua immagine perfetta
in uno stagno.
Voi finirete morti
con la testa sfracellata
dentro il vetro di una
telecamera,
dentro al vetro di una
telecamera
in seconda serata.
A volte bisogna
Scappare a volte bisogna.
Ancor più
che stare immobili rasenti
ai muri
a proteggersi con un bicchiere di whisky in mano.
Scappare.
Scappare in un posto
sicuro,
qualsiasi,
purché ci sia solo tu.
E la tua ombra.
E questa mano. Presente. Sicura.
A redigere
la salvezza
della tua psiche.
Quello che è
Fammi essere in un altro cielo
che non sia questo,
( non sia questo! )
Trasformami in un’ombra
in un’impronta di piede scalzo
in qualcosa di inanimato
di non pensante
sono stanco
di pensare
fammi essere mare
che prende a testate
gli scogli in tempesta
fammi essere rudere
sottomarino
scheletro di seppia
fammi essere nido d’aquila abbandonato
visione di deserto
dall’alto della montagna
inaridita
fammi essere pozzanghera
d’acqua piovana
fammi essere inchiostro
sacchetto della spazzatura
discarica a Napoli
tutto
tutto
tutto
Tranne qualcosa di pensante
fammi essere collina biellese
bosco d’autunno
ago di pino rinsecchito
merda di cane al sole d’estate
fammi essere lampione notturno
che illumina la prostituta
e il suo cliente metropolitano
con la bocca fresca di
bacio di figlio
fammi essere frutto
caduto non raccolto
focaccia di sale
fammi essere smorfia di cane
lingua di gatto
fammi essere fiore di prato
formica sulla coperta
e
fammi essere scatola di
cartone
carta igienica nelle tubature
tombino da cui sgorgano le ipocrisie urbane
aria di neve
tegola in testa
rigurgito di neonato
Fammi essere tutto. Tutto. Tutto.
Tranne quello che è.
E quello che è stato.
Gli U.F.O. esistono ma sono in via d'estinzione
Gli extraterrestri
( i disgraziati )
son tutti quelli
che noi uccidiamo
quando teniamo
gli occhi serrati.
Preghiera
Chiedo a tutti gli atei
di non confondere
Cristo
con il vaticano.
E a tutti i credenti
di non confondere
il vaticano con
Cristo.
Memorandum
Non è ben chiaro
quel che sarebbe
accaduto.
Perché
Beata non si è
spogliata
e molte ginocchia
han fatto
scricchiolare
le panche
nelle chiese
i ceci e la polvere
dei tramonti
le particole volanti
le particelle radioattive
i cellulari smarriti
Mia mamma non
mi cantava le
ninnananne,
né mi coccolava
un gran ché.
Forse da qui la
mia sete
che era pure sete
sua.
Ma non è più
importante, adesso.
Mi basta che
passi questo dolore
alle ossa,
queste braccia
pesanti
questa pressa
ininterrotta
che lavora
mattina e sera
sera e mattina
Questa maledetta
pressa che è
la vita, la
mancanza di
denaro, la fatica
per mettere due
lire da qualche
parte che non
siano bollette
o conti correnti
postali.
La merce marcia
mercificata
come i cuori
dei bambini
( li avete toccati,
la pagherete! )
e tutto questo
promiscuo
nascondersi
dietro paramenti
sacri ( la
pagherete! ).
Forse sono solo
stanco.
Forse sono solo.
( stanco ).
forse.
Io sono un maestro
Cosa credevi?
Tutti i Maestri
( pensa che fessi! )
Sono maestri
per gli altri, ma mai
per loro stessi.
In prestito
Non voglio più
chiedere scusa
Non riesco a
dire più grazie.
Perché
anch'io
non posso
camminare sulle acque?
Peregrinazioni
Ho camminato.
solo.
centinaia di migliaia di chilometri
Varcato confini inimmaginabili
di inumana incomprensione
solitudine estrema
lacrime vanificate
Ho percorso.
solo.
centinaia di migliaia di sguardi
richieste di aiuto col berrettino alzato
le mani sfregolanti di umide schiavitù.
Ho trafitto.
solo.
centinaia di migliaia di passi
marciapiedi astanti
tremolii di cattedrali vacillanti
candele vuote
speranze disilluse
donne bambine megere dell'amore infantile
Ho patito.
solo.
centinaia di migliaia di me stessi
elefanti feriti barriti di pecore
belati di vacche muggiti di conigli
soli spenti stelle spente
lune inesistenti
sere come queste giorni come questi
volgarità come queste
Ho camminato
solo.
A lungo. Molto a lungo.
Con tutta questa stanchezza. Con tutta questa stanchezza.
Eppure, davvero, è strano,
ma
non ho mai spostato
il mio corpo sdraiato
dal divano.
Ris - poste
Io.
se non
capisco.
Scrivo.
E
Spedisco.
Alè
Gli alberi corrono
innamorati pazzi
Sopra corolle
celesti
Volte plantari
Archi di Travi
Le foglie volano
I semi scendono
in picchiata
Colmano di
vita sacra
la Terra
E noi,
animali cretini,
testa bassa e
lavorare
lavorare, lavorare
Lavorare.
Non ci accorgiamo
di un cazzo.
Seduti
Voglio restare qui.
A veder passare la gente.
Con le loro facce,
scolpite di bisogni.
Voglio restare qui.
Tu mi dai pace,
Francesco.
Mi sento come protetto.
La luce mi sfiora,
come la carezza
di un vecchio.
Non sento freddo
Posso restare qui.
Gente diversa.
Occhi, capelli, nasi.
Le stesse speranze.
Puoi essere solo, e stare
in mezzo alle folle.
Nessuno ti noterà
E se lo farà, volterà
lo sguardo.
Per pudore, per rispetto.
Ma qui i bambini
splendono
più del sole.
Ascoltateli, i bambini.
Sempre.
Che si dice
Tento nomi
alla Follia.
..Ma sono
Orfano.
Scalzo.
Muto di piedi
e disilluso.
E’ una mano
strana
quella che mi
tiene
il cuore.
Somiglia a una
conchiglia.
Rotta.
Non si sa se
spezzata.
Guastata.
Follia è il
suo nome proprio.
Ho cominciato
per difesa.
Perché mi avevano
creato debole.
Poi è stata come
una passione
ingestibile.
Inafferrabile.
Poi è diventata
come una coppia.
Si mangia insieme.
La passione finisce.
Resta l’amore.
La convivenza.
Difficile
ma inevitabile.
Un accordo tacito.
Io ho provato.
Ho tentato nomi
alla Follia…
Mi fanno male
i polsi.
Lupus in fabula
Se potessi
armare
tutti i miei ricordi
Le mie passioni
Forgerei
di proiettili d´oro
e d´argento
le eclissi
lunari
della sera
Le metastasi
ancestrali
dei miei sguardi
di cane abbandonato
Nel vento paralitico
del gelido inverno
le montagne scure
sono bocche
compiacenti
del mio amaro appetito
La gola infausta
mi grida
vendetta
Dietro false voci
di profeti scalzi
zoppicano denti
scarni di violenza
La vita nascosta
in un tombino
putrido infetto d´aria
trafitta
da sogni ossigenati
in rima
Camminano
passi introversi
nel buio di sonni
stranieri
Dovrò ritornare
su strade sconosciute
Che niente
avrebbero in
comune
se non il verde
impaurito
di un´improbabile
speranza.
Discariche
il buon viaggio si sposta
lontano da me, come la vacanza
di cui necessitavo
dentro i cuori di qualcuno che cuori non
sono
si alza il fetore delle discariche
d’invidia e di nullità
contro le quali non c’è pazienza
né intelligenza
e solo il loro ardire nell’intento
di uccidere l’anima tua, preziosa
e non difendibile,
spiega l’essenza del nulla che le
mantiene in vita
la loro vita è morte
ma esse non sanno
e anzi lo sanno bene
che ferire un essere vivente
e per questo prezioso
le porterà
nell’oblìo del nulla.
anime viscide
che ogni santo giorno scegliete
l’ombra del sottosuolo ed ogni
più tetro nascondiglio
per agire meglio
anime che non siete e non
sarete,
vi riconosco dai vermi che escono
dalle vostre false putride patetiche
bocche.
ho detto.
Trasferta piemontese 2
Oggi non si sposa
più nessuno.
Si divorzia,
più che altro.
Io ho divorziato
dalla religione
anni fa.
Oggi ho 35 anni
e un po’ sono
guarito.
Se denunciassi il
vaticano per danni
morali
sarei il nuovo
Onassis.
E mi comprerei
una sala
d’incisione e
un’etichetta
discografica.
E anche una
casa editrice.
Per far cantare
i muti, suonare
i sordi.
E scrivere
i monchi.
Trasferta piemontese 1
Come si fa
ad avere
visibilità tra le
strade di una
città anche se
antica?
Qui i sorrisi sono
solo per i
cani col
pedigree
Manca poco
che gli ficchino
la lingua in
gola.
Per il resto,
baretti da
spritz e fighettame
E una certa
supponenza che
mi ricorda tempi
che pensavo
non sarebbero più
tornati.
Solo per
Solo per averti visto le gambe
e aver ingoiato troppo in fretta
l’amaro della vita
solo per questo mio sacro e santo e umano
bisogno di pace e di sfogo
solo per averti visto le gambe
in un mondo di nudità espansa
solo per averti fermata in una fotografia
dove guardando l’obbiettivo
i coglioni pensano “sta guardando me!”
ed io ho pensato “stai guardando me?”
solo per averti visto le gambe
e l’amaro di questa vita
come fuoco d’inverno tra le costole
e l’esofago
un camion dei pompieri andato a ruba
e qualche sms
ora mi ritrovo disperso in quella città
antica che solo io conosco
perché è mia! dove non si annoverano
premi nobel né grosse menti
solo cuori che palpitano poligamici
senza ulteriori segni di disfacimento
una specie di sogno che Michelangelo
invocava una volta al giorno
per 365 volte all’anno
e anche di più
solo per averti visto le gambe
e il gioco sottile della diffidenza
tra le stime intellettuali e gli zero e gli uno
gli uno e gli zero
e questi interminabili bit
mi sembrano proiettili sparati
contro il cielo degli innocenti
se tutte queste cose le ho pensate e subito scritte
solo per averti visto le gambe
ed aver bevuto troppo in fretta l’amaro
di questa vita
che poi l’amaro si potrebbe chiamare fernet
e le gambe, ma guarda un pò, sarebbero proprio
le tue.
Il sonno dei giusti
e non mi venite a dire che il
sonno dei giusti
è quello che tira dritto per tutta
la notte
senza intralci
che inizia non appena chiusi gli occhi
e finisce col dolce raggio di sole
che filtra tra le persiane
e carezza il cuore riposato
i giusti
non hanno il sonno
pesante,
non hanno nemmeno il sonno.
fanno fatica ad addormentarsi,
i giusti,
fanno una fatica inumana
e si svegliano e risvegliano infinite volte
hanno le facce dei bambini con le mosche sulle labbra
stampate nei loro sogni lugubri
e le violenze sessuali e gli stupri
ad ogni respiro della fase r.e.m.
i giusti
si rigirano nel letto coi corpi stravolti dalle fatiche
di ogni santo giorno
dalle ingiustizie a cui hanno assistito
inermi
per problemi di lontananza
o di tubi catodici
Invece
Sono quelli che fanno il Male per il Male
che hanno sempre fame e sete,
per cui mangiano sempre, e non gli passa mai
l’appetito
Sono quelli Vendicativi, che godono della
sofferenza inflitta agli altri
perché così tutti debbano morire della loro stessa
morte,
sono loro,
queste anime così piccole e stolte,
che hanno il sonno profondo,
che non si sveglierebbero e non si svegliano
per nessuna ragione al mondo
che non hanno nessuna priorità al di fuori
di loro stesse
e dei loro principi
( mangiare, appunto, bere, appunto, espletare
i fabbisogni naturali, appunto,
far soffrire gli altri, appunto, vendicarsi, appunto )
Io mica ci credevo, quando Paolo mi diceva
della loro esistenza.
Credevo fosse malato e così,
mi dicevo,
vede nero dove è bianco.
Invece, porca di quella Miseria Ladra,
queste anime piccole e senza vergogna
esistono davvero.
ok, sì, fanno una vita
d’inferno,
ma la fanno pure passare agli altri.
qualcuno di voi ne sa qualcosa?
ne avete incontrate mai?
guardate, osservate, mentre siete nella vostra
insonnia dei giusti,
come è tranquillo il loro dormire.
l’appetito che non manca mai.
le nostre energie perse a dovere,
per loro, sono futilità.
ma una speranza mi resta.
una certezza.
me la porto a letto,
poi vi farò sapere.
Il paradiso delle mail
chissà dov’è
che se ne vanno a finire
tutte le mail non arrivate a destinazione,
tutti gli sms
questi messaggi d’amore,
di litigio,
di chiarimenti
finiti nel nulla, nel non possiamo
saperlo
nel ci sarà pure qualcosa, no?
chissà dov’è che se ne vanno
se pure c’è un paradiso delle mail
dove andare a ritrovare
discussioni lasciate a metà, e tutti i
dubbi
e le paranoiche incomprensioni
“io ti ho scritto, ma non mi hai
risposto”
“io ti ho risposto, ma forse non
ti è arrivata”
“mi avrà risposto davvero o sta
mentendo spudoratamente?”
“ma sarà vero che non gli è
arrivata o mi sta mettendo alla prova?”
gli amanti, a volte, fanno così
soprattutto se sono
freschi freschi
mah,
io non so se esiste il Paradiso delle
Mail,
ma questa enorme bocca eternamente spalancata
piena di fame atavica per tutte le emozioni
di questi piccoli esserini umani
( qualche strana setta la chiama “Internet”,
ma darle un nome
sarebbe come identificarla con il tangibile )
questa enorme bocca, dicevo,
si divora senza sosta miliardi di miliardi
di messaggi d’odio e d’amore
dalla cina allo swaziland
dove il re riempie di gioielli le sue nove mogli,
ma alla dogana
c’è un pisciatoio unico per tutti, si sta mezza giornata
ad aspettare non si sa cosa
e se non stai attento agli schizzi c’è rischio
di infezione
e l’aids è il virus più diffuso in
assoluto
( tranne che per le mogli del re ).
e adesso questa poesia nemmeno la
rileggo
altrimenti dovrei supplicare
questo dio internettiano
di portarsela immediatamente e senza ripensamenti
nel suo patetico
sheol!
Amleto 2007
Ma le donne che
si spogliano nel
televisore
dopo con chi è che
fanno l’amore?
Mail
mi è successo che Cristina mi ha mandato
una mail
e che io abbia perso il mio autocontrollo
e che gli occhi siano scoppiati e i fiumi che ne sono usciti
mi sa che sono vecchi di secoli
e non ci sono dighe a contenerli
mi è successo che non mi riesco a fermare e che non
so come le dita possano schiacciare queste lettere sulla tastiera
lettere che non sono più a caso
mi è successo che per una volta c’è stata una mamma buona
che mi ha messo con le spalle al muro
a forza di abbracci
e io non sono abituato
e non so cosa fare perché qui dagli occhi
non si vuole fermare più niente
non ci sono cristi
eppure ci sono
mi è successo che mi è esploso il mondo
e tutta la fatica di essere stato capace di non andarmene
prima di quando sarà
e mi è successo che volevo risponderle ma non ci riesco
e tutto quello che so fare è mettere insieme delle parole
senza ragione
come non si ragiona quando si torna a casa alle quattro di notte
di corsa a buttare la testa nel
water
e mi è successo
che
credo
che
sia
giusto
e
sacrosanto
e niente di più che
un inviolabile
diritto
potersi
esprimere con
l’arte
ed
arrivare
per
fregare
almeno
un poco
la parte
brutta
di
questo
inspiegabile
esistere.
Ich
sperduta.
pessima.
canzone.
che.
non.
sono.
altro.
Telepa$$
Sei venuto così,
allo stesso modo
con cui viene la pioggia quando
Dio la manda
E mi hai detto:
Io sono il re del
tempo.
Sono io che comando
il tempo tuo.
Vuoi il tuo tempo?
Io te lo vendo.
Io guardavo gli altri tuoi
acquirenti
sfrecciare coi loro bolidi
mentre, disperato, cercavo
le mie ultime monetine disperse sotto al
sedile
E dietro, i clacson impazziti,
strombazzavano minacciandomi di morte.
Una volta uscito dal
vortice, ti ho risposto:
Me ne fotto della
tua offerta!
Chi ti ha dato il
mio tempo?? Eh?
Chi è stato?
Chi ti ha autorizzato?
Il mio tempo è mio.
Solo mio!
Ed io solo me lo
gestisco.
Vai a importunare
qualcun altro, và.
Figlio legittimo di questa
società.
Mi vendessi un panino,
per nutrirmi.
O dell’acqua, per
dissetarmi.
Ma mi vendi il mio tempo…Che cosa vuoi, allora?
Non mi avrai,
non mi avrai mai.
E così, convinto, ho
resistito.
Per due anni.
Poi sono scoppiato.
Ho ceduto.
E, ( codardo ), ti ho comprato.
Copertoni
Poveri copertoni, poveri, poveri
copertoni miei..
Così bisognosi di termocoperte
autoregolanti….
Non sia mai che vi venga un coccolone
e facciate perdere secondi preziosi al pilota
di turno, rinchiuso nel sarcofago dorato
delle grandi aziende pubblicitarie e degli illeciti sportivi.
Poveri, poveri,
poveri copertoni miei.
Ciascuno con la sua bella copertina
termoregolante.
E “chissenefrega” ( chissenefrega!! ) se due passi più in
là,
sotto un ponte, sopra una panchina,
nella piazza dell’ospedale,
muore di congelamento un barbone.
senza nemmeno il
giornale.
All’ ufficio postale
Una fila disarmante, spinta fino all’estremo,
fino all’esterno,
sotto il sole che cuoce le pressioni basse
e i marroni
devo dedicare il mio sabato, il mio sacro riposo dalle fatiche
della vita,
ad un’insensata attesa del nulla.
E allora, se proprio devo fare una fila,
che sia per “ricevere”,
non per “dare”.
Starmene come un automa, in mezzo a tutti questi
cadaveri, fieri di essere puntuali,
a farmi essiccare gli intestini
ed il fegato,
per pagare una bolletta dei poveri
di spirito
ai ricchi di corpi.
Puah!
Osanna al mio Nord!
Osanna al mio Nord!
Grande e meravigliosa Terra della
Produzione.
Produzione
di morti.
Operati di tumore all’ugola e messi
in attesa per tre mesi
per una radioterapia d’urgenza.
Alleluja!
Alleluja al mio Nord!
L’Emmanuele
il dio-con-noi.
Con chi?
Con chi?
Parti e torna, suda e cambiati,
datti una lavata nel petrolio,
immergiti nei peli del culo leccàti a dovere,
sputali dalle bocche amare
cincischiate agli affari edilizi
alla prostituzione dei piccoli
Ma come si può essere così ciechi
sordi
e coglioni???
A volte, non mi vergogno,
a volte quando sono stanco come oggi,
vorrei vivere nel mondo di Laura,
sorda cieca muta e autistica.
Mani sul cranio, dita sugli occhi chiusi
e nelle orecchie.
Cerchi concentrici ripetuti all’infinito,
con passi matematici.
35 giri a destra, 23 a sinistra, pausa.
42 giri a destra, 83 a sinistra, pausa.
46 giri a sinistra, 73 a destra, pausa.
89 giri a sinistra, 57 a destra, pausa.
( ad libitum ).
Glò
Era sole d’inverno,
era sole d’estate.
Era sola come si è soli
quando due guanti ti tirano fuori
dal dubbio
e ti danno due pacche sui polmoni
per farti respirare
e diventare come tutti gli altri.
Era l’amore
come per gli uomini
e come per le donne.
Era il dolore e la sofferenza,
ma soprattutto
il cuore che batte.
Nonostante ed oltre.
Era l’ossigeno
e tutta l’incomprensione
della natura degli esseri umani.
Era una foglia di eucalipto,
era un koala appeso,
ma era anche un bradipo
e tutta la foresta
dell’amazzonia.
Era il mare in liguria
dopo le sette di sera.
Era l’amazzone sul cavallo
più potente, con l’arco
teso
al di là della traettoria di cupido.
Era Cupido.
Era un’emozione stesa sull’asciugamani,
era l’asciugamani steso sulla spiaggia
era l’orecchio vicino ai vocii fuori,
aggrappato ai pensieri dentro
era solo l’inverno.
era solo l’estate.
Ma vi dirò di più.
Era,
non
era.
Glò
E’.
( e questo è il mio bacio ).
Mangio io
Mangio io.
Mangia il mio
cane.
Stesso piatto.
Stesso cucchiaio.
Stessa terra.
Oh, Terra Santa,
quante menzogne!
Quante promesse
non mantenute!
Quanti figli,
figli di Dio perfino,
ma non te ne
importa nulla.
Non te ne importa
nulla.
Gatta bastarda
senza amore
né compassione.
Non te ne importa
proprio nulla?
Tutte queste creature.
Povere misere
abbandonate creature…
Mangio io.
Mangia il mio
cane.
Stesso cucchiaio.
Stessa terra senza
cuore.
Ci ricoprirà.
Ancora prima.
Manovelle
Quando sono uccisi
dall’amore
i cadaveri escono
vanno a tagliarsi
i capelli
Comprano dei
vestiti nuovi
O semplicemente si
annaffiano l’anima
in qualche osteria
Concedendosi una
ciulata onirica
più o meno a
pagamento.
E così mi hai portato
al Pozzo Bianco.
Ma io mi ricordo i nostri
discorsi.
E di bianco solo
il latte della tua pelle,
sotto la maglietta,
sotto al vestito nero.
E l’unico pozzo che ho visto,
giaceva, profondo,
nel fondo dei tuoi occhi.
E ricordo il freddo
Ed il rumore dei tuoi
tacchi
sul ciottolato
che risuonava lungo
i muri delle case
fin sopra ai davanzali
tra le persiane chiuse.
E ricordo le
tremilaseicentosettantasei
volte che avremmo voluto
baciarci
E lo abbiamo pure
pensato nello stesso
istante.
E lo sapevamo entrambi.
E mi ricordo le stelle
E la tua apocalittica pisciata,
accovacciata
tra le automobili di lusso.
E poi la sosta.
Sopra il muretto.
Prima di entrare in auto.
E.
E questa cosa splendente,
miracolosa.
Che nessuno potrà
mai avere
perché è solo nostra,
tua e mia.
E la mia fortuna.
E la tua fortuna.
E ricordo Dio, quello vero,
che sorrideva.
Pieno d’Amore.
E la tua fortuna.
E la mia fortuna.
E non ricordo altro
che questa enorme
coperta di pace
che mi scalda ancora.
Con tutti i colori dell’arcobaleno
e dei mondi bianchi
che verranno.
A tenerci, forte e stretta,
la mano.
Come solo una cosa
..Sparissero tutti
gli esseri umani
Dalla faccia della
Terra…
Tranne me
che non sono
un essere umano
Perché non ho
quest’altezza
Né l’estasi
perfetta.
Tranne te,
penultima stella..
Sparisse Dio, per
un attimo solo.
E tutti i miei
sensi di colpa.
Sparissero tutte
le mie monogamìe…
Staremmo così,
se lo vorrai
Abbracciati forte
contro ogni tempesta
E dopo esserci
persi,
ritrovarsi
Tu in me
ed io in Te.
Come solo
una Cosa.
Sogno
Sogno
delle facce brutte e delle facce belle
che mi guardano piene di domande
e
sogno
migliaia di voci di uomini e donne che
bestemmiano
poco prima di addormentarmi
sogno
che questa stanchezza passi davvero
in braccio a tutte le incomprensioni.
e sogno un tempo in cui nessuno debba più giustificarsi
per la sessualità con cui è nato
o per ritrovarsi a vivere in una terra “non sua”
sogno
che ogni pezzo di terra sia di tutti
tranne che dei prepotenti
e sogno che finisca una volta per tutte
questo falso pacifismo
senza aimsha
e sogno la fine di tutte le camicie verdi e
delle magliette del “che”
e di tutte le bandiere arcobalenate
che pendono ingiallite dai terrazzi vuoti d’amore
sogno che ce le mangiamo tutti
come una comunione
e che finalmente la pace vera
entri
sradicandoci i petti
sogno la fine del razzismo
e dell’illegalità e della violenza
cosicchè nessuno possa più dire
“a casa! a casa! tornatevene a casa vostra!”
e nessuno possa più dire
“…eh, ma poverini, vanno capiti!”
sogno di poter dire
“Stronzo!”
a uno che si comporta come uno stronzo
giallo verde rosso nero marron
bianco pallido nordestino claudicante
disabile bambino o adulto che sia
e sogno un mondo in cui nessuno
tocchi caino
ma dentro un mondo in cui
caino non tocchi più abele!!!
e sogno che la si smetta con queste guerre politico-sociali
che non sono altro che sfoghi personali
di nostre insoddisfazioni
e sogno
che non ci siano più questi bisogni
di avere nemici comuni
che si chiamino berlusconi, bush, saddam, bin laden,
america…
basta, nemici comuni.
che pace volete avere se odiate qualcuno?
e sogno,
in fase rem,
di trombare con marylin monroe
e una volta, quando stavo con silvia,
forse per “stazza comune” stavo per trombare
la gattinoni
e, cazzo, se sono stato felice di svegliarmi
in tempo!
e sogno più comprensione
molta più comprensione
per chi vive e la pensa diversamente da noi
perché voler bene a chi ci capisce è semplice.
rispettare chi è apparentemente lontano, meno.
e sogno che si impari
prima a ricevere, che non a dare.
perché donare è facile
troppo facile.
è a chiedere che ci si deve umiliare.
a dire “ho bisogno di voi” si fa fatica,
mica a donare.
nel dare si è sempre un gradino sopra il ricevente.
qualcuno di voi ha mai chiesto davvero
aiuto ad un amico?
non dico ad un prete o uno psicologo.
dico ad un amico.
e sogno che la si smetta di politicizzare tutto,
in questo patetico teatrino di palazzo chigi
o del viminale
sogno che ogni politico ritorni bambino
e risenta la fame e la sete di giustizia che lo
attanagliava, come un abbraccio di
speranza
e sogno che si emozioni, in questo ricordo,
e che ritorni in un pianto liberatorio e salvifico.
e sogno il vaticano sottoterra, e sopra la terra tutti i bambini, di oggi e
di sempre,
che giocano a girotondo tenendosi per mano
e sogno
che un giorno qualche pazzo si metta a pubblicare quel che scrivo
e che qualcun altro ci si ritrovi, nei miei pensieri.
e sogno
di finire la mia vita quando lo deciderà la morte,
non io, così avrò vinto.
questa partita a poker la voglio
vincere io.
ma sogno anche che si rispetti la terribile
libertà di uscire dal gioco prima dei tempi,
a carte scoperte, perché, e ammettiamolo cazzo!,
a volte questa vita è una puttana sadica che non da alternative.
e sogno il paradiso qui ed ora, e come un luogo
dove ci si ritrovi tutti
senza il puntino di yin nel massimo dello yang
e senza il puntino di yang nel massimo dello yin
una sola grande sfera infinita
dove andare a cercarci per festeggiare bere ridere
ridere RIDERE!!
perché, madonna!, la felicità è un diritto!!!
non la serenità.
non mi basta la serenità.
la lascio ai monaci tibetani. e ai loro mudra.
io sogno la FELICITA’.
e voglio morire cagando.
e canterò fino a spaccarmi la gola
e rimarrò solo quando sarò in mezzo alla gente
e aspetterò un tram sotto la pioggia
e avviterò il bullone del timpano della batteria
e farò l’amore senza sensi di colpa o ansie da prestazione
e ascolterò l’abbraccio di Piero e le canzoni nuove di Rino
e metterò un tacco sotto la scarpa di mia nonna
e staccherò tutti i cateteri e butterò giù dalle nuvole
tutte le macchine chemioterapiche
e le terapie alternative
e tutti gli ashram
e le scuole di cucina biologica o transgenica
e stringerò forte tutti i diversi
ma proprio tutti
compresi i farabutti che ingorgano le strade
di soldi e potere cacati dal cuore rinsecchito
e sogno
di addormentarmi presto
e di non sentirmi più così
sbagliato.
e inutile.
e sogno di riuscire a dire
“ti amo”
almeno una volta
prima
di andarmene da qui.
E così sia.
Identikit
Non saprei come fare
per descriverne il viso
so solo che dalle bocche
escono parole che non consumo
che dalle teste si schiacciano cuori
inconsulti
che la gente esulta nelle strade
per la vittoria del milan in coppa
dei campioni
Ma la faccia di queste sensazioni
io proprio
non la conosco
mi fa così male, però.
così male.
passano dei momenti, come si attende
un treno
o sulla banchina della metropolitana
passa il tempo di montare una tenda con tre
picchetti
che ti trapassano il petto
e ti ritrovi in un paese che non
è più il tuo
dove si parla una lingua straniera
senza più origine
forse su marte
o nei paraggi
si cammina dentro anelli di braccia
soffocate
fuori da tutto e da tutti
ci sono le cose da ricordare, quelle
da mettere a posto
ma ci sarei anch’io, per dio!,
dovrei esserci anch’io, no?
Mi mostrano uno specchio, mi chiedono
“che cosa ci vedi dentro?”
Ma io non ci vedo niente, accidenti,
non ci vedo
niente di niente
Maledetta sacra comprensione.
Troppe volte non ci sei.
E quante volte,
Quante
volte
non
basti.
La bici
Questa vita va.
Claudicante, va.
Questa vita va.
Zoppicando, va.
Ma
prestami la bici,
le mie radici avrai.
Tu
prestami la bici,
le mie radici avrai.
Chique a cienfuego
Una strana sera
due bambine
mano nella mano
Nere
piccoline piccoline
Mi chiedono
hai da accendere?
Luca porge
l’accendino
Noi siamo in cinque
La sigaretta
arrossisce
e loro se ne
vanno.
Ma poi mi sporgo
dalla panchina
E mi chiamano
Io ho paura di
capire
piccoline piccoline
E fingo di non
vederle
Così loro si alzano
e tornano
E chiedono
Ci volete
questa
notte?
Rispondiamo no
E loro spariscono
piccoline piccoline
in fondo a quel
viale scuro
di quella strana
sera
Certamente dentro
il pene rammollito
di qualche vecchio
bavoso danaroso
con l’alito che
puzza di stomaco
marcio,
di morte imminente
Uno degli infiniti
codardi
che promette
loro il paradiso
europeo
E poi non mantiene niente
E se ne torna a
casa da moglie e figli
con una
dentiera nuova
e tanti, tanti auguri!
e Buon Natale!
e questo è per
il mio nipotino
preferito
Dà un bacio al nonno, sù!
Quanto avrei stretto
le loro mani
Piccoline, piccoline…
..Ma dove andate?
E’ ora di dormire.
I bambini
devono dormire!
I bambini
devono
dormire!
E non avere
pensieri.
Maledetti tutti voi
che
avete calpestato,
senza ripensamenti,
queste indifese anime
innocenti!
Colpi
colpi inferti, colpi inflitti, colpi subiti, colpi
mendicati
sempre gli stessi colpi
sotto gli occhi dei benvenuti
colpi che la mia colpa mi scatena contro
come un uragano analfabeta
senza nome
colpi direttamente proporzionali alla mia
conoscenza
colpi che zoppicano nell’endocardio
colpa dei colpi
se sono qui a sentirmi come sto
e se stasera è tornata la voglia di bere,
il diritto
di starmene un poco bene
e non sentirmi ancora così inutile e
inutile
e disturbante
e invece
me ne sto con la testa china sulla tastiera del computer
perché non c’è un goccio d’alcool in tutta casa
da così tanti anni
che io adesso non so come fare
mi butterò in letto
avvolto dalla speranza che la vita non possa essere
tutta qui
e che ce ne è ancora da dire e
ancora da fare e che se si svita il tappo
non c’è fermento sotto che possa castrare
il vino buono
bisogna aspettare che invecchi, il
vino rosso.
forse mi tocca aspettare. e sono capace,
sono capace. di aspettare.
è l’unica cosa che so fare.
già. l’unica.
Camera senza vista
Ricominciare
a scrivere
è molto difficile
Tenere a bada
le mie peregrinazioni
mentali
ancora di più
al mio cervello,
dico sul serio,
dovrebbero dare
una pensione.
3 Luglio
Sulla scritta
“ Cioccolata con panna “
Avrei tirato
un pugno
Sarebbe esplosa
la vetrina
e sanguinata
la mano.
Ma a chi
sarebbe importato?
Chi mi avrebbe
sentito?
Quando uno è solo
ha mutilate
le corde vocali
e la gente d’intorno
è rintanata
nelle proprie case
E tiene le
orecchie ben chiuse
nel portafogli.
Mi fa ridere
pensare
che tutti dormono
mentre io
me ne sto qui
seduto nella mia
Agila
a scrivere epiteti
idioti tra un
neon che va e
viene
e la mia
anima
morta.
I nani sette
I nani erano sette
Biancaneve
era una sola
Giacente
li aspettava
come un verbo,
una parola.
Così, uno
sopra l’altro
provvidero al gioco
che nessun amante,
mai, avrebbe potuto.
E un principe solo
con mille intrusioni
e sette abitacoli
si tolse l’ingiuria
che Madre Natura
non volle concedere.
Io stetti a guardarli
di dietro ad un vetro
E mi vergognai
come era giusto facessi
Rivincita astuta
e bel godimento
nel Paradiso dei Poveri
non ebbi mai
accesso.
Ma ormai,
in quel gran complotto
l’inferno rideva
e i nani erano otto.
Dibbuk
Passo veloce
come lo sputo
di un santo.
San Girolamo.
E sotto il monte
una piccola fontana
cerca invano
di benedirmi.
Ma il mio spirito
stanco
ha in destino
il vagare solitario.
Una piazza.
Tre strade.
Un binario.
Il deserto.
E una stella.
Sottoterra,
all’aperto.
Bluebell
e la fiducia che cos’è?
un nonno che si è perso
sulla strada della memoria
sei tu che mi sembri una straniera
con chi ho vissuto, due anni?
non mi rispondi
forse c’è un’eco che mi disturba
forse siamo delle fritture di pesce
con un ettolitro di limone
per mascherare la mancanza di freschezza
ma io ho paura
che tu sia una menzogna
questo non lo sopporterei.
chi sei?
che ci fai in casa mia?
e la fiducia,
che cos’è?
un cane che si strappa la coda
per levarsi le pulci
io non so più niente
ho paura che tu sia una strega,
come quella che mi fissava dai vetri smerigliati
quella maledetta notte.
sei sbronza del tuo egoismo
vomiti nient’altro che te stessa.
che spettacolo triste.
mi viene voglia di tirare il sipario.
così,
giusto per rispetto.
Army
Alziamo la bandiera.
Dal cielo piove cemento,
piovono valanghe di vanghe
per seppellire i resti
di amori repressi.
Alziamo la bandiera,
che ci vuole?
Cadono bombe che parlano lingue
che non ci appartengono.
L’orgoglio ha i minuti
contati, ha rotto l’orologio
della supponenza.
A volte dire “mi arrendo” non
significa darla vinta,
ma solo “tregua”, “respiro”.
Terra arida seminata a sfiducia,
mi spieghi perché sei tornata?
Perché sei tornata?
Non dovevi sparire nei meandri delle
cantine vinicole?
Perché sei tornata?
Alziamo la bandiera.
Non aspettiamo di inciampare nelle
mani bianche dei morti stanchi.
Biancaneve dorme, dorme e non sa.
C’è un principino azzurro.
Ma gli scivola lo stivale.
Cade.
Si rialza.
E se ne và.
Di fazzoletti al collo non ce ne sono più.
Ora si sventola dai finestrini
le scuse che vorremmo aver dato,
la lama che mai ha tagliato,
le lacrime cadute dietro agli occhi,
due etti di crudo
la crudeltà dataci in pasto
dai televisori,
come un sugo in cui intingere meccanicamente
la nostra ulteriore sopportazione.
Alziamo questa bandiera, maledizione!
Che ci vuole?
Sotto sotto,
c’è soltanto il bianco che qualcuno ha scordato.
La luce che illumina il salto
che tutti,
tutti, tutti,
abbiamo ereditato.
Se zoppichiamo, è solo perché
nessuno ci ha detto cosa c’era prima
di aver bevuto
quel bicchiere di Nulla.
Mio Dio, ( mio Dio! ),
dov’è, dov’è,
dov’è
la tua culla?
Avira
pure l’antivirus mi ha abbandonato…
il mio computer è nudo,
inerme
assomiglia molto alla mia anima
forse è suo fratello
forse non ci sono figli
nascono e se ne vanno
in un mondo chissà dove
ma è dove i genitori
non li possono avvicinare
come vorrebbero
si tendono le dita
come d’inverno
sotto la coltre dell’impossibile
si condensa l’aria dalle bocche
e i figli non si lasciano capire
( e dio solo sa invece quanto vorrebbero )
dai loro genitori
ma guarda com’è la vita
si fugge dall’amore come da un fuoco
che ustiona l’eternità
e tutti scappano.
pure Avira è sparita.
va bene, va bene.
sì,
ma dove sei finita?
Quando la musica suona
Lasciarsi andare
piano piano
affondare nell’oceano caldo delle illusioni
non sentire più niente
nessuna parola nessun lamento
niente di niente
lasciar vibrare le dita
cha vadano dove vogliano, dove
meglio credano,
senza più voci, senza più
urli disperati
nessuna bomba esplosa sotto piedini ingenui
Quando la musica suona
accadono cose incredibili
io sono nel fondo del fondo di questo lontano mare
ma va tutto bene
tutto bene
e quando mi manca il respiro
Maria la dolce mi prende tra le braccia
nel suo velo azzurro mi innalza e mi porta
in superficie,
per prendere quell’aria che tanto disprezzavo
quando la musica suona
se la musica è buona
io finisco in un posto che non posso
spiegarvi
pieno di pace e riposo
dove tutto e nulla sono gemelli siamesi
dove c’è pure il non c’è
dove si può dormire senza avere sete o fame
senza dover correre al bagno
dentro l’acqua di questo oceano meraviglioso
io sono nessuno
e poi sono qualcuno
e poi molto e molto altro
una balena arriva e porge il suo saluto
un sibilo ad ultrasuoni
che mi fa scoppiare a piangere
piango per i bambini, per questi uomini
sofferenti dal cuore inaridito
piango sostanzialmente per quel che hanno fatto a me,
quand’ero piccolo e non conoscevo difese
ma poi la musica suona, io mi ricordo
che suona, la sento
arpe e carillon, violini ed incensi
la mia offerta verso il cielo che ha gli occhi
stanchi
è questa mia inettitudine a starci.
a volte.
Il suonatore di tamburi
Anch’io suono i tamburi come
li suonavi tu, Nazal.
E, porca miseria!, avrei pure gli stessi tuoi anni.
Solo che a me, quando vado nei locali, lanciano
applausi.
A te sassi e baionette.
Ed io non ho ancora un figlio, come il
tuo, che ha visto tutto.
Suo padre allontanato e massacrato.
Perché suonava il tamburo nella terra
dei fanatici.
“dio” si loda solo con le litanìe vocali.
E demoniaco colui che fa dell’arte la
propria vita, che suona con strumenti
infetti e diabolici.
Io non so più se sto vivendo una
vita vera
o se quest’essere umano è soltanto
un incubo di passaggio.
Ma bastano cinque minuti, ( una lapidazione,
tre scariche di baionette, e qualche coglione )
per tranciare una vita
di netto.
Ed uscire.
Da questo sogno maledetto.
Nella notte
Nella notte ti cullerò
cercandoti un equilibrio
E un bel fiore ti donerò
col sangue versato invano
La mia gola si brucerà
lottando col tuo pensiero e
forse un giorno si spegnerà
la Luce che ha messo al mondo
Tutta la piccola
vita mia.
Tutta.
Dimmelo e dammelo
Ok.
D’accordo.
Nessuno tocchi Caino.
Ma che nessuno, mai,
tocchi più
Abele.
La congiura
Eh, ma qui c’è una congiura,
davvero!, manca poco…
Mi stanno circondando il cuore
con il filo spinato
E allora, allora, dove sta
la soluzione?..Il significato?
La gamba non si muove,
lo stomaco è inglobato
in questa mia implosione
di orgoglio rassegnato
E allora, allora, dove sta
la soluzione?..Il significato?
Di questa stagione
piove sempre sul bagnato..
Sconfitta su sconfitta
la schizofrenìa mi appare
sempre più delineata
Le strade sono sporche
del sangue vivo
degli ultimi Don Chisciotte…
Ma nessuno ci fa mai caso
E l’A.n.a.s. riprende i suoi lavori..
L’A.n.a.s. prosegue coi lavori…
Nostra figlia ( E anche la tua! )
La piccola ribelle
danzava nelle strade
Non stava nella pelle
cantando le canzoni
Ma poi un mantello nero
spacciandosi d’artista
L’affascinò a tal punto
da prenderla nell’ombra
portarla via nell’ombra
L’avevan visto tutti:
nessuno ha visto niente!
Poi nel televisore
fior fior di specialisti
gridavano sbraitando
col portafogli pieno
La mia principessina…
..nel cuore di nessuno!
La piccola ribelle
cantava per le strade
Se fate un po’ silenzio
la sentirete ancora
Stavolta è un canto strano…
Mi sembra forse un pianto
Decisamente un pianto.
( Oh quante belle figlie,
Madama Doré,
oh quante belle figlie…)
Non tutto il male
dalle fobie perverse
di una poltiglia di
preti
Sono Nati
Mille e più Mille
Poeti.
Sailor’s
forse navigando lontano,
nell’oceano di whisky che
avevo scordato
forse nel fondo del fondo del
bicchiere rubato,
rigettando in questo mare la mia anima
pallida
dove l’amore è sfinito
succube delle tue follie,
le catene ai polsi del cuore
forse arriva cigolando l’ombra divina
di inesistenza a ritroso
forse arriva
per dirmi o star zitta
per ricordarmi i fallimenti
i sospiri spremuti fino all’osso
e pure nel midollo
qualche senso ci dovrebbe stare
ma sono troppo lontano,
le tue lacrime sono un libro già
letto
un film in videocassetta
un reflusso da ernia jatale
abbandonato fra le onde
che a volte mi spingono verso te
e altre verso la deriva
magari il mio cuore è un’isola
forse la colpa è mia
o forse nemmeno esistiamo,
sarebbe bello fosse tutto un brutto
sogno
e poi svegliarsi
con una mamma che ti carezza
ed un bicchiere di latte caldo
di domenica
e per oggi tutti al mare
e niente messa
pane e banane
sopra la barca
che ci ha messi in vita
sul mare piatto
finalmente calmo
senza le tue ire
senza le tempeste alluvionali
Sailor’s ha 40 % vol
ma a me sembra acqua fresca.
Si aspetta
si aspetta
che finisca questa pioggia
che i bambini smettano di gridare
che venga eletto il nuovo papa
che cominci ad usare le maiuscole
e si aspetta
che il nuovo papa s’ammali
cosicchè si possa stare collegati
e fare audience
che questa pioggia finisca
che le suore di San Damiano, nella loro
silenziosa umiltà,
non smettano mai di pregare
perché qualcosa è successo
anche in me, che nella preghiera non credo
e si aspetta
di essere riconosciuti
che le gocce siano sempre oblique
che arrivi il diritto all’amore
di prendere la macchina
ed andare da qualche parte non
importa dove
si aspetta
un sorriso.
e si aspetta
che ne arrivi una sola, di donna,
ma che stia con te
senza averne quindicimila che
ti adorano
ma stanno con altri e ti dicono
che meriti molto
ma chi l’ha detto che merito molto?
e si aspetta
un gran bel successo per le mie
parole
e riconoscimenti su riconoscimenti
altrochè!
si aspetta
che quello che mi ha detto Piero in sogno
si avveri
nell’anno previsto
e si aspetta
che la solitudine sia abolita
dalla faccia del pianeta
questa sì sarebbe una vittoria
non ci sarebbero più guerre
né falsi pacifisti
dal cuore nero
o rosso
la differenza non esiste
sono tutti uguali
e si aspetta che qualcosa cambi
che la vita non sia un inganno
che ciò che mi porto dentro
sia davvero una profezia
avverabile
e si aspetta, a volte come oggi
che una mano calda
carezzi la fine
e poi più nulla
nulla.
Gesù sulla scrivania
Gesù è morto
sulla mia scrivania
crocifisso a due legni
di ordinaria isteria
E la Stella di Davide, in cielo,
cerca altre comete
e lunghe notti
a contare
al rovescio.
Ma l’Agnello è tornato
nel suo gregge paterno
ed attende i Suoi Figli
dove Amore e Dolore
non
fanno più
rima.
Pietra
nella sua rete,
pescatrice di anime,
c’è ora una creatura senza sbagli e
piccola,
piccola piccola piccola
che non ha bisogno di essere salvata ( come
noi ) e nemmeno stava per affogare
( come
noi )
una creatura piena di meraviglie
che sa nuotare
e non ha bisogno poi
di così tanto aiuto come si crede.
…proprio nella sua rete!
che adesso è nuova e
ha la forma della pancia di una mamma
tutta protesa verso l’avanti,
come un abbraccio infinito
mi prendo il lusso
di godermi la mia fetta d’amore
che ora non è più quel malsano desiderio
di conquista e scardinamento delle gioie altrui
la mia pescatrice…
che mi ha ridato la vita,
insegnato
a giostrarmi nell’oceano, e i suoi pericoli
( quanti! ) ora non mi spaventano più
respiro in acqua ( ancora a fatica )
e gli squali sono tanti
ma questo è il gioco:
qualcuno mi ci ha messo e da qualche parte c’è un
perché
mi prendo il lusso della memoria della sua bellezza,
una rete bionda con occhi profondi profondi
come la parte buona di questo oceano
come la fiducia
come una vittoria
come l’augurio che sta nel nome
di questo suo pesciolino d’agosto
che verrà
a farsi viva a testa in giù
e
( non c’è santo )
sarà una pesca tutta sua
tutta sua
tutta sua!
Santa Gioia del liberare!
Le cose nascoste
Le persone importanti
ora
sono distanti
Devo cavarmela da
solo
in questa situazione di
isolamento termico
L’Anima va a fuoco
L’Anima ha fame
L’Anima non merita
l’esilio
Sono scappato dalla
tavolata
e mi sono nascosto
nello sgabuzzino
C’è un piccolo divano
Mi riposo in pace
Sento i rumori lontani
delle posate
ed i vocii appannati
Non mi importa dei
loro dialoghi
Sono più che altro
monologhi
istigazioni al tradimento
frasi buttate sul
soffitto e ricadute
su un biglietto di
auguri.
Quante cose nascoste!
Sono queste,
che mi fanno
male! Solo queste.
Sapere che uno
non sa ciò che
sta alle sue
spalle.
Mi sembrano lame.
e,
forse,
lo sono.
A
Non so come dire
ma
siamo tutti stanchi
Di andare indietro.
Di andare avanti.
B
Di tutto quello
che mandar giù
mi tocca
..quanto mi torna
in bocca
C
Il passato
è una moneta
senza testa.
D
La Rabbia ?
Il grido
straziato
del
Dolore.
E
Ho voci
per occhi discreti.
E orecchi.
Per muti segreti.
F
Facile falciare il
felice prato di farfalle
ignare.
Passa il nonno ricurvo,
la stuoia sotto il letto
la retina intrappolata.
Un delitto perfetto.
G
Si faceva del vociare
su dove fosse finito
quell'angelo bambino.
Ma io già da prima sapevo.
Il volto del Male
gli era
fin troppo vicino.
H
Tornato al mio posto
dietro la lavagna nera,
alle sette di sera
un occhio si dischiuse al
vento
un quadro si staccò dal muro,
contento,
un attaccapanni curioso
sporse i suoi chiodi dalla croce
e cristo mi disse, mi sorrise e mi disse, e
mi disse. E mi disse.
Con la sua rauca voce.
I
Scoppiavano i botti per la fine
dell'anno.
In giro, la pioggia, e nemmeno due gatti.
Un adolescente con gli occhi
morti mi incrociò
per tre volte.
Il suo dolore mi devastò
quanto il mio devastò lui.
Ma poi un angelo femmina,
imbacuccato sopra una bici,
fece un cenno di auguri con la mano.
Le risposi.
Mai regalo più bello.
M
Cagna contro cagna
l'orrore cammina dentro la stanza
Non andate tanto lontano
è qui, è qui
quel che cercate.
Da dove fuggire?
Fuggite?
Tornate a casa!
Il topo scivola sotto la
carrozza e
un pidocchio gli brucia le
meningi.
N
Sono i miei denti
che stuzzicano
lo stuzzicadenti.
Altroché!
Alé!
O
Saliva nel fango la ripida
discesa melmosa.
Il castello deserto
lo
aspettava.
Pioveva come dio la
mandava.
Perciò pioveva male.
Gli scivolò uno
zoccolo.
Non morì in
ospedale
P
Ci saranno altre devastazioni.
I sedici milioni
si rivolteranno nel paradiso.
Senza divise,
gli oppressori falceranno la
luna
in nome di un dio che si chiama
follia.
R
Muto, il mio corpo sul
divano.
Subliminali i muscoli contriti, sotto la
scossa di una paresi
La tele accesa,
il nulla nelle ossa
Gesù, quando arriverai
per la riscossa?
T
Il mio
Vaso
Trabocca
di
gocce d'inerzia.
U
Una volta era una volta.
Adesso è adesso.
Molto più spesso.
V
Mentre
Ancora
Navighi,
Una
Estrema
Libertà
Ama.
Da studi approfonditi
Qualche scienziato dovrebbe studiare
queste frazioni di frazioni di frazioni
di secondo
Infinitesimali
Qualche scienziato con una mente
eccelsa
che possa comprendere
e spiegare
queste frazioni di frazioni di frazioni
di secondo
dove sembrerebbe
che la Felicità si sporgesse
dal suo finestrino
Voi non avete idea di cosa sia
la felicità.
Non l’avete mai vista.
Io sì.
Dura praticamente niente. Ma ti devasta.
Di Pienezza.
Ti fa esplodere il cuore
come un pomodoro.
La festa dell’Immacolata.
E’ quando ti metti il braccialetto.
O te ne stai seduta, pensosa, con l’unghia
del pollice nervosa fra i denti
quando di notte tremi e il tuo braccio destro
scatta
quando appoggi la tua mano
sulla mia testa
E il buco nero:
Nello spazio universale della
mia anima universale
che intercorre, senza tempo,
da quando te ne vai
a quando ritorni.
Geometrie
che strane certe distanze
diecimilamiliardi di anni luce
e solo dodici gradini
come passassero tre vite
sollevo e giro
la mia anima svuotata dalle vostre insidie
torno di sopra
a far finta di scrivere o sistemare i panni
e effettivamente tre vite mi passano
sulla testa, come quel treno di Tokio
sospeso nell’aria
veloci come una scurengia
che strane certe distanze, come una chiusura
lampo,
una bottega di falegname,
come il cimitero di Casarsa
come, mi chiedo, sia possibile che due donne,
con così tanta sofferenza addosso, siano capaci
di recintarsi a dispetto di tutto e di tutti
e, dal dentro,
pontificare e pontificare e pontificare….( ? )
e sfottere.
come due ragazzine di 13 anni,
ma in più molto maleducate.
non c’è festa per me, stasera.
niente festa.
sono tornato a vent’anni fa, quando,
chiudendomi fuori,
tracciavano solchi indelebili, ferite
dell’anima
mai rimarginate.
Rivisitazioni
Non c’era albero nel giardino dell’Eden,
ma Eva con le gambe divaricate
e la mela benedetta fu colta
succulenta
dal serpente di Adamo
e la sua sete
E non fu Dio ad adirarsi
Ma alcuni suoi figli invidiosi vestiti a lutto
da molto prima
E anch’io dovetti pagare per una colpa non mia
E ancora pago
Ogni sera ogni notte ogni mattina
E prima e dopo e durante
i pasti
A volte nemmeno.
Un po' più semplice
Mamma,
gli elefantini azzurri
mi cadono dai capelli
per farmi riposare almeno un poco
senza sentirmi in colpa
Quanto tempo….
Questo è un tempo ormai finito
tempo di transizione
tempo di transumanza
Ma i cerchi a volte mica si schiudono
e i calzini di spugna
giacciono
bucati sul parquet e mi guardano innocenti
e pieni di domande
E adesso è già domenica
Svegliatevi Bambini
Perché non riesco mai
a liberarmi
nell’Amore?
Ma che malattia è?
Sfilo il rosario cinese dal
polso conto le ventisei perline di legno
e mi dico
forse
è tutto più semplice.
Sì.
decisamente più semplice.
decisamente.
L'Africa
L’Africa fuori dalla finestra
Non c’è bisogno di volare
Il Parco del Kruger con la sua
pioggia eterna, le foreste pluviali del Borneo
Mi sembrano le cinque del mattino
Il progresso davanti agli occhi,
progresso che si inceppa ogni cinque minuti
Ma l’Africa, là fuori,
non si inceppa mai
Mi potesse benedire, questa pioggia.
E togliere di dosso tutto questo peso,
la gente maleducata, i superbi,
l’ignoranza.
C’è una tenda verticale scolorita
con ricami demodé
Ma se scosto lo sguardo
tutta l’Africa mi sequestra il respiro
E allora, un po’, sarei pure fortunato.
Buon compleanno, morte.
Ogni sera spero
che la mia mail trabocchi di messaggi,
che qualcuno mi spedisca lettere,
che la cassetta della posta esploda,
che qualche editore mi dica: “però!, le sue
poesie non sono proprio niente male!”
che mi si risponda alle domande
che mi si assicuri che la vita davvero non è
tutta qui
che i dirigenti si sbaglino
che i governanti si sbaglino
che l’amore sia più basso ma anche più
duraturo
che la si smetta di stare così male,
che scompaiano tutti gli antidepressivi,
che scompaia la depressione,
che gli stomaci vuoti siano riempiti
e non dalle preghiere dei ricchi porporati epuloni,
che io la smetta di invidiare
anche se con ammirazione
che arrivi un soldino imprevisto
che non mi tocchi più di vendere mobili per
pagare le tasse
che io mi muova
che tutti capiscano
che Adriano torni a volare
che mi si ascolti anche senza darmi la ragione
ma mi si ascolti, con sincerità.
ogni notte spero e non dormo
dormo sempre meno
e se oggi scrivo è perché va così
e potrebbe andare meglio, se ne avessi la forza
forse ti riesco a fregare,
mente,
ma che fatica,
che fatica!,
avere te per nemica.
Somnu(m)
abbandonarsi nel materasso
sventolare bandiera bianca al letto
qualsiasi che sia il riscatto
va bene ogni baratto.
un incubo, due incubi, tre incubi,
magari non troppo malvagi
non m’importa
purché ora mi sia concesso di buttare
questo mio corpo sconfitto
sotto un piumone
che il sonno mi prenda
come vuole,
che mi faccia suo schiavo
mi dia da fare compiti ingrati
spalare neve di marmo dai sogni di chi
non sogna
( basta che sia nel sogno! )
e poi che finiscano anche queste maledette
parole
questa comprensione che non viene
questo affidarsi a scienze che poggiano i piedi
sul vapore delle nuvole
mentre le altre sprofondano negli abissi infuocati
del credersi uniche e regali
mandatemi nel sonno.
sonno, ti vengo incontro
più di una benedizione, ti
aspergo
di sentieri illuminati, di valli quasi in fiore,
di profumi di campagna,
di acqua che scorre nei ruscelli
letto, rubami, sequestrami, condannami,
detienimi.
tanto
nessuno verrà.
nessuno verrà. nessuno verrà
a
richiedermi.
Polvere
L’Inferno, è la polvere.
L’impotenza.
Trucioli di passato,
schegge, sputi ininterrotti
nei tuoi occhi.
Ti stanca da morirne,
non se ne va mai,
come la mafia.
patate fresche sulle palpebre,
zucchine,
colliri alle rose centifolie,
lampade azzurre in frantumi, tutto il
ripetersi, inesorabile,
il tea dei londinesi, roba che
capiscono solo loro, ma che ti si stagna
nel cranio
come Provenzano il Vecchio, coi suoi
crocifissi, come
il bambino kamikaze,
come il limite mai imposto al peggio.
e tu, chi vuoi che limiti “chi” ?
Polvere dentro al naso, appostata pazientemente
sulle ciglia inferiori
in attesa del battito, del primo incontro
della trave da soppesare
dell’ “hai visto che avevo ragione?”, del miserere
vobis
polvere volatile deposta oltre la croce dell’inettitudine,
degli ipocriti buonismi, perbenismi,
confidenzialismi
abbracciamoci, ragazzi, su’!
siamo tutti fratelli, no? o lui è più
fratello di me?
e perché?
copri, copri
la mia schiena incarnata maleodorante
il sudario dolcificante
Cristo abita la mia stanza,
è lì che lo prego.
voi andate a cercarlo un po’
dove volete,
io ce l’ ho di fianco al mio letto,
sulle panchine del parco, sopra il marciapiede,
nei gatti schiacciati ai bordi delle strade
nelle mie mutande
nella diga di pianto che ho tirato in piedi in questi anni,
meglio di un castoro
nessuna goccia sprecata, nessuna goccia.
il muro resiste
a volte cede
ma il più resiste.
non so più dove andare, per riposare il
mio corpo.
ma ho rimesso a nuovo le lenzuola,
le vertebre a pezzi,
stasera la polvere evapora
il figlio dell’uomo si supera
dischiude le dita e apre una
carezza
per dirmi bene, per dire bene
di
me.
sì.
una volta di me.
Se solo la gente
Ancora poco
e arriveremo
La casa d’oro
e di cuori grandi
ci aspetta,
appisolata,
sorridente in riva
al mare sornione.
La gatta sa
di pesce
Ne ha mangiato
a sazietà
Non è rimasta
una lisca nel
suo piattino
Le valige stanno
strette strette nel
baule
Il cielo è rosa
e noi voliamo
La schizofrenìa
non è che
una porta
E le porte servono
per andare in
giardino.
E c’è un giardino
azzurro
e tanti passeri
rossi
e la mia
macchinina è
verde pisello
Questa vacanza
me la sono proprio
meritata
Vedo mia figlia
che vive felice
in Italia
La mia gatta
chiamarla
contenta
Tutto è come
si deve.
Come sempre
dovrebbe andare
Se solo la
gente sapesse…
Se solo…
Adele
Io sento ancora
il tuo abbraccio
E´ fresco.
E´ fresco il tuo
abbraccio,
nonna.
Non verrò a
vedere il tuo
corpo, lo sai.
Tu sei ancora
viva
E ancora più
viva
Io non ho
dubbi
perché ti sento.
Ho ancora tutti
i tuoi
baci
La tua memoria
in
me
E ti pregherò
come a una
santa
perché Tu Sei
Santa!
Come tuo figlio
Franco.
Non m´importa
cosa ne direbbe la
Chiesa
Guarda, ne sa
poco dei santi
veri
E tu sei santa
vera
Perché ti sento
E ricordo
la tua anima
senza filtri
e finzioni
Unica, in
questo mondo.
Ora anche tu
mi vedi
Sono nudo,
nonna.
Vestimi.
Come hai sempre
fatto.
Ti voglio
bene.
Mi vuoi
bene.
Lo sai.
Lo so.
Tuo,
Gerardo
La bolla di Felix
Era molto inverno
inverno freddo
freddo e secco
e stilettate dure come bombe di
azoto liquido
entravano mirate precise
dentro tutte le articolazioni
e non ci si scaldava, no
che non ci si scaldava
E il gatto Felix
cercava asilo
un po’ di caldo
soltanto un posto dove posare
il corpo stanco e ghiacciato
non avrebbe disturbato
nessuno
Ma il mondo adulto degli uomini
lo sapete come è fatto
e Felix il gatto
lo buttavano fuori
da tutte le case, da tutti i bar, le
cantine
non appena si affacciava.
Ma poi un fabbricante di bolle,
bolle di sapone
gli regala una pipa
e del sapone
e il gatto Felix non perde
un attimo
la sua intelligenza si attiva
il freddo lo stringe
Felix il gatto mette il sapone nella
pipa
e fa la bolla più grossa del mondo
Una bolla gigantesca
e
calda
calda
calda.
ci fa uno spiraglio e ci entra
dentro
e poi chiude.
fuori il freddo è sempre più
angustio
la gente imbacuccata
non si guarda nemmeno negli occhi
ma il gatto Felix ora è al sicuro,
può chiudere
i suoi
al caldo
al caldo
al caldo calduccio.
Arriva un cucciolino di cane infreddolito,
Felix lo vede, non ci pensa un secondo, apre
un passaggio e lo fa entrare.
E’ una sega che taglia la
legna, ora,
il loro dolce ronfare.
Una sega che taglia i cuori
( ghiacciati )
di chi li aveva chiusi fuori.
La porticina
C’è una porticina
nel soggiorno di casa mia
E chissà cosa nasconde
e se nasconda mai
qualcosa
E su quali mondi
infinite stelle
o neri assoluti
Oppure la morte
o magari la vita vera
Posso sentirla respirare,
le volte che sono
in forma
Ma a volte è lei
che mi lascia senza
respiro
Metto le mani giunte
sopra la testa
ma l’aria manca,
come le parole
in questa sera
di attese speranze
e granelli di silicio
filtrati.
Figlia di Iubal
O figlia di Iubal
Tuo Padre
guida le tue
dita
Soffia nelle
tue narici
Venti di musiche
nuove
Il tuo flauto
Espande
il tempo
su colline
senza tempo
Alle tue spalle
Tutte le creature
giungono
sulla cima
del crocefisso
A invocare
un
perdono
insperato
Chiudi il tuo
capo
per un applauso
infinito
Poi rialzi
gli occhi
in un sorriso
E solo il
silenzio
Il silenzio solo
intona l´eco
disperata
del mio
cuore.
Pier (Passaggio a Casarsa)
Dove sei tu ora
ci passan sopra
le lucertole
Quand’è sole
come oggi
Ma è stata
un’anima a
condurmi a te
Forse aveva la
tua voce
E allora
Io che non possiedo
parole
Chiudo gli occhi e,
Vivo,
Ti abbraccio forte
E stringendoti
ti regalo un bacio
sulla guancia
destra
Non sosto molto
tempo
Giusto quello che passa
per appoggiarci la fronte
in fronte
E dirti Grazie.
Ciao.
A presto.
Tu per esempio
Qualcosa,
tra la terra, i miei piedi,
le sonde, i satelliti, il tuo egoismo.
Qualcosa,
tra la tua stramaledetta mancata
elaborazione del lutto,
il mio cuore, la testa piena
di guerre irrisolte.
Qualcosa,
tra tutto questo non senso,
la rabbia vomitata e quella
da vomitare.
Qualcosa,
che faccia riprendere le trattative
tra dignità e diritto all’amore
E mi permetta di sospendere
questo sciopero che mi
sono ben organizzato
per cercare di rimanere vivo.
Qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Tu.
Inventario
Strette storte
Lingue fra lingue
lingue sui seni
Ci siamo scaldati
senza avere una
lira per un tozzo
di brace.
Ci siamo amati.
Si dice così, sai?
Ci siamo amati.
E molto.
Abbiamo sgangherato
la vita
preso le stelle
dalle tasche bucate
e, ruotando ad arco
le braccia, seminate
così a caso nel
Cielo
E guarda cosa abbiamo
creato, amore!
Guarda!
Da questo nostro fango
tutte le montagne
tutti i mari i
laghi le terre
e i fiumi.
E poi noi. Su questo
letto.
E quanti altri ancora.
Perla per pirla
La perla che avevo
trovato
in apnea ai
fondali di questa
mia vita
Lo squalo
è arrivato
e con la sua bocca
ha inghiottita
e riportata al passato.
Leggera
Ti affacci alla finestra,
dietro tre croci di cemento
il volto di Cristo
E l’aria vola in alto,
in meno di un’ora se ne va via
sopra le stelle
I tuoi occhi,
finalmente liberi,
respirano Vita.
E due mani carezzano il cielo,
e quelle mani così felici
sono le tue.
Sorvolano con curiosità
le facce della gente che sta di sotto..
..Nessuno lo sa.
Sei sola,
nella tua Verità.
Misery
Misery non dobbiamo morire
eppure io ce la metto tutta
a volte, come questa,
ci ammazziamo miseri per voler conservare
la nostra mor(t)alità
niente è più del saggio divenire
metto un tre sul quattro
gioco dieci punti
perdo tutto al quoto
ce ne sarebbe da pensare, qui seduto,
una radice che non si estirpa
ma chissà quanti esseri umani ( e quante donne! )
nel loro piccolo segreto di infelicità
cercano cercano e cercano
sperando di trovare quel che mai sognano
muovono dita, interessi comuni,
abiurano gelosie fingendosi martiri
di un dio sconosciuto
mancando il bersaglio si ergono verso
il primo cielo verde
dove tutto è speranza
persino la vita
ricalcano celeri il bruno scalpore
di due parolai
pagati a cottimo
per le strade di calcutta e dintorni
si ausculta il profumo tessile di unguenti
battesimali
ma i tre fiumi convergono
il giorno è sacro e
l’iliaco si flette
in un genocidio che mai potrebbe
perdonare se non per il fatto
che
misery
è l’unica democrazia
ben intesa
da
tutto
il creato.
futuro.
presente.
passato.
Volevo solo
Volevo solo scrivere
musica.
Fare male a nessuno.
Chiuso dentro uno
studio,
scrivere musica.
Chiuso dentro uno
studio.
Chiuso dentro
uno.
Chiuso.
O autotrasportatore
sopra un camion
grigio-chiaro della
OM, la guida
a destra,
coi tergicristalli
dall'alto, lenti lenti,
a spazzare via
una vita di
pioggia.
Una piccola risposta
Non aver paura.
Non diventerai mai
quel che non sei.
Hai una creatura che splende
come la Savana
nei tuoi occhi
Sabbia che luccica
sul prato verde
due occhiali mal messi
una coperta fra
i capelli raccolti
Nessun trucco
Niente cappelli o divani
Il tuo Essere intero
che domina la vallata
Echi di pensieri
tacciono
come la benda sulle bocche
delle paranoie,
dei sensi di fallimento,
di tutto il tempo
per farsi del male.
E di fronte a questo, lo senti?,
tacciono anche gli
stupidi.
No, non aver paura,
non diventerai mai ( mai! )
quel che Non sei.
Grecia
e questa patetica rappresentazione
io la conosco già e
me l’aspettavo
tornare a casa pensando di essere
atteso
e trovare un corpo ( il tuo ) nel letto
fingere dormire
con la tele ancora accesa
così mi bevo tre fernet branca allungati
e corro davanti al pc
per non dover morire ancora una volta
sono morto molto
in questi giorni
e non vorrei fosse troppo, ora
Per cui mi difendo col difendibile
ben poca cosa e piuttosto scarna
ma la poesia mi ha sempre voluto bene
anche quando ero piccolino
mi ha protetto da mia madre
e dai dolori
e dalla culla della vita
quando ti volta le spalle
mi ha protetto dai cibi per cani
avvelenati
dai veleni sulle lingue dei vicini
la poesia può salvare delle anime
ed evitare la follia completa
me non ditelo in giro
chissà come sarebbe, il mio Paese,
se i politici cominciassero
a scrivere col cuore.
Una battaglia
Una battaglia persa,
ma in terra i cocci di una guerra,
troppi feriti, mutilati,
troppi cadaveri
gatti che si mangiano i cuori esplosi
troppe foglie di insalata scoppiata dai mercati rionali
troppi professorini dall’inchiostro rosso
troppo rosso, dappertutto
troppe coincidenze
che una volta mi avrebbero ficcato la gola
in due bottiglie di whisky
della marca peggiore
troppo silenzio
troppa gola squarciata
dalle mie stesse grida
Una battaglia persa
grossa come una guerra
con le mani che spuntano dall’asfalto rovente
le teste piene di niente
il vuoto nei pantaloni
le mani sporche
la stanchezza per tutto
ci sei riuscita, stasera hai vinto
mi hai trascinato nel tuo inferno e me lo hai fatto
bere
hai voluto annientarmi
ma sono ancora qui
E sto scrivendo.
ho tirato fuori la cattiveria che da anni
ho faticato a seppellire.
Me l’hai strappata tu.
sorda, cieca, invidiosa che non sei
altro.
hai vinto.
hai vinto, sì.
e allora?
dove sta la tua medaglia, adesso?
Dialogo immemore
Oh
Che cosa abbiamo fatto
Cosa continuiamo
a fare.
Ignoranti
della
storia
( Gli elefanti hanno
più memoria! )
e sbuffando la
poca pazienza
( Le galline hanno
più intelligenza! )
Indifferenza
Tenete gli occhi chiusi
incatramati
Le orecchie piene di
cerume
Le bocche tracimanti
della peggiore
delle merde.
No,
non cercate spiegazioni
Né giustificazioni
Non scavate nel terrore.
Abbiamo sputato
sangue non nostro
Perché non di acqua
avevamo sete
Ma del rosso ematico
del potere
Temporale.
E allora, forza!,
riesumate un solo
corpo.
Uno solo!
Fate resuscitare un solo
bambino.
Ridatelo al mondo.
E´ a lui che appartiene.
E ridatelo tutto. Con il suo cappello,
il suo cappottino, i calzoni
corti e la sacca.
E la sciarpina.
Se no non vale.
Siete morti.
Morti.
Ingozzati dalla loro
dignità
che vi siete
divorati.
Avidità.
Non c´è perdono,
Fuoco.
Fuoco!
E sia acqua su
di voi
Acqua fresca sulle
nostre teste
Pioggia di Dio
nelle nostre
anime peste
Vi condanno.
A non
dimenticare.
Mai.
Ypocrite
Anche quando soltanto
neghi il saluto a chi
ti saluta
questo gesto
è un gesto di morte
perché crei dolore
a un innocente
ma soprattutto muori tu
piano piano, lentamente,
ogni giorno diventi
un vivo che è già morto,
un morto che non pensa
se non a sé stesso
Morto come
chi detiene il potere
e lo esercita schiacciante.
Come chi
è ricco ma avido
Come tutti i capi religiosi
che fanno venire prima
la lode al loro dio
che non l’offrirsi
all’uomo che grida
aiuto.
Le maschere sono bianche,
ormai cucite
sulle vostre teste,
il petto un sepolcro pieno
di ossa marce.
C’è qualche possibilità,
certo.
Mai niente è definitivo.
Prima però
mettete il vostro cuore
in lavatrice.
E dategli Sincerità.
E Amore.
Sono razzista
Chi siete voi, veneti,
che camminate sempre con la testa girata
verso il passato,
e non vi accorgete di inciampare nel vostro
patetico “orgoglio”
chi siete voi, veneti,
ferro battuto, sagra degli osei, pan e vin,
la ricciolona, destra piave, sinistra piave,
la me murusa vecia….
chi siete voi, veneti,
con la quarta casa che vi crollerà in testa,
come il debito che avete accumulato per il vostro
ultimo “Suv”,
voi che non date mai la precedenza,
che non vi fermate mai agli stop, voi
che quando qualcuno vi lascia passare non ringraziate
mai,
che parlate il dialetto persino in ospedale, alle poste,
nelle interrogazioni di storia alle scuole superiori…
Chi siete?
Voi, veneti, che ridete a leggere queste righe,
dicendovi “in fondo è questo quel che vogliamo!”
Vi odio quasi tutti.
Chi siete, terra del prosecco, delle rotatorie,
terra dei morti ammazzati sulle strade per mancanza di
attenzione,
terra di egoisti arricchiti troppo in fretta e senza troppi
meriti
di intelligenza, terra di beoni
chi siete, proprietari del vostro metro cubico
del cazzo,
con la cornetta sempre in mano, pronti a chiamare
i carabinieri se un cane abbaia o un vicino ha
parcheggiato l’auto 10 cm più in qua
Chi siete, affamati della proprietà, come se ve la portaste
dietro anche dopo la morte
chi siete, terra dove l’arte è impregnata di “mi ricordo”,
“si stava meglio quando si stava peggio”, “i giovani non
hanno più ideali”, terra del “sono loro che si devono
adattare a noi, non
noi a loro!”, terra dei litigi, degli assassini per
eredità,
terra della terra
Chi siete voi, veneti,
non vedenti, ciechi di anime e corpi, avari,
terra di formiche, le cicale le avete annientate.
No.
Non mi arrenderò.
Non vi darò questa soddisfazione.
Veneti.
Specie in via d’estinzione.
Puntini, puntini
dev’essere qualcosa che scatta,
ma nemmeno all’improvviso
forse qualcosa di latente, sibillino
forse una formula di male che viaggia insistentemente
nel mondo
dev’essere l’aria che si respira, questa proprio
brutta aria
forse gli alveoli avrebbero la risposta
per tutta questa stanchezza
tutto questo bisogno ingiustificato
di stare male
di fare male
perché?
per vendere?
acquistare?
offrire?
rubare?
un giorno me lo promettete che
scivolerete dalle lenzuola spiaccicandovi il naso
contro il muro bianco, guarderete in alto
sul soffitto stanco, e cercherete di
specchiarvi?
mi promettete che lo farete senza paura?
senza preconcetti?
i preconcetti…
puah!
maledetti!
maledetto tutto quel che è “pre”!
“pre” occuparsi ( occuparsi prima del necessario )
“pre” confezionato ( confezionato prima )
“pre” concetto, appunto ( concepire un’opinione su un
oggetto prima di conoscerlo )
“pre” ti (……??????? !!! )
precoce.
belva feroce.
torna alla foce.
getta la noce.
graffia la voce.
nulla di più del raffreddore
del vetraio di murano
si pulisce con la mano della moglie astemia
spaccia i vetri di boemia
per la laurea all’accademia
scrive pensieri lunghi lunghi come treni
e come i treni
non sa dove arrivare
fischia fischia il capostazione
le braccia ammutolite
io non so quel che dico,
ma voi, sapete
ciò
che
dite?
Autumnum
non faccio niente. non faccio niente.
non faccio niente.
per paura. per pigrizia. per
tristezza.
mi pesa addosso la vita.
come a un cameriere stanco i piatti
sulle dita
senso di fallimento.
mancanza eterna di denaro.
certezza di fallimento.
le stelle splendono comunque.
il mostro delle paludi si è
ritirato dal set
lo pagavano troppo poco
bisognerebbe tappare i buchi,
ma gli idraulici sono scappati.
hanno comprato la luna, loro
ci son riusciti
senza ripensamenti
l’orgoglio veneto si insinua nei cuori
freddi e stecchiti
nei cervelli svuotati
dove c’è estremismo c’è mancanza di
cervelli
ed io ho fame di cervelli.
ho fame.
mancano i soprabiti dagli appendini,
i cerchi dalle botti,
le stelle dalle strisce, le lune dai pozzi,
le lumache dagli stadi, i peperoni dalle ascelle,
i ristoranti cinesi dalle mafie, i luoghi comuni
dalle stagioni di una volta,
mancano
i cuori
i cuori
i cuori
ma non dalle carte….
..dalle Anime!
manca il respiro, manca la boccetta
di xanax, mancano le farmacie,
gli abbracci a cielo aperto, i posti sul pullman
mancano i sorrisi nelle bettole,
le ali ad aquila delle rondini
manca la sintesi, manca il prolisso,
mancano i figli,
dio benedetto!,
mancano i nostri figli!
Di fronte alla mia casa verso destra
gli orchi non vivono nei boschi,
non fingiamo di non saperlo
nei boschi ci finivano quei poveri
che avevano qualcosa di strano nella testa, o una
gamba più corta dell’altra oppure erano dei
giganti con la gobba
castigati dal caso, gli uomini perversi
li condannavano all’esilio nelle foreste
ma erano Anime Belle, e loro le hanno
ammazzate
oggi le anime belle vivono nei corpi di tre
bambini, due sorelle e un fratellino,
che hanno un padre patetico che urla sempre
che vuole denunciare tutti
che secondo me alza il gomito e stasera
voleva suonarle al mio cane
e sbraitava come un ossesso anche quando io,
per non aizzarlo, ho chiesto scuse che non
dovevo,
anche lì lui ha gridato
me ne sono andato in silenzio e mi sono chiuso in casa,
la mia Noce in braccio,
e in un secondo ho provato il terrore di quelle figlie
che non salutano mai, non guardano mai in faccia
nessuno
ed il più piccolino che ha due occhi da
terrorista
c’è una bomba inesplosa, una mina
antiuomo chiusa dentro quella villa di fronte
alla mia casa, verso destra
c’è il diavolo con le sue fottute paure,
c’è la codardia di schiacciare solo chi non
si difende
c’è un orco con la barba nera, che non si sa che lavoro
faccia che è sempre chiuso in casa con le tapparelle
abbassate
c’è la paura della Luce,
e c’è la mia, di paura,
per questo uomo imprevedibile, che quando urla lo sento anche
qui,
a venti metri di distanza in linea d’aria, con le
porte chiuse
urla come un ossesso,
come un vile senza coglioni.
i suoi figli ci guardano sempre
male
rispondono male
trattano male il mio cane
ed il loro non abbaia mai, credo gli abbiano
tolto le corde vocali
poveri bambini, piccoli,
piccolini,
ditemi:
lo sapete che la vita è un’altra?
Canzone piccola
Pronuncerò
il tuo nome
camminerò
sulle tue
impronte
Mi fiderò
solo
di questo cielo
e delle stelle
che hai
nel cuore.
Cani
Cani cani cani
come cani in fila ad aspettare
le femmine in calore
chiuse dentro dai padroni
e sentir solo l’odore
accontentarsi dell’odore
Cani cani cani
come cani in fila ad aspettare
coi carrelli mezzi vuoti
alle casse dei discount
e sognare un po’ d’amore,
senza soldi, un po’ d’amore
Cani cani cani
come cani ai cigli delle strade
stritolati dall’abuso
del falso libero pensare
e soffrire freddo e fame
e sentirsi nudo e infame
Cani cani cani
come cani che mordono i padroni
ribellandosi al potere
solo per rabbia ancestrale
…ma si fanno tutti male!
Così,
si fanno tutti male!
Non c’è più
posto,
In Ospedale.
Nuovo
Non sarai certo tu, bel bambino,
che mi hai svegliato alle 14.38
quando il cielo era diventato bianco
come non era da troppo troppo tempo
o forse lo sarai
dopo una cena fantastica piena di risate
culi al vento balli brindisi canti stonati
pseudospogliarelli democratici
perfino la manuela si è messa a ballare
e pure con scioltezza
non l’avevo mai vista così,
mi ha dato una forza disumana
ed io sono tornato prorompente
mio bel bambino
vedi di assomigliare a tuo fratello
che ha appena finito il suo compito
ed è stato un compito bello,
almeno per me,
e anzi puoi fare anche più di lui
io lo so bene
e guarda, quando cadrò per favore non
lasciarmi troppo sul tappeto
( e metticelo, magari, il tappeto )….
e dio volesse forse nemmeno cadrò
perché cado da sempre
da quando ero bambino e mia sorella Depressione
ha allentato la presa, ma stenta sempre ad abbandonarmi
ieri per non farmi sommergere dalle mie emozioni
ho ingollato mezza boccetta di alprazolam
ma ero così agitato che nemmeno mi ha fatto effetto
però è andato tutto così bene
che nessuno mi ha fatto paura
e quando, stamattina, ti ho visto nato,
( nel cielo bianco bianco, come di neve )
mi son detto
ok, vivrai solo 365 giorni,
ma ne abbiamo da crescere e diventare Grandi, io e te!
Eh già!
Gli occhi di Mario
Negli occhi di Mario è andata via la corrente.
Una specie di strada, in una notte buia senza stelle,
con le luci spente
Lo sguardo svuotato, tutto nero, se ne va
in qualche posto sicuro,
oltre l’intervistatore
E parla piano, lentamente, la bocca storta aperta
come un mangiadischi rotto, un
vecchio registratore
e ripete continuamente
io-ho-solo-sparato-due-colpi-in-aria-
non-volevo-ammazzare-nessuno-
io-so-solo-che-non-vedevo-niente-
ed-ho-sparato-due-colpi-in-aria-
se-ciascuno-avesse-fatto-il-proprio-dovere-
invece-di-lasciarmi-lì-solo-
Mario aveva vent’anni.
Quel giorno, a Genova, sono nati
due cadaveri senza colpe.
Il corpo di uno è ancora vivo.
E tu, “leader minimo”, unico scansafatiche
del nordest, avvoltoio stipendiato dal
comune di Venezia
Tu, che l’Aimsha non ce l’hai nemmeno
nei tacchi delle scarpe
e che tre giorni prima, in una rete privata,
avevi aizzato: “Sarà una guerra!”.
Tu, brutto codardo.
Sfruttatore dei semi innocenti della Terra.
Stà bene attento.
Perché io sono senza pace.
E se mi capiti
a tiro
ti tiro un fico nel culo
che le tue stramaledette emorroidi
dovrai fartele operare da qualche
otorino.
Stupido Parassita Idiota.
Santo, per chi ti è lontano.
Coglione.
Per chi ti è vicino.
Senza la Manuela
Potevo approfittarne!
Un’occasione così!
Dopo mille anni finalmente un
fine settimana senza di te,
compagna.
Tre bei giorni da scapolone,
concerto, birra, la Noce da coccolare
tutta sul divano ( dove tu non vuoi mai,
accidenti! )
gironzolare senza una meta, così per il
gusto…
E invece,
invece
( porca miseria, mi tocca pure
ammetterlo..lo sai quanto mi
secca, eh? )
invece
Senza di Te
il concerto degli Assenzio
è brutto!
starmene sul divano col telecomando
in mano
è brutto!
girare in macchina ad ora tarda
è brutto!
non litigare
è brutto!!
e sempre
Senza di Te
la gente torna a infastidirmi,
a farmi paura
non resisto un minuto di più su queste poltroncine
rosse comode e soffici
Senza di Te
il mio vicino di poltrona
ha pensato bene di mangiare l’aglio
e butta fuori Lucifero ad ogni
respiro
e non vedo l’ora di tornarmene a casa
ma
Senza di te
la mia insonnia prende le redini
e mi porta lontano da Morfeo
e nessuno mi parla di moda, di gossip
e tutte ‘ste cazzate che odio
ma mi danno una leggerezza che solo tu
mi sai dare
mi sento una piuma persino
io
( con la mia testa che salta con l’asta )
e, senti, davvero,
nessuna donna ( tanto meno così opposta a me, come Te! )
mi aveva mai fatto sentire me stesso
proprio come io sono.
Cos’è?
Hai fatto un miracolo?
( Chissà la fatica di Dio
nel farci incontrare!!!
Che dici,
glielo dobbiamo,
un favore? )
Il mio amore per T’Pol
Mi sono innamorato
di una vulcaniana:
lo sguardo fermo
due seni enormi
un sedere interstellare.
Ma secondo me
se ne va su e giù
a spasso
tra New York, Manhattan e Broadway
o come cavolo si scrivono
Non è, insomma, che viaggi poi
come sostiene.
E non m’importa delle sue
orecchie a punta.
Non penso taglino come coltelli.
Ci sono donne che ti anestetizzano
con la lingua
e il loro cuore scarico.
Poi prendono il tuo e,
per invidia, o chissà,
lo buttano nella discarica.
Insomma, T’Pol,
scendi giù da dove sei!
Questa è una dichiarazione d’amore
italiana.
Spaghetti, pizza e mandolino.
E ‘o mare.
Venezia, do you understand?
Altro che nuove galassie!
Io ti porto dentro me.
Roba da perdersi, da avere un fegato così.
T’Pol.
Se dici di no
viene fuori la verità.
Dimmi di sì, dai!
Così nessuno saprà mai
che sei un’attrice
e, per di più,
terrestre!
Il nano
C’è un nano
sotto la sedia
della mia camera
Se ne sta lì,
il cavalier servente.
La testa non si vede
Le braccia sono appese.
Da ormai parecchi giorni
mi prende a morsi il culo
Ma io non lo sapevo
Dovevo andare a letto.
Cambiare direzione.
Il mio nano.
Allungo il braccio.
Le distanze sono elevate.
Dimensioni astratte
Rotte universali
Possiede due risposte
che vorrei tanto avere
Ma così mi fai
paura.
Vieni qui.
Vieni qui che ti mostro
che cos’è il mio dolore.
E’ come un enorme
gigantesco
buio nero e puzzolente
buco del sedere.
Vieni, vieni qui a vedere.
Codardo.
Alzati dalla tua
Posizione
Vieni un po’ a consolarmi.
Spirito Conservatore.
Poco poco poco (alla mia
Manuela)
Mi piacerebbe sistemare un
poco le cose.
Comincio col mettere il coperchio
a strappo - di latta - dello Spuntì
alla carne ( oddio…ma cosa
mi sono ridotto
a mangiare?!? ) nel sacchetto di
carta
e poi i due Estathé vuoti
e l’involucro della barretta di
Enervit.
questa la mia cena
alle 22.20
mentre al cd
i tuoi
Tribalistas
mi ipnotizzano con
O Amor E’ Feio
Penso.
Stanco. penso.
Tengo la cannuccia in
bocca
così posso frantumarla tra
i denti.
I denti.
Un giorno solleverò una
Nave dal porto
coi denti.
Prima del varo.
per ora ho solo difeso
la mia anima
dagli attacchi del
Caso.
Il Caso.
Non a caso
gli hanno dato un nome
così.
E’ furbo, il caso.
E tu, Manu,
non ti cambio idea
nemmeno coi cannoni,
vero?
Venisse Dio in persona,
gli tireresti un bel
calcio proprio lì, lo so.
Lo sa anche Lui.
E ti
lascerebbe fare.
Perché hai ragione.
Tutto il dolore
che hai
Ti da ragione.
Ma, ti prego,
Non dire
“NO!”.
Dì
“Non ci vedo”.
Così sei giusta.
Si dice, anche, se ci
pensi:
“Non ci ho visto più,
dalla rabbia!”.
Tu ora sei
precisamente lì.
Dove
dalla
Rabbia
Non
si
vede
che
il
Niente
e
Male
dappertutto
Dappertutto.
Va bene.
Manu,
Va bene così.
Gli occhi
si
sistemeranno
da
soli
E un poco per
volta.
Un solo poco per
volta.
Poco poco poco
per volta.
La vista
darà una carezza
al tuo cuore
e dopo
un’altra ancora
E non ti scanserai
Non riuscirai a
scansarti
Sarà la carezza di una
farfalla al vento.
Io magari sarò morto
( chissà poi
dov’è che ce ne
andiamo ).
Ma Tu.
Tu.
Sei destinata.
A capire.
E diventare.
Il Tuo Miracolo.
Non fate del male ai poeti
un poeta
è un uomo nudo al tiro a
segno,
è una lepre stanata,
una volpe alla caccia alla volpe,
un ex alcolista all’Osteria della Salute,
un riccio che attraversa la pontebbana,
un fanale staccato,
un grillo parlante che scrive e rompe anche
i coglioni, ma senza la saccenza
insopportabile
del grillo di Pinocchio ( lo
avrei schiacciato anch’io, quel grillo! )
un combattente scoppiato
un giocatore che perde al
solitario
un piede che zoppica sulla
retta via
un poeta
è un uomo
sostanzialmente solo,
e che probabilmente non ha nemmeno
mai scritto una
sola poesia in vita sua
un poeta è un bambino
indifeso
nessuno è cattivo, per lui
tutti hanno una chance,
tutti un dolore
la rabbia non è un sentimento,
ma l’espressione del dolore
il dolore
diventato
dio
Non fate del male ad
un poeta.
sarebbe troppo
facile.
troppo.
e voi, troppo codardi.
Quando l’uomo dorme
Quando l’uomo dorme
è un tutt’uno con la Natura
quando l’uomo dorme
può andare dove vuole
fare viaggi meravigliosi o pieni
di pericoli
quando l’uomo dorme
Quando l’uomo dorme
non scoppiano le bombe
non si progettano stragi
non si dichiarano guerre
quando l’uomo dorme
non ci sono manifestazioni tangibili
di bene, certo,
ma in questi tempi di amore sequestrato
non fare il male
è già un’impresa tra le più grandi
Quando l’uomo dorme
dorme uguale a tutti
non c’è razzismo
differenze tra popolazioni o culture
colori di pelle
credo politici o religiosi
quando l’uomo dorme
Quando l’uomo dorme
tocca libertà che nemmeno immagina
non ci sono foglie schiacciate da piedi
piedi moncati da mine
I delfini riposano
e così giù tutto il mare
tutti gli oceani
fino ai sotterranei dell’altro mondo
quando l’uomo dorme
Io non mi aspetto poi tanto:
mi basterebbe che il paradiso fosse
anche solo
un lungo sogno.
Dove sei
Ma dove sei
Tu
che mi abbraccerai
e mi abbraccerai
prima, dopo
e durante
e mi dirai
sono venuta per trovarti
ti ho cercato
e ora sei mio
e anche se io non sono di nessuno
io sarò tuo
Ma dove sei
Tu
che mi stringerai
con le braccia, le cosce, le gambe, i piedi
la testa,
e mi dirai
no, non ti lascio scappare
è finito il tempo delle lacrime
degli amori malati e inesprimibili
e mi dirai
stavolta non scappi
ci saranno discussioni
ma saranno discussioni adulte
tra due anime intelligenti
un’unione intellettuale oltre che fisica
Ma dove sei
Tu
che non so nemmeno se stai in Inghilterra
a Vaprio d’Adda o dietro il giardino di casa mia, qui
nel nord-est freddo e disanimato come tutta la sua
produttività di merda.
Dove sei
che ti penso e ti vorrei come
l’unica,
l’ultima,
l’eterna.
e senza più paura
Dove sei,
Tu
che mi sento avvicinarti
Dove,
Tu
che non ti tirerai indietro
che non avrai terrore dell’amore
e sarai fiera del tuo esser donna
una grazia mai capita
da troppe tue coinquiline
Dove sei,
se ci sei.
ci devi essere.
perché anch’io ci sono.
io sono.
qui.
se mi vorrai, davvero, non me ne andrò.
hai capito?
Mi sento un perdente
forse ho sbagliato
a puntare tutto sulle poesie
forse devo aspettare ancora tanto,
come mi aveva predetto quella dolcissima paziente
inattesa
forse le cose belle della vita sono altre,
e purtroppo comprendono gli esseri umani,
almeno così mi dicono
( gli altri esseri umani )
devo aver confuso il sogno.
sogno di essere compreso
e portato in alto
anche da morto, sì, anche da morto,
ma essere compreso
e ricevere i segnali, ben chiari, di questa santa
comprensione
le poesie vincitrici sono davvero stupende,
mi hanno emozionato
soprattutto quella del padrone che porta il cibo
al suo cane.
meravigliosa.
ma non è questo, sapete?
è la sensazione di non essere stato visto
che le mie parole non siano arrivate là dove volevano
e avevano bisogno di arrivare
ecco: è come se non sia stato rispettato
un sacro bisogno
e per quanto ancora sarà così?
ho talmente paura e la mia timidezza
mi ha portato a convincermi che non conti altro che il
messaggio
per cui ho distribuito le mie poesie
per le strade di Treviso di notte, senza che nessuno mi
potesse vedere
poesie senza proprietario
perché, mi sono autoconvinto, è importante
solo il messaggio
ma credo sia il convincimento del perdente
non di un fallito, certo,
( forse )
ma di un perdente
cosa conta l’approvazione?
Ma conta il sentirsi compresi, per Dio!
cosa conta?
prova a nascere affamato d’amore
e crescere in dieta perenne
e totale isolamento
e tutte le paure e tutte le paure
e tutte le paure
e Gesù lo sa quanto mi scoppi il cuore
per chiunque abbia sofferto di assenze
per tutti i malati negli affetti
io scrivo.
ma chi mi sente?
chi
mi
sente
?
Tagliato fuori
sono semplicemente tagliato fuori.
ecco tutto.
tagliato fuori
da tutte le cantautrici, pittrici, scultrici,
da tutti i mercatini multietnici
da tutti i “peace and love and love and peace”
da tutti i fratelli cristiani cattolici
da tutti i “vogliamoci tutti bene”
da tutti i “so io quello di cui hai bisogno tu”
tagliato fuori
da tutte le innamorate della vita ( altrui )
da tutti gli approcci immediati
da tutte le tecniche di seduzione
da tutte le sicurezze che devono avere gli “uomini veri” per
conquistare una donna
tagliato fuori
da tutte le manifestazioni per la pace,
( pace partitica!…),
da tutte le danze latino-americane
e da quelle cubane
sono semplicemente tagliato fuori
da tutti gli “amiconi”
tutti i suonatori di djambè
tutte le danzatrici tribali
tutto il sesso, tutto il sesso, tutto il sesso
represso
tagliato fuori
da tutto l’amore orgoglioso
da tutta la dignità di essere umano amato
da tutte le parole d’affetto che arrivano via sms
sempre da distanze inesauribili
e sempre da chi in realtà non vuole nemmeno abbracciarti
semplicemente tagliato fuori
da tutti i produttori
i commercialisti, da tutti i trafficoni,
gli scansafatiche,
tagliato fuori
da tutti gli imprenditori
da tutti gli ipermercati aperti la domenica
tagliato fuori
da tutti i clienti domenicali degli ipermercati
da tutte le luci nella sera
da tutti i megaproiettori delle discoteche
che sverginano le nuvole della notte
da tutti i comunisti ricchi, avvocati, notai
da tutti i carnevali, di Venezia e non,
da tutti gli inverni da tutte le estati
se sono estati come questa
da tutti gli insegnanti di scuole di poesia
da tutte le scuole di poesia
sono tagliato fuori
da tutto il pessimismo
da tutto l’ottimismo
tagliato fuori
non è una scelta
non me lo sono cercato.
forse.
io
sono semplicemente tagliato fuori.
ecco tutto.
Alè.
gira la carta,
adesso.
Addio ai miei figli
Entro vincente
nella tua bocca
cavalcando puledri
senza padrone
Il cielo è verde
splende l’anello
al dito di Dio
Non ci sono
briglie né redini
Arrivo scalzo
Non chiedo permesso
Non ci sono porte
Ma lampadari rossi
e bambini imboccati
da mani inesperte
E frigoriferi vuoti
Una torta scavata
da dita ingenue e piccole
La neve scende
abbracciata alla polvere
L’altare di pietra
lacrima nuvole
Lo specchio si infrange
sopra nidi di angeli
Le onde si sperdono
un poco più oltre
Un calice di vino
è salito al confine
tra ciò che vorremmo
e quel che non è
Addio ai miei figli
Se vedo questa gente
stanca
non avere più sogni.
Una visita
Sono venuto a trovarti.
Come un cane randagio
bastonato
mi aggiravo per la tua
casa
così grande per il mio
cuore sbagliato.
Ma dilla!
Tu dilla quella parola!
Almeno. Soltanto.
Una parola!
Non cerco altro, sai?
Solo così mi puoi
salvare.
Mi nascondo dietro le
colonne, i tuoi dipinti,
ma mi manca il tuo
Verbo.
Padre.
E una parola sola.
La tua sola, benedetta
parola.
Ma adesso è tardi,
e la visita è finita.
Così mi si chiude
la porta dentro.
E questa sera,
mentre torno a casa,
mi riscopro sordomuto.
Cliché
Ma io amo i cani
E non sono
laureato
E non so nulla
sul rapporto tra
poesia
e mezzo informatico.
Che cosa vuol
dire?
Che non sono un poeta?
No che non lo sono!
Io
parlo come mangio
Scrivo come parlo
E non mi nutro
un granché
bene
Ma mi libero nell’aria
Vado a capo quando
ho voglia
Come Gabriele l’Arcangelo
E non rispetto la
metrica
E non rispetto
la ritmica
E posso farlo
anche meglio
E se voglio anche peggio
E posso essere
gonfio
o stretto
Buio e
lucente
E posso essere
brutto
o bellissimo
Perché.
Qui.
Nessuno.
mi.
Tocca.
C’è tutto
C’è tutto quest’attimo di silenzio
c’è tutta la luce al minimo della lampada
alogena
c’è tutta questa mia stanchezza fatta
a pezzettini
c’è tutto il precipitare dal sonno
ci sono tutti e due gli occhi gonfi di rossore
c’è tutto il miele balsamico sciolto nell’acqua bollente
che fuma dalla tazza gialla
pronta per la mia gola
C’è tutto il linfonodo dietro l’orecchio sinistro
che sembra un po’ gonfio e fa piuttosto male
ci sono tutti gli sguardi
che ho incontrato stasera
tutti gli sms
C’è tutta Manuela che dorme, a quest’ora, e certamente
sogna un sogno
che domani non si ricorderà.
Ed io, da qui,
La Voglio Vegliare. E La Veglio.
C’è tutto il letto che mi aspetta
e tutta la smania di andarci
e c’è tutta la Noce sopra che si lava le zampine
lasciando la macchia di saliva
e
c’è tutto il mio desiderio di non dormire
prima di aver scritto qualcosa di buono
e c’è tutto il mio bisogno che sia
buona la prima
perché il sonno è troppo
C’è tutta la stanchezza nelle mie mani, tanto che nemmeno
le tengo sollevate dalla tastiera
e
c’è Tutto l’Amore tutto l’amore
TUTTO L’AMORE
che
chissà dove avevo mai dimenticato.
Ok, buona notte, ora.
Che gli angeli vi dicano bene.
C’ era una macchina azzurra
C’era una macchina azzurra, con il
motore texano
e c’era tanta di quella voglia di ricominciare daccapo
e vestirsi di nudo col cuore che infiamma
e c’erano le cose dette e contraddette e la
consapevolezza
di non essere l’inventore di nulla
e c’era mio padre, dietro, coi suoi 72 anni
e le mani scavate dal fallimento del lavoro
che a fine agosto gli pignorano anche
l’anima
e c’era Manu con la traversa nel letto
e tanti di quei coglioni che non ci si può neanche
immaginare
starnazzare nei loro metri quadrati di proprietà
del nulla
e c’era il mare e una vaga somiglianza con quel
trombettista francese
tuttofare
grande eclettico scrittore e compositore
col cuore malato
morto per il troppo da fare
e l’aver compreso di non poter concludere i progetti
nei tempi desiderati
e c’era il sapere che il niente è tutto
e che domani non si scampa
che c’è un treno straordinario e straordinariamente
puntuale
apposta per me
( e anche per te, cosa credi? )
e poi c’era il rombo del motore della
macchina azzurra
che fumava fumo bianco ai bordi dell’arena
e migliaia di braccia alzate e cuori perduti
nonostante la brezza leggera
e c’erano due fotografie e una bambina che ti ha
tenuta per mano,
te e la tua stampella, e la certezza che in pochi vadano
oltre
e che si viva troppo spesso di idee artificiali,
come i fuochi di Santa Augusta
( che poi ha pure la testa mozzata ), ed ora li sento
scoppiare
come scoppiano tutti questi veneti che mai
ce la faranno
a godere della pensione e l’ultimo mattone della
quarta casa
gli crollerà in testa
ed io sono il re della parola
e faccio quello che voglio.
La colpa delle stelle
che colpa ne avete voi,
stelle,
se sono senza soldi?
la vostra luce brilla di voi stesse
e, ( che cosa meravigliosa! ), vi vedo
anche se siete morte.
splendete anche da morte!
Ci provi, ora, ci provi,
anche un fisico solo, a dire
che queste son tutte baggianate….
Venga a dirlo al mio campanello!
( citofonare “Calcinbocca”,
do you understand? ).
e allora, via…..
suonate per me, stelle care, suonate!..
voci di canti sollevanti sopra i monti
sotto i ponti
stelle ovunque
ovunque splendete
e soprattutto dentro le teste mendicanti
negli stomaci barcollanti
splendete nelle bocche mute
in quelle zittite
splendete sotto i banchi delle elementari,
nelle cartelle coi pastelli di cera
nelle ferite sopraciliari
negli sguardi non detti
nelle parole sospese
negli escrementi di vacca
che colpa ne avete voi,
stelle,
se sono senza soldi?
se mi sono innamorato di quella parte della vita
che non pulsa, ( ma solo apparentemente )
che non appare, ( ma solo apparentemente )
e che me ne viene
a dire che io so tutto,
se poi per tutti gli altri
( per tutti gli altri )
io non so niente?
Tutte queste notti insonni trafelate, combattute
per voi,
anime irriconoscenti.
il mio sacrificio
il mio sacrificio
il mio sacrificio
neppure io l’ho
capito.
Sincronie
ci sono i giocatori di Miami
e di là
i motociclisti della California
in braghe corte
e le palme che ondeggiano
e i bagnini pronti
alle respirazioni bocca a bocca
ci sono i cani caldi da inghiottire
e di là ancora
a un tuffo da Cuba
il Generale si pulisce il culo
coi dollari americani
e si accende un montecristo trasudando
le fatiche dei sudditi
molto facile creare il regime della paura
bush e fidel sono gemelli siamesi
più attaccati che mai
due organismi monocellulari
ma il mare scintilla
e in Florida fa sempre caldo
io da bambino mi bevevo tutti quei telefilm
pieni di sole sempre
e speravo che un giorno l’avvocato in roulotte
avrebbe salvato anche me
e magari avrei girato pure io tra i porti di Sacramento
e rimediato due uova alla pancetta
e una birra ghiacciata
poi nel temporale un bel bagno a mollo
nell’oceano dei sogni che non spariscono
e due infermiere che ti cullano
ti carezzano la testa, ti rimboccano le coperte
e ti sussurrano:
“caro, caro…non ce l’hai fatta. ma non aver
paura. manda giù la pastiglia e riposa, ora”
e poi un babbo natale col sacco pieno di gioielli
rubati a una famiglia troppo numerosa e senza madre
ma molto ricca
erano tutti bambini
ed ora sono invecchiati, invecchiati,
invecchiati
come questi miei ricordi
ammucchiati a casaccio nel sottoscala del mio
cuore.
alè, amerigo.
andalo!
Poetry
arrivavano da udine, da pordenone, da
vittorio veneto, da jesolo e un sacco di altre
parti
dentro una villa lussuosa di udine
erano tutti sudati, compiaciuti, unti,
appiccicati
calici di vino nero d.o.c.g.
io mi occupavo della parte musicale,
accompagnavo con strumenti a fiato, pianoforte e percussioni
le loro
opere
gli uomini perlopiù professori frustrati di qualche
istituto tecnico o alberghiero
le donne allampanate, alcune forse pazze
direi piuttosto pazze, ma non si capiva,
forse ci facevano, non mi pare ci fossero
o forse chi lo sà
comunque la cosa era molto triste
alcuni scritti molto belli
ma molto triste la cosa
si lodavano e si sbrodavano e si uccidevano
coi complimenti finti
già, perché non appena uno si allontanava gli altri ne
parlavano male,
e così a turno tutti, nessuno escluso
mi facevano pena e tenerezza
così combattuti fra l’accettazione di una sconfitta
letteraria
e l’esaltazione di un sicuro successo postumo
poi tutti in pizzeria a festeggiare non so bene cosa
e a parlar male degli assenti
quella sera però mi è piaciuta perché abbiamo bevuto
del buon vino gratis
e tornando a casa io e il mio amico franco ( il chitarrista )
abbiamo parlato tanto come da tanto non facevamo
( complice bacco )
e così lui forse si è deciso a non aver più paura del suo
amore per Aline
ed io finalmente di intraprendere la mia scalata
sulla montagna erta
dei colloqui con la dottoressa Fava.
Le abbiamo prese
Le abbiamo prese,
tutti,
e in sovrabbondanza.
Ne abbiamo avute, e
più che abbastanza.
Il piatto della bilancia cade
decisamente
dalla nostra parte
ne vedo troppe
decisamente
troppe
e troppe, di queste troppe, non
sono sotto il controllo della
responsabilità umana
piuttosto del caso
E in più, chi ne ha prese
di meno
dice che “non sono mai troppe
quelle che dio vuole”…….
E allora io vi dico
BASTA.
Dio si è perduto nell’inseguirvi
per dirvi
“siete così lontani dalla Verità,
che credete di averla impegnata
nelle vostre stupide banche
di anime”
siamo bucce di arance spremute
stanche
senza amore
tomaie mendicanti
fiammiferi strusciati e consunti
siamo bottiglie di Becherovka original
38,0 % vol
siamo marciapiedi instabili
monete dissonanti
portafogli svuotati
ladri inconsulti
siamo microbi micogeni
siamo volvox ancestrali
prematuri organismi pluricellulari
siamo acqua
morte che contiene la rinascita
siamo metallo che declina
siamo terra che matura
fuoco che cresce
legno che nasce
siamo niente
siamo un altro sorso di
Becherovka
sii benedetta, Becherovka,
se mi dai quel che mi stai dando
( e giù ancora un sorso! )
se mi annebbi le frastornate paranoie
benedetta sii tu, Becherovka,
se mi togli un attimo da questa apnea
siamo foglie appena nate
mai risorte
siamo (v)angeli gnostici
siamo gli ultimi eoni
siamo i soldi che mancano
per fare le fotocopie
pinzare le raccolte
andare per le vie di treviso
e abbandonarsi sulle panchine
siamo l’amore e l’incapacità di amare
siamo la pazzia e la ragione
siamo la regione dell’orgoglio
siamo l’orgoglio che ci marcisce dentro
siamo la disonestà
il disorientamento
siamo quel che non avremmo mai voluto essere
ma
ma
ma
la abbiamo prese,
tutti,
troppe.
siamo feriti, abbandonati, abbagliati,
soli, solitari,
sempre in cerca di abbracci negati,
siamo pochi, fragili, innegabili, forse
irripetibili
( per fortuna! )
ma dateci
un bacio.
per favore, sospendete
il Giudizio.
sospendetelo
con sincerità.
con amore.
e finiamola qui.
ora e per sempre.
amen. |